Usciamo Un Po’ Dal Seminato, Con Una Tripla Dose Di AOR! Journey, Toto E Foreigner.

journey live in japan 2017

Journey – Live In Japan 2017: Escape + Frontiers – Eagle Rock/Universal DVD – BluRay – 2CD/DVD – 2CD/BluRay

Toto – 40 Tours Around The Sun – Eagle Rock/Universal DVD – BluRay – 2CD/DVD – 2CD/BluRay

Foreigner – Live At The Rainbow ’78 – Eagle Rock/Universal DVD – BluRay – CD/DVD – CD/BluRay

Prima di cominciare vorrei ringraziare Bruno che ogni tanto mi permette di “svicolare” dagli argomenti trattati abitualmente sul blog per parlare di artisti che rientrano nella categoria “piaceri proibiti” (ogni tanto non significa che a volte pone il veto, ma sono io che cerco di non approfittare del suo buon cuore). Un genere musicale che non disdegno, anche perché quando è fatto bene a mio parere è tutt’altro che disprezzabile, è l’AOR, acronimo di “Adult Oriented Rock”, una definizione perlopiù giornalistica tesa a categorizzare un tipo di musica alla quale negli anni settanta non si riusciva a dare una collocazione precisa, un rock di forte appeal radiofonico caratterizzato da melodie ad ampio respiro, sonorità levigate ed eleganti e con le tastiere ad avere quasi la stessa importanza delle chitarre, un genere più adatto forse ad ascoltatori over 30. Negli anni parecchi gruppi e solisti sono stati associati all’AOR, a volte anche per un solo disco (penso ai Deep Purple di Slaves & Masters), a volte per una fase “commerciale” della carriera (come band dalle origini prog come Kansas, Rush e Styx), ma la cosiddetta “sacra triade” è formata indubbiamente da Journey, Toto e Foreigner (ci sarebbero anche i Boston, che però sono più una creatura di laboratorio di Tom Scholz). Ebbene, sembra che i tre gruppi si siano dati appuntamento, in quanto nel giro di un mese circa ognuno di essi ha pubblicato un disco dal vivo (quello dei Foreigner è però d’archivio), tutti usciti per la Eagle Rock nel solito insieme di combinazioni audio e video. Bando alle ciance dunque, e vediamo in breve (spero) di cosa si tratta.

Journey. Per molti il gruppo cardine del genere AOR, soprattutto da dopo la metamorfosi avvenuta in seguito all’ingresso del cantante Steve Perry (che, piacesse o meno il tipo di musica proposta, all’epoca Steve era una delle più belle voci d’America): Escape e Frontiers sono considerati dai fans la Bibbia dell’AOR, ed oggi quei due album vengono riproposti integralmente in questo Live In Japan 2017, registrato nello storico Budokan di Tokyo. I Journey sono per quattro quinti nella formazione che aveva inciso quei due album nel 1981 e 1983 (Neal Schon alla chitarra solista, Jonathan Cain alle tastiere, Ross Valory al basso e Steve Smith alla batteria): il problema è il cantante, che non è più Perry da anni ma un suo clone, tale Arnel Pineda, un filippino che militava in una cover band asiatica proprio del gruppo di San Francisco, e scritturato da Schon dopo aver visionato dei filmati su YouTube. Però se lasciamo perdere per un attimo l’effetto karaoke questo doppio ha il suo perché, in quanto è inciso benissimo e suonato anche meglio, con una potenza quasi da gruppo hard rock; e poi i Journey hanno a mio parere un repertorio superiore a quello delle due altre band di cui mi occupo in questo post. Il primo CD è occupato quindi da Escape, di gran lunga il miglior disco dei nostri a cominciare dal brano di apertura, la splendida Don’t Stop Believin’, una grande canzone da qualunque punto la si guardi (l’ultima volta che ho controllato deteneva anche il record di brano più scaricato di tutti i tempi).

