“Vecchi Amici” Ritornano! David Zollo And The Body Electric – For Hire

david zollo for hire

David Zollo And The Body Electric – For Hire –  Old Man’s Creek Music Self Released

L’innamoramento (musicale) per David Zollo risale a tempi lontani, quando, alla guida degli High And Lonesome (un gruppo nello stile dei mai dimenticati Uncle Tupelo), esordiva con Alackday (90),proseguiva con il successivo Livefromgabes (93), e chiudeva la breve esperienza con For Sale Or Rent (96), tre eccellenti lavori per una delle band più misconosciute del panorama musicale americano, ma non nel piccolo stato dello Iowa dove furono una piccola leggenda. Cognome italiano (suo padre è stato uno scrittore e giornalista), Zollo ha fatto parte in pianta stabile del circuito artistico dell’Iowa, uno stato che annovera songwriters e musicisti di grande valore (vengono da quella terra sia Greg Brown che Bo Ramsey), e proprio Ramsey produce l’esordio solista di David, Recognize Me (95), (disco uscito con questo titolo in Europa per la Taxim, ma che è stato ristampato a Settembre dello scorso anno con il titolo originale di The Morning Is A Long Way From Home, come era uscito negli States l’anno prima per la Trailer Records), titolo bissato dai successivi Uneasy Street (98) e The Big Night (02), lavori apprezzati dalla critica, diventando proprio uno degli artisti di punta della locale etichetta, la Trailer Records, (che lui stesso ha tra l’altro contribuito a fondare). Dopo una lunga pausa (causa un intervento chirurgico alla gola) il cantante, compositore, pianista, direttore d’orchestra e, negli ultimi anni, soprattutto produttore,  David Zollo, torna, quasi in incognito, in sala d’incisione per incidere questo For Hire, dove ha spinto il suo “songwriting” (lui che è nato essenzialmente come pianista), per scrivere nove belle canzoni dove mescola rock’n’roll, blues, soul e gospel, con l’apporto della nuova band, The Body Electric, composta oltre che da David voce e tastiere, da Brian Cooper alla batteria, dal bravo Stephen Howard al basso e chitarra elettrica e da Randall Davis alle chitarre acustiche e lap-steel, sotto la produzione del suo partner di lunga data Howard (membro dei Mississippi Heat e con Otis Rush, tra gli altri).

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Il CD si apre con un trittico di brani che sembrano il diretto proseguo dell’ultimo album in studio The Big Night, con le note funky-soul di Ain’t No God But God, la title track For Hire che sembra suonata in un piano-bar di New Orleans https://www.youtube.com/watch?v=pxqwd-F0_-c  (con il piano di David a distribuire feeling e classe), e una ballata bluesy di atmosfera come Out Of The Cradle (Endlessly Rocking). Con If I Had The Wings Of A Dove emerge il lato più country dell’autore, a cui fa seguito un’altra ballata lenta e crepuscolare come Unrequited Love https://www.youtube.com/watch?v=MsjsLYHf3-A ,  e il piacevole  “boogie” di Please Don’t Leave Me Alone. Si alza il livello con il blues pianistico di Like You Want Me To, impreziosito sul finale dal suono di una tromba, passando poi alle note guidate dal pianoforte nella struggente melodia di This Is All We Are, andando a chiudere con una meravigliosa The Hour Of Our Need https://www.youtube.com/watch?v=OI7F_XGRWe4 , una rock-ballad con chitarre ricche di nerbo, una sezione ritmica dura, e la voce di Zollo che scivola sulla melodia, con tutta la band che dimostra di saper suonare all’unisono. Grandi!

