Anticipazioni: Una Ottima Edizione Super Deluxe Per Un Disco Storico. The Who – Sell Out. Esce il 23 Aprile

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The Who – Sell Out  – Super Deluxe 5 CD/ 2 CD Polydor/IMS/Universal – 23-04-2021

Uscito in origine nel dicembre del 1967 (quindi nessun anniversario particolare), Sell Out fu pubblicato in CD una prima volta nel 1995 con 10 bonus tracks, ed una seconda volta in doppia Deluxe Edition nel 2009, con ben 29 tracce bonus. Si tratta del terzo album di studio degli Who, a volte non troppo considerato rispetto ai successivi Tommy, Who’s Next e Quadrophenia, ma significativo e propedeutico per il passaggio dal pop-mod rock del primo periodo al rock tout court dei dischi che sarebbero venuti in seguito. Prima di parlare del cofanetto lasciatemi infervorare un attimo su questa moda/mania delle versioni Super Deluxe: arma infallibile per scucire agli appassionati e ai fans, anche più volte nel corso degli anni, imbarazzanti quantità di denaro, spesso per riascoltare più e più volte le stesse canzoni in versioni molto spesso quasi identiche a quelle apparse sui dischi originali, quasi sempre in peggio, accompagnate da quello che si è soliti definire memorabilia. Ovvero poster dell’epoca, spillette, certificati fasulli, foto, gigantografie di Ave Ninchi nuda a cavallo, fustini del detersivo in omaggio, voucher per poter partecipare alla estrazione del Gronchi Rosa, DVD e Blu-Ray, spesso in versione solo audio, senza immagini, destinati agli audiofili, ma assai di frequente anche vinili aggiunti (che si potrebbero pubblicare tranquillamente a parte, come i supporti appena citati).

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Ogni tanto, ma raramente, c’è anche un bel librone rilegato e una quantità congrua di materiale inedito: ed è il caso di questa Super DeLuxe Edition di Sell Out che ha le sue magagne, ovvero versioni a go-go dell’album in Mono e Stereo nei primi due CD, ma anche 46 brani inediti dei 112 compresi nel box. Oltre al bel libro rilegato di 80 pagine appena citato, ricco di note, curato dallo stesso Pete Townshend, troviamo i memorabilia di cui sopra, per l’occasione veramente ricchi: il manifesto originale dell’album di Adrian George, il poster del concerto alla City Hall di Newcastle, il programma di 8 pagine dello show al Saville Theatre, la business card del Bag O’Nails Club di Kingly Street a Soho, una foto del gruppo riservata al fan club degli Who, il volantino per i concerti del Bath Pavilion, uno sticker di Wonderful Radio London, la tessera personale dello Speakeasy Club appartenuta a Keith Moon e una newsletter del Who Fan Club. Poi la casa discografica non ha resistito alla quota vinile, questa volta contenuta, con due singoli 7”, i vecchi 45 giri, di I Can See For Miles e Magic Bus. Ci sarà anche la classica versione “per poveri” in 2 CD, contenente i primi due dischetti del cofanetto, quelli con le versioni mono e stereo, con 52 pezzi complessivi, e svariate versioni in vinile.

Se volete avere il materiale inedito però dovete acquistare il cofanetto: vediamo cosa contiene, in sintesi ma in modo approfondito (lo so è un po’ un ossimoro), visto che ne parliamo in anteprima prima dell’uscita che sarà il 23 aprile prossimo. Nell’album originale, che immagino tutti conoscano, in apertura troviamo la bellissima Armenia City In The Sky, preceduto da uno dei tanti commercials inseriti per ricreare l’atmosfera delle emittenti radiofoniche pirate dell’epoca https://www.youtube.com/watch?v=NN4TTG_9vuc , una delle rare canzoni non scritta dal solo Townshend (a parte qualche saltuario brano di John Entwistle, qui ce ne sono tre), ma con l’aiuto del suo amico e protetto Speedy Keen, quello dei Thunderclap Newman, non so se ricordate la bellissima Something In The Air? Armenia è cantata a due voci da Roger Daltrey e Keen, mentre l’altro brano memorabile è I Can See For Miles, pubblicata come singolo, con Keith Moon che comincia a punire la sua batteria con grande goduria. L’altro brano che uscì come singolo, ma solo in Olanda, è la deliziosa Mary Anne With The Shaky Hands, cantata a due voci da Pete e Roger in modalità psych-pop https://www.youtube.com/watch?v=y0GbhIO0F0Q , Odorono non fu presa molto bene dalla omonima compagnia che produceva deodoranti, ma Townshend che la cantava non ci fece molto caso https://www.youtube.com/watch?v=a_0KV3mGQ2M , Rael Pt.1 & 2 introduce il personaggio che tornerà periodicamente fino a Quadrophenia. Questo è quanto più o meno succede in mono e stereo nei primi 2 CD.

Tra le bonus il travolgente singolo in modalità power pop Pictures Of Lily, le bellissime cover di The Last Time e Under My Thumb degli amici/rivali Stones  , una vibrante Jaguar, cantata a due voci da Pete e John, nel CD 2, quello stereo c’è una versione esplosiva di Summertime Blues e una Sodding About dove Townshend applica alcune delle sonorità che Jimi Hendrix aveva portato al pop inglese per trasformarlo in rock https://www.youtube.com/watch?v=jfI1H-SXAHA , poi riproposte anche in Hall Of The Mountain King, sentire come suonano Entwistle e Moon, due macchine da guerra a rincorrere le evoluzioni chitarristiche di Townshend https://www.youtube.com/watch?v=N5gK0Ll9FQs . C’è molta altra roba interessante nella versione doppia: se invece siete “più ricchi” e vi orientate al cofanetto, il CD 3 contiene le studio sessions 1967/1968, 28 brani tra outtakes, versioni all’impronta, chiacchiere e pirlate varie in studio e chicche assortite, per esempio, per citarne alcune, versioni differenti di Dogs, Shakin’ All Over, Magic Bus, ma c’è veramente molto da sentire. Il CD 4, intitolato The 1968 Sessions – The Road To Tommy è sempre interessante, ma potevano sforzarsi un po’ di più, visto che contiene 14 pezzi per 40 minuti circa di musica, comunque ottime la “scintillante” Glow Girl, già presente in altre versioni anche nei dischetti precedenti, con elementi appunto di Tommy, Faith In Something Bigger, Dr. Jekyll And Mr. Hyde, la scanzonata e tirata Call Me Lightning, forse la migliore versione delle tante che appaiono nel box di Dogs. Ci sono anche due ulteriori versioni di Magic Bus, quella del singolo, e una più lunga, in mono, oltre ad una pimpante Fortune Teller.

