Finalmente Un Disco Come Si Deve! Deep Purple – Now What?!

deep purple now what.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Deep Purple – Now What ?! – EarMusic CD/DVD

Uno degli eventi dell’anno, almeno per gli appassionati di quello che ultimamente viene definito Classic Rock, è indubbiamente il nuovo album di studio dei Deep Purple, a ben otto anni da Rapture Of The Deep.

Bisogna innanzitutto dire che c’era un po’ di scetticismo sulla reale capacità della storica band inglese di sfornare ancora canzoni degne di essere pubblicate, specie dopo che gli unici due lavori del nuovo secolo, Bananas e appunto Rapture Of The Deep, erano forse gli episodi più scadenti della loro discografia, insieme a The House Of Blue Light del 1986 (non considero l’album del 1990 Slaves And Masters, in quanto più che un brutto disco dei Deep Purple era un discreto disco dei Rainbow): i Purple stessi sembravano poco convinti, almeno fino ad un anno fa, di rientrare in studio e mettersi di nuovo in gioco, ed il titolo del nuovo CD, Now What?!, ironizza sulle richieste che venivano fatte in continuazione alla band circa i progetti futuri.

Le prime avvisaglie che le cose potevano andare per il verso giusto si sono avute quando è stato svelato il nome del produttore: Bob Ezrin è una specie di leggenda per certo tipo di musica, ha lavorato, tra gli altri, con Lou Reed, Alice Cooper, Kiss e Pink Floyd, ed è uno che difficilmente produce delle ciofeche. Ebbene, credeteci o no, Now What?! è un gran bel disco, ispirato, potente, con il classico Purple-sound che esce da ogni nota, dove quasi tutto funziona a meraviglia (un solo brano brutto su undici, dodici nell’immancabile edizione deluxe, è una bella media dopo 46 anni di carriera). Un disco non certo inferiore ai primi due del periodo post-Blackmore (Purpendicular ed Abandon), ma forse addirittura un gradino sopra: la cosa più stupefacente, dato che il manico dei cinque nel suonare e la perizia di Ezrin li davo per scontati, è la bontà delle canzoni, particolare fondamentale per fare un bel disco, ma abbastanza latitante negli ultimi lavori del gruppo.

Sul fatto che Ian Paice (unico membro originale rimasto, anche se per tutti i veri Purple sono quelli del Mark II) e Roger Glover fossero ancora due macigni non c’erano dubbi, come non ce n’erano sulla bravura e sulla tecnica di Steve Morse (anche se per me il chitarrista dei Deep Purple rimarrà sempre Blackmore), mentre a stupire è la forma di Ian Gillan, anche se tirate alla Child In Time non se le può più permettere da anni, e soprattutto il tastierista Don Airey, sostituto di Jon Lord (a cui il disco è dedicato) dal 2002. Si sa che Airey non è un pivellino, ha suonato con mezzo mondo (Whitesnake, Black Sabbath, Rainbow, Jethro Tull, iniziando negli Hammer con Cozy Powell e nei Colosseum II), ma che riuscisse a non far rimpiangere Lord non pensavo: il suo organo è il protagonista assoluto di quasi tutti i brani, dando al disco un sapore classico e deliziosamente retrò, come se la scomparsa di Lord avvenuta lo scorso anno lo avesse ispirato in maniera decisiva.

Che le cose siano cambiate in meglio lo si intuisce dalle prime note di A Simple Song: intro di grande atmosfera a base di organo, seguito da un assolo di chitarra molto melodioso, poi arriva Gillan ed inizia a cantare in maniera chiara, sillabando le parole; una pausa ed il brano esplode, diventando una rock song tipica (con Airey che inizia a fare i numeri), per terminare ancora lenta, come era iniziata. Peccato che arrivi subito Weirdistan a rovinare tutto: è l’unico brano brutto di cui parlavo prima, una canzone confusa, priva di una melodia vera e propria, nel quale l’impegno dei cinque non basta; meglio la lunga Out Of Hand, che richiama da vicino il classico suono anni settanta, un po’ di autocitazione non fa mai male e comunque dai Purple questo ci si aspetta (Morse qua fa sentire di sapere una cosa o due in fatto di chitarra). Hell To Pay è un ottimo rock’n’roll, diretto, solido, immediato, con Morse ancora protagonista con un assolo formidabile e blackmoriano (ed Airey che, sfidato a duello, risponde per le rime), mentre Body Line è un rock blues tosto e grintoso, con Gillan lucido ed il gruppo che lo segue a memoria: il disco cresce di brano in brano, e Weirdistan è solo un ricordo.

Above And Beyond inizia con un mood cupo, con Don che prosegue la sua eccellente prestazione, Gillan entra solo dopo un paio di minuti, ma non fatica a mettersi alla pari con gli altri: il brano ha quasi accenti folk nella melodia, anche se l’accompagnamento è 100% Purple. Blood From A Stone è un lento di gran classe, notturno e bluesato, un brano atipico ma riuscito, cantato da Ian in maniera insinuante e con Steve che schitarra alla grande; un altro lungo assolo di Morse introduce Uncommon Man, un’altra rock song di grande impatto, anche se qui l’interpretazione di Gillan è forse un po’ piatta. La solida Apréz Vous sembra uscita dalle sessions di Fireball, con uno splendido duello centrale chitarra-organo, mentre l’orecchiabile All The Time In The World è quasi radio friendly (almeno per i loro standard), una delle più gradevoli del CD.

L’album si chiude con la maestosa ed inquietante Vincent Price e, nell’edizione deluxe, con It’ll Be Me, una cover addirittura di un brano di Jack Clement, reso con uno scintillante arrangiamento rock’n’roll. Nel DVD troviamo un’intervista di venti minuti ai membri della band e tre brani audio: un remix di All The Time In The World e due versioni live recenti di Perfect Strangers e Rapture Of The Deep.

Un ottimo e gradito ritorno: ora aspettiamo Giugno per vedere come sapranno rispondere i Black Sabbath.

Marco Verdi