Basta Cercarle! Un’Altra “Bella Voce” – E.G. Kight – Lip Service

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E.G. KIGHT – Lip Service – Vizztone Records                 

Di belle voci in America ce ne sono in giro parecchie (ma meno di quello che si possa credere): di quelle che hanno quel “quid” inesprimibile che le fa svettare sul gruppone ancora meno. E.G. Kight è sicuramente una di queste: un paio di anni fa concludevo la mia recensione per il Busca del disco precedente It’s Hot In here con queste testuali parole – “Per gli amanti delle brave cantanti non è affatto male, la voce c’è per il repertorio vedremo! –

Questo nuovo album realizza i miei desideri (e quelli degli amanti della buona musica); al settimo album la signora, conosciuta come The Georgia Songbird, in quanto nativa di Dublin, Georgia, mi sembra che abbia fatto centro. Già da alcuni album Eugenia Keil se le scrive e se le canta, nel senso che i brani sono frutto della sua opera, lei si accompagna anche alla chitarra ritmica e sceglie fior di collaboratori per i suoi dischi, sudisti come lei. La produzione di questo Lip Service è affidata completamente al veterano Paul Hornsby (uno degli “inventori” del southern rock) che si adopera da par suo anche all’organo, la chitarra è nelle abili mani di Tommy Talton il leader storico dei Cowboy una delle migliori formazioni southern famosa, oltre che per un’ottima e lunga serie di album, per essere stata la backing band di Gregg Allman quando non suonava con il suo gruppo. Dalla stessa formazione proviene anche il batterista Bill Stewart e, sempre dai paraggi, proviene anche il tastierista e sassofonista Randall Bramblett. I nomi sono importanti, non è una questione di nozionismo: se sai chi suona spesso (ma non sempre) saprai anche cosa ascolti.

In questo caso del sano blues con venature southern per iniziare, ma poi tanto soul, per inventarsi un sottogenere direi “soul got soul”, favorito dalla presenza di una ottima sezione di fiati e da un ottimo repertorio che favorisce le doti vocali della Kight: la voce, lo ribadisco, è molto bella e mi ricorda molto quella stupenda di Phoebe Snow (che non è più tra noi), quindi notevole estensione e quella piccola vena “drammatica” che affiorava anche tra le pieghe del cantato della Snow. Ma per ingolosirvi potrei citare anche Kelley Hunt, Susan Tedeschi, Bonnie Raitt e, perché no, anche Koko Taylor che è il punto vocale di riferimento della Kight.

Le dodici canzoni scorrono tra ritmi serrati errebi e fiati in libertà come nell’iniziale Sugar Daddies o ancora più sincopati con retrogusti funky alla Stax nella vivace I’m In It To Win It con la chitarra di Talton che comincia a mettersi in evidenza ( e proseguirà per tutto l’album). Non manca il deep soul del Sud nella emozionante That’s How A Woman Love dove organo hammond, wurlitzer e chitarra mettono la voce della Kight in grado di esprimere tutto il notevole potenziale con una interpretazione da manuale del perfetto soul singer, l’assolo di sax è la ciliegina sulla torta. Sempre di gran classe anche la bluesata Lip Service con un pianino a districarsi tra gli immancabili fiati e la slide di Talton in evidenza. Savannah è un brano particolare, dalle atmosfere sospese con una slide acustica che gli fornisce una patina sonora molto ricercata. Koko’s Song, lo dice già il titolo, è il sentito omaggio alla grande Koko Taylor, una delle più grandi cantanti blues di tutti i tempi, bella canzone, dal sound classico, con un pungente intervento della solista di Talton, mentre Somewhere Down Deep è un bel duetto con l’emergente John Nemeth un altro vocalist che sa coniugare blues e soul come pochi, sentito recentemente nel live di Bishop. Anche senza fiati, come nella piacevole I Can’t Turn Him Off, l’esplosiva combinazione di rock, blues e soul con una bella voce funziona alla grande. E anche sfrondando ulteriormente, solo il piano e l’organo di Paul Hornsby e una sezione ritmica, magari un sax, come in It’s Gonna Rain All Night scritta dallo stesso Hornsby,  in territori quasi jazz da crooner, ebbene anche così la qualità non cala di una virgola, anzi. Certo i ritmi che fanno muovere il piedino come nella vigorosa Goodbye forse le se addicono di più ma anche il country-flavored southern-fried blues (c’è scritto nel retro della copertina, giuro) alla Tony Joe White dell’ottima Married Man non dispiace. E anche nel Blues puro della conclusiva I’m Happy With The The One I Got Now se la cava alla grande.

Per gli amanti del genere direi che è un disco da tre stellette e mezzo, ma mi sento di consigliarlo a tutti quelli che vogliono ascoltare delle musica di qualità da una cantante di gran pregio.

Bruno Conti