Ovviamente come è d’uso in queste versioni Super DeLuxe i cosiddetti brani “inediti” sono spesso all’incirca sempre gli stessi, tanti, ovvero 46, ma ripetuti più volte in alternate takes dove le differenze sono minime, ma visto che sono indirizzati ai cosiddetti fans “completisti” è quello che ci si aspetta. Nel quinto CD Pete Townshend Original Demos, forse il più interessante, ci sono altre 14 tracce, e non sono solo i soliti demo voce e chitarra acustica od elettrica, ma alcuni vengono integrati con organo, basso e batteria, per esempio la piacevole ed inedita Kids! Do You Want Kids, l’alternate version di Glow Girl, molto interessante perché ovviamente in questo come negli altri brani la voce è quella di Pete Townshend. Inside Outside USA sembra quasi un brano dei Beach Boys, anche Jaguar con le robuste pennate dell’acustica di Pete è uno dei demo meglio costruiti, in Little Billy Townshend utilizza anche un inconsueto banjo, mentre Odorono è uno dei demo più rudimentali, come pure Pictures Of Lily poco rifinita, e anche l’alternate di Relax diciamo che non è memorabile, più interessante la poco nota e sognante Melancholia, in un remix del 2018, e a chiudere due eccellenti versioni di Mary Anne With The Shaky Hands in veste acustica ma “lavorata” e una strana psych I Can See For The Miles.

Questo è quanto: vale il centone abbondante (ma anche meno) che viene richiesto? Forse in questo caso la risposta è affermativa, dipende anche dal vostro portafoglio.

Bruno Conti

Nel Periodo Dell’Isolamento Hanno Fatto Questo Breve E Piacevole Dischetto. Sammy Hagar & The Circle – Lockdown 2020

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Sammy Hagar & The Circle – Lockdown 2020 – F.W.O. Inc/Mailboat Records

Si moltiplicano i dischi registrati dai musicisti che se lo sono potuti permettere durante il periodo di isolamento: l’ultimo della lista, per ora, è Sammy Hagar, che insieme ai componenti della sua ultima band The Circle, ha realizzato questo nuovo album, significativamente intitolato Lockdown 2020, con ognuno che ha registrato la sua parte da remoto nella propria abitazione, poi grazie alla tecnica digitale il tutto è stato assemblato per creare un disco fatto e finito. Il gruppo, che nel 2019 aveva pubblicato l’album di debutto Space Between, arrivato fino al 4° delle classifiche, ed è comunque in attività dal 2014, è formato oltre che da Hagar dal bassista dei Van Halen Michael Anthony, dal batterista Jason Bonham, figlio di… e dal chitarrista Vic Johnson, già collaboratore di Sammy nei Waboritas. Ovviamente stiamo parlando di un album di hard’n’heavy, costituito però tutto da cover, meno un brano nuovo Funky Feng Shui, che è quello che ha dato il “la” al progetto (un po’ come aveva fatto nel 1985 il predecessore di Hagar nei Van Halen, David Lee Roth con il mini album Crazy From The Heat).

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Il nostro amico Sammy aveva esordito nel lontano 1973 nei Montrose, una delle band migliori di classic rock americano, autori di quattro dischi negli anni ‘70, guidati appunto da Ronnie Montrose, che in precedenza aveva suonato anche con il Van Morrison californiano nel 1971/’72, quindi non il primo pirla che passava per strada. E rock molto robusto troviamo anche nel nuovo CD (curiosamente distribuito dalla Mailboat, l’etichetta di Jimmy Buffett): lasciando perdere il dibattito se sia meglio lui o David Lee Roth (secondo me nessuno dei due, ma è un parere personale), Hagar, conosciuto come The Red Rocker, non ha più l’ugola di un tempo a 73 anni suonati, ma se la cava ancora, e il contenuto del disco, a chi piace il genere, è in ogni caso godibile e ben suonato. Funky Feng Shui come da titolo è un breve divertissement a tempo di funky https://www.youtube.com/watch?v=gzflDi1NH4Y , poi partono le cover, Won’t Get Fooled Again degli Who è solo un breve intramuscolo di due minuti (non il pezzo completo), come peraltro tutti i brani che faticano a superare i 3 minuti, assai simile all’originale, ma finisce quasi prima di iniziare, anche se il classico riff non manca https://www.youtube.com/watch?v=OyMAJ8JGxkU , Good Enough era su 5150, il primo disco dei Van Halen con Hagar, niente assoli devastanti ma un po’ di tapping di Johnson tipo quello che faceva Eddie.

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A seguire un tuffo nel repertorio di Bob Marley con Three Little Birds, un pezzo che era su Exodus, reggae music, ma sempre piuttosto robusta, nello stile dei Circle, seguita da uno dei classici assoluti dell’hard e degli AC/DC Whole Lotta Rosie, un vero festival del riff, con un Sammy Hagar che in tutte le sessions si dimostra in ottima forma vocale. In effetti per il disco sono stati realizzati una serie di video su YouTube, uno per ogni canzone. Si scava ancora di più nel passato per la classica For What It’s Worth dei Buffalo Springfield  con citazione di Walk On The Wild Side https://www.youtube.com/watch?v=QdY460-XBpY , e ancora più indietro per una scatenata Keep A-Knockin’ di Little Richard, dove nell’incipit Jason Bonham ruba al babbo una drum intro di quelle tipiche degli Zeppelin https://www.youtube.com/watch?v=vnRqIkwK_2w ; a seguire troviamo un altro terzetto di brani dei Van Halen, Right Now che era su For Unlawful Carnal Knowledge, ovvero F.U.C.K, uno dei rari brani dal testo social-politico del gruppo, seguito da Don’t Tell Me What Love Can Do da Balance del 1995, più duro e tirato, e infine Sympathy For The Human riportata come nel repertorio dei Van Halen, ma che era nell’album dei Waboritas del 1999. In chiusura troviamo una versione tirata e gagliarda di Heroes (dedicata agli eroi della pandemia) di David Bowie, con la band che ci dà dentro di gusto https://www.youtube.com/watch?v=CBAvI9IVF8Q ,come peraltro in tutto l’album, per una mezz’oretta piacevole e disimpegnata.

Bruno Conti

Ma Non Lo Avevo Già Recensito Un Anno Fa? The Who – WHO/Live At Kingston

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The Who – WHO/Live At Kingston – Polydor/Universal 2CD

Uno degli eventi musicali del 2019 è stato senza dubbio il ritorno degli Who con un nuovo album di inediti: WHO era un buon disco, non un capolavoro ma un CD che vedeva Roger Daltrey e Pete Townshend in forma più che accettabile sia dal punto di vista strettamente musicale che, nel caso di Townshend, del songwriting (e questa era la cosa sulla quale avevo più dubbi). In pratica, il loro album migliore da Who Are You del 1978 https://discoclub.myblog.it/2019/12/15/indovinate-un-po-chi-e-tornato-a-fare-dischi-the-who-who/ : detto così potrebbe sembrare un’esagerazione, ma poi se andiamo a vedere nelle ultime quattro decadi la storica band britannica aveva pubblicato solo i discontinui Face Dances e It’s Hard nei primi anni ottanta e Endless Wire nel 2006, discreto ma nulla più. A distanza di un anno WHO viene ripubblicato con una bonus track, una versione alternata di Beads On One String più aderente al demo originale di Townshend, ma soprattutto con un CD aggiuntivo intitolato Live At Kingston (che è Kingston-upon-Thames, non la capitale della Giamaica), registrazione di un mini-concerto acustico che i nostri hanno tenuto in un piccolo teatro della cittadina inglese il 14 febbraio di quest’anno, cioè a 50 anni esatti dal mitico show di Live At Leeds e pochi giorni prima che il mondo, Cina esclusa, sprofondasse in un’apocalisse pandemico-economica.

