Anticipazioni: Una Ottima Edizione Super Deluxe Per Un Disco Storico. The Who – Sell Out. Esce il 23 Aprile

who sell out box

The Who – Sell Out  – Super Deluxe 5 CD/ 2 CD Polydor/IMS/Universal – 23-04-2021

Uscito in origine nel dicembre del 1967 (quindi nessun anniversario particolare), Sell Out fu pubblicato in CD una prima volta nel 1995 con 10 bonus tracks, ed una seconda volta in doppia Deluxe Edition nel 2009, con ben 29 tracce bonus. Si tratta del terzo album di studio degli Who, a volte non troppo considerato rispetto ai successivi Tommy, Who’s Next e Quadrophenia, ma significativo e propedeutico per il passaggio dal pop-mod rock del primo periodo al rock tout court dei dischi che sarebbero venuti in seguito. Prima di parlare del cofanetto lasciatemi infervorare un attimo su questa moda/mania delle versioni Super Deluxe: arma infallibile per scucire agli appassionati e ai fans, anche più volte nel corso degli anni, imbarazzanti quantità di denaro, spesso per riascoltare più e più volte le stesse canzoni in versioni molto spesso quasi identiche a quelle apparse sui dischi originali, quasi sempre in peggio, accompagnate da quello che si è soliti definire memorabilia. Ovvero poster dell’epoca, spillette, certificati fasulli, foto, gigantografie di Ave Ninchi nuda a cavallo, fustini del detersivo in omaggio, voucher per poter partecipare alla estrazione del Gronchi Rosa, DVD e Blu-Ray, spesso in versione solo audio, senza immagini, destinati agli audiofili, ma assai di frequente anche vinili aggiunti (che si potrebbero pubblicare tranquillamente a parte, come i supporti appena citati).

who sell out deluxe 2 cd

Ogni tanto, ma raramente, c’è anche un bel librone rilegato e una quantità congrua di materiale inedito: ed è il caso di questa Super DeLuxe Edition di Sell Out che ha le sue magagne, ovvero versioni a go-go dell’album in Mono e Stereo nei primi due CD, ma anche 46 brani inediti dei 112 compresi nel box. Oltre al bel libro rilegato di 80 pagine appena citato, ricco di note, curato dallo stesso Pete Townshend, troviamo i memorabilia di cui sopra, per l’occasione veramente ricchi: il manifesto originale dell’album di Adrian George, il poster del concerto alla City Hall di Newcastle, il programma di 8 pagine dello show al Saville Theatre, la business card del Bag O’Nails Club di Kingly Street a Soho, una foto del gruppo riservata al fan club degli Who, il volantino per i concerti del Bath Pavilion, uno sticker di Wonderful Radio London, la tessera personale dello Speakeasy Club appartenuta a Keith Moon e una newsletter del Who Fan Club. Poi la casa discografica non ha resistito alla quota vinile, questa volta contenuta, con due singoli 7”, i vecchi 45 giri, di I Can See For Miles e Magic Bus. Ci sarà anche la classica versione “per poveri” in 2 CD, contenente i primi due dischetti del cofanetto, quelli con le versioni mono e stereo, con 52 pezzi complessivi, e svariate versioni in vinile.

Se volete avere il materiale inedito però dovete acquistare il cofanetto: vediamo cosa contiene, in sintesi ma in modo approfondito (lo so è un po’ un ossimoro), visto che ne parliamo in anteprima prima dell’uscita che sarà il 23 aprile prossimo. Nell’album originale, che immagino tutti conoscano, in apertura troviamo la bellissima Armenia City In The Sky, preceduto da uno dei tanti commercials inseriti per ricreare l’atmosfera delle emittenti radiofoniche pirate dell’epoca https://www.youtube.com/watch?v=NN4TTG_9vuc , una delle rare canzoni non scritta dal solo Townshend (a parte qualche saltuario brano di John Entwistle, qui ce ne sono tre), ma con l’aiuto del suo amico e protetto Speedy Keen, quello dei Thunderclap Newman, non so se ricordate la bellissima Something In The Air? Armenia è cantata a due voci da Roger Daltrey e Keen, mentre l’altro brano memorabile è I Can See For Miles, pubblicata come singolo, con Keith Moon che comincia a punire la sua batteria con grande goduria. L’altro brano che uscì come singolo, ma solo in Olanda, è la deliziosa Mary Anne With The Shaky Hands, cantata a due voci da Pete e Roger in modalità psych-pop https://www.youtube.com/watch?v=y0GbhIO0F0Q , Odorono non fu presa molto bene dalla omonima compagnia che produceva deodoranti, ma Townshend che la cantava non ci fece molto caso https://www.youtube.com/watch?v=a_0KV3mGQ2M , Rael Pt.1 & 2 introduce il personaggio che tornerà periodicamente fino a Quadrophenia. Questo è quanto più o meno succede in mono e stereo nei primi 2 CD.

Tra le bonus il travolgente singolo in modalità power pop Pictures Of Lily, le bellissime cover di The Last Time e Under My Thumb degli amici/rivali Stones  , una vibrante Jaguar, cantata a due voci da Pete e John, nel CD 2, quello stereo c’è una versione esplosiva di Summertime Blues e una Sodding About dove Townshend applica alcune delle sonorità che Jimi Hendrix aveva portato al pop inglese per trasformarlo in rock https://www.youtube.com/watch?v=jfI1H-SXAHA , poi riproposte anche in Hall Of The Mountain King, sentire come suonano Entwistle e Moon, due macchine da guerra a rincorrere le evoluzioni chitarristiche di Townshend https://www.youtube.com/watch?v=N5gK0Ll9FQs . C’è molta altra roba interessante nella versione doppia: se invece siete “più ricchi” e vi orientate al cofanetto, il CD 3 contiene le studio sessions 1967/1968, 28 brani tra outtakes, versioni all’impronta, chiacchiere e pirlate varie in studio e chicche assortite, per esempio, per citarne alcune, versioni differenti di Dogs, Shakin’ All Over, Magic Bus, ma c’è veramente molto da sentire. Il CD 4, intitolato The 1968 Sessions – The Road To Tommy è sempre interessante, ma potevano sforzarsi un po’ di più, visto che contiene 14 pezzi per 40 minuti circa di musica, comunque ottime la “scintillante” Glow Girl, già presente in altre versioni anche nei dischetti precedenti, con elementi appunto di Tommy, Faith In Something Bigger, Dr. Jekyll And Mr. Hyde, la scanzonata e tirata Call Me Lightning, forse la migliore versione delle tante che appaiono nel box di Dogs. Ci sono anche due ulteriori versioni di Magic Bus, quella del singolo, e una più lunga, in mono, oltre ad una pimpante Fortune Teller.

