Interludio Di Mezza Estate: Una Piccola Gemma “Nascosta”! Susan James – Sea Glass

susan james sea glass

Susan James – Sea Glass – Susan James Music

Come certo saprete, il titolare del Blog e il sottoscritto, che coincidono nella stessa persona, hanno una comune passione per le voci femminili (condivisa anche con Tino Montanari), meglio se poco conosciute, ma non è un fattore dirimente, l’importante è che abbiano talento e si distinguano nel proprio campo musicale, quanto più eclettico e diversificato il loro sound, tanto più interessante ai nostri occhi, ma anche questo non è un dogma assoluto. Prendiamo Susan James, cantante di gran talento di Los Angeles, California, in pista già dagli anni ’90, con una carriera divisa in due fasi, la prima che ci ha regalato due album in quel periodo di fine secolo scorso, ed una seconda che l’ha portata alla pubblicazione di tre eccellenti album tra il 2011 e il 2015., questo compreso Se volete leggere quanto avevo scritto su di lei in relazione a Highways, Ghosts, Hearts & Home andate qui http://discoclub.myblog.it/2011/03/20/temp-ce08440afc5fb26c5bb040bb377c17ab/, (magari c’è una piccola inesattezza perché parlavo di quarto album, che sarebbe uscito solo nel 2013 sotto forma del sempre ottimo Driving Towards The Sun).

Quindi perché proprio oggi mi ritrovo a parlare del nuovo album di Susan James? Guardate nei commenti a lato sul Blog, a nome Shawn, e trovate la risposta: in effetti volevo parlare del nuovo disco degli australiani Waifs, di cui da vari giorni rimando la recensione, ma poi ascoltando il nuovo disco della James mi sono appassionato a quanto sentito ed ho deciso di dedicarle un “breve”, ma al solito non troppo, anzi, spazio, so quando inizio ma non quando finisco. Come l’addetto stampa di Susan (che forse aveva letto quanto scritto su di lei nel mio Blog) ci segnala, il nuovo disco Sea Glass è già uscito dal 16 giugno scorso, ma devo dire che purtroppo se ne sono accorti in pochi, almeno in Europa (dove credo sia prevista una distribuzione dal mese di ottobre), in quanto il CD è disponibile solo sul mercato americano, attraverso la sua etichetta personale, e quindi non di facile reperibilità. Ed è un peccato perché il dischetto (o il download) è una piacevole sorpresa (sia pure ascoltato solo in streaming al link segnalatomi, e devo dire che ultimamente mi capita spesso di usare questo formula di ascolto, che non amo moltissimo, sia per il Buscadero che per il Blog, ma ce ne facciamo una ragione, se non sì può fare diversamente): il suono, rispetto ai dischi precedenti, vira da quel quel country-folk-rock californiano che caratterizzava la James dei dischi precedenti https://www.youtube.com/watch?v=vQBfykLsQ-o , ad un alt-country-psych-folk, che è ben rappresentato dal brano che potete ascoltare nel video inserito poco sotto. Poseidon’s Daughter, la traccia che apre il nuovo album è un piccolo gioiellino di folk-pop barocco con celestiali armonie vocali, intricati lavori di chitarre acustiche (la nostra amica, come dimostrato anche nei precedenti album, è appunto una eccellente praticante dell’arte della solista acustica), atmosfere che attingono dal pop vocale e strumentale dei Beach Boys o dei Beatles di Abbey Road (seconda facciata, il cosiddetto long medley) grazie alla presenza dell’irlandese Sean O’Hagan, non dimenticato fondatore dei Microdisney e degli High Llamas, tra gli anni ’80 e ’90 frequentatore di quel pop raffinato e multistrato che attinge dalla grande tradizione britannica e che la fonde, nel disco in questione, dove svolge la funzione di arrangiatore di archi e strumentazione varia, con il sound californiano di Susan James, che secondo il sottoscritto ha anche degli agganci con la parte più bucolica e pastorale degli album di Jonathan Wilson, altro musicista californiano che ama pure la musica inglese leggermente psichedelica dei primi anni ’70.

Se aggiungiamo al tutto che Susan, come ricordato in passato, ha una voce che evoca cantanti “storiche” come la Mitchell o Carly Simon, ma in questo disco, a chi scrive, ricorda pure la non dimenticata Annie Haslam dei Renaissance, con le sue tonalità pure ed elaborate che si inseriscono nel substrato strumentale creato da O’Hagan, dove tastiere analogiche ed archi, violini, celli, viole, si fondono con melodie di morbido pop anni ’70, caratterizzate da cascate di chitarre acustiche e florilegi vocali di gran classe. Nella colta recensione presa dal LA Weekly, che trovate sempre al link http://susanjames.bandcamp.com/album/sea-glass, vengono citate anche, come punti di riferimento, Nancy Priddy (che conosco di nome, per un album pubblicato nel 1968, prodotto da Phil Ramone, considerato un piccolo classico del folk-psych, ma non avendolo mai sentito, mi astengo) e Judy Henske, grande folk-singer anni ’60, prima per la Elektra e poi Reprise, sullo stile Judy Collins, ma autrice anche di un paio di album, con il marito Jerry Yester, proprio quello dei Lovin’ Spoonful, pubblicati tra il 1969 e il 1971 dalla Straight di Frank Zappa, e che sono in effetti altri piccoli classici del folk psichedelico e in questo caso, conoscendoli, confermo che meriterebbero essere investigati, Farewell Aldebaran Rosebud.