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Personalmente detesto questa pratica sempre più comune di costringere i fans a ricomprare a poco tempo di distanza dall’uscita originale gli stessi dischi arricchendoli di contenuti inediti, ma devo ammettere che dopo aver ascoltato Live At Kingston posso affermare che ci troviamo di fronte ad un mini-album (che comunque dura 37 minuti) davvero bello e riuscito, un concerto godibile, grintoso ed energico da parte di un gruppo (anzi, ormai sono un duo) in forma eccellente, al punto che dopo pochi minuti non vi accorgerete neppure che la spina è staccata: diciamo solo che avrebbero potuto metterlo in commercio da solo e non con un album che tutti i fan della band avevano già comprato. Roger e Pete, entrambi alla chitarra acustica, sono accompagnati da Simon Townshend, fratello di Pete ed anche lui alla sei corde, Phil Spalding al basso, Jody Linscott alle percussioni e Billy Nicholls alle armonie vocali. Dopo un’introduzione parlata molto ironica e divertente, i nostri mettono subito in chiaro il loro stato di forma con Substitute, eseguita in maniera potente e con un uso molto pronunciato del basso, che insieme alle percussioni, alle tre chitarre ed alla voce stentorea di Daltrey riesce a creare un muro del suono di notevole impatto https://www.youtube.com/watch?v=oKB3Ri50lKA .

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Squeeze Box è sempre stata una delle migliori canzoni degli Who tra quelle uscite negli anni settanta e la veste acustica le si addice particolarmente, melodia contagiosa ed accompagnamento strumentale decisamente trascinante, mentre Tattoo non è famosissima (era su Sell Out, ed i nostri non la suonavano dal 2008), ma è comunque un brano notevole, con gli stacchi chitarristici tipici di Pete e quell’approccio tra rock e teatralità che avrà la sua massima espressione in Tommy. The Kids Are Alright è sempre una grande canzone comunque la si faccia, con i suoi cori molto anni sessanta ed il ritmo travolgente https://youtu.be/wQfvHtDNGc8 , e precede due tra i brani più riusciti dell’ultimo album, cioè la deliziosa Break The News, che qui assume tonalità country-rock, e la ballata She Rocked My World, dal mood spagnoleggiante https://www.youtube.com/watch?v=cn9XVEVwbu0 . Finale con la classica Won’t Get Fooled Again, un brano che non ha certo bisogno di presentazioni e che fa la sua bella figura anche in questa rilettura stripped-down e leggermente rallentata, con solo Roger e Pete sul palco https://www.youtube.com/watch?v=UqJni3pC2hg  (già che c’erano potevano pubblicare il concerto completo, dal momento che hanno lasciato fuori pezzi come Behind Blue Eyes e Pinball Wizard). Quindi un dischetto ottimo e coinvolgente, diverso dai soliti live degli Who: peccato che per averlo dovrete ricomprare un album che possedete già. In poche parole: quattro stelle a Live At Kingston, due all’operazione commerciale.

Marco Verdi

Indovinate Un Po’ “Chi” E’ Tornato A Fare Dischi! The Who – WHO

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The Who – WHO – Polydor/Universal CD

Uno degli eventi musicali del 2019 è indubbiamente il nuovo album in studio degli Who, che come saprete più che una vera band sono ormai da anni un duo formato dal cantante Roger Daltrey e dal chitarrista Pete Townshend, dato che gli ex compagni scomparsi prematuramente Keith Moon e John Entwistle, non sono mai stati rimpiazzati con musicisti facenti ufficialmente parte del gruppo. E’ abbastanza sorprendente che la band britannica abbia dato un seguito all’ormai lontano Endless Wire del 2006, in quanto sembrava che a Townshend non interessasse più scrivere nuove canzoni (ed infatti anche la sua carriera solista è ferma a Psychoderelict del 1993) mentre Daltrey, che ultimamente è molto attivo (lo splendido Going Back Home del 2014 con Wilko Johnson, il buon As Long As I Have You dello scorso anno https://discoclub.myblog.it/2018/06/15/la-voce-e-la-grinta-sono-quelle-di-un-trentenne-ma-pure-il-disco-e-bello-roger-daltrey-as-long-as-i-have-you/  e di recente anche la versione live orchestrale di Tommy) non è mai stato e mai sarà un songwriter.

La seconda sorpresa è che WHO (questo il titolo del CD, rigorosamente maiuscolo) è probabilmente il miglior lavoro della band negli ultimi 40 anni: detto così potrebbe sembrare un’esagerazione, ma se poi andate a vedere durante le ultime quattro decadi i nostri hanno pubblicato solo i non eccelsi Face Dances e It’s Hard negli anni ottanta, nulla nei novanta ed il già citato Endless Wire, discreto ma niente più, come unico nuovo album del millennio corrente. WHO invece è un buon album, un lavoro in cui Townshend dimostra di avere ancora la voglia e la capacità di scrivere belle canzoni, cosa assolutamente non scontata quando hai più di 50 anni di carriera sulle spalle; non siamo dalle parti del capolavoro, qualche brano è di livello inferiore rispetto ad altri, ma il tutto è suonato alla grande ed il feeling è quello dei giorni migliori. E poi Daltrey ha ancora una voce magnifica, forte e pulita come se avesse ancora trent’anni. I nostri hanno fatto le cose in grande anche dal punto di vista grafico, affidandosi a Peter Blake (l’uomo dietro la storica copertina di Sgt. Pepper), che ha messo a punto un collage di immagini che comprendono Chuck Berry, Mohammed Ali, Batman e Robin, oltre a riferimenti a dischi del passato dei nostri tipo il flipper di Pinball Wizard ed i baked beans di Sell Out ed all’estetica Mod tipica dei sixties (anche se il risultato finale somiglia parecchio all’edizione del decennale di Stanley Road di Paul Weller).

Ovviamente sono della partita sia il bassista Pino Palladino che il batterista Zak Starkey (figlio di Ringo Starr), da anni con Pete e Roger anche dal vivo, ma al basso troviamo anche Guy Seyffert ed ai tamburi Joey Waronker, figlio del noto produttore Lenny, Matt Chamberlain e Carla Azar, mentre alle tastiere siede l’ex Heartbreaker Benmont Tench. L’album inizia in maniera potente con All This Music Must Fade, un brano tipico con gli stacchi chitarristici per i quali gli Who vanno famosi, Palladino e Starkey che cercano di non far rimpiangere Entwistle e Moon e l’ugola tonante di Daltrey in primo piano: forse non è una canzone rivoluzionaria, ma il suono è quello giusto. Un preambolo pianistico alla Pinball Wizard introduce la tonica Ball And Chain, sorta di rock-blues fatto alla maniera dei nostri, tosto, chitarristico, roboante e coinvolgente; I Don’t Wanna Get Wise è una rock song diretta e decisamente orecchiabile, con Roger che canta come ai bei tempi ed una strumentazione forte e pulita; Detour è grintosa e presenta un gran lavoro di percussioni ma come canzone è forse la meno riuscita del disco, mentre Beads On One String è una limpida e distesa ballata dal motivo di presa immediata, con elementi rock sempre ben presenti e Roger che dimostra di non essere solo uno screamer.

