Toh, Un Live Degli Who…Però Questo E’ Formidabile E Per Una Causa Nobile! The Who – Tommy Live At The Royal Albert Hall

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The Who – Tommy Live At The Royal Albert Hall – Eagle Rock/Universal 2CD – 3LP – DVD – Blu-Ray 

A parte i Grateful Dead che da anni fanno corsa a sé, credo che gli Who siano tra le pochissime band più o meno in attività ad aver pubblicato più dischi dal vivo che in studio: non molto tempo fa mi sono occupato del loro concerto alla Isle Of Wight del 2004, uscito pochi mesi orsono http://discoclub.myblog.it/2017/06/18/non-mancano-i-dischi-dal-vivo-ne-degli-uni-ne-dellaltro-ma-questi-due-sono-bellissimi-the-who-live-at-the-isle-of-wight-2004-festivalpaul-simon-the-concert-in-hyde-park/ . Neppure l’idea di riproporre quello che all’unanimità è considerato il loro capolavoro, cioè l’opera rock Tommy, è una novità, e tra i molti album live della band troviamo in parecchie occasioni le riletture quasi complete di quello storico disco. Ho detto quasi perché in effetti delle 24 tracce totali, on stage il gruppo inglese ne ha suonate sempre qualcuna in meno, arrivando al massimo a riproporne 21. Quando ho visto che i nostri avrebbero fatto uscire (in diversi formati audio e video) una nuova versione di Tommy, registrata nell’Aprile di quest’anno alla Royal Albert Hall di Londra (comunque legata ad una causa nobile, nell’ambito del Teenage Cancer Trust, per la benemerita organizzazione che raccoglie fondi per gli adolescenti malati di tumore, della quale Daltrey è il testimonial da 17 anni, e il cui concerto era il 100° della serie), non mi sono entusiasmato più di tanto, nonostante sulla copertina venisse orgogliosamente rivendicato il fatto che il famoso album del 1969 era stato eseguito interamente per la prima volta.

Una volta inserito il primo dei due CD nel lettore, e dopo aver ascoltato pochi minuti, mi sono ricreduto sulla bontà dell’operazione, in quanto la band guidata da Roger Daltrey e Pete Townshend quella sera ha suonato in maniera strepitosa, come da tempo non la sentivo fare. Tommy è stato rifatto da cima a fondo con un’intensità ed una potenza formidabili, una cosa quasi incredibile visto l’età non proprio verdissima di chi stava sul palco: Daltrey ha ancora una voce della Madonna (e non ha mai un calo), Townshend macina riff come ai bei tempi, e la band di sostegno è ormai una macchina da guerra oliata alla perfezione, con una menzione particolare per il batterista Zak Starkey, figlio di Ringo ma nettamente meglio del padre ai tamburi, che per l’occasione è un fiume in piena, picchia come un fabbro ma con una tecnica incredibile, avvicinandosi di molto al fantasma di Keith Moon. Le canzoni, poi, le conosciamo tutti, sono dei capolavori assoluti, ed in quella serata di grazia ricevono un trattamento davvero sontuoso, che non fa quasi rimpiangere (la sto per sparare grossa, e comunque ho detto quasi) lo storico Live At Leeds. Come ulteriore ciliegina abbiamo il suono, davvero spettacolare, al punto che se chiudete gli occhi vi sembrerà di averli nel salotto di casa vostra. Tommy occupa per intero il primo CD, che parte ovviamente con la maestosa Overture, potente e rocciosa come raramente mi è capitato di sentire, e poi troviamo una Amazing Journey da favola, di una forza che le rock band odierne si sognano, fusa insieme ad una delle migliori Sparks di sempre (ma sentite Ringo Jr., un cataclisma), una versione al fulmicotone di Eyesight To The Blind, la relativamente poco nota Christmas, che si dimostra uno splendido concentrato di potenza e melodia, ed una fluida e perfetta Sensation.

