Gli “Inventori” dell’Heavy Metal? Blue Cheer – Vincebus Eruptum & Outsideinside

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Blue Cheer – Vincebus Eruptum – Sundazed

Blue Cheer – Outside Inside – Sundazed

Secondo alcuni le violente sferzate di Summertime Blues sono i primi poderosi “vagiti” dell’heavy metal (e del punk rock, dello stoner rock, del grunge…aggiungere a piacere). Secondi altri bisogna fare risalire questo “merito” a gruppi come Cream o Jimi Hendrix Experience che già qualche mese prima del fatidico gennaio 1968 in cui appariva Vincebus Eruptum dei Blue Cheer si erano affacciati, magari con maggiore classe, ma sicuramente con un fronte sonoro meno devastante di quello del trio californiano. Secondo le parole di tale Doug Sheppard della rivista Ugly Things i Blue Cheer sono stati il primo gruppo a “bastardizzare” il Blues, come dice nelle liner notes della ristampa della versione mono dell’album a cura della Sundazed, più di Cream e Led Zeppelin, che sempre nelle sue parole erano più deferenti verso le tradizioni. Ovviamente in queste parole c’è un po’ di partigianeria da parte di una rivista che dalle sue pagine parla soprattutto di Beat anni ’60, garage e rock psichedelico, tutti elementi presenti in abbondanti dosi nella musica dei Blue Cheer, ma è altrettanto vero che la versione del brano di Eddie Cochran, che poi verrà ripresa da lì a poco anche dagli Who in questo arrangiamento, ha veramente una potenza devastante come pochi altri brani dell’epoca (forse l’attacco di Kick Out The Jams degli MC5).

Non è la prima volta che questo album viene pubblicato: era già uscito nel 1993 per la Mercury Usa e anche l’italiana Akarma nella sua versione del 2003 aveva aggiunto una bonus track. Questa edizione “definitiva” ripristina l’album originale: 6 brani per un totale di 32 minuti scarsi, 3 cover e 3 brani originali firmati dal bassista Dickie Peterson che era anche il cantante della formazione. A completare la formazione il chitarrista Leigh Stephens e il batterista Paul Whaley e qualche tonnellata di sostanze sospette, ma neanche troppo. Ispirati dalla esibizione al Festival di Monterey del 1967 dell’Experience di Jimi Hendrix, il gruppo che in origine era un sestetto decise di adottare la formula del power trio per meglio sfruttare le potenzialità della propria musica. Il disco, con un titolo latino – me li vedo gli hippies e i rocker dell’epoca a entrare nei negozi di dischi americani “uè ce l’hai Vinkaybus aerouptum”arrivò all’11° posto delle classifiche Usa mentre anche il singolo entrò nei Top 20, ma erano altri tempi. Il suono è volutamente primordiale, distorto, con tutta la potenza consentita all’epoca dagli amplificatori Marshall e il cantato tra lo stoner e lo stonato di Peterson con la musica che deve qualcosa ai riff più semplici della musica di Jimi Hendrix, che aveva ben altra consistenza, per dirla tutta; Paul Whaley picchia con energia sui suoi tamburi mentre il basso di Peterson tiene ancorato con note profonde il sound del gruppo dove la chitarra di Stephens si occupa con assoli brevi e ficcanti, direi con un neologismo -“mononota”-,  di ricreare il vigore del Blues attraverso le nuove frontiere del rock.

E questo direte voi è solo il primo brano? Mica tanto, perché poi gli altri cinque se andiamo bene a vedere sono solo variazioni sul tema. Ok, abbiamo i tempi rallentati della versione di Rock Me Baby di BB King o gli otto minuti di Doctor Please dal testo “psichedelico” per i prodotti chimici utilizzati ma dal sound che tanto ricorda le cavalcate in libertà (le prime jam) di Cream e Hendrix all’ennesima potenza con più di un tocco di garage e psichedelia e il fervore percussionistico di Whaley che quasi pareggia la potenza di Keith Moon, Mitch Mitchell, Ginger Baker o John Bonham (ma quasi!). Out Of Focus e Parchment Farm (che poi sarebbe Parchman Farm di Mose Allison) offrono ulteriori variazioni sul tema e a ben ascoltare hanno parecchi punti di contatto anche con il suono dei Big Brother and The Holding Co. che però avevano nelle loro fila una cantante come Janis Joplin e qualche piccola differenza questo la faceva. Quindi una miscela tra suono californiano e le “nuove” derive blues-rock della scena musicale inglese con qualche elemento garage e il beat acido di Nuggets. Second Time Around è un altro brano proto-metal e conclude questo primo assalto alle vostre orecchie con l’immancabile, per i tempi, assolo di batteria.

Passano otto mesi e arriva Outsideinside, l’etichetta dell’epoca è sempre la Philips, il produttore è sempre Abe “Voco” Kesh, ma il nuovo ingegnere del suono è Eddie Kramer già con Hendrix e gli Stones e che poi avrebbe lavorato con Led Zeppelin e Kiss. La copertina è di Gut, che era il loro manager nonché ex Hells Angels e il disco prende il nome dal fatto che fu registrato sia dentro che fuori dagli studi di registrazione per cercare di contenere la potenza del suono che scaturiva dagli ampli della band. Questa volta il disco è stereo, fanno la loro timida comparsa delle tastiere come nell’iniziale Feathers From Your Tree, gli arrangiamenti sempre “picchiati” si arricchiscono di maggiori florilegi acidi e psichedelici e Leigh Stephens aggiunge delle nuove tonalità al suo campionario di solista e anche degli elementi dark che potrebbero ricordare i primi Black Sabbath. Il wah-wah di Sun Cycle è sintomatico di questa svolta e anche il cantato è meno urgente e frenetico ma non mancano le improvvise sventagliate ritmiche del recentissimo passato. Arriva anche il phasing alla batteria di Whaley per il brano Just A Little Bit con il ritmo che stantuffa come un treno e le chitarre che si inseguono nei canali dello stereo. Gypsy Ball potrebbe essere un brano di Hendrix ma in realtà è firmata Peterson/Stephens.

