Jackson Browne – The Road East-Live in Japan – Inside Recordings/Sony Japan Blu-spec CD2
In 45 anni di prestigiosa carriera, Jackson Browne non ha mai pubblicato universalmente un live album che possa testimoniare il valore dei musicisti che lo hanno supportato durante innumerevoli tournée al di qua e al di là degli oceani, Atlantico e Pacifico. Il suo disco di maggior successo, Running On Empty, del lontano 1977, era sì dal vivo, ma in modo atipico, in quanto formato da brani mai incisi prima e per metà registrato in stanze d’albergo (Cocaine, Shaky Town e quasi tutta The Road), durante il soundcheck (Rosie) o addirittura sul bus che li trasferiva da una città all’altra (Nothing But Time). Del 2005 e 2008 erano i due volumi denominati Solo Acoustic, in cui Jackson si esibiva in solitudine accompagnandosi con il piano ed una nutrita schiera di chitarre che si divertiva a cambiare ad ogni canzone. Nel 2010 un altro splendido doppio live acustico Love Is Strange, fotografava egregiamente un tour in Spagna tenuto quattro anni prima insieme al maestro e mentore David Lindley ed al percussionista Tino Di Geraldo, con la partecipazione di alcuni validi ospiti spagnoli come Luz Casal e Carlos Nunez. Che deve fare quindi il povero fan che desiderasse avere una registrazione di una Jackson Browne Band, non proveniente da registrazioni pirata? Deve esplorare il web e prepararsi a spendere parecchi soldini per procurarsi (cosa ormai molto difficile) la versione australiana dell’album Looking east del 1996 che contiene un bonus cd live con undici brani registrati in Europa e negli U.S.A. tra il ’94 e il ’96.
Oppure ordinare la doppia ristampa giapponese dell’ultimo lavoro in studio di Jackson, Standing In The Breach, uscita in concomitanza dei concerti tenuti lo scorso ottobre in terra nipponica, e che comprende un dischetto aggiuntivo con dieci episodi tratti dalle date giapponesi del 2015 (*NDB Eventualmente la parte dal vivo, sempre in Giappone, è uscita anche come CD singolo, comunque costoso). Ed è proprio questo che vado a descrivervi sgombrando subito ogni dubbio: l’oggetto in questione, pur nella sua incompletezza, vale assolutamente la spesa. Chi ha potuto gustarsi le date italiane del maggio di due anni fa è consapevole che la band che accompagna Jackson dalle sessions di registrazione di Standing In The Breach fino ad oggi è la migliore dai tempi del già citato Running On Empty, un gruppo di eccellenti musicisti e coriste in grado di creare il perfetto live sound per ogni gioiello uscito dalla penna del cantautore californiano (d’adozione). E’ lo stesso Browne a definirli la sua dream band al termine dello strepitoso brano di apertura, The Barricades Of Heaven. Dieci minuti di puro godimento dove l’alternanza e l’intreccio delle chitarre, l’acustica del protagonista insieme all’elettrica di Val McCallum e alla lap steel di Greg Leisz, producono un crescendo emotivo da standing ovation. Un delicato arpeggio introduce uno dei migliori classici giovanili di Jackson, These Days. Ne ho ascoltate decine di versioni, ma questa le supera tutte per intensità. Mentre Val e Greg lavorano di fino con le chitarre, il protagonista colpisce a fondo con un’interpretazione vocale da antologia. Qualcuno tra il pubblico urla Call It A Loan! e Jackson, come fa spesso, cambia scaletta e lo accontenta.
Raramente è stata eseguita full band in assenza del suo co-autore David Lindley e qui gode di una resa perfetta, con un gioco di chitarre che ti entra sottopelle e quel refrain a più voci che strappa applausi. Segue un’altra perla, The Crow On The Cradle, una folk ballad antimilitarista scritta dal poeta e cantautore inglese Sydney Carter negli anni sessanta e già incisa da Browne per l’album dei concerti antinucleari No Nukes, nel ’79. Manca il violino di Lindley, ma qui ci pensa la sei corde di Val McCallum ad impreziosirne la solenne andatura con un assolo da brividi. Dalla sala giunge un’altra esortazione, Don’t Forget Hiroshima!, e a chi non conoscesse ancora l’estrema sensibilità e l’impegno sociale che Jackson Browne ha portato avanti con dedizione per tutta la sua carriera, consiglio di ascoltare bene la sua accorata risposta, prima di attaccare una Looking East mai così efficace e rabbiosa. Mauricio Lewak picchia duro sui tamburi ben supportato dal basso di Bob Glaub, mentre Jeff Young lancia strali col suo Hammond e i due chitarristi si sfidano in un esaltante duello, nel finale di questa potente requisitoria contro il cinismo e l’ipocrisia di chi gestisce il potere negli U.S.A. In seguito, due brani “classici” che il tempo non ha minimamente scalfito, I’m Alive e In The Shape Of A Heart , riproposti con arrangiamenti limpidi ed essenziali. Poi Jackson introduce Lives In The Balance, presentandola come un atto di accusa per coloro che finanziano nell’ombra le “secret wars” che incendiano tante parti del mondo, a cominciare dal Centro America.
Da una dozzina d’anni, questa drammatica ballad si è arricchita nel testo di due strofe che vengono eseguite da Chavonne Stewart e Alethea Mills, le splendide vocalist di colore che sono ormai elementi stabili ed imprescindibili del gruppo e che trascinano il pubblico all’immancabile ovazione finale. Come autentica sorpresa di questo Live in Japan, troviamo Far From The Arms Of Hunger, atto conclusivo dell’album del 2008 Time The Conqueror, una canzone eseguita dal vivo assai di rado, che qui ci seduce con il suo incedere lento ed avvolgente. Le parole dolenti ma cariche di speranza di Jackson sono sottolineate dal pregevole lavoro all’organo di Jeff Young e dal perfetto accompagnamento delle coriste. Per concludere, la consueta cover di I Am A Patriot, scritta negli anni ottanta da Little Steven e definitivamente adottata da Browne come manifesto del suo impegno civile, lontano da partiti e schieramenti politici. And the river opens for the righteous, someday… così, a ritmo di scintillante reggae, Jackson Browne e la sua band si accomiatano lasciandoci l’unico rimpianto di non aver potuto ascoltare un’intera performance di questo eccellente livello. Mancano i pezzi, ottimi nella loro resa dal vivo, dell’ultimo Standing In The Breach e tanti classici imprescindibili che non sto neppure ad elencare perché la lista sarebbe troppo lunga. Per ora accontentiamoci, sperando di non dover più attendere l’ennesima special edition Made in Japan!
Marco Frosi