Il gruppo è in palla anche nei brevissimi frammenti di raccordo tra i vari brani (It’s A Boy, Do You Think It’s Alright?, There’s A Doctor, Miracle Cure), così come nei pezzi che di solito venivano “tagliati” dalle precedenti versioni live: l’incalzante Cousin Kevin, il vibrante strumentale Underture (qui molto più breve che sul disco originale) e la bella Welcome, una rock ballad coi fiocchi. E naturalmente non mancano i pezzi più noti della rock opera, suonati come se non ci fosse un domani: The Acid Queen, Pinball Wizard, Go To The Mirror!, I’m Free ed il medley finale We’re Not Gonna Take It/See Me, Feel Me. Il secondo dischetto, solo sette canzoni, offre una ridotta selezione di classici che gli Who hanno suonato per concludere la serata, iniziando con due roboanti I Can’t Explain e I Can See For Miles, rock’n’roll all’ennesima potenza, inframmezzate da una fantastica rilettura di Join Together. Who Are You non mi ha mai fatto impazzire (era meglio fare Behind Blue Eyes), Quadrophenia è rappresentata a dovere da Love Reign O’er Me, mentre il gran finale è appannaggio dell’inarrivabile Baba O’Riley e da una potentissima Won’t Get Fooled Again, con la voce di Daltrey che tiene alla grande. Non voglio esagerare, ma questo per me è il disco live dell’anno, ed uno dei migliori in assoluto per gli Who.

Marco Verdi

Speriamo Che Ci Ripensi! Eric Clapton – Slowhand At 70: Live At The Royal Albert Hall

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Slowhand At 70: Live At The Royal Albert Hall – Eagle Rock/ 2CD/DVD – 3LP/DVD – DVD – BluRay – Deluxe 2CD/2DVD

Nel corso della sua lunga carriera Eric Clapton non ci ha mai fatto mancare incisioni dal vivo, sotto forma, a seconda dei momenti di LP, CD o DVD, e con almeno due di essi assolutamente imperdibili (l’elettrico Just One Night del 1980, del quale ancora attendo una ristampa come si deve, ed il famoso e pluripremiato Unplugged del 1992) (*NDB E il cofanetto quadruplo Crossroads 2 tutto con materiale dal vivo anni ’70 dove lo mettiamo?), ma questo Slowhand At 70 ha un’importanza particolare, in quanto testimonia il meglio delle serate conclusive (lo scorso mese di Maggio) del suo ultimo tour, in quanto il nostro al compimento dei 70 anni ha deciso di appendere la chitarra al chiodo, almeno come live performer. Non è un caso che questo doppio CD (o DVD/BluRay se vi interessa anche la parte video) sia stato registrato nella splendida cornice della Royal Albert Hall, in quanto il famoso teatro londinese è sempre stato un po’ la sua seconda casa, avendoci suonato la bellezza di 178 volte come solista e 205 se aggiungiamo anche le esibizioni con i vari Yardbirds, Cream, Delaney & Bonnie e partecipazioni varie a spettacoli benefici insieme ad altri artisti. Alcune di queste apparizioni fanno peraltro parte del DVD aggiuntivo della versione Deluxe (comprese alcune con i Cream e, purtroppo, anche una con Zucchero), che per una volta mi sento di consigliare dato il costo stranamente contenuto e la bella confezione a libro con stupende foto in alta definizione.

Ma veniamo al concerto documentato su questo doppio CD, che è manco a dirlo, bellissimo (direbbe il Mollicone nazionale, come lo chiama Bruno *Altro NDB Anche Vince Breadcrump per gli anglofili!)): Clapton sapeva che erano le ultime volte che calcava un palco, e quindi ha dato tutto sé stesso, sia come chitarrista che come cantante, seguito dalla sua abituale band, un combo dal suono assolutamente potente e con una serie di fuoriclasse assoluti al suo interno (il grande Chris Stainton al pianoforte, l’altrettanto bravo Paul Carrack all’organo e voce, la possente sezione ritmica formata da quei due maestri di Nathan East al basso e Steve Gadd alla batteria, oltre alle coriste Michelle John e Sharon White), un gruppo che fornisce l’alveo perfetto per le canzoni del nostro, un suono potente e robusto, dove ovviamente domina la chitarra di Manolenta, ma anche piano ed organo dicono la loro; dulcis in fundo, il disco è registrato in maniera magnifica, l’ho ascoltato a volume adeguato e mi sembrava di avere Eric davanti che suonava per me.

