Uno Strepitoso Disco Di Blues Acustico, Come Non Se Ne Fanno Quasi Più! Bobby Rush – Rawer Than Raw

bobby rush rawer Than Raw

Bobby Rush – Rawer Than Raw – Deep Rush Records/Thirty Tigers

Nativo della Louisiana, ma residente a Jackson, Mississippi sin dagli anni ‘80, Bobby Rush, 86 anni suonati, è uno strane personaggio del blues americano: a cavallo tra le 12 battute classiche, il soul e il funky, da qualche anno si è inventato un termine per definire la sua musica “Folkfunk”. Personaggio diciamo “minore”, ma non marginale, Rush era apparso anche nella miniserie The Blues, prodotta da Martin Scorsese, sempre in pista e pronto a raccontare aneddoti sulla sua lunga carriera, che lo vede come una sorta di Numero Uno di Alan Ford, uno che nel corso degli ha incontrato e suonato con tutti, “consigliandoli” su cosa fare, da Skip James, Howlin’ Wolf, Sonny Boy Williamson II, Muddy Waters a Elmore James, i cui brani reinterpreta in questo Rawer Than Raw, praticamente tutti i grandi della musica nera, tanto che nelle note si dice dispiaciuto di non avere potuto cimentarsi con brani di Jimmy Reed, John Lee Hooker, Son House e BB King. Già nel 2006 aveva inciso un album Raw, composto solo di rivisitazioni di proprie canzoni e che si concludeva con il brano Bobby Rush For President. Quale è la particolarità di questi album?

Come suggerisce il titolo si tratta di album acustici, nel caso di quest’ultimo, anche in solitaria: solo voce, chitarra ed armonica. Ripreso in copertina tra attrezzi agricoli e galline, e all’interno in varie pose, dove sfoggia la sua tinta di capello sempre corvina, un must per i vecchi bluesmen, il buon Bobby ha ancora una voce potente e squillante, e le sue riletture dei classici, miste ad alcune canzoni a propria firma, sono la prova che il nostro amico conosce la materia e sa come trattarla con classe. Sin dall’apertura con Down In The Mississippi, scritta dallo stesso Rush, si respira un’aria “antica” ma non vetusta, voce e chitarra acustica a ripercorrere i vecchi tracciati del blues del Delta, l’armonica a colorare il suono. D’altronde si intuisce che si tratta, come dicono gli americani, di un “labor di love”, realizzato nel corso del tempo tra Jackson, Ms e Montreal: ascoltatevi il blues primigenio di Hard Times (che sarebbe Hard Times Killing Floor Blues di Skip James) al quale, oltre ad acustica e armonica aggiunge il foot stomp per ricreare il sound dell’originale del 1931 (e lì Rush non era presente). Let Me In Your House è una delle canzoni di Bobby, salace e ironico come deve essere il blues, “If I can’t sleep in your bed, let me sleep on your floor. If I walk in my sleep, you’re the only one who’ll ever know. If I can’t be your full-time lover, let me be your part-time man”, scandito dall’interpretazione quasi danzante del nostro.

Che poi si cimenta con Smokestack Lighting di Howlin’ Wolf, che invece ha conosciuto e incontrato nella sua gioventù, quando si aggirava per locali, con baffi finti per nascondere la sua vera età, versione intensa e vissuta, ora che gli anni sono quelli giusti, e anche Shake It For Me, scritta da Willie Dixon, viene dal repertorio del Lupo, con l’acustica suonata ancora con grande destrezza e la voce sicura in grado di emozionare. In Sometimes I Wonder, sempre farina del suo sacco, dimostra di essere anche un ottimo armonicista, poi cimentandosi anche con uno dei maestri dello strumento Sonny Boy Williamson II nella classica Don’t Me Start Me Talkin’, qui ripresa in una vibrante versione; molto intenso anche un altro originale di Rush come Let’s Make Love Again, che poi lascia spazio al lato più ironico della sua arte nella divertente Garbage Man, un potente lentone dove il testo però è molto scherzoso “of all the men my woman could have left me for, she left me for the garbage man. Every time I see a garbage can, I think of her and the garbage man all the time”, con la sua donna che lo tradisce con lo spazzino. Honey Bee, Sail On è un traditional , ma faceva parte del repertorio di Muddy Waters, che riceve il suo giusto tributo, in un brano che evidenzia ancora la voce splendida di Rush, che poi si cimenta con il super classico Dust My Broom, non nella versione di Robert Johnson (anche lui non lo ha conosciuto), ma in quella di Elmore James, conosciuto invece in un club nel 1947, quando ci si aggirava con i suoi baffi finti appena ricordati, grande versione, come d’altronde tutto l’album, uno dei migliori dischi di blues acustico dell’anno.

Bruno Conti

E Dopo Il Commiato Dal Vivo, Ecco L’Addio Definitivo! The Pretty Things – Bare As Bone, Bright As Blood

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The Pretty Things – Bare As Bone, Bright As Blood – Madfish/Snapper CD

Quando nel mese di febbraio ho recensito The Final Bow, bellissimo cofanetto che documentava lo show londinese dei Pretty Things che sanciva il loro addio alle scene https://discoclub.myblog.it/2020/02/18/cofanetti-autunno-inverno-18-lultimo-ruggito-di-una-piccola-grande-band-the-pretty-things-the-final-bow/ , non avrei pensato che dopo pochi mesi avrei dovuto parlare ancora di loro a causa della scomparsa per complicazioni sopravvenute dopo una banale caduta dalla bicicletta del cantante Phil May https://discoclub.myblog.it/2020/05/17/dopo-lultimo-saluto-il-commiato-definitivo-e-morto-phil-may-leader-dei-pretty-things/ , unico membro fondatore ancora nel gruppo oltre al chitarrista Dick Taylor (May e Taylor, proprio come i componenti rimasti in un’altra band inglese “leggermente” più popolare). Fortunatamente i nostri avevano fatto in tempo a completare un nuovo album in studio, il primo da cinque anni a questa parte ed appena il quarto negli ultimi quarant’anni: e Bare As Bone, Bright As Blood, a parte la copertina che sembra la locandina di un film horror, è senza mezzi termini un grande disco, un commiato splendido per una band che non ha mai avuto troppi riconoscimenti nel corso della carriera.

I PT infatti sono sempre stati considerati una band di seconda o terza fascia, fin dagli esordi in stile rhythm’n’blues ed anche durante il loro periodo psichedelico in cui hanno prodotto i loro due dischi più noti, S.F. Sorrow (considerata la prima “rock opera” della storia) e Parachute, ed anche le vendite non sono mai state esaltanti, ma con questo ultimo album May e Taylor si sono superati consegnandoci un lavoro profondo, sofferto, scarno nei suoni ma dal feeling molto alto, un disco decisamente improntato sul blues, che è stato il loro primo amore (il nome Pretty Things è preso da un brano di Bo Diddley). Dedicato a May (ricordato con parole commosse nel booklet interno dal produttore ed ex membro della band Mark St. John), Bare As Blood, Bright As Blood è come suggerisce il titolo un disco dalla veste sonora spoglia ed essenziale, ma con una serie di canzoni di una bellezza cristallina: ci sono solo due originali (non composti però dai due leader) e dieci cover di brani originariamente non solo blues, con una divisione netta tra pezzi antichi e moderni.