Dopo un avvio così il concerto è in discesa, ma non mancano altri classici del gruppo come Stone In Love, altro pezzo di grande impatto, Who’s Crying Now, Open Arms e Mother, Father (Escape era un disco che somigliava molto ad un Greatest Hits). E la band suona che è una bellezza, dando risalto anche a brani come la toccante ballata Still They Ride, la potente Lay It Down o il rock’n’roll sotto steroidi di Dead Or Alive. Frontiers non era bello come Escape, ma un album comunque molto compatto al quale mancava però una hit che spaccasse come Don’t Stop Believin’: in questa rilettura live non mancano in ogni caso momenti di rock sontuoso come Separate Ways, Faithfully, Send Her My Love ed Edge Of The Blade. Come bis abbiamo La Raza Del Sol (un lato B dell’epoca di Frontiers), tramutata in una lunga jam di stampo progressive, e la quasi bluesata (peccato per quel synth) Lovin’, Touchin’, Squeezin’: sorprendentemente assenti due classici “da fine concerto” come Wheel In The Sky e Anyway You Want It.

toto 40 tours around the sun

Toto. Lo scorso anno la band di Los Angeles ha celebrato i quarant’anni di carriera con un’antologia ed un lungo tour, dal quale è stato tratto questo 40 Tours Around The Sun, registrato nel Marzo del 2018 allo Ziggo Dome di Amsterdam dalla formazione attuale del gruppo che comprende i membri fondatori Steve Lukather, David Paich e Steve Porcaro ed il cantante Joseph Williams (già con i Toto negli anni ottanta, anche se per molti fans la voce della band rimane Bobby Kimball). La scaletta non è scontata, in quanto a fianco delle prevedibili hits del gruppo (Hold The Line, Rosanna, la sempre coinvolgente Africa, Stop Loving You e Georgy Porgy entrambe acustiche, anche se manca stranamente I Won’t Hold You Back) ci sono parecchie scelte a sorpresa, i cosiddetti “deep cuts”, tra i quali segnalerei la roccata Lovers In The Night, dal ritornello orecchiabile, la bella ed intensa I Will Remember, con un bell’assolo di Lukather (che, va detto, è un chitarrista formidabile), la trascinante English Eyes ed anche una ripresa del Desert Theme dalla colonna sonora di Dune.

Non ci sono pezzi dalla loro ultima fatica di studio, Toto XIV (2015), ma sono presenti due dei tre brani nuovi del Best Of dello scorso anno, la vigorosa e ritmata Alone, che apre il concerto (tastiere un po’ troppo invadenti però) e la gradevole Spanish Sea, rock ballad fruibile ma non banale. Qualcosa avrei evitato, tipo le due cover (Human Nature di Michael Jackson, che però è stata scritta da Steve Porcaro, ed il classico di George Harrison – e dei BeatlesWhile My Guitar Gently Weeps, proposto da Lukather e soci in una versione raffinata ma con poca anima), ma direi che tutto sommato l’ascolto del doppio CD si rivela piacevole nonostante qualche pomposità qua e là.

foreigner live at the rainbow 78

Foreigner. Live At The Rainbow ’78 è la prima pubblicazione ufficiale di questo famoso concerto tenuto dalla band anglo-americana nel noto teatro londinese. All’epoca i nostri non avevano ancora raggiunto la popolarità che arriverà negli anni ottanta, in quanto avevano dato alle stampe un solo album, l’omonimo Foreigner di un anno prima, mentre il successivo Double Vision vedrà la luce dopo pochi mesi da questa serata. Dodici canzoni, tutto il primo album più una doppia anteprima dal secondo (i singoli Hot Blooded e la title track), per un concerto molto rock e poco AOR, dominato dalla chitarra di Mick Jones e dalla voce potente di Lou Gramm. Un gruppo quindi ancora abbastanza distante dalle sonorità patinate di canzoni future come I Want To Know What Love Is e Waiting For A Girl Like You (a parte la gradevole Fool For You Anyway, ballata che mostra i germogli dello stile più pop degli anni a venire). Basti sentire l’iniziale ed aggressiva Long, Long Way From Home o la riffata I Need You, che presenta elementi blues ed un ottimo assolo di Jones, le accattivanti Double Vision e Feels Like The First Time, o cavalcate rock come l’elaborata Starrider e la conclusiva Headknocker, dodici minuti ciascuna.

Quindi se anche a qualcuno di voi non dispiace il genere, accomodatevi pure: se dovessi fare una scelta, io privilegerei il live dei Journey, nonostante il discutibile cantante.

Marco Verdi