eric clapton live at rah

L’album inizia con un dovuto e sentito omaggio all’amico e fonte d’ispirazione JJ Cale, con una versione robusta della poco nota Somebody’s Knockin’ On My Door, che serve per scaldare l’ambiente a dovere; l’amore principale di Clapton, si sa, è il blues, ed in questo concerto ce n’è parecchio, a partire da una strepitosa Key To The Highway, trascinante come non mai, con il nostro che arrota come sa e la band che lo segue a ruota (e Stainton inizia a fare i numeri sulla tastiera). Tell The Truth è uno dei brani di punta di Layla And Other Assorted Love Songs, e qui la troviamo in una roboante versione che potrei definire quella definitiva, con assolo finale formidabile (altro che mano lenta…); Pretending sul disco Journeyman non mi piaceva molto a causa dei suoi synth e di un suono un po’ gonfio, ma qui gli strumenti sono veri ed il brano aumenta notevolmente il suo appeal, mentre il classico di Willie Dixon (o Muddy Waters) Hoochie Coochie Man è blues deluxe, classe e potenza che si fondono insieme per una rilettura tutta da godere (un plauso anche alle due ottime coriste). You Are So Beautiful è un pezzo di Billy Preston che Eric fa cantare a Carrack, che è bravo ma in un concerto di Clapton io vorrei sentire solo Clapton, ancora di più quando il classico dei Blind Faith Can’t Find My Way Home è ceduto a Nathan East, grande bassista ma come cantante non proprio (ma non si poteva coinvolgere Steve Winwood anche se solo per una canzone?).

Per fortuna Manolenta si riprende la scena con una fluida e possente I Shot The Sheriff: io non amo il reggae, ma se Eric è in serata riuscirebbe a farmi digerire anche l’hip hop, e poi questa volta il classico di Bob Marley ha un arrangiamento decisamente più rock (e che chitarra!); è quindi il momento della parte acustica, con quattro pezzi: due classici blues, Driftin’ Blues e Nobody Knows You When You’re Down And Out, nei quali Eric ci dà un saggio della sua immensa classe (e la seconda è davvero splendida), la sempre toccante Tears In Heaven, dedicata al figlioletto tragicamente scomparso, alla quale uno strano arrangiamento questa volta sì reggae toglie un po’ di pathos, ed una Layla eseguita in puro unplugged style, sempre bella ma per le serate finali di una carriera avrei preferito la versione elettrica. La band riattacca la spina per una vibrante e maestosa Let It Rain, seguita dalla famosissima Wonderful Tonight, una ballad che non ho mai amato moltissimo (e secondo me neppure George Harrison…scusa George per la battuta squallida ma anche tu da lassù so che apprezzi l’ironia), ma non potevo certo pretendere che Eric non la facesse.

Poteva mancare Robert Johnson? Assolutamente no, e quindi ecco una solida Crossroads ed una scintillante Little Queen Of Spades, ancora con un formidabile Stainton; chiude la serata Cocaine (ancora Cale, come all’inizio), una scelta forse scontata ma sempre una grande canzone. L’unico bis, al quale partecipa anche Andy Fairweather-Low, è in tono secondo me minore: non è che High Time We Went di Joe Cocker sia brutta (a proposito, il buon Fornaciari deve aver ascoltato una o due volte questa canzone, per usare un eufemismo, prima di “comporre” la sua Diavolo In Me), ma perché come gran finale avrei preferito ascoltare una White Room o una Sunshine Of Your Love, anche perché, a parte Crossroads che è comunque una cover, i Cream sono stati incredibilmente ignorati. Ma alla fine sono quisquilie: Slowhand At 70 è un signor album dal vivo (se consideriamo il superbox dei Grateful Dead una ristampa potrebbe essere anche il live dell’anno), che mi fa sperare che, come dico nel titolo del post, Eric Clapton ritorni sulle sue decisioni e si faccia ancora vedere su qualche palcoscenico ogni tanto.

