Ci Riprovano, Per L’Ennesima Volta! Cactus – Black Dawn

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Cactus – Black Dawn – Sunset Boulevard Records

Dieci anni fa i Cactus avevano effettuato una prima reunion, che vedeva l’uscita del loro quinto album di studio, intitolato appunto con grande fantasia V, lo stesso anno avevano girato gli Stati Uniti e l’Europa con alcune date dal vivo per rinverdire le glorie passate: in quel primo giro era ancora presente il bassista originale Tim Bogert, che poi ha annunciato il suo ritiro dalle scene nel 2011. Tra alti e bassi e cambi di formazione continui la band ha proseguito a suonare dal vivo, pubblicato due o tre Live tra il 2012 e il 2014 http://discoclub.myblog.it/2014/10/10/giuro-che-lultimo-questanno-cactus-tko-tokyo-live-japan-2cddvd/ , e ora, con la formazione stabilizzata intorno ai membri originali Carmine Appice alla batteria, Jim McCarty alla chitarra e i nuovi Jimmy Kunes alla voce (ex Savoy Brown, ma solo per un anno nel 1986, senza peraltro incidere nulla con loro, fa solo curriculum per le recensioni), Andy Pratt all’armonica e Pete Bremy al basso (anche nella nuova versione dei Vanilla Fudge), pubblicano il loro sesto album di studio Black Dawn, per una etichetta Sunset Boulevard, che poi sarebbe il nostro “viale del tramonto”, spero non il loro.

Come hanno dimostrato nelle varie esibizioni live i Cactus propongono ancora il loro classico hard-rock-blues che ai tempi li aveva fatti definire “ i Led Zeppelin americani” e anche se è la solita minestra riscaldata si gusta ancora, soprattutto per gli appassionati del genere. Carmine Appice picchia sempre come un fabbro sulla batteria (ma con classe e ritmo) e gli altri lo seguono come un sol uomo, Kunes ha la classica voce dello shouter rock, McCarty è sempre un signor chitarrista, tutti elementi che convergono nell’iniziale poderosa title track, dove i vecchi Jim e Carmine ci danno dentro di gusto ai rispettivi strumenti, forse idee poche ma monolitiche. E pure Mama Bring It Home non aggiunge molti elementi di novità (ma qualcuno se li aspettava?), sono passati 46 anni ma nulla è cambiato; Dynamite vira verso un boogie molto pompato e duro con qualche tocco di slide di McCarty, Juggernaut è un hard slow blues sempre in ricordo dei vecchi tempi con Kunes che cerca di impersonare il suo miglior Plant (o Gillan, o Bon Scott, persino Steve Marriott, sostituire a piacere, gli originali sono comunque sempre meglio).

Andy Pratt all’armonica, che aveva taciuto fino ad ora, ha finalmente occasione di mettersi in luce in Headed For A Fall, un incalzante rock-blues, tra le cose migliori del disco, con sprazzi della vecchia classe grazie ad un indiavolato groove creato da Appice e soci; You Need Love è un titolo classico, da Muddy Waters agli Small Faces, passando per la Whole Lotta Love degli Zeppelin, questa è la variazione sul tema firmata Cactus, onesto e grintoso rock, ma nulla di più. The Last Goodbye è un altro slow blues di quelli duri e tirati con McCarty che dà il meglio di sé alla solista in questo brano strumentale e Walk A Mile addirittura aggiunge elementi elettro-acustici e leggermente psych alla tavolozza del CD, ma è un attimo poi all’interno del pezzo si riprende subito a picchiare in un brano gagliardo che ricorda molto i Led Zeppelin e anche i vecchi Cactus, e le grandi band hard-rock di inizio anni ’70. Qui in teoria finirebbe l’album, ma Carmine Appice ha scovato un paio di gemme inedite incise dalla formazione originale, quella con Rusty Day e Tim Bogert: quindi inizio anni ’70: una Another Way Or Another che già dal titolo rimanda al passato, uno strumentale di gran classe e C-70 Blues, un poderoso blues lento con un grande Rusty Day, e la carica dirompente di Bogert e Appice, una delle migliori sezioni ritmiche della storia del rock, brano dove dimostrano perché erano considerati la controparte americana dei Led Zeppelin. Indovinate quali sono i brani migliori del disco!