Ovviamente come è d’uso in queste versioni Super DeLuxe i cosiddetti brani “inediti” sono spesso all’incirca sempre gli stessi, tanti, ovvero 46, ma ripetuti più volte in alternate takes dove le differenze sono minime, ma visto che sono indirizzati ai cosiddetti fans “completisti” è quello che ci si aspetta. Nel quinto CD Pete Townshend Original Demos, forse il più interessante, ci sono altre 14 tracce, e non sono solo i soliti demo voce e chitarra acustica od elettrica, ma alcuni vengono integrati con organo, basso e batteria, per esempio la piacevole ed inedita Kids! Do You Want Kids, l’alternate version di Glow Girl, molto interessante perché ovviamente in questo come negli altri brani la voce è quella di Pete Townshend. Inside Outside USA sembra quasi un brano dei Beach Boys, anche Jaguar con le robuste pennate dell’acustica di Pete è uno dei demo meglio costruiti, in Little Billy Townshend utilizza anche un inconsueto banjo, mentre Odorono è uno dei demo più rudimentali, come pure Pictures Of Lily poco rifinita, e anche l’alternate di Relax diciamo che non è memorabile, più interessante la poco nota e sognante Melancholia, in un remix del 2018, e a chiudere due eccellenti versioni di Mary Anne With The Shaky Hands in veste acustica ma “lavorata” e una strana psych I Can See For The Miles.

Questo è quanto: vale il centone abbondante (ma anche meno) che viene richiesto? Forse in questo caso la risposta è affermativa, dipende anche dal vostro portafoglio.

Bruno Conti

Jeff Beck, Una Vita Per La Chitarra, E Non E’ Ancora Finita: Dai Cori Nelle Chiese Al Rock In Tutte Le Sue Forme, Ecco La Storia! Parte Prima

jeff beck KenSettle_6photo Ken Settle

Jeff Beck, Uno Dei Tre Più Grandi Chitarristi Del British Rock (Blues),  Il Più Eclettico Ed Estroso. Una Vita Per La Chitarra, E Non E’ Ancora Finita: Dai Cori Nelle Chiese Al Rock In Tutte Le Sue Forme, Ecco La Storia!

Visto che il Post è piuttosto lungo l’ho diviso in tre parti.

Geoffrey Arnold Beck nasce a Wallington, nel Surrey, il 24 giugno del 1944 (quindi ancora nel pieno della Seconda Guerra Mondiale). A 10 anni inizia a cantare nel coro della chiesa locale, poi va a scuola a Sutton, ma nel frattempo comincia ad ascoltare la musica e soprattutto i chitarristi: il primo è Les Paul, poi arrivano Cliff Gallup, il solista nella band di Gene Vincent, B.B. King e Steve Cropper, ma anche Buddy Guy e Scotty Moore,  che Beck cita tra le sue principali influenze. Agli inizi, sia per risparmiare che per sperimentare, le chitarre se le assembla da assolo, iniziando a studiare quegli effetti speciali e quelle sonorità insolite che poi lo renderanno quel solista unico che conosciamo ancora oggi. Già tra il 1962 e il 1963 comincia a suonare con i primi gruppi, come Screaming Lord Sutch And The Savages, che molti considerano solo un personaggio pittoresco, ma nella cui band nel corso degli anni sono passati anche Nicky Hopkins, Ritchie Blackmore, Mick Abrahams, l’arcinemico/amico Jimmy Page e molti altri.

Già nel 1964 arriva il suo primo gruppo, i Tridents, una band embrionale che mescolava R&R, R&B, Blues, dando vita a quello che allora si chiamava beat, e anche se non hanno pubblicato nulla a livello ufficiale, Beck inizia a sperimentare con le sue tecniche chitarristiche che lo renderanno da lì a poco uno dei musicisti più innovativi nel nascente filone rock che inizia a svilupparsi proprio in quegli anni: ovviamente viene notato subito, e nel marzo del ’65, su raccomandazione di Jimmy Page (che allora era un affermato sessionman e non pensava ad entrare in una band in quanto guadagnava molto di più come musicista di studio) viene chiamato a sostituire Eric Clapton negli Yardbirds, visto che Manolenta era insoddisfatto della svolta “commerciale” verso il rock e il pop che stava avvenendo all’interno del gruppo, soprattutto con un brano come For Your Love. Da qui in avanti cominciamo a seguire la carriera di Jeff Beck  soprattutto a livello discografico.