Marco Verdi

Ci Sono Anche Storie A Lieto Fine! Walter Trout – Battle Scars

walter trout battle scars

Walter Trout – Battle Scars – Provogue/Mascot

Un anno e qualche mese fa, nella primavera del 2014, concludevo la recensione di quello che avrebbe potuto essere l’ultimo album di Walter Trout The Blues Came Callin’, con un sentito “Forza Walter speriamo che tutto vada bene” http://discoclub.myblog.it/2014/05/19/disco-la-vita-walter-trout-the-blues-came-callin/ . E per una volta tutto è andato bene, alla fine di maggio dello scorso anno Trout ha subito in extremis un trapianto di fegato che gli ha salvato la vita, quando tutto sembrava perduto, grazie all’aiuto disinteressato di Kirby Bryant, la moglie di Danny Bryant, allievo, pupillo ed amico di Walter, che ha coordinato la catena di aiuti finanziari che hanno permesso al chitarrista americano, dopo una lunga convalescenza, di ripresentarsi con questo nuovo album che è una sorta di cronaca buia e dolorosa di quello che è successo, piuttosto che una celebrazione gioiosa per una nuova vita che pare ricominciare a livello musicale, così ha voluto Trout e così è stato.

Il nostro amico si è ripreso, anche se porta le cicatrici della battaglia, le Battle Scars, sul volto e nel fisico, ma non nello spirito indomito che gli ha già permesso di esibirsi alla Royal Albert Hall nello scorso mese di giugno nel Leadbelly Blues Festival, di intraprendere un tour mondiale, prima negli Stati Uniti e poi in Europa (Italia esclusa ovviamente) e ora di pubblicare questo nuovo album che conferma il suo status di blues rocker per eccellenza: senza false piaggerie bisogna riconoscere che Walter Trout non è uno dei grandissimi della storia della chitarra, ma è stato uno dei migliori chitarristi nei periodi intermedi della storia dei Canned Heat e dei Bluesbreakers di John Mayall, prima di intraprendere una lunga carriera solista che dal 1989, anno del suo primo album solista, ad oggi, conta ormai la bellezza di 42 album di cui 18 per la Provogue (dati ufficiali), etichetta che gli è rimasta a fianco anche nel momento del bisogno e che nell’anno della sua malattia, ironia della sorte, aveva lanciato un “Year Of The Trout”, ristampando i suoi album in vinile per festeggiare i 25 anni di carriera e proprio Walter ricorda questo fatto in una delle nuove canzoni, My Ship Came In, aggiungendo, non senza una sana dose di autoironia, “And I Missed It”, ho mancato l’occasione, per la prima volta nella mia carriera una casa discografica mi supporta in modo completo e tutto mi frana intorno.

Tornando a questo Battle Scars, il disco è prodotto dal solito Eric Corne nei Kingsize Soundlabs di Los Angeles, con i fidi collaboratori Sammy Avila alle tastiere e il batterista Michael Leasure, mentre il bassista è il nuovo arrivato Johnny Griparic. Sono 12 brani (con l’edizione deluxe, caratterizzata da un libretto più sfizioso, che avrà un codice per scaricare altri due brani extra) di classico rock-blues alla Walter Trout, niente di più e niente di meno, non aspettatevi voli pindarici o grandi cambiamenti in vista, se amate quel rock grintoso ma anche capace di finezze e momenti ricercati, e soprattutto tanta chitarra, qui troverete pane per i vostri denti: i titoli, e i testi, sin dall’iniziale Almost Gone, vertono intorno alla vicenda umana di Trout, ma la musica non ha perso un briciolo del vecchio vigore (e comunque anche The Blues Came Callin’, uscito nel pieno del dramma, era un ottimo disco), con il buon Walter che si esibisce con profitto anche all’armonica, prima di rilasciare i suoi classici strali chitarristici, sarà il solito rock-blues ma questo signore suona, caspita se suona.

