Anche Senza “Amici” Un Travolgente Disco Dal Vivo In Puro New Orleans Style. Mitch Woods – A Tip Of The Hat To Fats

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Mitch Woods – A Tip Of The Hat To Fats – Blind Pig Records

Il sottotitolo del CD recita “Live From The New Orleans Jazz And Festival 2018”, una vera festa della musica della Crescent City, registrata dal vivo durante l’evento annuale che si tiene su vari palchi della capitale della Louisiana. Mitch Woods è un “oriundo”, viene da New York, ma da diversi anni è diventato un portabandiera delle tradizioni della musica della Big Easy. Dopo lo splendido Friends Along The Way del 2017, dove Mitch aveva chiamato a raccolta alcuni amici come Van Morrison, Taj Mahal, Elvin Bishop, Charlie Musselwhite, Maria Muldaur e altri, per un omaggio intimista e quasi acustico, che era stato inserito in molte delle classifiche di fine anno, nella categoria Blues e dintorni https://discoclub.myblog.it/2017/11/07/grande-disco-con-un-piccolo-aiuto-dagli-amici-e-che-amici-mitch-woods-friends-along-the-way/ .

Ma fondamentalmente Mitch Woods è un entertainer puro, soprattutto dal vivo si esalta quando può proporre in piena libertà il suo stile jump’n’jive, misto a boogie woogie, R&R primevo, blues, il soul della Louisiana, quindi una musica che va da Louis Jordan, Charles Brown, l’amatissimo Fats Domino, citato anche nel titolo dell’album, giù giù fino a Commander Cody, i Roomful Of Blues, Allen Toussaint, la Dirty Dozen Brass Band. Infatti per l’occasione il nostro Mitch ha assemblato una band dove ci sono parecchi musicisti che hanno suonato in passato con i luminari appena citati. Amadee Castenell e Brian “Breeze” Cayolle erano i sassofonisti di Toussaint, Roger Lewis suona il sax baritono per la Dirty Dozen, John Fohl è stato spesso il chitarrista di Dr. John, Cornell Williams suona il basso nel gruppo di Jon Cleary e Terence Higgins la batteria per Tab Benoit. Con tutto questo ben di Dio a disposizione era quasi inevitabile che il risultato fosse uno scoppiettante gumbo di tutte le musiche del Sud degli States, grazie anche ad un repertorio brillante ed eterogeneo.

L’apertura, in pieno splendore da big band swingante è affidata a Solid Gold Cadillac, un brano anni ’50 della orchestra di Louis Bellson con Pearl Bailey alla voce, Mitch Woods va subito di boogie con il suo pianino scintillante e il resto del gruppo lo segue alla grande, mentre il pubblico a giudicare dagli applausi gradisce non poco; la Jazz Fest prosegue con Down Boy Down con sax e chitarra scatenati, mentre Mitch “istruisce” il pubblico a dovere su come si suona questo vecchio pezzo di Wynonie HarrisMojo Mambo, come lascia intuire il titolo, è un omaggio che lo stesso Woods scrisse anni fa, in onore del grande Professor Longhair, e che apparve sul suo disco Big Easy Boogie (dove suonava con la band di Fats Domino), un brano in puro stile New Orleans, con florilegi continui del pianoforte del nostro ed interventi ficcanti della chitarra di Fohi, con tutta la band che “rolla” in grande stile, con impeto ma anche grande finezza. Tra un brano e l’altro il nostro amico stimola il pubblico presente e introduce le canzoni in tutte le lingue, anche con un “Grazie Mille” in italiano; Crawfishin’ è un altro boogie woogie and roll suonato con irruenza e a tutta velocità, con i fiati che imperversano, mentre il gruppo è veramente di una potenza devastante nel suo insieme.

La parte centrale del concerto è dedicata alla musica di Fats Domino e qui le cose si fanno ancora più “serie” ed interessanti, a partire da una smagliante e perfetta rilettura di Blue Monday, seguita da un altrettanto brillante e gagliarda Jambalaya, presa sempre a tremila all’ora, con Woods che gigioneggia alla voce, ma suona il piano come se non ci fosse futuro, confermandosi pianista di grande tecnica e cuore, con una band alle spalle micidiale nei propri interventi, come ribadisce una deliziosa Walking To New Orleans in perfetto stile New Orleans, prima di scatenarsi  in una formidabile Rocket 88 (ma i tasti  del piano sembrano il doppio), che oltre ad essere il nome della sua vecchia band, è anche il veicolo per altre evoluzioni pianistiche di puro virtuosismo https://www.youtube.com/watch?v=YzxagcYIiqc , che preludono al gran finale affidato al boogie woogie dinamitardo di una travolgente House Of Blue Nights che è divertimento allo stato puro, e ragazzi se suona questo uomo.