Dicevo della strumentazione parca: Taylor si occupa di quasi tutte le parti di chitarra, siano esse acustiche, elettriche o slide, coadiuvato qua e là dalle sei corde di Sam Brothers (anche all’armonica), Henry Padovani e George Woosey ed occasionalmente dal violino di Jon Wigg. Tutto qui, non ci sono neanche basso e batteria, ma le eventuali mancanze sonore sono ampiamente bilanciate dalla bravura e dal sentimento che i nostri mettono in ogni canzone contribuendo così ad una perfetta chiusura del cerchio, terminando cioè la carriera con un omaggio al genere musicale (il blues) che era la loro passione di gioventù. Il CD inizia con due blues tradizionali: Can’t Be Satisfied (resa popolare da Muddy Waters), introdotta da una goduriosa slide acustica subito doppiata dalla voce di May che assume tonalità da vero bluesman, un brano puro e rigoroso ma eseguito col cuore, e Come Into My Kitchen, un pezzo solitamente associato a Robert Johnson che ha la medesima veste sonora del precedente ma è più lento e quasi strascicato, con un’eccellente performance di Taylor e May che sembra che non abbia mai fatto altro che cantare il blues (e l’armonica dona il tocco in più). Ain’t No Grave è un’antica gospel song (l’ha incisa anche Johnny Cash, e dava anche il titolo al suo sesto album degli American Recordings, uscito postumo), ma qui viene trasformata in un puro blues del Delta, ancora per sola voce, chitarra ed armonica: se non fosse per il timbro di May sembrerebbe di ascoltare un vecchio LP di Mississippi John Hurt.

Love In Vain è uno dei brani più noti tra quelli scritti da Robert Johnson, e qui viene proposto in maniera fedele ma non scolastica, con un ottimo interplay chitarristico tra Taylor e Brothers. La sofferta Black Girl è un vecchio pezzo che Lead Belly ha reso famoso col titolo di In The Pines, ed è l’unica a presentare una percussione a scandire il tempo (suonata da St. John), mentre I’m Ready è il brano più noto tra quelli “antichi” essendo uno dei classici di Willie Dixon, ed i nostri la rifanno in maniera vivace e grintosa nonostante l’assenza della sezione ritmica. E veniamo ai pezzi moderni, che iniziano con la scelta più sorprendente, cioè la cover di Faultline del gruppo alternative rock Black Rebel Motorcycle Club, una canzone radicalmente trasformata in un bluesaccio elettroacustico teso come una lama, molto diretto pur nel suo essere spoglio strumentalmente: una rielaborazione creativa e decisamente riuscita. Redemption Day è invece un brano di Sheryl Crow in cui i nostri abbandonano momentaneamente il blues per regalarci una ballata folk elettrificata suggestiva e dal notevole impatto emotivo, con almeno tre chitarre e la voce di May più cavernosa che mai; rimaniamo in ambito folk con la splendida The Devil Had A Hold On Me, canzone di Gillian Welch che ha già di suo le caratteristiche di un vecchio traditional, ma il pathos cresce ulteriormente in questa rilettura da brividi che mi ricorda addirittura i Led Zeppelin quando facevano brani elettroacustici: tra gli highlights del CD.

Bright As Blood è scritta per i Pretty Things dal loro chitarrista Woosey, una folk tune d’altri tempi con la voce di Phil accompagnata da chitarra acustica, banjo e violino, un perfetto esempio di brano tradizionale appalachiano composto però ai giorni nostri. Concludono un disco puro, bellissimo e perfino sorprendente To Build A Wall (del misconosciuto cantautore Will Varley), ballata acustica dalla melodia struggente cantata con un feeling davvero rimarchevole, e la nuova Another World (scritta da tale Pete Harlen), un lento rilassato e disteso caratterizzato da uno script solido e profondo. Forse i Pretty Things non sono mai stati una band indispensabile, almeno se paragonati ai gruppi contemporanei degli anni sessanta, ma questo loro album di congedo è una zampata da veri fuoriclasse e, molto probabilmente, il punto più alto della loro discografia.

Marco Verdi

Doors – Morrison Hotel. Edizione Del 50° Anniversario: Purtroppo Sempre Formato Misto, 2 CD + LP

doors morrison hotel box

Doors – Morrison Hotel 50th Anniversary Deluxe Edition 2CD/1LP Elektra Rhino – 09-10-2020

Tornano le ristampe dei Doors per il 50° Anniversario degli album originali (siamo quasi alla fine del percorso, poi manca solo L.A. Woman), e riprendono le vecchie brutte abitudini della Rhino di pubblicare queste versioni dove CD e vinile convivono nella stessa confezione, scontentando così gli appassionati di entrambi i formati. Ovviamente il fatto di inserire il LP fa lievitare il prezzo, ben oltre i 50 euro, oltre a tutto riproponendo l’identico contenuto musicale per due volte.

Fortunatamente c’è il secondo CD, quello del materiale “inedito”, che anche questa volta pare interessante (e differente da quello pubblicato nella edizione uscita per il 40° dell’album), benché 9 diverse versioni di Queen Of The Highway e 5 di Roadhouse Blues sono decisamente indirizzate verso i fans sfegatati e i “completisti”. Ci sono anche le cover di Money (That’s What I Want), il vecchio brano Motown di Barrett Strong e mille altri, tra cui pure i Beatles, e Rock Me di Muddy Waters, e poi come Rock Me Baby, di B.B. King, oltre a due alternate takes di Peace Frog e I Will Never Be Untrue, già apparsa in versione live nel box quadruplo del 1997.

Comunque, al solito, ecco il contenuto completo del cofanetto.

Tracklist
[CD1]
1. Roadhouse Blues
2. Waiting For The Sun
3. You Make Me Real
4. Peace Frog
5. Blue Sunday
6. Ship Of Fools
7. Land Ho!
8. The Spy
9. Queen Of The Highway
10. Indian Summer
11. Maggie M’Gill

[CD2]
1. Queen Of The Highway (Take 1) [She Was A Princess]
2. Queen Of The Highway (Various Takes)
3. Queen Of The Highway (Take 44) [He Was A Monster]
4. Queen Of The Highway (Take 12) [No One Could Save Her]
5. Queen Of The Highway (Take 14) [Save The Blind Tiger] [With
6. Queen Of The Highway (Take 1) [American Boy – American Girl]
7. Queen Of The Highway (Takes 5, 6 & 9) [Dancing Through The M
8. Queen Of The Highway (Take 14) [Start It All Over]
9. I Will Never Be Untrue
10. Queen Of The Highway (Take Unknown)
11. Roadhouse Blues (Take 14) [Keep Your Eyes On The Road]
12. Money (That’s What I Want)
13. Rock Me Baby
14. Roadhouse Blues (Takes 6 & 7) [Your Hands Upon The Wheel]
15. Roadhouse Blues (Take 8) [We’re Goin’ To The Roadhouse]
16. Roadhouse Blues (Takes 1 & 2) [We’re Gonna Have A Real Good
17. Roadhouse Blues (Takes 5, 6 & 14) [Let It Roll, Baby, Roll]
18. Peace Frog/Blue Sunday (Take 4)
19. Peace Frog (Take 12)

[LP]
1. Roadhouse Blues
2. Waiting For The Sun
3. You Make Me Real
4. Peace Frog
5. Blue Sunday
6. Ship Of Fools
7. Land Ho!
8. The Spy
9. Queen Of The Highway
10. Indian Summer
11. Maggie M’Gill

Come detto, in uscita per il 9 ottobre.