yardbirds for your loveyardbirds having a rave upyardbirds roger the engineer

The Yardbirds Years

La discografia degli Yardbirds è un po’ complicata, considerando che gli album uscivano in versioni completamente diverse per il mercato inglese (dove alcuni dischi non venivano neppure pubblicati) e quello americano, dove la Epic spesso assemblava singoli e brani tratti dagli LP per creare dei prodotti ad hoc per il mercato USA. I CD sono stati ristampati dalla Repertoire, spesso e volentieri con molto materiale aggiuntivo e anche se al momento alcuni titoli non sono disponibili, potrebbero tornare in produzione, visto che periodicamente appaiono e scompaiono: vediamo quelli con Jeff Beck, che rimarrà nel gruppo 20 mesi, dal marzo 1965 al novembre 1966. E in questo periodo, in cui Hendrix non era ancora per nulla conosciuto, “inventa”  o perfeziona gran parte dell’armamentario della futura musica rock: pedale del distorsore, feedback, delay, riverberi, l’uso del wah-wah, dell’hammer-on (non saprei come tradurlo), il tutto applicando anche influenze medio-orientali e nell’ambito dei brani, deviazioni verso il canto Gregoriano, mantenendo però un appeal che permetterà a molte delle loro canzoni di essere successi nelle classifiche di vendita. Il primo album con Beck è For Your Love, parliamo sempre della versione Usa: oltre al pezzo con Clapton, ed altri con Eric, troviamo  tre brani con Jeff I’m Not Talking, I Ain’t Done Wrong e My Girl Sloopy, e nella versione potenziata del CD lo splendido singolo Heart Full Of Soul, dove si sente lo zampino del nostro con influenze raga, l’uso del sitar e una melodia vincente.

Nel Febbraio del 1966 partecipano anche al Festival di Sanremo, con Paff Bum e Questa Volta, e Mike Bongiorno li presenta come “Gallinacci”! Nel frattempo, a novembre 1965, era uscito Having A Rave Up, che nel LP originale aveva una seconda facciata Live con Clapton, ma nella prima si trovava la citata Heart Full Of Soul, oltre a fantastiche versione di Still I’m Sad, I’m A Man e The Train Kept-A-Rollin’, dove Beck comincia ad impazzare alla grande. Tra le bonus del CD un’altra canzone fenomenale come Shapes Of Things. Roger The Engineer, oppure semplicemente The Yardbirds in UK, è il primo (e ultimo) album compiuto con Beck, oltre ad un altro singolo incredibile come Over Under Sideways Down, contiene una serie di brani da album dove si apprezza la tecnica già unica sviluppata da Jeff, Lost Woman, The Nazz Are Blue, Jeff’s Boogie, Hot House of Omagararshid, durano tutte intorno ai tre minuti, ma gli assoli di Beck sono già da antologia della chitarra.

yardbirds live at the bbc

Alla fine di agosto entra nella band come bassista Jimmy Page(ma in Happenings Ten Years Time Ago c’è John Paul Jones al basso), mentre Psycho Daisies è uno strano garage-psych-punk con Beck in una rara esibizione come cantante e Page al basso,  l’unica canzone con doppia solista è Stroll On, il brano per la colonna sonora di Blow-Up di Antonioni. Poi se volete integrare la discografia degli Yardbirds si trova anche un ottimo doppio Live At The BBC. Nel frattempo, Beck e Page avevano registrato Beck’s Bolero a maggio 1966, con John Paul Jones al basso e Keith Moon alla batteria, più Nicky Hopkins al piano, che esce nella primavera del 1967 e già avrebbe potuto essere un anticipo dei Led Zeppelin o del Jeff Beck Group, ma sarà invece l’inizio dei dissapori tra i due, su chi ha inventato la formula del power trio più cantante (visto che nel frattempo già erano entrati in azione Cream e Jimi Hendrix Experience) e pianista, nel caso di Beck.

Fine prima parte, segue.

Bruno Conti

Con La “Sua” Band O Da Solo, E’ Sempre Grande Musica Dal Passato! The Who – Live At The Fillmore East 1968/Pete Townshend – Who Came First Expanded

who live at the fillmore east 1968

The Who – Live At The Fillmore East 1968 – Polydor/Universal 2CD

Pete Townshend – Who Came First: Expanded Edition – Eel Pie/Universal 2CD

Oggi vi parlo di due uscite recenti, entrambe decisamente interessanti ed aventi come comune denominatore la figura di Pete Townshend, in un caso come leader della sua storica band e nell’altro come solista. Che il mercato sia abbastanza saturo di album dal vivo degli Who è cosa nota, ed io stesso in questo blog mi sono occupato più di una volta di dischi registrati on stage dal famoso gruppo britannico, ma l’ultima uscita in ordine di tempo è un caso diverso, in quanto prende in esame per la prima volta in via ufficiale un concerto degli anni sessanta. I vari live del gruppo guidato da Townshend con Roger Daltrey, John Entwistle e Keith Moon (parlando del nucleo storico, il bassista e soprattutto il batterista ci hanno lasciato da tempo) sono infatti tratti da show dagli anni ottanta in poi, con le importanti eccezioni del leggendario Live At Leeds del 1970 e dello spettacolo all’isola di Wight dello stesso anno. Live At The Fillmore East 1968 invece si occupa di un concerto tenutosi nel famoso locale di proprietà di Bill Graham a New York nell’anno indicato nel titolo, con i nostri nella loro versione pre-Tommy, quindi molto più diretti e rock’n’roll che in seguito.

Il doppio CD è comunque estremamente riuscito, in quanto i nostri erano già una macchina da guerra, ed anzi questa registrazione li cattura nella loro veste più cruda e diretta, quasi fossero una sfrontata punk band ante-litteram: Townshend è un macinatore instancabile di riff, Daltrey non è ancora al massimo della sua potenza vocale (che raggiungerà da lì a breve) ma poco ci manca, e la sezione ritmica all’epoca era una delle più potenti insieme a quelle della Jimi Hendrix Experience e dei Cream. Un live esplosivo quindi, con una scaletta che presenta anche brani che difficilmente ritroveremo in dischi dal vivo futuri, il tutto inciso in maniera eccellente: qualche classico ovviamente c’è, come I Can’t Explain, la trascinante Happy Jack, la splendida I’m A Boy e Boris The Spider (quest’ultima di Entwistle). Ci sono diverse covers, tra cui ben tre di Eddie Cochran (l’apertura granitica di Summertime Blues, la meno nota My Way ed una breve e ficcante C’mon Everybody), la Fortune Teller di Allen Toussaint trasformata in un pezzo dal sapore quasi beat, e soprattutto una spettacolare Shakin’ All Over di Johnny Kidd & The Pirates.

