Gagliardo Blues Elettrico Per Una “Giovanotta” Dalla Voce Ben “Stagionata”! Deb Ryder – Enjoy The Ride

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Deb Ryder – Enjoy The Ride – VizzTone Label           

Ammetto che prima di questo album non avevo mai sentito nominare Deb Ryder, ma la VizzTone ultimamente è garanzia di qualità. Enoy The Ride è il quarto album di questa bionda californiana, cantante e autrice: la chitarra che c’è nel sedile posteriore della decapottabile con cui è immortalata nella copertina dell’album la usa solo per comporre le sue canzoni. E potrebbe essere proprio quella di un aneddoto che raccontava in una intervista di qualche tempo fa: al volante Bernie Leadon, sul sedile del passeggero Linda Ronstadt e nel retro lei con la sua chitarra, mentre andavano ad un incontro con Clive Davis, all’epoca boss della Columbia. Perché da quello che si arguisce dalla foto, anche se non si dovrebbe dire delle signore, la nostra Deb non è più una ragazzina, ha esordito piuttosto tardi, dopo oltre di venti anni di oscura carriera parallela in una band con il marito Ric Ryder. Ma ha messo a frutto le conoscenze maturate nel locale di proprietà del patrigno, il Topanga Corral, in cui nel corso degli anni sono passati, oltre ai due citati, Neil Young, Etta James, Bob Hite dei Canned Heat e molti altri.

Sono con lei in questo album il batterista e produttore Tony Braunagel, alla consolle anche nei dischi precedenti, Johnny Lee Schell al basso e alla chitarra, Mike Finnigan alle tastiere, Joe Sublett al sax, in pratica quasi tutta la Phantom Blues Band. Ci fosse bisogno di chitarristi, passavano di lì, nei californiani Ultratone Studios, Chris Cain, Debbie Davies, Kirk Fletcher e Coco Montoya, e al basso Bob Glaub, Kenny Gradney dei Little Feat e James “Hutch” Hutchinson. Secondo voi può suonare male un disco dove appare tutta questa gente? Ovviamente no, lei anche una bella voce, quasi da nera, potente, vissuta, una che ha messo a frutto gli insegnamenti avuti da Etta James in gioventù: il genere ora viene chiamato “Contemporary Blues”, una volta era solo blues elettrico, la partenza è eccellente A Storm’s Coming, con la chitarra pungente di Coco Montoya in evidenza e un sound corposo, nella successiva Temporary Insanity entrano anche i fiati, Kirk Fletcher e Schell sono le chitarre soliste duettanti, Pieter Van Der Pluijim, ovvero Big Pete è all’amonica (in 8 dei 13 brani), Finnigan “magheggia” al piano e lei canta decisamente bene. Bring The Walls Down è più funky e moderna, con Chris Cain alla chitarra e Finnigan anche al piano elettrico, oltre ad un manipolo di voci di supporto e ad un breve intervento parlato; Nothin To Lose è uno shuffle pimpante con armonica e chitarra slide a duettare con la voce imperiosa della Ryder, mentre in For The Last Time torna Montoya alla solista e Deb duetta con Mike Finnigan in un classico ed appassionato slow blues https://www.youtube.com/watch?v=2Vlcv6zP76Q .

What You Want From Me ha il tipico groove alla Bo Diddley, che poi si fonde a sorpresa  in un incalzante gospel corale e anche con il puro R&R di un duetto organo/armonica, mentre la Ryder si spende con vocalizzi spericolati. La title track ha un urgente riff alla I’m A Man, tra rock, R&B e blues, ancora con Finnigan magnifico all’organo, ben sostenuto da Big Pete https://www.youtube.com/watch?v=VPflpMPwQsY , e notevole anche la sinuosa e scandita Go To Let It Go, dove Cain torna con la sua chitarra, ma è anche la voce duettante in questo gagliardo blues elettrico. Life Fast Forward è un classico mid-tempo che serve ancora una volta ad evidenziare il call and response della nostra amica con i coristi e con l’armonica e la chitarra slide di Schell, a seguire i due brani dove appare Debbie Davies alla solista, Sweet Sweet Love è un  ondeggiante R&B dove oltre al limpido solo della Davies si apprezzano il sax di Sublett e l’armonica di Big Pete https://www.youtube.com/watch?v=rgCehRzJHwQ , seguita da Goodbye Baby decisamente più funky, benché ancora ricca di soul e R&B di buona fattura, con la band bella carica. Forever Yours è l’unica rara rock ballad (grande la slide di Schell),, delicata e cantata con stile sopraffino, quasi alla Phoebe Snow, dalla brava Ryder, che poi si scatena nuovamente nella conclusiva Red Line, turbinoso blues-rock con armonica e slide a chiudere le operazioni. Mica male la “giovanotta”!

Bruno Conti