Bruno Conti

Anche Il Canada Dà Il Suo (Ottimo) Contributo Alla Causa Del Blues. Big Dave Mclean -Pocket Full Of Nothin’

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Big Dave Mclean – Pocket Full Of Nothin’ – Black Hen Music

Big Dave McLean è una (mezza) leggenda del blues canadese, un veterano,  in attività già dagli anni ’70, ma con soli sei album nel suo carnet, questo Pocket Full Of Nothin’ è il settimo, in una carriera che gli ha fatto avere diversi riconoscimenti in patria, l’ultimo dei quali l’Order Of Canada, per i contributi alla cultura del proprio paese (premio che gli verrà assegnato insieme a Garth Hudson). Il nostro amico è chitarrista, armonicista, autore di canzoni (in questo album tutte, meno tre) e ovviamente cantante: il disco è prodotto da Steve Dawson, altro ottimo musicista canadese, che è pure il boss della Black Hen, ma in passato McLean ha pubblicato anche con la Stony Plain, altro presidio della musica di lassù, in una nazione che cura anche molto la promozione dei prodotti locali, insomma quando sul retro dei dischetti vedete i marchi Canada o Factor, o entrambi, vuole dire che il governo locale ci ha messo lo zampino con un contributo. Tornando al CD , ad accompagnare il nostro ai vari tipi di chitarra, acustica, elettrica, National, steel, slide e alle armonie vocali curate da Dawson, troviamo Gary Craig alla batteria, Jeremy Holmes a basso e contrabbasso, Chris Gestrin a piano, organo e Wurlitzer, oltre ad una piccola sezioni fiati, con il risultato si un suono spesso pieno e corposo, con elementi  aggiunti folk, R&B e di roots music, che lo rendono un lavoro eclettico e più variegato di altri dischi precedenti.

Con il risultato, come si diceva all’inizio, che questo Pocket Full Of Nothin’ sia un album molto godibile: e sicuramente non guasta che il buon Big Dave McLean sia anche in possesso di una voce scura, rauca e vissuta, comi dimostra subito nell’iniziale Songs Of The Blues, un brano mosso e compatto, dove la slide si intreccia di continuo con i fiati  e il sound sta alla intersezione tra Memphis soul e Blues e ritmi alla Get Back dei Beatles. Un organo malandrino e la solita slide, oltre alla voce spiegata di MCLean, sono al centro della vibrante Don’t Be Layin’ That Stuff On Me, sempre con fiati pronti alla bisogna per tocchi di sano R&B, che sfociano anche in un caldo assolo di sax nel finale, mentre la scandita Backwards Fool è più tipicamente blues, con pianino di ordinanza e l’armonica a dare man forte alla voce quasi “incazzata” di Big Dave, seguita dalle volute tra R&R e swing anni ’50 della nostalgica All Day Party, con il contrabbasso slappato e il piano a dettare i tempi, mentre il call and response vocale con tutta la band la rende più gradevole. La prima cover è Voodoo Music ,un brano firmato da JB Lenoir e Wille Dixon, che va alle radici di quel blues che è da sempre la sua stella maestra, con un arrangiamento ondeggiante che lo avvicina a certe parafrasi sonore alla Taj Mahal, mentre l’organo scivola godurioso, ah se scivola, insieme ad una delle solite slide vagamente cooderiane; il vocione è poi ancora in azione anche in Baby.

Just To be With You è un vecchio brano, poco noto, del Muddy Waters di metà anni ’50, classico Chicago Blues ruvido, con chitarra elettrica e slide, oltre all’organo, in azione e un impeto percepibile nella voce di McLean, grande brano, When I Was Young è un ottimo ed allegro stompin’ blues con tocchi acustici, seguito da una di nuovo quasi acustica You’ve Been Told, tra ragtime e barrelhouse, mentre forse mi aspettavo qualcosa di più dalla versione di Midnight Rider di Gregg Allman, con il nostro non del tutto a suo agio con le sue tonalità più basse rispetto al cantato più disteso dell’autore, comunque la band si disimpegna, sempre tra bottleneck minacciosi, armonica e fiati https://www.youtube.com/watch?v=nuPtawhXxfE ; Manitoba Mud porta le grandi distese del Canada verso le paludi del Mississippi e della Louisiana con una melodia ben congegnata e il solito arrangiamento rigoglioso https://www.youtube.com/watch?v=VzHQi5MXAUY , prima di congedarci con il suono delle radici di una There Will Always Be A Change, sempre deliziosamente retrò e frizzante nel suo dipanarsi. Tutto l’insieme risulta quindi molto piacevole e ben congegnato, con delle atmosfere che a tratti rievocano pure le Seeger Sessions di Springsteen.

Bruno Conti

Per La Prima Volta In Versione Acustica. Bob Margolin – This Guitar And Tonight

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Bob Margolin – This Guitar And Tonight – VizzTone Label Group

Bob Margolin ha anche lui tagliato quest’anno il traguardo dei 70 anni (come molti altri nel 2019, uno per tutti Bruce Springsteen) ma non dà segnali di voler rallentare la sua attività discografica, in questo aiutato dal fatto di essere uno dei manager e soci fondatori della VizzTone, quindi una etichetta che gli pubblica gli album sicuramente non gli manca. Non è che comunque il nostro se ne approfitti più di tanto, visto che questo è solo il quinto album della decade in corso, inclusi uno in coppia con Ann Rabson e un Live accompagnato dagli italiani della Mike Sponza Band. Ma dopo quasi i cinquant’anni trascorsi dalla sua lunga militanza come sideman di Muddy Waters e i circa trenta dal suo primo disco, questo This Guitar And Tonight è il primo album acustico della sua discografia: solo voce, la sua fedele Gibson L-00 degli anni ’30, dal suono cristallino e un paio di “aiutini” di Jimmy Vivino e Bob Corritore (con cui collabora nei Bobs Of The Blues).

Astutamente, nelle note dell’album, Margolin ricorda che Muddy Waters, quando gli chiese se preferiva le chitarre acustiche o quelle elettriche, gli rispose “Cue-Stick! Electric Is An Unfriendly Sound!”.  Cue-Stick, stecca da biliardo, è il termine gergale con cui si indica una chitarra acustica, peccato che comunque Waters abbia praticamente sempre suonato in modalità elettrica nel corso della sua carriera. Ma è come disquisire sul sesso degli angeli, considerando che alla fine This Guitar And Tonight è un ottimo album: la voce, con l’età, ha acquisito una autorevolezza ed una intensità che forse prima non aveva, e anche la parte strumentale, per quanto scarna e asciutta è estremamente efficace, tanto che qualcuno lo ha addirittura paragonato ai dischi di Son House. La title track apre le operazioni, si tratta del duetto con Jimmy Vivino, che suona una chitarra dalla strana accordatura che sembra quasi un mandolino, l’atmosfera sonora è quella dei dischi Blues classici degli anni ’20, ma senza i fruscii, i crepitii delle vecchie registrazioni, arcano ma “moderno” al contempo.