Bruno Conti

Venghino Venghino, Siori, Il Divertimento E’ Assicurato! Big Bad Voodoo Daddy – Louie Louie Louie

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Big Bad Voodoo Daddy – Louie Louie Louie – Savoy Jazz

Agli inizi degli anni ’90, anzi nel 1989 per la precisione, a voler dare credito a chi indica i Royal Crown Revue da San Francisco come coloro che per primi svilupparono questo stile, (ri)parte, anzi ritorna, lo swing, ora chiamato neo-swing, una costola tardiva del jump blues, del rockabilly, del big band sound, che tra gli anni ’30 e gli anni ’50 fu tra i precursori del R&R. Subito dopo, sempre nella stessa annata arrivano anche i Big Bad Voodoo Daddy e i Cherry Poppin’ Daddies (nomi corti no?). Il grande successo del genere esplode però con la Brian Setzer Orchestra e anche con la colonna sonora del film Swingers, uscito nel 1996, dove c’erano sia i BBVD come pure i meno noti Jazz Jury, ma anche alcuni degli ispiratori di questo revival. Comunque lo stile diventava sempre più popolare: arrivano gli Squirrel Nut Zippers di Jimbo Mathus, i Mighty Mighty Bosttones e gli Hepcat, mentre ska, punk e altri elementi venivano gettati nel calderone, i Big Bad partecipano addirittura al Super Bowl nel 1999, però quando arriva l’Electro-swing per me siamo al capolinea. Negli anni 2000 progressivamente i BBVD si “specializzano”, tornano ancora più intensamente alle radici delle primarie influenze, pubblicando alcuni dei loro album migliori, anche tematici: a parte due titoli natalizi e un CD+DVD dal vivo, il disco del 2009 How Big Can You Get?, dedicato alla musica di Can Calloway e ora questo Louie, Louie, Louie, che non è uno scioglilingua ma è dedicato a tre grandi Louis della musica, Armstrong, Jordan e Prima, ognuno omaggiato attraverso la rilettura dei loro brani https://www.youtube.com/watch?v=A83OZ6aKr70 .

I due leader della band sono sempre Scotty Morris, voce solista e chitarrista, e il bravissimo pianista Joshua Levy: ma pure la sezione fiati non scherza, con il trombettista Glen “The Kid” Marhevka, Karl Hunter, sax e clarinetto e Andy Rowley, pure lui al sax; aggiungiamo una sezione ritmica coi fiocchi, così li citiamo tutti, perché sono veramente bravi, Dirk Shumaker, contrabbasso e Kurt Sodergren, batteria. Insomma, se siete alle ricerca di “nuove svolte musicali”, passate pure oltre, se invece quello che cercate è buona musica, magari già sentita ed immutabile, ma suonata con brio e passione, questo dischetto potrebbe essere una piacevole sorpresa, nell’ambito del revival di quella musica che sta tra jazz e swing e che sta avendo nuove iniezioni di entusiasmo da musicisti non più giovanissimi: penso al recente Duke Robillard, ma anche al nuovo Versatile di Van Morrison. Si parte alla grande con la voce campionata del grande Satchmo che ci introduce alle delizie di una splendida e swingante Dinah, cantata in modo quasi leggiadro da Morris, che gigioneggia come richiede il genere prima di lasciare il proscenio alla tromba di Marhevka e ai sax di Hunter e Rowley, brillantissimi. Oh, Marie di Louis Prima (nato e morto a New Orleans, e la musica di quei luoghi era presente, non a caso, a vagonate nel suo sound) è addirittura travolgente, Morris tenta anche un improbabile italiano, tra le peggiori pronunce mai sentite da chi scrive, ma il pezzo è divertente come pochi, adattamento di una vecchia canzone napoletana fatto da Prima e la band tira veramente di brutto (il 45 giri dell‘epoca aveva sull’altro lato Buona Sera). 

Is You Is, Or Is You Ain’t My Baby di Louis Jordan è felpata e raffinata come un cappotto di lusso, mentre in Jack You’re Dead, sempre di Jordan, si va alla grande di jump’n’jive, con sax, tromba e piano che sottolineano le linee vocali do Scotty & Co. Whistle Stop, di nuovo di Prima, è nel lato novelty song, con il suo fischiettare disincantato e coinvolgente, con il gruppo che non molla l’osso pure nella vorticosa Choo Choo Ch’Boogie di Jordan, con le mani di Levy che volano sulla tastiera. Poi il gruppo si fa più rigoroso in una sentita rilettura di uno dei principali cavalli di battaglia del grande Louis Armstrong, Basin Street Blues, marziale ed elegante al tempo stesso; Jump, Jive An’ Wail di nuovo di Louis Prima è tutta compresa nel suo titolo, irresistibile, mentre Knock Me A Kiss di Jordan è meno nota, più “ruffiana”, suonata quasi in souplesse dai BBVD, che poi tornano al New Orleans sound del “più” grande dei Louis, jazz delle origini magnificamente eseguito in Struttin’ With Some Barbecue. Five Months, Two Weeks, Two Day è di nuovo travolgente, con le marce superiori innestate, tipica del repertorio di Prima, e che dire dell’autoironica Ain’t Nobody Here But Us Chickens? Ancora divertimento allo stato puro e questi suonano, minchia (scusate) se suonano. Conclude un altro dei brani più celebri del repertorio di Armstrong, ovvero When The Saints Go Marching In, una “canzoncina” finale tanto per gradire, con il classico call and response del miglior Dixieland. Venghino venghino, siori, il divertimento è assicurato!

Bruno Conti