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Questo disco ha visto la luce (come tanti altri ultimamente) grazie alla campagna “Kickstarter”, e fortunatamente questo ha permesso di riscoprire il talento” silenzioso” di David Zollo, un songwriter accomunabile a personaggi come il primo Todd Snider, esponenti di un rock delle radici dal suono ruspante, con canzoni che strascicano un lento blues, altre con chitarre elettriche e acustiche su ballate dolenti con un ritmo non troppo evidente, e un piano ammaliante, che è molto diverso dallo strimpellare eccitante ed esagitato di un Jerry Lee Lewis. Se qualcuno, dopo queste righe, volesse conoscere questo artista incorruttibile alle mode del momento e spontaneo come pochi, lo trova in tour nel nostro paese con lo storico batterista Brian Cooper e i musicisti italiani italiano Andrea “Lupo” Lupi e Alex Corsi.

david zollo band italia

NDT: Per le date del breve tour italiano (che sta finendo), basta consultare il sito ufficiale http://davezollo.com/ , questa sera per esempio sono di scena al Bar Dell’Orso in quel di Monteriggioni (Siena). Ne vale la pena!

Tino Montanari

Non Sono Famosi Come Le Scarpe… Però Sono Bravi ! Clarks – Feathers & Bones

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Clarks – Feathers & Bones – Clarkshouse Entertainment/Razor & Tie – Deluxe Edition

Per stare dietro a tutti i nuovi dischi di roots-rock validi in uscita, da un po’ di tempo a questa parte, bisogna smanettare sul web, armarsi di pazienza e andare alla ricerca di nuovi lavori di artisti o gruppi che, nel lungo o breve periodo, sono stati dei punti saldi della tua formazione e dei tuoi gusti musicali. Nello specifico sto parlando dei Clarks, quartetto di Pittsburgh in pista dal lontano ’97, guidati dal leader e frontman Scott Blasey, con Greg Joseph al basso, Robert James alle chitarre e David Minarik Jr. alla batteria, ospiti vari musicisti esterni impegnati alle tastiere, pedal steel, fisarmonica e armonie vocali aggiunte: in ogni caso una band caratterizzata da varie influenze e da un sound rock classico e ruspante. Esordiscono con l’interessante Someday Maybe (97), a cui faranno seguire a distanza di breve tempo Love Gone Sour Suspicion And Bad Debt  e I’ll Tell You What Man (99) ormai introvabili da tempo, il buon Live (99), l’omonimo Clarks e Let It Go (00), l’acclamato Another Happy Ending (02), Strikes & Gutters (03), Fast Moving Cars (04) https://www.youtube.com/watch?v=p4cPdxaXKZI , un’altro disco dal vivo Still Live (06) nella doppia veste CD+DVD, fino all’ultimo lavoro in studio Restless Days (09). E ora, dopo cinque anni di pausa, questo nuovo album finanziato con il sistema del crowdfunding, tramite Pledge Music https://www.youtube.com/watch?v=lioz1zWSOCo .

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Feathers & Bones si apre proprio con la title track, una canzone chitarristica ed aggressiva, piuttosto nervosa, ma dal ritornello fruibile, All Or Nothing è già meglio con il suo ritmo cadenzato, seguita dalla frenetica Nothing Good Happens After Midnight, mentre Irene è esemplare per inquadrare la musica dei Clarks https://www.youtube.com/watch?v=Pp7EUEj7AhA , la classica ballata bucolica, un grande brano molto evocativo che fa da preludio alla dinamica e fluida Take Care Of You. Su questa falsariga si muove la seconda parte del disco, a partire da Map Of The Stars https://www.youtube.com/watch?v=P_FS0X38pyo  e Nothing But You brani dal riff quadrato e metallico, mentre Magazine è una sorta di folk-rock suonato come Dio comanda https://www.youtube.com/watch?v=tsajOqCwUiE , Some Call It Destiny è una canzone sorniona (e un po’ furbina) https://www.youtube.com/watch?v=lYu8jNQCi7g , a cui fanno seguito Take Me, un brano che inizia come una “ballad” per sola voce e chitarra e che si elettrifica strada facendo, e la scintillante Broken Dove che risente un po’ della lezione dei Counting Crows.