Tutte le canzoni sono state scritte da Bob per l’occasione, ma ovviamente seguono gli stilemi e i contenuti testuali delle 12 battute classiche, prendiamo Evil Walks In Our World, i pericoli oltre che dalle solite fonti vengono anche dalle fake news, dal riscaldamento globale e dalle diavolerie dell’epoca moderna, con quelle che sembrano due chitarre in azione, una in modalità slide; bottleneck in azione anche nella minacciosa Over Time, mentre Dancers Boogie è un intricato brano quasi a tempo di ragtime, con Blues Lover, direi una dichiarazione di intenti, scritta con Mark Kazanoff, e con Bob Corritore che aggiunge la sua armonica, in un brano che profuma di vecchi vinili di Sonny Terry e Brownie MCGhee. Good Driving Song, dall’andatura ondeggiante è uno strumentale dove Margolin dimostra tutta la sua tecnica sopraffina, ma anche un feeling innato per il blues acustico, come ribadisce l’approccio minimale alla materia profuso nel talking blues di I Can’t Take Those Blues Away, che con il suo cantato laconico ed ironico ricorda certe cose del collega David Bromberg. In Together forse la parte cantata è un po’ sforzata e sopra le righe, ma è un peccato veniale, prima della conclusione affidata alla lunga e vivace, almeno  a livello musicale Predator, che ha un riff che secondo me farebbe un figurone in veste elettrica, mentre ripercorre in un altro talking blues le vicende dell’epoca di JF Kennedy e poi il suo incontro con il suo mentore il grande Muddy Waters e le loro vicende intrecciate, che vengono ricordate con affetto quasi reverenziale.

Bruno Conti

Tornano Le Ragazze Scatenate Del Blues Caravan 2019 – Katarina Pejak, Ina Forsman, Ally Venable

blues caravan 2019 Katarina Pejak, Ina Forsman, Ally Venable

Katarina Pejak, Ina Forsman, Ally Venable  – Blues Caravan 2019 – CD+DVD Ruf Records

La “carovana del blues” della Ruf è una tradizione annuale che si perpetua ormai dal lontano 2005: ogni anno l’etichetta tedesca raduna tre artisti diversi scelti dal proprio roster e li spedisce on the road in tour, per rinverdire e riproporre quelle che sul finire anni ’60, primi ’70 si chiamavano soul revue. Fatte le debite proporzioni, e su scala molto più ridotta, pensate al Joe Cocker di Mad Dog, Ike & Tina Turner, o le stesse sortite degli artisti Stax in Europa, giusto per dare una idea. Poi la Ruf sceglie una data della tournée, di solito in Germania (in questo caso siamo al Café Hahn di Coblenza il 15 febbraio del 2019) e la registra e la filma per pubblicare poi una confezione CD + DVD, che riporta quanto è avvenuto in quella specifica serata. Nelle edizioni  passate di solito non c’era molta differenza tra  audio e video, un paio di brani, ma questa volta il DVD ha ben otto tracce in più rispetto al CD. Per chi recensisce invece, avendo a disposizione la versione “povera” audio, ci si accontenta: le protagoniste del Blues Caravan 2019 sono tre giovani ed avvenenti donzelle, la cantante finlandese Ina Forsman, forse la più talentuosa del terzetto, in possesso di una voce notevole e con due eccellenti album per la Ruf, specie il primo omonimo del 2016, lo stesso anno in cui aveva già partecipato al Blues Caravan https://discoclub.myblog.it/2017/03/05/ancora-una-volta-lunione-fa-la-forza-ina-forsman-tasha-taylor-layla-zoe-blues-caravan-2016-blue-sisters-in-concert/ , la serba Katarina Pejak , che suona anche le tastiere oltre a cantare, e la texana Ally Venable, la più giovane con i suoi 20 anni, che è anche la chitarrista.

Completano la formazione il bassista Roger Inniss e il batterista della Venable Elijah Owings. Le varie musiciste si alternano alla guida e al canto con tre canzoni a testa (cinque nel DVD) e poi uniscono le forze in alcuni brani: il tutto, al solito, è molto piacevole e ben suonato. L’iniziale e corale They Say I’m Different mette subito in luce la voce potente della Forsman in un brano blues con ampie venature R&B e soui, con la chitarra della Venable che inchioda un assolo veramente pungente, e le altre due che “rispondono” ad Ina in un call and response di buona fattura ,con citazioni all’interno del branodi Muddy Waters, Nina Simone, Stevie Ray Vaughan, Aretha Franklin, Ray Charles e Jimi Hendrix; She’s Coming After You cantata dalla Pejak mette in mostra il suo stile più raffinato e jazzato, poi ribadito in Roads That Cross la dolce e ammiccante title track del suo debutto per la Ruf, brani che evidenziano anche il suo talento di pianista, unito a d una voce piacevole ma non dirompente come quella della Forsman. Turtle Blues è una cover pianistica del celebre brano di Janis Joplin, mentre con Texas Honey parte la sezione del concerto dedicata a Ally Venable, la più rockeggiante del trio nel proprio approccio, anche lei voce non memorabile ma ottimo talento chitarristico, come conferma in una serie di assoli fiammeggianti, anche nel boogie tiratissimo di Nowhere To Hide dove va di slide alla grande https://www.youtube.com/watch?v=ZIethtLDlxQ , oppure nella gagliarda Broken dove la Pejak offre un ottimo supporto all’organo.

Poi tocca alla Forsman con una sinuosa All Good, un brano errebì con qualche rimando anche a Amy Winehouse, e a seguire un intenso blues lento come Miss Mistreated, ancora con l’organo insinuante della Pejak che supporta la voce potente della cantante finlandese, che conclude la sua porzione con la mossa e brillante Genius. La parte corale prevede una bella versione di Love Me Like A Man, un bellissimo blues scritto da Chris Smither, ancora con la slide in evidenza https://www.youtube.com/watch?v=4QNPB87Nsks , I’m A Good Woman un gagliardo brano soul di Barbara Lynn, una divertente e coinvolgente Sixteen Tons di Merle Travis e una brillante versione di The House Is Rockin’ di Stevie Ray Vaughan, rallentata ad arte nella prima parte e poi con finale a tutta velocità con le tre ragazze scatenate.

Bruno Conti

Cofanetti Autunno-Inverno 8. Il Loro Disco Più Discusso E’ Anche (Finora) La Ristampa Più Interessante! The Doors – The Soft Parade 50th Anniversary

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The Doors – The Soft Parade 50th Anniversary – Rhino/Warner 3CD/LP Box Set

Dal 2017 anche i Doors hanno iniziato una campagna di ristampe dell’intero catalogo per celebrare il cinquantesimo anniversario di tutti i loro album. Se la riedizione del loro mitico esordio omonimo del 1967 era stata una delusione (nessun vero inedito, ed una performance dal vivo al Matrix solo parziale rispetto ad un live pubblicato anni fa), Strange Days era stata una presa in giro, con soltanto le versioni stereo e mono del disco in un doppio CD (che quindi non si allinea neppure logisticamente sugli scaffali con i cofanetti pubblicati finora). L’uscita lo scorso anno del box di Waiting For The Sun aveva lasciato intravedere qualche inedito dal vivo, ma solo cinque brani tratti da un concerto a Copenhagen, mentre il resto era formato da semplici “rough mixes” di alcuni pezzi dell’album originale https://discoclub.myblog.it/2018/10/02/con-il-terzo-cinquantenario-arriva-anche-qualche-misero-inedito-the-doors-waiting-for-the-sun-50th-anniversary/ . Non avevo quindi grosse aspettative per la riedizione del quarto lavoro della band californiana The Soft Parade, ed invece devo dire che questa volta i nostri (John Densmore e Robby Krieger gli unici membri ancora in vita) hanno avuto il braccino meno corto e, a parte il solito “inutile” LP che serve solo a rendere più elegante la confezione ma anche a far salire il prezzo, ci hanno gratificato di ben due CD di brani quasi del tutto inediti, con addirittura delle parti strumentali ri-suonate ex novo e la pubblicazione per la prima volta nella sua interezza di un brano leggendario.