Hero Ground Zero è una rock’n’roll song potente e decisamente bella, impreziosita da una orchestrazione che la rende ancora più epica, e ha il passo delle cose migliori dei nostri, e pure Street Song, pur non raggiungendo lo stesso livello, è un pezzo di grande forza e vigore ed è dotato di un buon refrain. I’ll Be Back è l’unica traccia cantata da Townshend, una pop ballad d’atmosfera gradevole e di buona fattura pur se diversa dallo stile abituale del gruppo, mentre con Break The News torna Roger per un bellissimo folk-rock elettroacustico, diretto e trascinante: tra i brani migliori del CD. Finale con Rockin’ In Rage, ballata pianistica che in breve si trasforma in un grintoso e travolgente rock’n’roll, e con She Rocked My World, che ha quasi il sapore di una bossa nova ma non sfigura affatto. Esiste anche una versione deluxe dell’album con tre brani in più (This Gun Will Misfire, Got Nothing To Prove, Danny And My Ponies), che in realtà erano dei demo di canzoni inedite, scritte da Townshend in epoca diverse: la prima una canzone sul controllo degli armamenti, dovrebbe provenire dal periodo di Psychoderelict, il secondo è un pezzo registrato nel 1966 per gli Who, non utilizzato all’epoca, a cui è stata aggiunto recentemente una ulteriore strumentazione https://www.youtube.com/watch?v=f2FZmbB7B-M  e nella terza sembra che Pete usi un vocoder, comunque tutti e tre i brani con Townshend alla voce solista, tre pezzi che comunque non spostano il giudizio finale.

Un giudizio decisamente positivo.

Marco Verdi

Una Splendida Full Immersion Nella Leggenda, 3 Giorni Di Pace E Musica! Woodstock – Back To The Garden: The Definitive 50th Anniversary Archive. Giorno 2

woodstock_deluxebox_productshot_1VV.AA: Woodstock – Back To The Garden: The Definitive 50th Anniversary Archive – Rhino/Warner 38CD/BluRay Box Set

Seconda Parte

Day 2/CD 9-23.   

CD9 – Quill. Band di Boston oggi dimenticata, costruita intorno ai fratelli Dan e Jon Cole e con un solo album all’attivo. Quattro lunghe canzoni tra rock e psichedelia di discreto livello, tra le quali spiccano il godibile jumpin’ blues That’s How I Eat e la coinvolgente Waiting For You, piuttosto Doors-oriented.

CD10 – Country Joe McDonald. Esibizione acustica, da folksinger, per Joseph Allen McDonald (tornerà il terzo giorno con The Fish), con brani originali come Rockin’ Round The World, Flying High e I Seen A Rocket, classici country del calibro di Heartaches By The Number, Ring Of Fire e Tennessee Stud e finale con la mitica I-Feel-Like-I’m-Fixin’-To-Die Rag. Tutto abbastanza piacevole anche se con qualche stonatura qua e là.

CD11 – Santana. Il Festival entra nel vivo con uno dei momenti più leggendari. I Santana erano una band sconosciuta (erano stati raccomandati da Bill Graham, e quando Graham raccomandava qualcuno dovevi ascoltarlo) ed il loro set fu uno shock per tutti i presenti, che si ritrovarono di fronte un chitarrista strepitoso ed una band magnifica (con il tastierista e cantante Gregg Rolie perfetto alter ego di Carlos, e Michael Shrieve devastante alla batteria). Il punto più alto della performance è senza dubbio Soul Sacrifice, ma anche i futuri classici Evil Ways e Jingo non sono da sottovalutare, come neppure la calda e ritmata apertura di Waiting, la potente Just Don’t Care ed il sontuoso latin rock di Savor.

CD12 – John Sebastian. Dopo Santana l’esibizione acustica dell’ex Lovin’ Spoonful (tra l’altro interrotta per il parto della moglie) è quasi un anticlimax, anche se il nostro ce la mette tutta e ci regala cinque buone canzoni, tra cui la folkeggiante How Have You Been e la gradevole Darling Be Home Soon.

CD13 – Keef Hartley Band. Gruppo dell’ex batterista di John Mayall (oltre che di Rory & The Hurricanes, proprio come Ringo), che suona un set di solido blues con tanto di fiati, guidato dalla voce e chitarra di Miller Anderson: cinque brani, con la potente Spanish Fly in apertura, strumentale che si presta ad improvvisazioni varie, il gagliardo rock-blues elettrico di She’s Gone ed il notevole medley finale di 18 minuti Sinnin’ For You/Leaving Trunk/Just To Cry.

CD14 – The Incredible String Band. Dopo una poesia introduttiva (Invocation) il gruppo britannico guidato da Mike Heron e Robin Williamson si lancia in cinque brani nel loro caratteristico stile folk acustico e sognante, un set godibile (pur con alcune sbavature vocali) che ha il suo momento migliore nell’orecchiabile This Moment. Forse un po’ fuori posto in questa fase del Festival, li avrei visti meglio il primo giorno.

CD15/16 – Canned Heat. La boogie-blues band di Los Angeles era molto popolare in quel periodo, e la loro fama aumentò proprio grazie alla partecipazione a Woodstock. Spero però di non attirarmi addosso le ire dei lettori se dico che un conto è quando a cantare è Bob Hite (come nell’energico rock-blues I’m Her Man, nel sanguigno medley A Change Is Gonna Come/Leaving This Town o ancora nel travolgente Woodstock Boogie, ben 28 minuti decisamente esplosivi), un conto quando il microfono passa ad Alan Wilson, il cui falsetto già mi è sempre rimasto un po’ indigesto, ma qui è completamente fuori fase e stona alla grande, rovinando completamente i due brani più famosi del gruppo, Going Up The Country e On The Road Again.

CD17 – Mountain. Il quartetto guidato da Leslie West e Felix Pappalardi (con Steve Knight e Norman Smart) è stata una grande band, e pochi si ricordano della loro partecipazione a Woodstock. Un set al fulmicotone con versioni possenti di alcuni dei loro classici, tra rock, blues e hard: la tonante Blood Of The Sun, le intense ballad Theme For An Imaginary Western (scritta da Jack Bruce) e Who Am I But You And The Sun sono per chi scrive gli episodi migliori, senza però dimenticare una magnifica Stormy Monday di T-Bone Walker, rock-blues affilato come una lama e con West monumentale alla solista, ed un uno-due finale da infarto con Dreams Of Milk And Honey e Southbound Train. Grandissima prestazione.

CD18/19 – Grateful Dead. Ed ecco uno degli highlight del box, l’esibizione completa della storica band di San Francisco. Il gruppo guidato da Jerry Garcia non aveva mai amato questa performance, ed è infatti strano che su circa 24.000 dischi dal vivo della loro discografia, di Woodstock non fosse mai uscito nulla tranne Dark Star dieci anni fa. La loro prestazione fu però inficiata da problemi con la messa a terra degli impianti elettrici, problemi causati dalla pioggia battente, che instillò nei nostri la paura di prendere la scossa non appena avessero toccato strumenti o microfoni. Per fortuna andò tutto bene, e risentita oggi la loro performance non è così male, anche se lontana dalla perfezione dei concerti che da lì a tre mesi formeranno l’ossatura di Live/Dead, il loro miglior album dal vivo di sempre. Cinque pezzi in totale, con due di pura psichedelia (St. Stephen, stranamente appena accennata, e la già citata Dark Star) ed altri due che anticipano il futuro suono “roots”, cioè la cover di Mama Tried di Merle Haggard e High Time un anno prima di Workingman’s Dead. Ma l’highlight del concerto è una fantastica Turn On Your Lovelight di ben 38 minuti, una vera goduria in cui la classe di Garcia e soci viene fuori alla grande.