Come ribadisce nell’eccellente Omaha, preceduto da un breve preludio strumentale, brano che racconta i mesi di attesa nel centro intensivo del Nebraska Medical Center, e che ha il classico sound del miglior hard rock targato 70’s, niente di nuovo ma suonato con passione e competenza e anche Tomorrow Seems So Far Away, sempre con le tastiere di Avila in bella evidenza, viaggia su queste coordinate sonore, la band tira la volata e Trout con armonica e chitarra si sbizzarrisce nei suoi soli. Forse è una formula risaputa ma fortunatamente ci sono anche variazioni al tema, come nella bella ballata melodica Please Take Me Home, o in un feroce brano quasi di stampo southern-rock come Playin’ Hideaway, dove la chitarra viaggia alla grande. Haunted By The Night e Fly Away sono ulteriori variazioni di questa formula rock, come pure Move on che la ribadisce, il tutto sostenuto dal lavoro della solista di Trout che è la vera protagonista dell’album. La già citata My Ship Came In, con armonica e slide in evidenza sposta il sound verso un blues energico prima di lasciare spazio ad una Cold Cold Ground, che è la classica hard blues ballad con influenze hendrixiane, tipica del repertorio del nostro che ci lascia sulle note di speranza di Gonna Live Again, un pezzo solo voce e chitarra acustica che è una oasi di tranquillità in un disco per il resto piuttosto tirato e poco blues.

Esce il 23 ottobre.

Bruno Conti

Ritorno Sul “Luogo Del Delitto”, Nel Tempio Della Musica Londinese! Eels – Royal Albert Hall

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Eels – Royal Albert Hall – E Works / Pias Cooperative – 2 CD + DVD

Finalmente (con colpevole ritardo) parliamo anche di questo concerto di Mark Oliver Everett in compagnia dei suoi Eels, registrato e filmato il 30 Giugno del 2014 sul leggendario palco della Royal Albert Hall di Londra, nell’ambito di un tour molto ambizioso a livello mondiale, composto da ben 53 serate che hanno toccato le città più belle e le sale da concerto più importanti. Il concerto in questione (ripreso da ben nove telecamere) vede Mr. “E” e i suoi quattro soci, Jeff Lyster alle chitarre e pedal steel, Mike Sawitzke alla tromba, Allen Hunter al contrabbasso e Darek Brown alla batteria e percussioni, presentare al pubblico le canzoni dell’ultimo lavoro The Cautionary Tales Of Mark Oliver Everett, riproporre alcuni classici dal loro repertorio, senza tralasciare alcune belle sorprese, per un set di 28 canzoni e 90 minuti di eccellente musica (che data la solennità dell’evento e del luogo), li vede salire sul palco “vestiti a puntino” da veri gentlemen londinesi.

La prima parte ripercorre i “sentieri” dell’ultimo lavoro, e non si può non rimanere affascinati dalle note pianistiche e dalla tromba dell’iniziale Where I’m At, dalla sussurrata When You Wish Upon A Star, dall’incedere del pianoforte nella delicata The Morning, il soffio dolente di una Parallels, per poi iniziare un “trittico” melodico composto da My Timing Is Off, seguito dalla pianistica A Line In The Dirt , con un dolce soffio di tromba, e il ritmo leggermente più marcato di Where I’m From. Le note dolenti di It’s A Motherfucker e Lockdown Hurricane appartengono al passato, cosi come la “jazzata” A Daisy Through Concrete, la tromba maliziosa che accompagna una sempre sognante Grace Kelly’s Blues, e chiudere la prima parte con il delizioso ritmo di Fresh Feeling. Dopo una breve e meritata pausa la seconda parte del concerto riprende rispolverando vecchi brani come I Like Birds https://www.youtube.com/watch?v=HJnbmUnNNYo , l’immancabile My Beloved Monster, stavolta rivisitata in stile “old-fashioned”, per poi passare alla sofferta e quasi recitativa Gentelmen’s Choice, un’ariosa Mistakes Of  My Youth/Wonderful Glorious, e tornare alle rarefatte note della pianistica Where I’m Going. Giù il sipario! Richiamati da un pubblico caloroso, gli Eels tornano sul palco per un’altra serie di brani, e  colpiscono al cuore con le meravigliose I Like The Way This Is Going https://www.youtube.com/watch?v=IUwIMJfghmM  , Binking Lights (For Me), Last Stop: This Town e una dolcissima The Beginning che fa venire qualche “lacrimuccia” al composto pubblico in sala. Le sorprese sono due inaspettate “covers”, la mitica Can’t Help Falling In Love portata al successo da Elvis Presley, e un brano (che non conoscevo) di Harry Nilsson Turn On Your Radio, in linea con tutta la serata. Il sipario si richiude, ma solo in apparenza: Everett si ripresenta sul palco vestito da Dracula e con una risata sinistra finalmente corona il suo sogno (fanciullesco), di suonare l’imponente organo a canne della Royal Albert Hall, facendo risuonare in sala le maestose note di Flyswatter e The Sound Of Fear https://www.youtube.com/watch?v=BZY8avt3FKY . Questa volta (purtroppo) il sipario si chiude definitivamente. Comunque, giù il cappello.!