La cosa ironica è che finora la migliore tra le ristampe celebrative del quartetto di Venice Beach riguarda il loro album più discusso e meno amato di sempre, The Soft Parade appunto, un disco all’epoca molto criticato per la scelta del produttore Paul Rothchild di “manipolare” le canzoni dei nostri con arrangiamenti a base di archi e fiati per dare ai brani stessi una veste più pop. Se aggiungiamo a questo il fatto che per la prima volta le canzoni non erano frutto di una collaborazione di gruppo ma recavano in gran parte la firma di Krieger in quanto Jim Morrison in quel periodo era più interessato alle suo poesie che a registrare musica, capirete il perché The Soft Parade sia sempre stato guardato come il disco meno rappresentativo dello stile dei nostri. Tra l’altro nell’album l’unico pezzo che nel 1969 si fece un po’ valere in classifica fu il primo singolo Touch Me, che riuscì ad arrivare fino alla terza posizione. Risentito oggi il disco originale (che occupa il primo CD del box appena uscito, opportunamente rimasterizzato) non è affatto male, anche se posso capire la sorpresa di fans e critici all’epoca nel sentire sonorità non troppo familiari: detto della presenza al basso in diversi pezzi del grande Harvey Brooks (Bob Dylan, Electric Flag), dato che come saprete i nostri non avevano un vero bassista nella line-up, partiamo con una disamina dei contenuti del cofanetto.

L’album del 1969 parte con Tell All The People, una gradevole pop song dalla base pianistica, un motivo immediato e con l’accompagnamento dei fiati che ci sta anche bene, brano seguito dalla già citata Touch Me, vivace pezzo cantato da Jim in maniera fluida e rilassata, con un refrain delizioso nel quale sentiamo gli archi per la prima volta. A questo punto abbiamo un poker di brani senza orchestra, con i nostri che si esibiscono quindi nel loro ambiente sonoro naturale, come l’ottima Shaman’s Blues, un tipico pezzo in cui Morrison gioca con la voce in un crescendo emozionale mentre Ray Manzarek si fa largo tra organo e clavicembalo, Krieger ricama da par suo e Densmore tiene il ritmo col suo solito stile raffinato di influenza jazz. Do It ha un buon train sonoro rock anche se dal punto di vista dello script si può definire un brano minore, Easy Ride (unica a provenire dalle sessions del disco precedente, Waiting For The Sun) è un coinvolgente e pimpante rockabilly dominato dallo splendido organo di Ray e con Robbie che suona in stile quasi country, mentre  Wild Child è un rock-blues vibrante e diretto. Tornano i fiati nella saltellante Runnin’ Blue, tra jazz e rock ma con un ritornello (cantato da Krieger) quasi bluegrass e con tanto di violino e mandolino, e con la melodiosa Wishful Sinful, che forse sarebbe stata meglio senza archi. Finale con la lunga title track, quasi nove minuti di cambi di tempo e melodia: inizio ipnotico, poi si prosegue tra rock, funky e cabaret ed una parte centrale jammata e decisamente creativa; come bonus abbiamo Who Scared You, discreta rock song che era in origine sul lato B di Wishful SInful.

Il secondo CD vede un nuovo remix da parte dello storico tecnico del suono Bruce Botnick dei cinque pezzi con archi e fiati (compresa Who Scared You), riproposti qui nudi e crudi: infatti Botnick all’epoca non era d’accordo con Rothchild sulla direzione musicale del disco, ed oggi in un certo senso si prende la rivincita. I brani in questione sono ancora più diretti e piacevoli, specialmente Tell All The People e Touch Me, ed in Runnin’ Blue, Wishful Sinful e la stessa Touch Me vedono nuove parti di chitarra suonate quest’anno da Krieger (mentre alla fine del CD gli stessi tre pezzi sono riproposti con le tracce chitarristiche originali, ma sempre senza orchestrazioni). Una delle chicche del box sono però i tre brani eseguiti dai Doors come trio (Morrison era assente, pare, ingiustificato), con Manzarek che assume il ruolo di leader e cantante con lo pseudonimo di Screamin’ Ray Daniels: due blues di Muddy Waters (Don’t Go No Further, che verrà re-incisa con Jim alla voce per un lato B del 1971, e I’m Your Doctor), entrambi suonati alla grande, e soprattutto una prima e già trascinante versione del futuro classico Roadhouse Blues, che meno di un anno dopo aprirà Morrison Hotel (questi tre pezzi vedono anche nuove parti di basso incise nel 2019 da Robert DeLeo degli Stone Temple Pilots)

Il terzo CD, a parte un frammento di 40 secondi intitolato I Am Troubled, un’invettiva da predicatore di Morrison (Seminary School) che servirà da introduzione alla title track e la bizzarra Chaos, è tutto incentrato sulla leggendaria e monumentale Rock Is Dead, uno dei brani più mitizzati di quel periodo, una sorta di suite di 64 minuti in cui i nostri ripercorrono alla loro maniera la storia del rock con improvvisazioni a go-go, Morrison che gigioneggia alla grande, citazioni di brani famosi (Love Me Tender e Mystery Train di Elvis, Pipeline degli Chantays), ed un misto di rock, blues, jazz ed un pizzico di avant-garde: il brano è qui proposto nella sua interezza per la prima volta, dato che finora ne era uscita solo una parte in un’antologia del 1997. Un tour de force incredibile che da solo vale la spesa del box, e per una volta non è una frase fatta. Speriamo che questa bella ristampa abbia invertito il trend per quanto riguarda le riedizioni dei Doors: lo scopriremo il prossimo anno quando toccherà a Morrison Hotel.

Marco Verdi

Un Documento Storico Formidabile Per La “Woodstock Nera”, Se Fosse Pure Inciso Bene… Ann Arbor Blues Festival 1969

ann arbor blues festival 1969

Ann Arbor Blues Festival 1969 2 CD Third Man Records

Un disco dal doppio giudizio: quattro e forse avrebbero potuto essere anche cinque stellette per il contenuto musicale e l’importanza dei musicisti coinvolti, due e a tratti anche tre, per la qualità sonora d questo documento, che esce esattamente 50 anni dopo lo svolgimento di questo evento: una sorta di Woodstock “nera “tenutasi ad Ann Arbor, alla Università del Michigan, tra il 1° e il 3 agosto del 1969, come “l’altro” Festival appena più famoso. Si trattò del primo grande Raduno che raccoglieva insieme quasi tutti i più grandi artisti del Blues americano, al di là di quelli itineranti che giravano per l’Europa negli anni ’60, grazie alla enorme popolarità, soprattutto in Inghilterra, ma anche in Europa, del British Blues e del blues-rock in generale,  e che di conseguenza aveva portato anche a collaborazioni importanti tra musicisti bianchi e i grandi delle 12 battute che li avevano  fortemente influenzati.