CD20 – Creedence Clearwater Revival. Tosta performance elettrica e decisamente rock per la band dei fratelli Fogerty, gruppo che non ha mai tradito. Tra riletture potenti e dirette di classici (Born On The Bayou, Green River, Bad Moon Rising, Proud Mary, Keep On Chooglin’), un paio di “deep cuts” (Bootleg, Commotion), qualche cover (Ninety-Nine And A Half, I Put A Spell On You, The Night Time Is The Right Time) ed una Suzie Q di dieci minuti assolutamente devastante, i CCR forniscono una delle migliori prestazioni del Festival. *NDB Come avrete visto all’inizio di agosto è uscito per la Concord anche il CD con la esibizione completa di Fogerty e soci.

CD21 – Janis Joplin. La cantante texana era un’altra che non deludeva mai, una interprete formidabile che qui dimostra di cavarsela alla grande con tutti gli stili, siano essi evergreen (una Summertime da brividi), ballate di derivazione pop (To Love Somebody dei Bee Gees), vibranti errebi (Raise Your Hand di Eddie Floyd e I Can’t Turn You Loose di Otis Redding, cantata in duetto con il sassofonista Cornelius Flowers), blues lenti ma torridi (Kozmic Blues, da pelle d’oca, e Ball And Chain di Big Mama Thornton) e perfino un accenno di swamp alla Creedence con Try (Just A Little Bit Harder). Non manca la splendida Piece Of My Heart, tra i più grandi classici di Janis.

CD22 – Sly & The Family Stone. Non sono mai stato un fan di questa band e della musica funky in generale, ma è difficile restare indifferenti al set infuocato di Sylvester Stone e Famiglia (e poi c’è anche parecchio errebi), che può contare su riprese piene di ritmo ed energia di alcuni classici del loro repertorio, con un cenno particolare per il dirompente medley di 20 minuti Everyday People/Dance To The Music/Music Lover/I Want To Take You Higher.

CD23 – The Who. Il secondo giorno si chiude con un’altra esibizione storica, anche questa tra le più belle del Festival, roccata, grintosa e potente: una macchina da guerra. Tommy era uscito da tre mesi e la quasi totalità dei brani presenti proviene dalla mitica rock opera (ben 16 pezzi), con i soliti highlights che conosciamo (Amazing Journey, Acid Queen, Pinball Wizard, Go To The Mirror Boy, I’m Free, We’re Not Gonna Take It). Il quartetto arrotonda con due classici del calibro di I Can’t Explain e My Generation e due scatenati rock’n’roll come Summertime Blues di Eddie Cochran e Shakin’ All Over di Johnny Kidd & The Pirates. In mezzo al concerto, il ben noto “Abbie Hoffman Incident”, in cui il disturbatore di estrema sinistra Abbie Hoffman (una specie di Gabriele Paolini dell’epoca) salì sul palco tentando di interrompere la performance ma venne preso a male parole e, pare, buttato giù dal palco a chitarrate da Pete Townshend. Che per questo si è guadagnato la mia stima imperitura.

Fine della seconda parte, segue…

Marco Verdi

Due Giorni Con Gli Stones. Parte 1: Rock And Roll Circus

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The Rolling Stones & Friends – Rock And Roll Circus – ABKCO 2CD – 3LP – Deluxe 2CD/DVD/BluRay Box Set

Nel 1968 i Rolling Stones erano ai massimi della loro popolarità, avendo dato alle stampe quello che all’epoca era il loro capolavoro, Beggars Banquet (che inaugurò un filotto di quattro album consecutivi da cinque stelle, uno in più se includiamo anche il live Get Yer Ya Ya’s Out, un record ad oggi imbattuto). Per capitalizzare ulteriormente il successo a Mick Jagger e soci venne in mente il progetto Rock And Roll Circus, un vero e proprio spettacolo equestre con trapezisti, clown, mangiafuoco ed attrazioni varie che si alternavano a performance musicali di alcuni degli artisti più in voga all’epoca, con gli Stones stessi nel ruolo di maestri di cerimonie e “numero” principale. Girato in uno studio di Londra da Michael Lindsay-Hogg (che da lì a breve diventerà famoso per essere il regista delle immagini che andranno a formare il docu-film Let It Be dei Beatles, incluso il celebre concerto sul tetto) e con uno stage che ricreava un vero e proprio circo, lo spettacolo vedeva ospiti di grande prestigio: infatti, oltre agli Stones, parteciparono alla serata gli Who, John Lennon (e consorte), Eric Clapton, Taj Mahal, Marianne Faithfull ed una band che all’epoca aveva un solo album all’attivo ma che in futuro avrebbe fatto parlare abbastanza di sé, vale a dire i Jethro Tull (e pare che nell’idea iniziale fossero previsti anche i Led Zeppelin).

Girato nel mese di Dicembre, il film-concerto avrebbe dovuto essere trasmesso dalla BBC durante le feste di Natale, ma la programmazione venne cancellata per motivi mai realmente chiariti (pare che Jagger non fosse del tutto soddisfatto della performance del suo gruppo, a suo dire surclassata da quella degli Who) e poi, anche a causa della morte di Brian Jones avvenuta dopo pochi mesi, finita nel dimenticatoio per ben 28 anni. Nel 1996 infatti venne finalmente pubblicata la versione “broadcast” sia su CD che su VHS, e nel 2004 anche in DVD con varie tracce bonus (in formato solo video): ora la ABKCO, che detiene ancora i diritti sulle canzoni degli Stones per quanto riguarda gli anni sessanta, pubblica forse la versione definitiva, con un secondo CD di brani aggiuntivi (cinque dei quali sono però gli stessi del DVD del 2004, però per la prima volta in formato audio), la prima volta in assoluto in vinile (triplo) ed un box deluxe con i due CD, il DVD ed anche l’esordio del BluRay. Dal punto di vista visivo il film è una tipica e coloratissima espressione dell’epoca in cui è stato girato, con sgargianti costumi che fanno venire in mente la Swingin’ London (ma anche la copertina di Sgt. Pepper), mentre da quello musicale il Rock And Roll Circus è ancora attualissimo oggi, con diverse performance potenti e di grande livello.

 

Dopo un’introduzione circense, ecco proprio i Jethro Tull con la nota Song For Jeffrey, eseguita in playback ma con voce e flauto di Ian Anderson rigorosamente dal vivo (particolare curioso, il chitarrista presente on stage è il futuro fondatore dei Black Sabbath, Tony Iommi, nell’unica testimonianza di sempre come membro dei Tull – fu all’interno del gruppo per appena due settimane – ma siccome la sua traccia è in playback in realtà la chitarra che sentiamo è ancora quella di Mick Abrahams); subito dopo gli Who con una roboante versione della splendida mini-suite A Quick One, While He’s Away: il quartetto è in grande forma, con Keith Moon al massimo della sua devastante potenza ai tamburi, ed offre una delle migliori performance della serata. E’ il turno di Taj Mahal con una vigorosa e grintosa rilettura di Ain’t That A Lot Of Love di Sam & Dave, più rock che soul, con elementi quasi swamp ed ottima prestazione vocale (il secondo chitarrista è Jesse Ed Davis); Marianne Faithfull si distingue con una gentile e leggiadra Something Better, con base strumentale pre-registrata, mentre uno degli highlights della serata è sicuramente l’intervento dei Dirty Mac, un supergruppo estemporaneo con John Lennon alla voce e chitarra ritmica, Eric Clapton alla solista, Keith Richards al basso (!) e Mitch Mitchell della Jimi Hendrix Experience alla batteria: i quattro offrono una versione tostissima della beatlesiana Yer Blues, in cui Lennon si dimostra un grande cantante e Clapton un chitarrista supremo (avrei fatto a meno invece di Whole Lotta Yoko, sempre con i Dirty Mac – ed il violinista israeliano Ivry Gitlis – ma anche con le urla belluine di Yoko Ono).