Come l’assassino che torna sempre sul luogo del delitto, anche gli Eels sono tornati alla Royal Albert Hall di Londra, quasi dieci anni dopo il tour Eels With Strings, ma se quello era un concerto “da camera” con l’apporto di un quartetto d’archi, in questo caso il gruppo ha fatto leva sulle sue risorse per dare alle canzoni nuova linfa con un suono più personale e intimo, ben consapevoli che su questo palco (salvo rare eccezioni), hanno suonato e cantato musicisti straordinari, e gli Eels di Mark Everett certamente lo sono. Un concerto da sentire e da vedere.!

Tino Montanari

Sembra Uno Bravo. Ben Poole – Live At The Royal Albert Hall A BBC Recording

ben poole live at the albert hall

Ben Poole – Live At The Royal Hall – Manhaton Records

Non è parente di Brian Poole, la famosa pop star inglese, leader dei Tremeloes, conosciuti per la loro cover di Twist And Shout, e per una lunga e consistente carriera nelle classifiche pop inglesi: si tratta solo di un caso di omonimia. Ben Poole è un ennesimo giovane cantante e chitarrista di orientamento blues che si affaccia sulla scena inglese. Avevo letto e ascoltato qualcosa su questo 25enne, autore fino ad ora di un EP nel 2010 e di un album d’esordio nel 2013, Let’s Go Upstairs, ben considerati entrambi dalla critica musicale..

ben poole let's go

Alla luce di questo Live At The Royal Albert devo dire che la fiducia mi sembra ben spesa: non siamo di fronte ad un nuovo “salvatore” del Blues, ma il giovane ha talento (eccellente chitarrista con una notevole tecnica di base, applicata con profitto alla sua Les Paul), cantante con una voce accattivante e melodica, anche se non graffiante, e buona presenza scenica https://www.youtube.com/watch?v=6jlyffWLjYQ . Tutti elementi che confluiscono in questa registrazione dal vivo, realizzata nel corso della BluesFest tenuta nell’ottobre del 2013 (e replicata quest’anno – 2014) alla mitica Royal Albert Hall. Ovviamente non è che gli artisti emergenti approdino subito in uno dei templi della musica londinese (o almeno una volta era così), infatti gli headliners dell’edizione dello scorso anno erano Robert Plant, Chris Rea e Van Morrison (ma che fine ha fatto?), presenti anche la Tedeschi Trucks Band, Bobby Womack, in una delle sue ultime apparizioni, e Mavis Staples, per citarne alcuni.