Tornando a questo Sea Glass, sono solo dieci brani, compreso un intermezzo di meno di un minuto, piacevoli ed intensi:  dopo l’eccellente apertura proseguono in questa raffinata cavalcata, che, nonostante in definitiva nasca da transatlantici incontri via Skype tra la James, nel suo studio di Topanga Canyon e O’Hagan sul suolo britannico (si chiama tecnologia) suona proprio come un disco fatto e finito, come in effetti è, dalla strumentazione ricca e rifinita fin nei minimi nei particolari di canzoni come Awful Lot, raffinata e arrangiata come fosse quasi un prodotto delle collaborazioni tra Brian Wilson Van Dyke Parks, o qualche gemma perduta di un Bacharach che allunga la sua produzione con Dusty Springfield fino ad incrociare i Beatles più orchestrali, sempre con quella voce bellissima in evidenza. Hey Julianne vira ancora di più verso i Beach Boys, ma con Paul McCartney e il suo dancing bass agiunto in formazione; Calico Valley, dal ritmo leggermente più incalzante, ma sempre immersa in florilegi deliziosi di tastiere e archi che rendono preziosi gli arrangiamenti. Ay Manzanita è una ballata malinconica che mette in evidenza ancora una volta la bellissima voce della James, che raggiunge tonalità vicine a quelle della ricordata prima Annie Haslam, con i suoi Renaissance, fautori di un pop-rock orchestrale, qui virato su tonalità spagnoleggianti.

Dopo il brevissimo interludio strumentale di Odyssea, arriviamo a Sea Glass, la title-track, altra confezione sonora complessa e di grande fascino, senza sezione ritmica, mentre Truth Of Consequence introduce di nuovo intricati passaggi vocali di rara bellezza, su una base più rock e vivace, ancora più accentuata nella vivace Tell Me Cosmo, altro esempio di quel morbido folk-rock-psych più volte citato, con tanto di flauto “cosmico”, se non è un mellotron. Come nei dischi seri l’ultima canzone si chiama giustamente Last Song, di nuovo in aria del miglior prog psichedelico dei primi anni ’70, tra voci sognanti e archi avvolgenti. Che dire ancora, bel disco, i rimandi e le citazioni ad altri musicisti sono ovviamente voluti e spero non casuali!

Augh, ho parlato, adesso sta a voi cercare il disco, diciamo che per noi italici l’esborso finanziario, soprattutto a livello spese di spedizione, potrebbe risultare oneroso, ma ne vale la pena, se non vi fidate, al link di cui sopra,  potete ascoltare l’intero album in streaming. Nel frattempo cercherò di scoprire se esiste questo fantomatico sesto album, che non mi torna nella discografia.

Bruno Conti

Una Cantante “Indipendente”. Susan James – Highways, Ghosts, Hearts & Home

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Susan James – Highways, Ghosts, Hearts & Home – Self-released

Torniamo alle voci femminili “sconosciute” e in giro ce ne sono parecchie. La nostra amica Susan James viene dall’area della California e questo Highways, Ghosts, Hearts & Home è già il suo quarto album ed è proprio bello. Niente di straordinario per carità ma indicat(issimo) per chi ama le voci femminili di qualità. Qualcuno si chiederà perché questo e non un altro e non saprei sinceramente dirvelo, forse perché nella mia avida ricerca di nomi nuovi ed interessanti questo mi è capitato tra le mani!

Breve interludio.

Qualcuno si chiede, giustamente, perché di solito parlo solo in modo positivo dei dischi e degli artisti che tratto. Non sempre, soprattutto nelle anticipazioni delle novità qualche commentino pepato mi scappa. Ma dato che in rete ci si può imbattere nei cugini, zii, nipoti, fratelli, amiche del cuore (o semplicemente fans) dei vari Drake, Lady Gaga, Britney Spears e altre tavanate immani e non avendo nè il tempo nè il modo di rispondere a questi personaggi che subito si inalberano per eventuali commenti sui loro beniamini, preferisco ignorarli, non parlarne. Se secondo un giudizio assolutamente personale qualcosa non mi piace o non mi interessa non ne parlo proprio, poi sbaglierò i giudizi dei dischi di cui parlo in termini positivi ma è un parere personale e quindi opinabile. Voi lo leggete e se non vi piace cambiate Blog, tanto è gratis. Chiaro!