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Il secondo CD rivisita in versione acustica buona parte dei brani di Feathers & Bones, e come quasi sempre accade le canzoni risplendono di luce propria, toccando vette notevoli nel brano che dà il titolo all’album, come pure in Irene, Magazine, Some Call It Destiny e Take Me. I Clarks non saranno dei geni ma “solo” una solida rock’n’roll band, con le orecchie attente alle radio e con canzoni che una volta infilate nell’autoradio (esiste ancora?) vi portano a spasso in cerca di un locale dove si possa bere, volendo, anche una cassa di birra. Se vi piace il genere, buona ricerca (in effetti il disco è uscito la scorsa estate) e poi passate parola!

Tino Montanari

“Sentieri Selvaggi” ! Gathering Field – Wild Journey

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Gathering Field – Wild Journey – Wild Journey Records

Tornano dopo due anni dall’album live tratto da una occasionale reunion (recensito come sempre puntualmente su queste pagine virtuali http://discoclub.myblog.it/2011/09/16/occasioni-mancate-occasioni-ritrovate-gathering-field-live-1/), quando già si cominciava a pensare che la loro carriera ventennale fosse ormai giunta al termine: in effetti questo Wild Journey è il primo disco in studio da una dozzina d’anni a questa parte, ma i pochi che li conoscono credo che non si siano certamente dimenticati come i Gathering Field fossero bravi. Il gruppo originario di Pittsburgh, come i “compagni di merenda” Rusted Root (anche loro tra i miei preferiti, ma sicuramente non fanno lo stesso genere), è una rock-band di formazione classica, solida e ben modellata, che vive come sempre sulle composizioni del leader Bill Deasy e sulla chitarra e il piano di Dave Brown, ben coadiuvati dal basso di Eric Riebling, dalla batteria di Ray DeFade, dalle tastiere di John Burgh e con il nuovo membro Clark Slater aggiunto alla seconda voce; il risultato sono dodici brani di roots-rock classico, con qualche spruzzata di country https://www.youtube.com/watch?v=xl7mDqmfHvo .

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I sentieri cominciano a dipanarsi con l’iniziale Wild Journey, una ballata elettrica dalla melodia avvincente, a cui fanno seguito le ritmate Something Holy e When Hearts Go Cold, entrambe con un bel lavoro delle chitarre, mentre la pianistica Brooklyn Honey è più introversa, molto rilassante e cantata alla meglio dalla voce profonda e calda di Deasy. Si riparte con il “groove” più ritmato di Never Gonna Let It Go e l’incedere country di Love No Longer, la fiera accattivante melodia di Not Ready Yet,  e la tambureggiante elettro-acustica Days Fly Away. Con Rough Landing si viaggia dalle parti della Dave Matthews Band, seguita dalla splendida Wild Summer Wind, grande “ballad” elettrica cantata e suonata con trasporto (la canzone migliore di tutto il disco per il sottoscritto), arrivando a concludere il viaggio con la melodia struggente di Disassemble, un bellissimo brano (con un piano limpidissimo) dal testo molto malinconico, e con la bucolica Learning To Stay dall’andamento country-western.

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I Gathering Field sono la classica band americana con un suono vicino alle radici del grande rock, e Wild Journey è un lavoro composito, ben strutturato, pieno di solide ballate elettriche nella grande tradizione della canzone d’autore a stelle e strisce (Mellencamp, Dylan, Springsteen), perché in fondo questi sono i grandi “eroi” di Deasy e Brown, ed il suono della band inevitabilmente risente di questo retaggio.

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Per questo finale di annata un lavoro da non sottovalutare (se lo avessi sentivo prima sarebbe entrato nella mia “listina” dei Top), un disco maturo e musica di qualità per una band che aspetta solo, come un regalo di Natale a sorpresa (ma anche per la Befana,o quando volete, visto la non facile reperibilità), di essere conosciuta come merita dagli appassionati del rock americano.

Consigliato!

Tino Montanari