Non manca qualche brano meno conosciuto, come la bella Tattoo, primo tentativo di Townshend di comporre una canzone rock nello stile di Tommy, o la poco nota Little Billy. Ma gli highlights del primo CD sono due notevoli versioni da undici minuti ciascuna della poderosa Relax (con Moon letteralmente scatenato, ma pure gli altri non scherzano) e soprattutto della strepitosa A Quick One, While He’s Away, vera e propria mini-suite rock che parte da una storiella di infedeltà coniugale per deliziarci con continui cambi di ritmo e melodia. Il piatto forte però è nel secondo dischetto, che è occupato interamente da una sola canzone, una incredibile My Generation di ben 33 minuti, un tour de force devastante che se fosse uscito all’epoca avrebbe fatto probabilmente passare questo disco alla storia, invece che limitarsi alla cronaca odierna.

pete townshend who came deluxe

Who Came First è invece il primo album da solista di Pete Townshend (e per il sottoscritto è anche il migliore), il cui titolo è una sorta di gioco di parole che coinvolge il nome della sua band principale, ma anche la prima parte del famoso detto “Chi è venuto prima? L’uovo o la gallina?” (ed infatti la copertina ritrae Pete in piedi su una moltitudine di uova). L’album uscì in origine nel 1972 (quindi gli anni non sono 45 come scritto sulla copertina di questa edizione deluxe, ma 46), in un periodo in cui Pete era decisamente ispirato e prolifico: l’influenza principale dell’album, non musicale ma a livello di testi, era certamente quella di Meher Baba, un guru indiano molto popolare all’epoca (era da poco scomparso, nel 1969), la cui figura fu di grande impatto per il nostro, e lo si capisce anche dal fatto che la sua immagine è un po’ dappertutto nelle foto sia dell’LP originale, sia nel booklet di questa ristampa (Baba O’Riley, per chi scrive la seconda più grande canzone rock di tutti i tempi dopo Stairway To Heaven, è il più celebre tra i brani dedicati al santone). Who Came First è composto da canzoni di provenienza varia: alcuni pezzi erano stati usati per due album registrati da Pete in forma privata come omaggio a Baba, altri sono riadattamenti dal famoso progetto abortito di Lifehouse (del quale aveva già utilizzato alcune cose per lo splendido Who’s Next dell’anno prima), due sono cover ed il resto brani scritti per l’occasione. Questo disco vede Pete suonare tutti gli strumenti in prima persona, tranne un paio di casi che vedremo, ed ancora oggi risulta un lavoro fresco, accattivante e con il tocco geniale tipico del suo autore, che è anche in possesso di una buona voce pur non potendo competere con Daltrey.

L’album parte con la splendida Pure And Easy, un pop-rock scintillante che avrebbe potuto anche diventare un classico per gli Who, seguita da una dylaniana (stile periodo acustico) Evoution, di e con Ronnie Lane e dalla solare Forever’s No Time At All (con l’aiuto di Billy Nicholls e Caleb Quaye), rock song diretta e gradevole con ottime parti di chitarra. Let’s See Action esiste anche nella versione degli Who, e rimane una bella canzone, la folkeggiante Time Is Passing è deliziosa, come anche la cover del classico country di Jim Reeves There’s A Heartache Following Me, una delle canzoni preferite da Baba. Chiudono l’album originale (che occupa il primo CD di questa ristampa) la bucolica Sheraton Gibson, la lenta e pianistica Content e la magnifica Parvardigar, ispirata alla Preghiera Universale di Baba. Questa nuova edizione, uscita in un elegante long box con liner notes scritte ex novo da Pete (che è sempre ironico e mai banale), presenta un interessante secondo CD con 17 pezzi, non tutti inediti in quanto alcuni erano già usciti sulla ristampa del 2006. Ci sono le versioni soliste di altri tre brani poi entrati nel repertorio degli Who, come The Seeker, Drowned e soprattutto una strabiliante Baba O’Riley solo strumentale di quasi dieci minuti. Ci sono poi canzoni accennate, demo, bozzetti ed idee varie, che hanno comunque l’imprimatur del nostro (His Hands, Sleeping Dog, Mary Jane, Meher Baba In Italy), o veri e propri brani fatti e finiti, alcuni dei quali molto belli e che avrebbero potuto essere anche sul disco originale, come I Always Say, The Love Man (splendida), la vibrante There’s A Fortune In Those Hills ed una strepitosa Evolution dal vivo al Ronnie Lane Memorial, full band ed in versione folk-rock, ancora meglio di quella pubblicata, che quasi vale da sola l’acquisto del box.

Due ottimi prodotti dunque, entrambi oserei dire imperdibili, soprattutto se di Who Came First non possedete la ristampa del 2006.

Marco Verdi

Uscite Prossime Venture 9. Who, Si Riaprono Gli Archivi -Live at The Fillmore East: Saturday April 6, 1968

who live at the fillmore east 1968

The Who – Live at The Fillmore East: Saturday April 6, 1968 – 2 CD UMC/Universal 20-04-2018

Da anni si parlava della possibilità che prima o poi uscissero dagli archivi degli Who alcune delle registrazioni effettuate nei primi anni della band, nel periodo antecedente a Tommy (pare esistano altri due concerti  del periodo registrati a livello professionale, che prima o poi potrebbero uscire): in questo caso siamo di fronte alle registrazioni dei concerti tenuti al Fillmore East di New York nei primi giorni di apertura del locale, il 5 e 6 aprile del 1968, esattamente 50 anni fa. Anzi si tratta della registrazione completa del concerto del 6 aprile 1968, rimasterizzato da Bob Pridden, che era l’ingegnere del suono del gruppo e che era presente all’epoca. Come è noto il concerto verrà presentato in doppio CD o triplo LP, e contiene nel secondo CD una versione monstre di My Generation di oltre 33 minuti e darà l’occasione di ascoltare Roger Daltrey, Pete Townshend, John Entwistle Keith Moon in uno dei periodi più fecondi della loro attività legata al rock più vero e primigenio. Nell’attesa ecco la tracklist completa del doppio CD

[CD1]
1. Summertime Blues
2. Fortune Teller
3. Tattoo
4. Little Billy
5. I Can’t Explain
6. Happy Jack
7. Relax

[CD2]
1. I’m A Boy
2. A Quick One
3. My Way
4. C’mon Everybody
5. Shakin’ All Over
6. Boris The Spider
7. My Generation

E da anni circolava una versione bootleg, incompleta, ma presa dall’acetato originale del concerto, che potete vedere qui sopra, in attesa di poter ascoltare la versione completa ufficiale che uscirà il 20 aprile.