Ed ecco il piatto forte della serata, cioè la performance dei Rolling Stones, un’ottima prestazione nonostante i dubbi di Jagger, con tre classici che fanno parte ancora oggi delle scalette dei loro concerti (Jumpin’ Jack Flash, asciutta e diretta, You Can’t Always Get What You Want e Sympathy For The Devil), il coinvolgente e ritmato blues Parachute Woman, la splendida No Expectations, con Jones impeccabile alla slide ed il piano di Nicky Hopkins, e soprattutto una limpida rilettura della meravigliosa Salt Of The Earth, tra le ballate più belle di sempre dei nostri. Il secondo dischetto come dicevo prima offre le tracce che nel 2004 erano uscite solo in video: oltre a due performance del pianista classico Julius Katchen abbiamo altri tre pezzi con Taj Mahal protagonista, una stupenda versione del classico di Sonny Boy Williamson Checkin’ Up On My Baby, puro blues d’alta classe, una lunga e vibrante Leaving Trunk (Sleepy John Estes) e la gradevole e solare rock ballad Corinna, che non è il traditional dal titolo simile ma un originale del chitarrista di colore. Ma il pezzo forte di questo CD bonus sono tre brani inediti dei Dirty Mac riscoperti solo di recente, ovvero una versione alternata di Yer Blues https://www.youtube.com/watch?v=UikHIsQl1Kg , una interessante jam di riscaldamento intitolata appunto Warmup Jam e soprattutto un rehearsal basato sul classico dei Fab Four Revolution, perfettamente in equilibrio tra blues e rock’n’roll ma che purtroppo si interrompe dopo due minuti https://www.youtube.com/watch?v=7FD0ffegRZQ  (anche se a dire il vero neppure ora il concerto è completo, in quanto manca ancora Fat Man dei Jethro Tull). Una valida ristampa, imperdibile se non avete le precedenti edizioni: domani ci occuperemo ancora di Rolling Stones, ma con un balzo in avanti di ben 30 anni.

Marco Verdi

Un Cofanetto Tira L’Altro, Il 7 Giugno (Anzi il 28 Giugno) Esce Anche La Versione Limited Deluxe (Definitiva?) Del Rock And Roll Circus Dei Rolling Stones!

rolling stones rock and roll circus

The Rolling Stones “Rock And Roll Circus (Limited Deluxe Edition) – 1BD/1DVD/2CD Limited Deluxe Edition ABKCO/universal  – 2 CD – 3 LP – 28-06-2019

Per la serie una ne pensano e cento ne fanno, in attesa di riprendere il tour sospeso per l’intervento a Mick Jagger, i Rolling Stones stanno per pubblicare (oltre a Bridges To Bremen, previsto per il 21 giugno, e dopo il recente Honk), sempre il 7 giugno (stesso giorno del cofanetto di Dylan e del “nuovo” Live di Neil Young, ma la data definitiva pare essere il 28 giugno) una ennesima edizione del Rock And Roll Circus, il famoso spettacolo televisivo di fine 1968, ampliata con alcune tracce inedite sia in audio che in video, ovvero alcuni brani di Taj Mahal, tre esecuzioni del grande pianista classico Julius Katchen e soprattutto le prove e la esecuzione di Revolution dei Beatles da parte dei Dirty Mac, vale a dire Eric Clapton (chitarra solista), Keith Richards (basso), Mitch Mitchell dei Jimi Hendrix Experience (batteria) e John Lennon chitarra e voce, più Yoko Ono, urla belluine. Nonché anche altri extra audio con dietro le quinte, interviste e materiale inedito nella parte video, più un libro di 44 pagine.

Non vi racconto per la ennesima volta la storia di questo spettacolo, penso sia nota, ma vi ricordo che nella versione in box sarà disponibile per la prima volta anche il Blu-ray. Comunque ecco tutto i contenuti completi del cofanetto quadruplo e relative caratteristiche tecniche.

Tracklist
The Rolling Stones Rock and Roll Circus (4K FILM)

THE FILM

Song For Jeffrey – Jethro Tull
A Quick One While He’s Away – The Who
Ain’t That A Lot Of Love – Taj Mahal
Something Better – Marianne Faithfull
Yer Blues – The Dirty Mac
Whole Lotta Yoko – Yoko Ono & Ivry Gitlis, and The Dirty Mac
Jumpin’ Jack Flash – The Rolling Stones
Parachute Woman – The Rolling Stones
No Expectations – The Rolling Stones
You Can’t Always Get What You Want – The Rolling Stones
Sympathy for the Devil – The Rolling Stones
Salt Of The Earth – The Rolling Stones

EXTRAS

Widescreen Feature Time: 65min., Aspect Ratio: 16:9
Pete Townshend Interview Time: 18min., Aspect Ratio: 4×3

The Dirty Mac
‘Yer Blues’ Tk2 Quad Split Time: 5min. 48sec, Aspect Ratio: 4×3

Taj Mahal
-Checkin’ Up On My Baby Time: 5min. 37sec., Aspect Ratio: 4×3
-Leaving Trunk Time: 6min. 20sec., Aspect Ratio: 4×3
-Corinna Time: 3min. 49sec., Aspect Ratio: 4×3

Julius Katchen
-de Falla: Ritual Fire Dance Time: 6 minutes 30 secs Aspect Ratio: 4×3
-Mozart: Sonata In C Major-1st Movement Time: 2min. 27sec., Aspect Ratio: 4×3

Mick & The Tiger/ Luna & The Tiger Time: 1min. 35sec., Aspect Ratio: 4×3

Bill Wyman & The Clowns Time: 2min., Aspect Ratio: 4×3

Lennon, Jagger, & Yoko backstage Time: 45sec., Aspect Ratio: 4×3

FILM COMMENTARY TRACKS:

Life Under The Big Top (Artists) Time: 65 minutes
Featuring: Mick Jagger, Ian Anderson, Taj Mahal, Yoko Ono, Bill Wyman, Keith Richards

Framing The Show (Director & Cinematographer) Time: 65 minutes
Featuring: Michael Lindsay Hogg, Tony Richmond

Musings (artist, writer, fan who was there) Time: 50 minutes
Featuring: Marianne Faithfull, David Dalton, David Stark