Bruno Conti

Segnali Di Vita Dal Passato. Lee Michaels – Heighty Hi The Best Of Lee Michaels

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Lee Michaels – Heighty Hi The Best Of Lee Michaels – Manifesto Records 

Il caso di Lee Michaels è diverso da quelli di molti artisti che periodicamente vengono “scoperti”, grazie alle ristampe di dischi di culto che magari ai tempi non avevano neppure avuto una circolazione adeguata o erano stati pubblicati a livello underground, o più spesso ancora si erano persi nei meandri dell’epoca d’oro del rock. Per questo signore la storia è diversa: nato a Los Angeles nel 1945, la sua carriera musicale inizia a metà anni ’60 quando si sposta poco più a nord, in quel di San Francisco e forma la sua prima band, i Sentinals, con Johny Barbata (futuro batterista di Turtles, Jefferson Airplane e Starship, nonché di CSN&Y), ma anche Joel Scott Hill poi con i Canned Heat, e Bob Mosley dei Moby Grape, a seguire arrivano i Family Tree con Bob Segarini, e nel 1967 firma un contratto come solista con la A&M. Ha fatto anche il sessionman come organista con Hendrix ed aveva come manager Matthew Katz, lo stesso di Jefferson Airplane, It’s A Beautiful Day e Moby Grape, quindi la possibilità di esibirsi in locali come l’Avalon Ballroom e il Fillmore West a fianco dei migliori musicisti californiani dell’epoca.

Il primo album, Carnival Of Life, uscirà per la A&M nel 1968, come pure i sei successivi, fino al doppio dal vivo del 1973, saranno per la stessa etichetta, entrando spesso nei Top 100 delle classifiche americane e producendo anche un singolo di successo come Do You Know What I Mean, giunto al 6° posto delle classifiche nel 1971 e un altro brano nei Top 40 come la cover di Can I Get A Witness di Marvin Gaye. Entrambi i brani si trovano in questa antologia della Manifesto che attraverso le sue venti canzoni ripercorre il periodo migliore di Michaels (che produrrà ancora tre album per la Columbia, salvo poi sparire completamente, aprendo un ristorante di successo a Marina Del Rey e un paio di timidi ritorni nel mondo della musica, tra il 1996 e il 2008, passati sotto silenzio). Anche a livello ristampe Lee Michaels non è stato trattato particolarmente bene: tre antologie pubblicate da Rhino e Shout, oltre ad una della One Way, che aveva ristampato anche i suoi singoli album, non in modo particolarmente brillante a livello sonoro e di contenuti, spariti in fretta https://www.youtube.com/watch?v=oCjgmM4ZUNs .

lee michaels complete a&m

Ora la Manifesto records oltre alla antologia di cui ci occupiamo ha pubblicato anche un sontuoso ( e costoso) box da 7 CD, The Complete A&M Album Collection, che raccoglie tutti gli album fino al 1973. Dicevo all’inizio che il caso di Michaels è diverso da quelli di altre ristampe, in quanto l’artista ai tempi vendeva parecchio, i suoi dischi avevano ottime critiche ed erano indubitabilmente piuttosto buoni tutti. Uno stile che oscillava tra il rock classico dei tempi e una vena che potremmo definire “Blue-eyed soul”, non diversa da quella di artisti come il Todd Rundgren del primo periodo, con la sua miscela di tastiere, piano e organo erano gli strumenti di Michaels, venati di rock anni ’70 (a tratti ricordando anche i primi Vanilla Fudge), pop melodico ma di ottima qualità, accenni psych e garage, e soprattutto molto soul bianco influenzato dalla Motown. I brani non sono in ordine cronologico, quindi si passa da uno stile all’altro dei diversi album, ma si apprezza comunque la qualità della musica: il rock-gospel, quasi alla Stephen Stills di Love The One You’re With, di Heighty Hi, con le sole tastiere e una batteria a tenere il tempo, oltre a dei coretti “neri”, il pop-rock gioioso di Do You Know What I Mean, con la bella voce di Michaels in evidenza, lo psych-rock di If I Lose You, con rare apparizioni di fiati e chitarre (si era agli inizi nel 1968) a fianco delle tastiere barocche di Lee.

La quasi classicheggiante The War (con echi dei Vanilla Fudge citati e continui florilegi di organo), la rara Goodbye, goodbye, una b-side d’epoca che evidenzia le influenze Motown. Hello, decisamente più rock e grintosa, Carnival Of Life, ricercata e acida, Uummm My Lady, una bella ballata pianistica, Keeps The Circle Turning, di nuovo quel gospel-rock che all’epoca funzionava, Thumbs, più complessa negli arrangiamenti, con chitarre acustiche ed elettriche a variare lo spettro sonoro, Can I Get A Witness, è il rock and soul che ci si potrebbe aspettare, mentre Hold On To Freedom  https://www.youtube.com/watch?v=PzgPhEclDh4 segnala la svolta più rock del disco del 1972 Space And First Takes,e Murder In My Heart (For The Judge) è una bella cover del pezzo dei Moby Grape, West Coast acida al punto giusto https://www.youtube.com/watch?v=059KzboKC_A . Sounding The Sleeping è rock con inserti classicheggianti, e Michaels non si fa mancare neppure una deviazione nel blues alla Al Kooper con Stormy Monday https://www.youtube.com/watch?v=rqWgSn45hIY  o nelle dolcezze di What Now America e No Part Of It, e di nuovo nello psych-rock della conclusiva Love https://www.youtube.com/watch?v=9FUk58acCT8 . Insomma non un genio ma un brillante musicista americano ingiustamente dimenticato dal tempo!

Bruno Conti