Bruno Conti

Toh, Un Live Degli Who…Però Questo E’ Formidabile E Per Una Causa Nobile! The Who – Tommy Live At The Royal Albert Hall

who tommy live royal albert hall 2017 2 cd

The Who – Tommy Live At The Royal Albert Hall – Eagle Rock/Universal 2CD – 3LP – DVD – Blu-Ray 

A parte i Grateful Dead che da anni fanno corsa a sé, credo che gli Who siano tra le pochissime band più o meno in attività ad aver pubblicato più dischi dal vivo che in studio: non molto tempo fa mi sono occupato del loro concerto alla Isle Of Wight del 2004, uscito pochi mesi orsono http://discoclub.myblog.it/2017/06/18/non-mancano-i-dischi-dal-vivo-ne-degli-uni-ne-dellaltro-ma-questi-due-sono-bellissimi-the-who-live-at-the-isle-of-wight-2004-festivalpaul-simon-the-concert-in-hyde-park/ . Neppure l’idea di riproporre quello che all’unanimità è considerato il loro capolavoro, cioè l’opera rock Tommy, è una novità, e tra i molti album live della band troviamo in parecchie occasioni le riletture quasi complete di quello storico disco. Ho detto quasi perché in effetti delle 24 tracce totali, on stage il gruppo inglese ne ha suonate sempre qualcuna in meno, arrivando al massimo a riproporne 21. Quando ho visto che i nostri avrebbero fatto uscire (in diversi formati audio e video) una nuova versione di Tommy, registrata nell’Aprile di quest’anno alla Royal Albert Hall di Londra (comunque legata ad una causa nobile, nell’ambito del Teenage Cancer Trust, per la benemerita organizzazione che raccoglie fondi per gli adolescenti malati di tumore, della quale Daltrey è il testimonial da 17 anni, e il cui concerto era il 100° della serie), non mi sono entusiasmato più di tanto, nonostante sulla copertina venisse orgogliosamente rivendicato il fatto che il famoso album del 1969 era stato eseguito interamente per la prima volta.

Una volta inserito il primo dei due CD nel lettore, e dopo aver ascoltato pochi minuti, mi sono ricreduto sulla bontà dell’operazione, in quanto la band guidata da Roger Daltrey e Pete Townshend quella sera ha suonato in maniera strepitosa, come da tempo non la sentivo fare. Tommy è stato rifatto da cima a fondo con un’intensità ed una potenza formidabili, una cosa quasi incredibile visto l’età non proprio verdissima di chi stava sul palco: Daltrey ha ancora una voce della Madonna (e non ha mai un calo), Townshend macina riff come ai bei tempi, e la band di sostegno è ormai una macchina da guerra oliata alla perfezione, con una menzione particolare per il batterista Zak Starkey, figlio di Ringo ma nettamente meglio del padre ai tamburi, che per l’occasione è un fiume in piena, picchia come un fabbro ma con una tecnica incredibile, avvicinandosi di molto al fantasma di Keith Moon. Le canzoni, poi, le conosciamo tutti, sono dei capolavori assoluti, ed in quella serata di grazia ricevono un trattamento davvero sontuoso, che non fa quasi rimpiangere (la sto per sparare grossa, e comunque ho detto quasi) lo storico Live At Leeds. Come ulteriore ciliegina abbiamo il suono, davvero spettacolare, al punto che se chiudete gli occhi vi sembrerà di averli nel salotto di casa vostra. Tommy occupa per intero il primo CD, che parte ovviamente con la maestosa Overture, potente e rocciosa come raramente mi è capitato di sentire, e poi troviamo una Amazing Journey da favola, di una forza che le rock band odierne si sognano, fusa insieme ad una delle migliori Sparks di sempre (ma sentite Ringo Jr., un cataclisma), una versione al fulmicotone di Eyesight To The Blind, la relativamente poco nota Christmas, che si dimostra uno splendido concentrato di potenza e melodia, ed una fluida e perfetta Sensation.

Il gruppo è in palla anche nei brevissimi frammenti di raccordo tra i vari brani (It’s A Boy, Do You Think It’s Alright?, There’s A Doctor, Miracle Cure), così come nei pezzi che di solito venivano “tagliati” dalle precedenti versioni live: l’incalzante Cousin Kevin, il vibrante strumentale Underture (qui molto più breve che sul disco originale) e la bella Welcome, una rock ballad coi fiocchi. E naturalmente non mancano i pezzi più noti della rock opera, suonati come se non ci fosse un domani: The Acid Queen, Pinball Wizard, Go To The Mirror!, I’m Free ed il medley finale We’re Not Gonna Take It/See Me, Feel Me. Il secondo dischetto, solo sette canzoni, offre una ridotta selezione di classici che gli Who hanno suonato per concludere la serata, iniziando con due roboanti I Can’t Explain e I Can See For Miles, rock’n’roll all’ennesima potenza, inframmezzate da una fantastica rilettura di Join Together. Who Are You non mi ha mai fatto impazzire (era meglio fare Behind Blue Eyes), Quadrophenia è rappresentata a dovere da Love Reign O’er Me, mentre il gran finale è appannaggio dell’inarrivabile Baba O’Riley e da una potentissima Won’t Get Fooled Again, con la voce di Daltrey che tiene alla grande. Non voglio esagerare, ma questo per me è il disco live dell’anno, ed uno dei migliori in assoluto per gli Who.