The Rolling Stones Rock and Roll Circus Expanded Audio Edition
1. Mick Jagger’s Introduction Of Rock And Roll Circus – Mick Jagger
2. Entry Of The Gladiators – Circus Band
3. Mick Jagger’s Introduction Of Jethro Tull – Mick Jagger
4. Song For Jeffrey – Jethro Tull
5. Keith Richards’ Introduction Of The Who – Keith Richards
6. A Quick One While He’s Away – The Who
7. Over The Waves – Circus Band
8. Ain’t That A Lot Of Love – Taj Mahal
9. Charlie Watts’ Introduction Of Marianne Faithfull – Charlie Watts
10. Something Better – Marianne Faithfull
11. Mick Jagger’s and John Lennon’s Introduction Of The Dirty Mac
12. Yer Blues – The Dirty Mac
13. Whole Lotta Yoko – Yoko Ono & Ivry Gitlis with The Dirty Mac
14. John Lennon’s Introduction Of The Rolling Stones + Jumpin’ Jack Flash – The Rolling Stones
15. Parachute Woman – The Rolling Stones
16. No Expectations – The Rolling Stones
17. You Can’t Always Get What You Want – The Rolling Stones
18. Sympathy For The Devil – The Rolling Stones
19. Salt Of The Earth – The Rolling Stones

BONUS TRACKS
20. Checkin’ Up On My Baby – Taj Mahal
21. Leaving Trunk – Taj Mahal
22. Corinna – Taj Mahal
23. Revolution (rehearsal) – The Dirty Mac
24. Warmup Jam – The Dirty Mac
25. Yer Blues (take 2) – The Dirty Mac
26. Brian Jones’ Introduction of Julius Katchen – Brian Jones
27. de Falla: Ritual Fire Dance – Julius Katchen
28. Mozart: Sonata In C Major-1st Movement – Julius Katchen

Nei prossimi giorni altre “ristampe”.

Bruno Conti

Un Live “Riparatore” Di Ottimo Livello! Needtobreathe – Acoustic Live Vol. 1

needtobreathe acoustic live vol. 1

Needtobreathe – Acoustic Live Vol. 1 – Atlantic/Warner CD

L’ultimo album dei Needtobreathe, Hard Love, uscito un paio di anni fa  https://discoclub.myblog.it/2016/11/08/invece-veramente-brutto-needtobreathe-hard-love/ , era stato un fulmine a ciel sereno, ma in senso negativo. Infatti, dopo che la band del South Carolina guidata dai fratelli Bear e Bo Rinehart (insieme a Seth Bolt, Josh Lovelace e Randall Harris) si era costruita passo dopo passo una promettente carriera come uno dei gruppi di punta nel panorama americano, soprattutto con album come The Outsiders e The Reckoning (ma anche con https://discoclub.myblog.it/2015/06/16/doppi-dal-vivo-classici-needtobreathe-live-from-the-woods-at-fontanel/), aveva rovinato tutto con un lavoro che definire brutto è fargli un complimento, un’accozzaglia di suoni senza né capo né coda tra becero pop da classifica, rock sintetico e ritmi quasi dance. Una china che purtroppo negli ultimi anni è stata presa da più di un gruppo, come i Mumford & Sons, i Low Anthem, gli Arcade Fire e con l’ultimo disco anche dai Decemberists, nel tentativo di riuscire ad aumentare le vendite ma con il rischio di perdere tutti i vecchi fans senza necessariamente trovarne di nuovi.

Ora pero i Needtobreathe riparano in parte alla nefandezza di Hard Love pubblicando questo Acoustic Live Vol. 1, uno splendido resoconto della breve tournée acustica tenuta tra Novembre e Dicembre del 2017, il loro primo in assoluto senza strumenti elettrici. Ed il disco, un’ora di musica, funziona alla grande, in quanto ci permette di riascoltare la band che avevamo amato nei primi cinque album, senza filtri e con la possibilità di lasciare libera la loro tecnica strumentale e vocale, entrambe sopraffine. Musica folk, country e rock, suonata con indubbio feeling e grande energia, nonostante la strumentazione a spina staccata, con bellissimi intrecci vocali ed una spiccata creatività: anche i pezzi tratti da Hard Love suonano completamente diversi, dimostrando che il problema di quel disco non erano le canzoni ma bensì le sonorità. Si inizia alla grande proprio con un brano dall’ultimo album, Let’s Stay Home Tonight, che si rivela una magnifica country ballad, pura come l’acqua di montagna, con una melodia eccellente ed uno splendido pianoforte (Lovelace, grande protagonista del disco).

Drive All Night è contraddistinta da un gran ritmo, un brano rock coinvolgente e con un ritornello perfetto per il singalong: dopo un po’ non ci si accorge nemmeno che gli strumenti sono acustici; No Excuses era uno dei pezzi meno disastrosi di Hard Love, ed è inutile dire che in questa veste migliora ulteriormente, diventando una limpida ballata dal vago sapore soul, cantata decisamente bene (le voci fanno la differenza in questo CD) e con un organo che riscalda ulteriormente il suono: verso la fine della canzone, poi, i nostri piazzano una inattesa e vibrante cover del classico The House Of The Rising Sun, da brividi. Uno squillante mandolino introduce la mossa e solare State I’m In, che ha ancora nelle armonie vocali il suo punto di forza, oltre ad un refrain diretto e molto orecchiabile; Washed By The Water, introdotta dall’inno religioso I’m Free, è una magnifica gospel song pianistica, in cui Bear si supera come cantante, mentre Testify è una rock ballad cristallina, suonata con grande forza nonostante il suono stripped-down, terzo ed ultimo pezzo da Hard Love e terza trasformazione a 360 gradi.

Oh, Carolina è un travolgente rock’n’roll, e qui i nostri non si trattengono in quanto spunta anche una chitarra elettrica: brano altamente coinvolgente, ulteriormente impreziosito dall’inserimento al suo interno di un accenno a Squeeze Box degli Who, e dal solito formidabile pianoforte. C’è anche una cover “solitaria”, non in medley, e cioè la leggendaria Stand By Me di Ben E. King, in un limpido arrangiamento folk molto diverso dall’originale, ma ricco di pathos e decisamente emozionante. La toccante Stones Under Rushing Water vede la gradita partecipazione dei coniugi Drew ed Ellie Holcomb (e che voce lei), White Fences è puro folk-rock, dal suono solido e melodia di notevole impatto. La conclusione del CD è affidata a Cages, di nuovo pianistica e decisamente intensa (ed un limpido motivo di ispirazione vagamente irlandese), e con Brother, chiusura corale per un brano dall’accompagnamento ridotto all’osso.

Non so se i Needtobreathe siano rinsaviti  del tutto dopo il brutto passo falso di Hard Love: quello che è certo è che Acoustic Live, Vol. 1 è uno dei dischi dal vivo migliori del 2018.

Marco Verdi

Un Moderno Power Trio Di Ottimo Livello, Ma Non Solo! The Record Company – All Of This Life

record company all of this life

The Record Company – All Of This Life – Concord/Universal CD

A due anni dall’interesse suscitato con il loro album di debutto Give It Back To You https://discoclub.myblog.it/2016/02/12/anche-bravi-blues-rock-nuova-promessa-the-record-company-give-it-back-to-you/ , ecco di nuovo tra noi The Record Company, trio di Los Angeles che ci dà un nuovo saggio della propria bravura con questo ottimo All Of This Life, sicuramente superiore al già positivo esordio. I RC non sono il classico power trio chitarra-basso-batteria, ma un gruppo rock moderno con un suono più articolato che comprende anche piano ed organo: la base di partenza sono le sonorità rock e blues tipiche degli anni settanta, con anche influenze punk e garage (gli Stooges sono una delle band di riferimento) e qualcosa di southern. Ogni singola nota di All Of This Life è farina del loro sacco, sia dal punto di vista della scrittura, che del suono ed anche della produzione, senza sessionmen od ospiti di sorta: puro e solido rock’n’roll, suonato benissimo e con una predisposizione comunque elevata per melodie e refrain diretti. Il leader e voce principale è Chris Vos, che suona anche la chitarra solista, ed è coadiuvato dal bassista Alex Stiff e dal batterista Marc Cazorla, che a turno si cimentano anch’essi con le chitarre, acustiche ed elettriche (e Cazorla anche con le tastiere). Un bel disco di puro rock (blues), tonificante e degno di stare in qualsiasi collezione che si rispetti.