Senza stare a fare un trattato sulla situazione, comunque musicisti come Muddy Waters, Howlin’ Wolf, B.B. King, per citare i più importanti, ma ce n’erano parecchi altri, cominciavano a vendere dischi in quantità più che rispettabili anche al di fuori del cosiddetto “chitlin’ circuit” in cui si esibivano solo gli artisti afroamericani e nelle “race charts” di blues e R&B, iniziando anche a partecipare a Festival Folk per esempio Newport, che avevano aperto sia agli artisti neri che alla musica elettrica. Questo lungo preambolo per dire che nel cinquantenario di questo avvenimento sono riapparsi dei nastri registrati all’epoca, con apparecchiature di fortuna (piccoli registratori mono con nastri amatoriali e postazioni di fortuna in mezzo al pubblico) con cui gli stessi appassionati che avevano organizzato le serate  le hanno in qualche modo preservate per i posteri: i nastri sono arrivati alla Third Man Records di Jack White, grande appassionato di questa musica quasi arcana, che li ha restaurati nei limiti del possibile e li ha pubblicati in un doppio CD o in due vinili separati. Ripeto, per evitare equivoci, il suono è a livelli di bootleg o di trasmissione radiofonica fine anni ’60, quindi molto “primordiale”, si sente gente che parla, scherza, ride e tossisce, a tratti anche durante le canzoni, ma l’importanza storica giustifica la pubblicazione?

Francamente non lo so, probabilmente sì, basta saperlo: comunque i nomi citati sopra ci sono tutti: un B.B. King sontuoso e veemente con la sua orchestra, un Luther Allison “arrapato” in un lunghissimo medley (oltre 14 minuti) di Everybody Must Suffer / Stone Crazy, in cui la ferocia della esibizione è quasi inversa alla qualità del suono https://www.youtube.com/watch?v=M2LwSR8nw4M .I musicisti sono liberi di improvvisare e non sono costretti nei tempi dei dischi, però il suono è un grosso limite. Altrove, per esempio in alcune performance in solitaria, come quella iniziale, solo voce e piano, di Roosevelt Sykes, il suono è quasi accettabile, come pure nel brano di Arthur “Big Boy” Crudup, o Jimmy Dawkins che fa I Wonder Why, e ancora Junior Wells in un tributo a Sonny Boy Williamson, Howlin’ Wolf in una colossale versione, oltre 16 minuti, di Hard Luck, con il suo vocione più minaccioso che mai, un suadente Otis Rush in una spaziale So Many Roads, So Many Trains, incisa persino bene https://www.youtube.com/watch?v=mVCTG0nI_Nc .

Nel secondo CD troviamo un intenso Muddy Waters in una gagliarda Long Distance Call, incisa quasi “bene”, T-Bone Walker nei 10 minuti del suo capolavoro Stormy Monday, Big Mama Thornton che risponde alla Janis di Monterey con la sua Ball And Chain, e qui avremmo apprezzato un miglior sound per goderci al meglio la performance, e la James Cotton Blues Band nei 13 minuti vorticosi di Off The Wall. In qualità di cronista ho riferito a grandi linee cosa dovete aspettarvi, poi fate vobis. Quindi “consigliato” con riserva: e se siete bluesofili incalliti nei brani dalla qualità sonora non eccelsa fate finta che siano dei vecchi 78 giri.

Bruno Conti

Troppo Bello Per Non Parlarne Diffusamente, Il Classico Cofanetto Da 5 Stellette! Rory Gallagher – Blues

rory gallagher blues

Rory Gallagher – Blues – 3 CD Chess/Universal

Ne avevo parlato già ad aprile nella rubrica delle anticipazioni, prima dell’uscita del box avvenuta poi a fine maggio, ma era un peccato non dedicargli un ulteriore spazio per una recensione completa track by track del cofanetto di cui tra breve. Del grande musicista irlandese, scomparso nel giugno del 1995, mi sono occupato già altre volte sul Blog, se volete potete andare a rileggervi un paio di post che gli ho dedicato in passato https://discoclub.myblog.it/2015/05/25/archivi-inesauribili-rory-gallagher-irishman-new-york/ e https://discoclub.myblog.it/2010/10/11/cosi-non-ne-fanno-piu-rory-gallagher-the-beat-club-sessions/, dove si parla anche della sua carriera e dell’importanza che ha avuto in ambito blues-rock: ma veniamo a questo triplo cofanetto Blues, che contiene materiale inedito e raro estratto dai suoi archivi e curato per l’occasione dal nipote Daniel Gallagher, con il libretto firmato dal giornalista Jas Obrecht. Vediamone il contenuto, brano per brano. sono tre CD, divisi per “argomento”:

CD1: Electric Blues]
1. Don’t Start Me Talkin’ (Unreleased track from the Jinx album sessions 1982) è il famoso brano di Sonny Boy Williamson II, che Rory Gallagher trasforma in un vibrante blues elettrico dove l’armonica è suonata dall’ospite Mark Feltham dei Nine Below Zero e Rory è impegnato alla slide, mentre il piano è affidato a Bob Andrews, partenza eccellente.

2. Nothin’ But The Devil (Unreleased track from the Against The Grain album sessions 1975) classico blues lento e cadenzato, scritto da Jerry West e reso celebre da Lightnin’ Slim, altra performance sopraffina di Gallagher, sia a livello vocale che chitarristico.

3. Tore Down (Unreleased track from the Blueprint album sessions 1973) brano registrato per uno dei suoi album migliori e poi non pubblicato all’epoca, si tratta di una canzone registrata varie volte da Rory, e uscita su diversi album postumi, il pezzo è uno dei classici assoluti di Freddie King, molto amata anche da Clapton, che per l’occasione riceve un trattamento deluxe alla Gallagher, con assolo misurato ma intenso.

4. Off The Handle (Unreleased session Paul Jones Show BBC Radio 1986), brano scritto da Gallagher, era in origine su Top Priority del 1979, ma questa è una gagliarda versione inedita e fantastica estratta da una trasmissione radiofonica, con il musicista irlandese al meglio delle sue possibilità che fa i numeri alla solista, peccato che il brano venga sfumato.

5. I Could’ve Had Religion (Unreleased WNCR Cleveland radio session from 1972) ripresa di un traditional che era tra i punti di forza del Live In Europe del 1972, versione intensa con il nostro che distilla il blues come sui sapeva fare, grande lavoro di bottleneck e armonica.

6. As the Crow Flies (Unreleased track from Tattoo album sessions 1973) la sua versione di un classico di Tony Joe White, ce n’è una versione fantastica dal vivo su Irish Tour, questa registrata in studio, sempre con slide a manetta, era inedita fino ad ora

7. A Million Miles Away (Unreleased BBC Radio 1 Session 1973) altro cavallo di battaglia del musicista di Cork, in origine era su Tattoo, uno dei suoi dischi migliori, notevole versione per la BBC, inspiegabilmente rimasta inedita fino ad oggi, di questo blues lento e cadenzato, Gallagher at his best

8. Should’ve Learnt My Lesson (Outtake from Deuce album sessions 1971) questa è una versione alternativa del brano uscito in origine sul suo secondo disco di studio, forse il suo migliore in assoluto, di durata doppia rispetto a quella pubblicata, altro slow blues da manuale con la chitarra che distilla note magica.