Marco Verdi

Dal Nostro Corrispondente…Al Cinema. Uno Spettacolo!!! Led Zeppelin – Celebration Day

*NDB. Come in tutti gli articoli che si rispettino, prima di lasciare la parola a Marco, un breve “cappello”, una sorta di di esortazione, ma direi meglio, una implorazione di un fan…

 led zeppelin celebration day dvd.jpgled zeppelin celebration day cd.jpg

 

 

 

 

 

Led Zeppelin – Celebration Day – Atlantic – Vari Formati*

Circa una decina di giorni fa ho definito in questo blog il nuovo Live In New York City di Paul Simon il disco live dell’anno, ma d’altro canto non posso non affermare che questo Celebration Day dei Led Zeppelin può diventare tranquillamente il live del secolo: sicuramente per quanto riguarda i dodici anni trascorsi dal duemila ad oggi, ma si difende molto bene anche se messo in relazione con cose uscite nel millennio precedente.

Come ormai tutti saprete Celebration Day documenta il famoso concerto di reunion degli Zeppelin che si è tenuto cinque anni fa alla 02 Arena di Londra, in commemorazione dello scomparso Ahmet Ertegun, leggendario fondatore della Atlantic Records e formidabile talent scout (oltre agli Zep, scoprì gente del calibro dei Drifters, Ray Charles, Aretha Franklin, gli Yes, oltre a credere fermamente per primo nel talento dei Rolling Stones, quindi non stiamo parlando di Jovanotti o Laura Pausini), morto nel Dicembre del 2006 all’età di 83 anni, per una banale caduta proprio ad un concerto degli Stones: una serata che definire storica è forse riduttivo (ben sapendo di usare un aggettivo ormai inflazionato), dal momento che, da dopo la tragica morte di John Bonham, i tre Zeppelin superstiti non si erano mai riuniti, se non per un breve e non eclatante set durante il Live Aid del 1985 (ed i soli Page e Plant sporadicamente negli anni ’90).

Il 20 Novembre (in Italia e nel resto del mondo) uscirà dunque questo concerto in un profluvio di formati, come potete vedere qua sotto

*  Standard Editions – 1-DVD/2-CD set and 1-Blu-ray/2-CD set

Deluxe Editions – 2-DVD/2-CD set and 1-Blu-ray/1-DVD/2-CD set featuring exclusive bonus video content including the Shepperton rehearsals, and BBC news footage.
Music Only CD Edition – 2-CD set
Music Only Blu-ray Audio Edition – Blu-ray Audio release featuring high-resolution 48K 24 bit PCM stereo and DTS-HD Master Audio 5.1 surround sound audio only, no video
Vinyl Edition – 3 LPs, 180-gram, audiophile quality vinyl (Available December 11)
Digital Edition – Audio will be available at all digital retail outlets

Ma io ho l’opportunità di parlarne in anteprima, dal momento che sono riuscito a vederlo al cinema il 17 Ottobre, unica data in cui è stato proiettato in selezionate sale italiane.

La prima (piacevole) sorpresa è proprio la sala: praticamente piena, non ho visto così tanta gente neppure alla proiezione dell’ultimo Batman, ed il fermento pochi minuti prima dell’inizio è simile a quello di un vero concerto. Il film non è un documentario, ma la rappresentazione nuda e cruda di quello che è avvenuto in quella serata londinese: quindi il concerto puro, senza interviste o backstage.

I nostri proporranno una scaletta di sedici brani (con qualche sorpresa), scelti un po’ da tutti i loro dischi, tranne il postumo Coda e il poco amato In Through The Out Door, con una predilezione chiaramente per il loro quarto album senza titolo e per Physical Graffiti, ma con stranamente un solo pezzo da III, e niente Celebration Day, che pure dà il titolo al progetto. La cosa che però più importa è che è un concerto straordinario, con i quattro (i tre superstiti più il figlio di Bonham, Jason, grande batterista, anche nei Black Country Communion) in forma strepitosa, una regia (Dick Carruthers) molto classica, ma dinamica e con un grande senso dello spettacolo, una definizione di immagine super ed un audio insuperabile.

Come già detto, i quattro (tre) Zeppelin sono in serata di grazia: Jason Bonham, calvo e muscoloso come si conviene ad un batterista, ha una forza ed una tecnica spaventose, e non è molto distante dal padre, o da grandi delle pelli come Keith Moon e Ian Paice; John Paul Jones, magro come un chiodo, è il prototipo del perfetto bassista: misurato, preciso, puntuale (ma si difende alla grande anche all’organo e tastiere varie); Robert Plant, con i famosi riccioli d’oro e pizzetto d’ordinanza, tira fuori il meglio dalla sua ugola, confermandosi come una delle voci più belle della storia del rock, con sfumature che vanno dall’aggressivo al sexy (ultimamente sapevo di qualche colpo a vuoto da parte sua, ma stasera non ne sbaglia una); Jimmy Page, ovvero quello dei quattro sul quale c’erano più dubbi (è arrugginito, ha l’artrite alle mani, ecc.) si dimostra per quello che è, cioè il più grande chitarrista di tutti i tempi dopo Jimi Hendrix (e appena prima di Stevie Ray Vaughan, almeno per me, ma tutti fanno le classifiche dei chitarristi e quindi perché non io?), che viaggia tra lo strepitoso ed il mostruoso, e solo la zazzera completamente bianca (e un po’ di pancetta) mostrano i segni del tempo.

Il concerto si apre così come il loro primo album, cioè con Good Times, Bad Times: bella versione, sufficientemente tirata, anche se danno ancora l’impressione di essere in rodaggio, così come nella seguente Ramble On (anche se Page e Bonham iniziano a tirare fuori le unghie).