Il CD, che “stranamente” non presenta versioni limitate o deluxe, inizia con Life To Fix, introdotta da un giro di basso subito seguito da un drumming pressante, una rock song potente, diretta e senza fronzoli, anche se il ritornello corale si presta comunque al singalong: il suono è tosto, vigoroso e ben definito, non male come avvio. I’m Getting Better (And I’m Feeling It Right Now) è anche meglio, un rock-blues saltellante e coinvolgente, con un ottimo intervento di armonica e ritmo decisamente sostenuto, pervaso dalla sfrontatezza tipica di una garage band giovanile e, perché no, con qualcosa dei primi Who; Goodbye To The Hard Life è invece una splendida ballata tra soul e blues, dal suono caldo, un motivo vincente ed una performance vocale notevole, un pezzo che alla fine risulterà tra i migliori: sembra quasi un megagruppo alla Tedeschi Trucks Band, ma in realtà sono sempre e solo loro tre e basta. Anche Make It Happen ha elementi blues, ma è più dura ed annerita grazie soprattutto ad una slide sporca al punto giusto, ma l’attitudine del gruppo per le melodie immediate viene fuori anche qui.

You And Me Now è un altro slow molto bello e dalle classiche sonorità anni settanta, una slide ancora protagonista (stavolta suonata alla maniera di George Harrison) e l’organo a dare calore al tutto. Coming Home è una solidissima rock’n’roll song con la sezione ritmica che pesta di brutto, e ci vedo echi del Tom Petty più “cattivo”, davvero trascinante https://www.youtube.com/watch?v=qxoTUFwS7Vw , The Movie Song è uno scintillante soul-rock, immediato e godibilissimo, e che sa di fango, polvere e Rolling Stones https://www.youtube.com/watch?v=7HUL5xevK1I , mentre Night Games sposta nuovamente il disco verso territori bluesati e paludosi, quasi swamp. Il CD, tre quarti d’ora spesi benissimo, si chiude con la vibrante Roll Bones, forse la più blues del lotto (e con strepitoso assolo di slide alla Ry Cooder), e con I’m Changing, unico pezzo acustico ma sempre dal mood annerito, che chiude più che positivamente un album che conferma il talento dei Record Company, e che non mancherà di deliziare gli appassionati di vero rock’n’roll.

Marco Verdi

Una Testimonianza “Postuma” Di Una Piccola Grande Band Sottovalutata. The Smithereens – Covers

smithereens covers

The Smithereens – Covers – Sunset Boulevard Records          

Gli Smithereens sono stati uno dei classici gruppo di culto del rock americano: in attività dal 1980, hanno inciso il primo album di studio nel 1986 e poi altri dieci per arrivare a 2011, che era il loro 11° e ultimo, più alcuni live ed antologie, arrivando al massimo ai limiti dei Top 40 delle classifiche USA negli anni ’90, pur essendo sempre stati molto stimati dai colleghi e amati dalla stampa. Poi negli ultimi anni avevano parecchio rarefatto le loro esibizioni  per problemi di salute del leader Pat DiNizio, che nel 2017 ci ha lasciato. Stranamente il gruppo non si è sciolto subito, ma si è esibito ancora in una serie di concerti-tributo per DiNizio, a cui hanno partecipato i suoi amici e sodali, gente come Little Steven, Southside Johnny, Dave Davies, Lenny Kaye, Marshall Crenshaw, tutti come lui appassionati del pop e del rock della British Invasion, ma anche di quello dei grandi autori. Nel DNA di DiNizio e degli Smithereens c’ è sempre stato un grande amore proprio per il rock ed il pop classici, quello due chitarre-basso-batteria e pedalare: e non guastava avere in Pat una ottima voce e in Jim Babjak una eccellente chitarra solista, oltre all’uso di armonie vocali ispirate dai loro ascolti di gioventù ed anche dell’età matura.

Questo Covers quindi raduna in unico CD gran parte delle loro versioni di brani, celebri  e non, sparsi nel corso degli anni su singoli, EP, colonne sonore, tributi e qualche inedito, tutti rigorosamente eseguiti con grande amore per gli originali. Quindi non un disco nuovo, ma vista la scarsa reperibilità del materiale raccolto, molto gradito dai fans e spero anche dai novizi di questa band del New Jersey. Con Babjak e DiNizio ci sono il bassista Mike Mesaros e il batterista Dennis Diken, che firma anche le brevi note del libretto. Per il resto tanta buona musica, eseguita con amore, classe, sense of humor, rispetto e brillante musicalità, non necessariamente nell’ordine: The Game Of Love era di Wayne Fontana & The Mindbenders, un tipico esempio del british pop degli anni ’60, molto vicino allo spirito anche di Costello o dei Beach Boys, riff e ritornello divertenti ed accattivanti, mentre The Slider accosta il glam-rock di Marc Bolan e dei T-Rex, con chitarre e ritmica più ruvide, sempre con le melodie ben presenti, e Ruler Of My Heart, un grande successo per Irma Thomas (ma l’hanno fatta pure Otis Redding, Norah Jones, Mink DeVille, la Ronstadt) è un pop&soul di gran classe che ricorda molto lo stile e la vocalità di Elvis Costello, con cui DiNizio condivideva un timbro vocale simile e l’amore per le belle melodie.

Wooly Bully la conosciamo tutti, la classica canzone “stupida” che però non puoi fare a meno di amare, ma anche Let’s Talk About Us, tratta dal Tributo a Otis Blackwell è un brano R&R che hanno fatto Jerry Lee Lewis, i Rockpile, fino ad arrivare a Van Morrison, e la versione degli Smithereens è una delle più potenti, tante chitarre e ritmo. I brani sono 22, tutti belli, ne cito ancora alcuni a caso tra i migliori: una oscura Girls Don’t Tell dei Beach Boys, fatta in versione jingle-jangle, gli amatissimi Beatles (e dintorni) saccheggiati con una poderosa Yer Blues, uno degli inediti contenuti nel CD, One After 909 accelerata ad arte, I Want To Tell You di George Harrison, veramente splendida, degna di Tom Petty e It Don’t Come Easy di Ringo; ma anche Up In Heaven da Sandinista dei Clash o Downbound Train da One Step Up il tributo a Bruce Springsteen,  le meraviglie si sprecano. Per non dire di The World Keeps Going ‘Round  e Rosie Won’t You Please Come Home due perle poco note dei Kinks, o una gagliarda The Seeker degli Who, e ancora una deliziosa Something Stupid di Frank & Nany Sinatra, seguita da una esplosiva Lust For Life di Iggy Pop, che sembra suonata proprio dagli Who, fino ad arrivare alla conclusiva Shakin’ All Over, ancora power pop sopraffino da parte di una delle band americane più sottovalutate.

Bruno Conti