Torniamo a Susan James. Genere musicale? Uhm, direi country-rock losangeleno con ampie spruzzate di vagamente morbida psichedelia sixties ma anche singer-songwriter classica stile 70’s. Capito!

No. Pensate ai I See Hawks in LA (classica band californiana di country-rock che si rifà al sound classico di Flying Burrito Brothers, Eagles, Poco, Ozark Mountain riportato ai giorni nostri) e prendete tre elementi del gruppo. Fatto. Aggiungete Danny McGough della band Shivaree e il violinista Gabe Witcher dei Punch Brothers uno dei gruppi leader del filone del neo-bluegrass.Anche il batterista DJ Bonebrake (X, Kintters). Al risultato ottenuto aggiungete una cantante con una bella voce, un bel leggero contralto che può ricordare la giovane Joni Mitchell (ma giusto un po’) o la prima Carly Simon, quelle voci limpide e naturali, calde ed espressive, da donna matura ed indipendente che oltretutto si scrive tutte le canzoni da sola…

Potreste trovarvi ad avere tra le mani un album che assomiglia molto a questo: aperto dal country-rock allegro e leggemente psych dell’iniziale Airstream Girl, una boccata d’aria californiana, dove le chitarre profumano di Byrds, il basso è netto e marcato, la batteria leggera e agile e la voce scivola su un sottofondo estremamente piacevole ma di qualità superiore. Se rallentate le atmosfere, trasformate le chitarre in acustiche, inserite un banjo che dona un’aria vagamente alla Fairport Convention prima maniera quando l’amore per la musica della West-Coast divideva il gruppo di Sandy Denny e Iain Matthews dai concorrrenti folk-rock britannnici ed otterrete questa A Weed is not a weed, impreziosito da un mandolino e dalla voce cristallina della James che si conferma vocalist di gran pregio.

Quando il violino di Gabe Witcher fa il suo ingresso il suono del brano Thank You Tomorrow ci porta proprio al country-bluegrass di gruppi come Country Gazette o Dillards ma con una voce femminile. Mi rendo conto che per molti questi rimandi a nomi “antichi” può sembrare arcano ma fate una ricerca “moderna” su Wikipedia e risolvete il problema. On your side con una chitarra riverberata, il controcanto maschile dei musicisti e la voce molto ricca di tessiture sonore della James ed una certa aura misteriosa del brano ci rimanda al suono dei cantautori più classici e ricercati. In Cold Moon On The Highway fa la sua apparizione addirittura una baritone guitar e il tempo del brano ricorda quello delle cowboy songs alla Ghost Riders con i suoi ooh-aah dei coretti e altri geniali tocchi di gusto negli arrangiamenti sempre molto raffinati e semplici al contempo.

Old Jug Song con un banjo in primo piano nella struttura della canzone e poi altri strumenti acustici che entrano mano a mano è una perfetta fusione tra folk e country. D’altronde se musicisti come Bob Weir, Lindsey Buckingham, Richard Thompson, Ryan Adams e altri l’hanno citata come una delle voci più interessanti che circola nel nuovo panorama musicale americana e poi l’hanno voluta per aprire i loro concerti un motivo ci sarà.

Sentitevi un brano come Out In The Woods che evoca passeggiate nel mitico Topanga Canyon dove Susan James vive con la sua famiglia e godetevi la voce pura e ricca di ottave della stessa che crea un’atmosfera calda ed avvolgente. Che ci volete fare il sottoscritto ha un debole per le belle voci e questa della James è proprio bella. Quello che è sorprendente è il fatto che il trascorrere degli anni non ne ha intaccato la purezza perché la “ragazza” non è più una giovanissima, la prima parte della sua carriera si era svolta negli anni ’90, poi una lunga pausa per creare una famiglia (13 anni) e il ritorno alla musica arricchita da nuove esperienze e più brava di prima.

Calling Mr.Zimmerman dove si rivolge al grande Bob per ritrovare l’ispirazione perduta “Calling Mr.Zimmerman, Please Help Me Write This Song, I always get it wrong” e la successiva Falling Waltz 2 con un evocativo violino, rivaleggiano con la produzione, la vogliamo chiamare rock, di Mrs. Joni Mitchell con quella voce eterea e terrena al contempo ed una musica complessa e meravigliosa. Due brani da antologia del perfetto singer-songwriter.

Un tuffo ancora nel folk perfetto della dolcissima How To Fix A Broken Girl che ci permette di godere ancora le grandi nuances della voce di Susan James e siamo alla conclusiva Goin’ To California che ci riporta al country-rock di inizio album. Non sarà nuovo, non sarà originale, derivativo persino ma comunque gran bella voce e belle canzoni, può anche bastare. Segnatevi il nome. In questi giorni viene distribuito anche in Europa dall’etichetta Taxim e quindi non sarà più “indipendente”.

Bruno Conti