9. Leaving Town Blues (Tribute track from Peter Green ‘Rattlesnake Guitar’ 1994) brano raro estratto da un doppio CD in tributo al chitarrista dei Fleetwood Mac, con il nostro impegnato anche al mandolino oltre che ad una slide acidissima,  in un brano costruito su un crescendo emozionante

10. Drop Down Baby (Rory guest guitar on Lonnie Donegan’s “Puttin’ On The Style” album 1978) estratto dal raro tributo al musicista di Rock Island Line “inventore” dello skiffle, che è la voce solista mentre Gallagher si “limita” a suonare la chitarra

11. I’m Ready (Guest guitarist on Muddy Waters ‘London Sessions’ album 1971) stesso discorso per questa versione fiatistica estratta dall’album “inglese” del grande Muddy Waters, con Rory Gallagher impegnato alla solista in tutto l’album, se per caso lo trovate in giro acchiappatelo,

12. Bullfrog Blues (Unreleased WNCR Cleveland radio session from 1972) altro brano che fa il suo figurone nel Live In Europe del ’72, questa versione per una radio americana dello stesso periodo è sensazionale, grinta all’ennesima potenza, anche se la registrazione non è impeccabile, per quanto comunque molto buona.

[CD2: Acoustic Blues]

In questo secondo CD vediamo un lato più intimo e raccolto del musicista irlandese che comunque anche in versione acustica era completamente a suo agio

1. Who’s That Coming (Acoustic outtake from Tattoo album sessions 1973) la versione elettrica su Tattoo è insuperabile, ma anche questa alla acustica slide hai suoi pregi

2. Should’ve Learnt My Lesson (Acoustic outtake from Deuce album sessions 1971) terza versione, registrata sempre per il secondo album, di uno suoi pezzi preferiti

3. Prison Blues (Unreleased track from Blueprint album sessions 1973) doveva fare parte di Blueprint ma non venne utilizzata mai, si tratta proprio di una canzone inedita, non di una versione alternata

4. Secret Agent (Unreleased acoustic version from RTE Irish TV 1976) la versione di studio su Calling Card è di una potenza inaudita ma anche questa versione dal vivo per la televisione irlandese, solo voce e chitarra acustica in modalità bottleneck non scherza

5. Blow Wind Blow (Unreleased WNCR Cleveland radio session from 1972) altra canzone di Muddy Waters registrata negli Usa che non ricordo di avere sentito in altri dischi di Gallagher

6. Bankers Blues (Outtake from the Blueprint album sessions 1973) versione alternativa abbastanza simile a quella uscita sul disco originale, probabilmente non usata perché a un certo punto gli scappa da ridere

7. Whole Lot Of People (Acoustic outtake from Deuce album sessions 1971) su Deuce è un brano elettrico di quelli suoi devastanti, qui appare in versione solo voce e chitarra acustica in fingerpicking

8. Loanshark Blues (Unreleased acoustic version from German TV 1987) questo brano uscirà in versione elettrica su Defender il disco del 1987

9. Pistol Slapper Blues (Unreleased acoustic version from Irish TV 1976) un altro dei brani tradizionali  acustici in fingerpicking che gli piaceva suonare dal vivo, ancora per la televisione irlandese

10. Can’t Be Satisfied (Unreleased Radio FFN session from 1992) di nuovo McKinley Morganfield, grande versione per la radio tedesca registrata quasi a fine carriera

11. Want Ad Blues (Unreleased RTE Radio Two Dave Fanning session 1988) dopo Muddy anche un brano di John Lee Hooker, conosciuto pure come Wanted Blues, solo voce e chitarra acustica amplificata, con l’altro titolo si trova in svariate versioni live

12. Walkin’ Blues (Unreleased acoustic version from RTE Irish TV 1987) e infine anche un omaggio a Son House per uno dei capisaldi assoluti delle 12 battute, con Rory impegnato anche all’armonica.

[CD3: Live Blues]

Dal vivo Rory Gallagher era un vera forza della natura. lo so perché l’ho visto al Teatro Lirico di Milano negli anni ’70. E quindi questo probabilmente è il dischetto più interessante dei tre, anche se non ci sono brani dei primi anni ’70, ma in versione live il nostro amico non tradiva mai. Repertorio quasi tutto di classici del Blues rivisti alla luce della carica devastante dell’approccio rock-blues e power trio del nostro

1. When My Baby She Left Me (Unreleased track from Glasgow Apollo concert 1982) è un altro brano dal repertorio di Sonny Boy Williamson e ascoltandolo si capisce da dove hanno tratto ispirazione band come i Nine Below Zero, i Dr. Feelgood o i Nighthawks e perché Jimi Hendrix, scherzando, ma non troppo, lo considerava il miglior chitarrista del mondo

2. Nothin’ But The Devil (Unreleased track from Glasgow Apollo concert 1982) sempre dallo stesso concerto scozzese da cui vengono tre brani di questo CD, versione più carica e potente di quella presente nel primo CD di studio di questo box, sempre con un Gallagher torrenziale alla chitarra.

3. What In The World (Unreleased track from Glasgow Apollo concert 1982) non è uno dei brani più famosi scritti da Willie Dixon, e in altri album di Rory viene indicato come traditional, comunque è un altro brano dove si apprezza la potenza del suono del gruppo che non aveva nulla da invidiare a livello power trio a quella dei Cream o dei Led Zeppelin.

4. I Wonder Who (Unreleased live track from late 1980s) di questo brano non si conosce l’esatta location in cui è stato registrato, ma anche questo pezzo gagliardo, sempre tratto dal repertorio di Muddy Waters è tutto da gustare e dovrebbe vedere la presenza di Feltham all’armonica a bocca

5. Messin’ With The Kid (Unreleased track from Sheffield City Hall concert 1977) uno dei brani più celebri del repertorio concertistico di Gallagher, con un riff iniziale tra i più eccitanti della storia del rock-blues e uno svolgimento successivo che non è da meno, ottimo anche l’assolo di organo prima che Rory faccia venire giù il teatro con il suo assolo

6. Tore Down (Unreleased track from Newcastle City Hall concert 1977) e pure questa è una rilettura possente live di questo grande classico, non si prendono prigionieri

7. Garbage Man Blues (Unreleased track from Sheffield City Hall concert 1977) questo brano lo ricordo in alcune versioni micidiali di Buddy Guy, ma questa di Rory Gallagher è l’epitome dello slow blues, con la solista che viaggia in modo fluido e torrenziale, il classico pezzo da faccine per i chitarristi

8. All Around Man (Unreleased track from BBC OGWT Special 1976) la versione di studio era su Against The Grain del 1975, qui in versione monstre di oltre 11 minuti, altro lentone lancinante, scritto da Bo Carter, bluesman del Delta molto amato da Rory, che nella parte finale subisce una accelerazione fenomenale con Gallagher che maltratta la sua Stratocaster libidinosamente

9. Born Under A Bad Sign (Unreleased track from Rockpalast 1991 w/ Jack Bruce) è l’occasione per un raro incrocio con il bassista e cantante dei Cream, un incontro tra due giganti che nella parte finale improvvisano ad libitum