Come and Get It ritorna alle vecchie abitudini di “viuulenza” mentre la cover di Satisfaction degli Stones velocizzata in una sorta di futuristico incontro tra ritmi soul e punk-rock è più riuscita dell’altra cover del disco una The Hunter che sull’altro lato dell’oceano i Free di Rodgers e Kossoff avrebbero inserito pochi mesi dopo nel loro esordio Tons Of Sobs con ben altro tiro e potenza. Magnolia Caboose Babyfinger è un breve strumentale di poco più di un minuto sempre vicino a brani tipo Fire di Hendrix, psichedelia acida che viene ampliata e perfezionata nella conclusiva Babylon. I Blue Cheer hanno continuato in varie formazioni e combinazioni la loro carriera fin quasi ai giorni nostri ma i loro album “fondamentali” sono questi due.

Bruno Conti     

Lost Treasures! Morly Grey – The Only Truth

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Morly Grey – The Only Truth – Sundazed

Originari di Alliance, Ohio i fratelli Mark & Tim Roller (Roller Brothers non sarebbe stato un nome malvagio per un gruppo) sono più noti (con l’aggiunta dei batteristi Paul Cassidy e Bob LaNave) come i Morly Grey, un gruppo che manda un brivido di piacere tra i collezionisti e gli appassionati di psichedelia. Il loro unico album, questo The Only Truth uscito in origine per la Starshine Records è (era) considerato uno dei pezzi più pregiati, misconosciuti e rari della musica americana di quegli anni, molto ricercato perché mai ufficialmente ristampato se non in versioni “pirata” ricavate dal vinile originale e quindi di scarsa qualità e non autorizzate.

La Sundazed colma questa lacuna con la prima uscita ufficiale in CD (e doppio vinile) di questo “classico perduto”. Prima di un esame più approfondito vorrei dire che questo disco non è il capolavoro assoluto di cui si è spesso parlato ma è sicuramente un album molto buono, ottimo addirittura che si assicura il giusto posto in quel filone che possiamo definire progressivo-psichedelico-garage che ispirato dal power trio rock di formazioni come Cream e Blue Cheer si avvicina alle sonorità di gruppi come la James Gang o i primi Grand Funk.
Una sezione ritmica agile ma anche rocciosa con il basso sinuoso e rotondo di Mark Roller su cui si inseriscono le continue improvvisazioni della chitarra del fratello Tim, il primo batterista Paul Cassidy divide gli interventi vocali con Mark Roller come nella raffinata You Came To Me dove fa capolino anche una chitarra acustica come nella successiva, sognante Who Can I Say You Are dove un inizio alla Who (o alla Blue Cheer) si stempera in un brano dalla struttura più semplice ma sempre ricercata con le chitarre sempre in evidenza.

L’iniziale Peace Officer viceversa era una gagliarda cavalcata rock-blues nei territori sonori dei gruppi citati prima con chitarra, basso e batteria a dividersi i compiti nei migliori stilemi del genere. Cassidy è l’autore del brano I’m Afraid altro esempio della psichedelia gentile e ricercata del trio mentre Our Time comincia ad aprirsi, nei suoi oltre sei minuti, verso una musica più improvvisata che, curiosamente, ricorda anche la musica dei primi Yes, quelli più progressivi che sinfonici anche se non ci sono le tastiere a moderare il suono e quindi la chitarra è libera di sbizzarrirsi in lunghe improvvisazioni anche con il wah-wah.

After me again ricorda nelle sue armonie vocali anche il sound westcoastiano con vigorose iniezioni psichedeliche nella parte strumentale. A feeling for you è un momento più tranquillo e riflessivo (ma sempre rock) che prelude al centrepiece del disco, la lunghissima ed improvvisata title-track The Only Truth, oltre 17 minuti di musica dove risiede la fama del disco, continui cambi di tempo a cura del nuovo batterista Bob LaNave che si occupa anche delle parti vocali, mentre Tim Roller è libero di intrecciare con il fratello Mark lunghi passaggi strumentali che da momenti pastorali si tramutano in feroci cavalcate chitarristiche e poi di nuovo in intermezzi acidi e psichedelici conditi da brillanti soluzioni musicali.

Se tutto ciò non vi basta la Sundazed ha aggiunto al disco originale che qui si concluderebbe tre bonus tracks (oltre ai 2 brani che comprendevano il singolo di esordio) tra cui le lunghissime, quasi dieci minuti a testa, None are for me e Come Down, altri brillanti esempi della capacità di improvvisazione di questi Morly Grey, che con la giusta distribuzione discografica e diffusione della loro musica avrebbero potuto lasciare un segno più evidente delle loro notevoli capacità. Il suono del disco, masterizzato da Bob Irwin, è eccellente, il contenuto pure, direi che tutto è perfetto. Un pensierino o anche due sull’acquisto di questo disco lo farei!

Bruno Conti