La famosa Black Dog funge da spartiacque tra l’inizio relativamente “tranquillo” ed il seguito del concerto: il traditional In My Time Of Dying (era su Physical Graffiti) fa partire la serata come un treno in corsa, una versione semplicemente da urlo, con Plant che si lavora la folla da marpione qual è, e gli altri tre che imbastiscono la prima jam session della serata.

La cosa incredibile è che il pubblico in sala (non a Londra, ma qui al cinema), si agita, batte le mani ed esulta come ad un vero concerto: le uniche due volte che ho visto il pubblico applaudire al cinema è stato durante Rocky IV, quando Stallone caricava di botte Ivan Drago, e, a New York, in Air Force One, quando il presidente/Harrison Ford butta giù dall’aereo il terrorista/Gary Oldman al grido “Get out of my plane!”.

For Your Life è proposta dal vivo per la prima volta in assoluto (era su Presence, forse il loro disco più sottovalutato) e non è affatto male, anche se con Trampled Under Foot (che Plant introduce come la loro versione di Terraplane Blues di Robert Johnson) siamo su un altro pianeta: Jones si sposta alle tastiere, mentre Page fa i numeri con la sua sei corde (come in tutti i brani d’altronde).

Nobody’s Fault But Mine chiude in maniera sontuosa la parte blues del concerto, con Plant che si cimenta in un riuscito assolo di armonica; la tetra No Quarter vede Page suonare la chitarra con l’archetto, con il quale tira fuori sonorità spaziali, per l’entusiasmo del pubblico, mentre Dazed And Confused non ha bisogno di presentazioni (Plant canta come se fosse l’ultima cosa che fa nella vita).

Stairway To Heaven arriva un po’ a sorpresa, dal momento che Plant non ha mai amato molto farla, ma stasera la canta in omaggio ad Ertegun: versione definitiva di quella che per me è la più bella canzone rock di tutti i tempi, ed il celebre finale con il botta e risposta tra l’ugola di Plant ed i riffs di Page è quasi meglio che sul disco originale.

The Song Remains The Same non è mai stata fra le mie favorite, ma stasera mi piace anche lei; Misty Mountain Hop, potente, fragorosa, vede Plant duettare alla voce con Bonham, mentre Kashmir viene accolta da un vero boato (anche al cinema).

Il brano di punta di Physical Graffiti è proposto in una versione da sballo, con Plant che canta come quando era un ragazzo, per poi osservare compiaciuto gli altri tre che si lanciano in una jam pazzesca: Page suona come un dio, Jones non sbaglia un colpo, e Bonham ci mostra la differenza tra picchiare sui tamburi e suonare la batteria.

I due bis finali, Whole Lotta Love e Rock’n’Roll sono una scelta prevedibile finché volete, ma quando ci troviamo di fronte alla storia del rock dobbiamo solo stare zitti ed ascoltare: degno finale di una serata magnifica.

Peccato solo che non abbiano voluto omaggiare anche il loro lato folk: una a scelta (o anche tutte e tre) tra Going To California, The Battle Of Evermore e Gallows Pole ci sarebbe stata proprio bene.

Bene hanno fatto, alla conferenza stampa di presentazione del film poche settimane fa, ad insistere sul fatto che non ci saranno altre reunion: questo è il finale perfetto di un romanzo splendido, una doverosa postfazione ad una storia che si era conclusa tragicamente con la morte di uno dei componenti del gruppo.

All’uscita del cinema sono tutti in estasi, mancano solo i venditori di magliette ed i chioschi che vendono panini con salamella.

Se questo doppio CD non va in testa a tutte le classifiche del mondo i casi sono due: o gli acquirenti di musica si sono bevuti il cervello, o me lo sono bevuto io.

Marco Verdi

Eccolo Di Nuovo…A Fine Mese Ritorna! Black Country Communion – Afterglow

black country communion afterglow.jpg

 

 

 

 

 

 

Black Country Communion – Afterglow –  Mascot/Provogue CD/DVD 30-10-2012

Nella musica di Joe Bonamassa hanno sempre convissuto due anime, quella del Bluesman e quella del Rocker, con ampie convergenze tra i due stili che erano sempre presenti in contemporanea nel sound del musicista newyorkese, basta sentire quello splendido DVD (ora anche doppio CD) che è il Live At Beacon Theatre per rendersene conto. Ad un certo punto, anche a causa della sua prolificità quasi compulsiva Joe ha voluto, in un certo senso, scinderle e sono nati i Black Country Communion, una sorta di supergruppo, dove c’è un partner alla pari come Glenn Hughes, che scrive quasi tutti i brani ed è la voce principale e due “soci minoritari”, ma non troppo, come il batterista Jason Bonham e il tastierista Derek Sherinian. Lo stile, inevitabilmente, è una sorta di hard rock anni ’70, in bilico tra rock duro e progressive, tra Led Zeppelin e Deep Purple, con un occhio al rock anni ’80 di Van Halen e altri.

Ora, all’uscita di questo Afterglow, si racconta di attriti tra Hughes e Bonamassa, che è accusato di non contribuire più nuovo materiale al gruppo, e anche causati dalla personalità dell’ex Trapeze e Deep Purple, che pubblicava già dischi quando Joe forse non era ancora una idea nella testa dei suoi genitori. Quindi questo potrebbe essere “il canto del cigno” della band, anche se ascoltandolo non si direbbe, sarà hard rock, sarà scontato, ma loro sono veramente bravi, Joe Bonamassa (come ho detto miriadi di volte) è il chitarrista rock (e blues) più completo della sua generazione, Glenn Hughes ha ancora una voce potente e perfetta per il genere, ricca anche di inflessioni più gentili e percorsa da un amore per il soul, oltre ad essere un ottimo bassista, Jason Bonham ormai ha quasi raggiunto il livello del babbo (come avremo modo di apprezzare nella reunion degli Zeppelin) e l’ex Dream Theater, Derek Sherinian, è un tastierista dalla ricca inventiva.