ben poole live ben poole

Però devo dire che questo “giovanotto” fa la sua porca figura: se dovessi definire il suo genere, per aiutare chi spesso deve orientarsi tra gli sproloqui di vanitosi recensori (mi ci metto anch’io), direi che possiamo parlare di una sorta di easy blues rock and soul! Please? Avete presente uno dei dischi di maggior successo degli anni ’70, quel Frampton Comes Alive che fece la fortuna del biondo chitarrista e cantante inglese? Siamo da quelle parti,la voce non è fantastica, ma molto piacevole, il repertorio oscilla tra rock classico di buona qualità, con robusti innesti di soul, R&B, ma anche pop, il tutto innervato da una cospicua dose di Blues  e rock, anche derive hendrixiane https://www.youtube.com/watch?v=FXjFzWS3i2M. Accompagnato da un eccellente quartetto, dove spiccano le tastiere di Sam Mason, Ben Poole si districa in uno stile che potrebbe ricordare quello degli esordi di Jonny Lang (o anche, ma meno, di Kenny Wayne Shepherd, di cui sarà l’opening act nel prossimo tour 2015); prendete l’iniziale Let’s Go Upstairs, un funky-rock che ha qualche parentela con la musica dei primi Doobie Brothers, con riff e soli di chitarra fluidi e ben realizzati https://www.youtube.com/watch?v=mSuRIAYw3KI , o la ballad mid-tempo soul, assai gradevole Love Nobody No More, illuminata dagli sprazzi chitarristici di Poole, che è un solista in grado di regalare alla platea interventi del suo strumento che si trasformano in crescendo irresistibili https://www.youtube.com/watch?v=tKBs9gmpfm4 , come quello presente in questo brano, o di perdersi in una lunghissima rivisitazione di uno dei classici della Tamla-Motown, quella (I Know) I’m Losing You, che oltre che dei Temptations, ha fatto la fortuna di molti artisti del blues-rock inglese, che si sono spesso cimentati con questa canzone https://www.youtube.com/watch?v=S7l3O0hFe2Q .

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Proprio questo brano, anche con chiari inserti più hendrixiani e rock, è uno di quelli che lo potrebbero avvicinare, come tipo di approccio, al famoso Frampton Comes Alive appena citato, con tastiere, basso e batteria che macinano ritmo, mentre il nostro Brian ci dà dentro di gusto alla chitarra, con un lungo tour de force strumentale. Non male anche la cover di Mr. Pitiful di Otis Redding, a conferma dei buoni ascolti del giovane inglese, che poi li mette in pratica, con il giusto rispetto per i classici, ma anche con un fare sbarazzino, a conferma dell’amore per la musica “giusta”. Non male pure It Doesn’t Have To Be That Way e Leave It On, tratte dai suoi dischi, soprattutto per le parti chitarristiche, sempre mozzafiato e, a coronamento di un buon concerto, una lunga versione del super classico di Freddie King, Have You Ever Loved A Man, cavallo di battaglia live di Clapton, dove Brian Poole può finalmente dare libero sfogo alla sua passione per il Blues, con una serie torrenziale di assolo di grande potenza e tecnica che ne illustrano le qualità.

Il tutto registrato e riproposto nel Paul Jones Show della BBC: in conclusione del CD una bonus track in studio, Starting All Over Again, piacevole ballata tra pop e soul. Sembra uno bravo, vedremo in futuro!

Bruno Conti

Ma Allora Ci Prendono Per La Gola, E Un Po’ Anche Per I Fondelli! Joe Bonamassa – Tour De Force

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Joe Bonamassa – Tour De Force – Various Editions – 29-10-2013

Ci eravamo lasciati con Joe Bonamassa (e Beth Hart) con la possibilità dell’uscita in autunno di un disco (DVD e quant’altro), relativo ai concerti che avrebbero tenuto in insieme in Olanda in giugno per la registrazione di questo ipotetico album. Ed ora arriva l’annuncio a fine ottobre uscirà il nuovo Live di Joe Bonamassa, Tour De Force. Già, ma vi chiederete voi, perché tutte quelle copertine e confezioni diverse? Perché ci stanno pigliando per la gola (e per il culo, per dirla chiaramente, nel titolo del Post sono stato diplomatico), infatti questo nuovo prodotto non è relativo a quel tour con la brava Beth, ma si tratta di quattro, dicasi quattro, diversi concerti registrati in quel di Londra, in diverse locations, nel corso dell’ultimo Tour, e quindi perché non fare quattro belle edizioni in DVD o Blu-Ray, una per ogni concerto? Detto fatto, il 29 ottobre potrete scegliere o, dolorosamente, per le vostre finanze, comprarle tutte e quattro.