10. You Upset Me (Unreleased guest performance from Albert King album ‘Live’ 1975) e anche questa esibizione, come la precedente con Bruce, era rimasta inedita fino ad oggi, non utilizzata nel doppio Live di Albert King, registrato al Festival di Montreux del 1975, uno shuffle fiatistico dove i due chitarristi imbastiscono un call and response di grande classe

11. Comin’ Home Baby (Unreleased track from 1989 concert with Chris Barber Band) un’altra chicca inedita estratta dal concerto celebrativo per la band di Chris Barber, uno strumentale con fiati dove Rory Gallagher ha occasione di interagire con uno stile potenzialmente più jazzato, ma alla fine sono gli altri che si adeguano al suo stile veemente e furibondo,

12. Rory Talking Blues (Interview track of Rory talking about the blues)

Una ristampa che un fondo non è una ristampa, visto che il materiale è quasi completamente inedito, e uni dei rari casi di dischi d’archivio da 5 stellette.Se non lo avete già preso, imperdibile, visto che costa anche poco.

Bruno Conti

Una Dichiarazione Di Intenti Sin Dal Titolo: A “Sorpresa” Un Eccellente Disco! Peter Frampton Band – All Blues

peter frampton band all blues

Peter Frampton Band – All Blues – Universal Music Enterprises

Sono passati quasi 50 anni (anzi sono cinquanta proprio quest’anno) dall’uscita del primo album degli Humble Pie (celebrata recentemente anche su queste pagine https://discoclub.myblog.it/2019/03/25/humble-pie-la-quintessenza-del-rock-agli-inizi-e-poi-un-lungo-lento-declino-parte-i/ ), e per l’occasione Peter Frampton torna al blues, sempre condito da una forte componente rock, ma nell’occasione, visto che si tratta di un album incentrato quasi completamente su una selezione di famosi standard delle 12 battute, ancora più rigoroso, almeno nella scelta del materiale. L’album è attribuito alla Peter Frampton Band, ovvero Adam Lester (seconda chitarra/voce), Rob Arthur (tastiere/chitarra/voce) e Dan Wojciechowski (batteria), nomi direi non celeberrimi, ma…ci sono alcuni ospiti, per certi versi anche sorprendenti, come Kim Wilson, Larry Carlton, Steve Morse e Sonny Landreth, e il risultato mi sembra quello del miglior disco di Peter Frampton, da molto tempo a questa parte, magari con l’eccezione di qualche CD dal vivo celebrativo. Il nostro amico non ha più quei bei boccoli vaporosi che erano un suo tratto distintivo, ma non ha perso il tocco eccellente alla solista, tocco che ne aveva fatto uno dei chitarristi più gagliardi in ambito rock-blues, e pure con le migliori cifre di vendita, grazie all’ottimo Peter Frampton Comes Alive, multidisco di platino con oltre undici milioni di copie vendute, ma poi anche con una serie di altri buoni dischi, soprattutto negli anni ’70.

Ma bando alle nostalgie, anzi forza con la nostalgia, visto che questa volta è per una buona causa, il blues, che sembra essere uno dei generi che stranamente (e per fortuna) non passa mai di moda: I Just Want To Make Love To You era uno dei cavalli di battaglia di Muddy Waters e Etta James, ma l’hanno incisa decine di altri artisti, in ambito rock-blues per esempio i Foghat, e Frampton, nel presentare il disco, ha ricordato che la sua passione per i brani blues è stata rivitalizzata anche dal fatto di averne suonati una manciata a serata, nel recente tour insieme alla Steve Miller Band. La versione del brano appena ricordato si situa giusto al crocevia tra quella classica di Waters, grazie anche alla presenza di Kim Wilson all’armonica, e un suono più grintoso e vicino al rock, in ogni caso una versione sapida e potente, con la ritmica sul pezzo, le tastiere ben inserite, la voce di Peter che si è irrobustita con il passare degli anni e la chitarra che lavora di fino ma anche di forza su uno dei riff più celebrati del genere. She Caught The Katy è è uno standard scritto da Taj Mahal e Yank Rachell, che ricordiamo anche nella versione dei Blues Brothers, la parafrasi (mi è scappato) di Frampton, con la chitarra molto impegnata in continui soli e rilanci, mi ha ricordato, per strane associazioni di idee, un sound alla Jeff Healey, ma anche con rimandi a certo southern rock di qualità, mentre Georgia On My Mind non si può certo definire uno standard blues, o meglio uno standard lo è di certo, e giustamente non potendo misurarsi con la versione di Ray Charles, Frampton decide saggiamente di trasformarlo in una ballata strumentale suadente e struggente, con la sua chitarra che confeziona un assolo dove tecnica e feeling vanno a braccetto con gusto sopraffino, grande assolo.

Can’t Judge A Book By The Cover in origine era stata scritta da Willie Dixon per Bo Diddley, poi negli anni, dai Cactus in giù, è diventato un must anche per i rockers, il nostro amico decide quindi di unire il riff e il drive alla Diddley con un sound più muscolare e tirato, con grande lavoro di slide che ricorda un poco i suoi trascorsi negli Humble Pie; Me And My Guitar, se la memoria non mi inganna era un pezzo di Freddie King, un altro brano ricco d vigore, con la chitarra di Frampton sempre in grande spolvero, a conferma che il tocco magico non si perde con il trascorrere degli anni, ragazzi se suona. E che dire di una ricercata e soave traccia strumentale come All Blues, tutta tecnica e tocco, un duetto jazzato dove Frampton rivaleggia con Larry Carlton a chi è più raffinato nel trattare questo classico di Miles Davis, entrambi ben spalleggiati dal piano di Arthur; eccellente anche la rilettura di The Thrill Is Gone, una fantastica versione di questa meraviglia di B.B. King, rispettosa il giusto, ma con Frampton (ottimo anche a livello vocale) e Sonny Landreth a scambiarsi licks e soli di chitarra con una fluidità quasi disarmante.

E in Going Down Slow, il duetto con Steve Morse, l’atmosfera si fa più rovente, sempre senza esagerare e trasformare il tutto in caciara, le chitarre ci danno dentro alla grande, ma il suono rimane chiaramente e decisamente ancorato al miglior blues elettrico, quasi rigoroso nel suo dipanarsi, con Peter e Chuck Ainlay, che hanno prodotto il disco negli studi Phoenix di Frampton a Nashville, optando per un tipo di suono molto caldo e ben delineato. Altro omaggio a Mastro Muddy in una vibrante I’m A King Bee, la quintessenza del Chicago Blues, anche se forse per l’occasione manca un poco di nerbo, ma è un parere personale e comunque il breve ritorno della chitarra in modalità talk box (giusto un assaggino in ricordo di Show Me The Way) giunge quasi a sorpresa, potremmo dire “Show Me The Waters  https://www.youtube.com/watch?v=NaeNQifZp5I . Gran finale con un altro super classico di Freddie King, la magnifica  ballatona Same Old Blues, suonata quasi alla Clapton https://www.youtube.com/watch?v=EuU1hwJkBRU , con la chitarra che viaggia fluida che è un piacere, ottimo finale per un album veramente bello ed inaspettato, e che mi sento di consigliarvi caldamente.

Bruno Conti