Tra l’altro, l’ottima produzione di Kevin Shirley mette sempre in evidenza i pregi di tutti i musicisti, cogliendo tutti i particolari, con una nitidezza che va a cercare anche i passaggi acustici della chitarra acustica di Bonamassa o le rullate di Bonham che non hanno nulla da invidiare a quelle del vecchio “Bonzo” o di Keith Moon. L’abbrivio del brano di apertura Big Train, con i riff della chitarra di Bonamassa a duettare con le poderose rullate di Bonham e la voce grintosa di Hughes potrebbe essere un brano degli Zeppelin o dei Purple, ma con la chitarra di Joe dal suono inconfondibile e passaggi più prog e ricercati dove la musica si fa più riflessiva. This Is Your Time, anche per la forte presenza dell’organo di Sherinian e per il cantato enfatico di Hughes sembra un episodio minore dei Deep Purple metà anni ’70, con un formidabile assolo di Bonamassa nella parte centrale. Anche Midnight Sun ci riporta ad illustri progenitori di quell’epoca, i riff di organo ricordano quelli di Won’t Get Fooled Again e la batteria di Bonham non fa rimpiangere le esplosioni parossistiche del citato Moon, mentre Bonamassa ci regala un assolo ficcante alla Jimmy Page prima di una progressione finale nuovamente in puro stile Who. Confessor è una ulteriore variazione sul tema hard classico. con tanto di coretti ricchi di eco e ritmi scanditi da tutta la band.

Cry Freedom, cantata a due voci da Hughes e Bonamassa, sembra un brano dei Bad Company, un bel rock-blues con la slide di Joe a dettare i tempi. La title-track, con le sue atmosfere lente e solenni, ricche però anche di passaggi acustici, ci permette di gustare la bella voce di Hughes e le improvvise accelerazioni hard della musica, in quel clima che potrebbe ricordare i Led Zeppelin di Houses Of The Holy, forse per la presenza molto forte delle tastiere. Dandelion è di nuovo boogie blues rock, con qualche venatura acustica e un ritornello ricorrente, prima dell’assolo di Bonamassa che non si risparmia. The Circle è nuovamente più vicina allo spirito del rock progressivo, inizio sognante con la chitarra arpeggiata e l’organo, sullo sfondo della voce di Hughes che si apre nella sua gamma più alta e poi torna di nuovo calma in un’alternanza di atmosfere, prima dell’assolo in crescendo di Joe. Qualcuno ha creduto di rilevare delle sonorità alla Rush nella intricata Common Man che mi sembra un episodio minore del CD. The Giver, sempre con l’organo di Sherinian molto presente è forse quella che più ricorda i Deep Purple nella versione Mark III, quella di Hughes. Crawl, nuovamente Zeppeliniana, è ancora un festival del riff tipico della band di Page. Niente di nuovo, ma solo del sano buon vecchio rock, suonato come Dio comanda, vedremo se sarà il loro ultimo capitolo. Nella prima tiratura c’è anche un DVD con il making of e quattro video delle canzoni. Quanto dovremo attendere per un nuovo disco di Bonamassa?

Bruno Conti        

Brutte Figure E Altro! Beatles E Who

beatles love me do.jpgwho live at hull.jpgwho live at leeds.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Come certo saprete (l’ho anche segnalato sul Blog) il 5 ottobre si festeggiava il 50° anniversario dell’uscita del 1° singolo dei Beatles, Love Me Do. Per l’occasione la EMI aveva annunciato la pubblicazione di un vinile limitato commemorativo. Ma…come avrete notato cercandolo, se ne sono perse le tracce. E’ successo che il giorno prima della uscita la casa ha ritirato tutte le copie del 45 giri definendole “fallate”. Secondo alcuni non si tratta di un problema tecnico ma pare che sia stata scelta e stampata la versione sbagliata. Ovvero, ai tempi della registrazione George Martin, non soddisfatto della parte di batteria di Ringo Starr nella canzone, chiamò Andy White per registrare di nuovo la pista della batteria nel brano, versione che uscì poi nel singolo originale, mentre nell’album Please Please Me venne riutillizzata la parte di Ringo. Non so quale delle due versioni la Parlophone/EMI avesse intenzione di fare uscire ma sembra che sia uscita quella “sbagliata”. Non è ancora chiaro se ne verranno stampate altre copie per una nuova data di fine mese o se verrà cancellato. Mi sembra che le celebrazioni del cinquantenario partano alla grande. Speriamo in meglio per le edizioni varie di Magical Mystery Tour in uscita la settimana prossima.

A proposito di brutte figure. Un paio di anni, a novembre del 2010, la Universal ha pubblicato una 40th Anniversary Special Edition degli Who Live At Leeds lussuosissima, che è quella che vedete effigiata qui sopra. E che è andata esaurita quasi subito, con grande dispiacere di molti. Il punto di forza di quella versione era la presenza del famoso concerto di Hull registrato il giorno successivo di quello di Leeds, il 15 febbraio del 1970. La domanda era: ma uscirà mai una edizione separata di quel concerto per chi non si vuole ricomprare per l’ennesima volta il Live At Leeds? E la risposta fu, ma quando mai!

E infatti il 20 novembre p.v. la Universal pubblicherà il doppio CD di Live At Hull, in tutto il suo splendore. Una serata che rivaleggia con quella di Leeds nel presentare gli Who all’apice della loro forza. Dovrebbe anche costare come un singolo CD o poco più. Mai credere, se possibile, alle case discografiche!

Bruno Conti

who live in texas '75.jpg

 

 

 

 

 

 

P.s. Martedì prossimo anche il DVD di Live In Texas ’75 degli Who, annunciato qualche tempo orsono. Da vedere, alla faccia di chi diceva che il gruppo era “cotto” a quei tempi. Una delle ultime apparizioni ufficiali di Keith Moon