Ma poiché alla casa discografica di Bonamassa sono molti buoni hanno pensato di fare anche due Box Set che raccolgono tutti i quattro concerti, in vendita sul suo sito: una edizione, la prima che vedete effigiata, raccoglie in un cofanetto a forma di amplificatore i quattro DVD (doppi), una t-shirt e un libretto e costerà la misera cifra di 129 dollari + spese. La seconda edizione aggiunge 2 biglietti con annesso “meet and greet” per qualsiasi concerto futuro del buon Joe. Vale a dire, che prima del concerto potrete andare amabilmente a chiaccherare del più e del meno con Bonamassa nel backstage. E tutto questo per “soli” 399 dollari + spese, ma affrettatevi perché è limitato (ma visto il prezzo ci sarà anche la cena?).

Naturalmente i 4 DVD divisi costeranno molto meno, ma stiamo lì a guardare il vil denaro? Sì! Per cui vediamo i contenuti dei vari concerti, che però sono decisamente diversi tra loro e quindi potrebbero valere il sacrificio.

Live At The Borderline – Power Trio Jam

– Double disc digipak
– Contains over 1 hour of additional bonus footage and a 28 page booklet
– NTSC format
– Runtime: 155 minutes 39 seconds


Track Listing:

Albion (Intro)

I Know Where I Belong

Spanish Boots

Your Funeral My Trial

Blues Deluxe

Pain And Sorrow

Happier Times

Steal Your Heart Away

Miss You, Hate You

The River

Burning Hell

Don’t Burn Down That Bridge

Story Of A Quarryman

Are You Experienced?

 

World’s End (Credits)


Live At Sheperd’s Bush – Blues Night

– Double disc digipak
– Contains over 1 hour of additional bonus footage and a 28 page booklet
– NTSC format
– Runtime: 103 minutes 47 seconds


Track Listing:

Albion (Intro)

Slow Train

So It’s Like That

Midnight Blues

Last Kiss

So Many Roads

You Better Watch Yourself

Chains & Things

Lonesome Road Blues

Stop!

I Got All You Need

The Great Flood

The Ballad Of John Henry

Asking Around For You

Further On Up The Road

World’s End (Credits)


Live At Hammersmith Apollo – Rock and Roll Night

– Double disc digipak
– Contains over 1 hour of additional bonus footage and a 28 page booklet
– NTSC format
– Runtime: 122 minutes 44 seconds

Track Listing:

Albion (Intro)

Seagull

Jelly Roll

Richmond

Athens To Athens

Woke Up Dreaming

Cradle Rock

When the Fire Hits the Sea

Dustbowl

Dislocated Boy

Driving Towards The Daylight

Who’s Been Talking

Jockey Full Of Bourbon

Tea For One

Lonesome Road Blues

The Ballad Of John Henry

Sloe Gin

Just Got Paid

World’s End (Credits)

Live At The Royal Albert Hall – Acoustic/Electric Night

– Double disc digipak
– Contains over 1 hour of additional bonus footage and a 28 page booklet
– NTSC format
– Runtime: 140 minutes 28 seconds


Track Listing:

Albion (Intro)

Palm Trees, Helicopters and Gasoline

Seagull

Jelly Roll

Black Lung Heartache

Around the Bend

Jockey Full Of Bourbon

From the Valley

Athens to Athens

Slow Train

Last Kiss

Dustbowl

Midnight Blues

Who’s Been Talking

Happier Times

Driving Towards The Daylight

The Ballad of John Henry

Django

Mountain Time

Sloe Gin

Just Got Paid

World’s End (Credits)

Il tutto è stato registrato in quattro diverse serate nel mese di marzo e prodotto da Kevin Shirley. Non ci sono stati ospiti, o meglio gli “ospiti” erano alcune chitarre vintage tra cui la storica Gibson appartenuta prima a Peter Green e poi a Gary Moore. Che dire, pazienza, e iniziamo a risparmiare.

Bruno Conti