Le Origini Di Un Genio Della Chitarra, Parte Prima. Bert Jansch – A Man I’d Rather Be (Part 1)

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Bert Jansch – A Man I’d Rather Be (Part 1) – Earth 4CD Box Set

Quando lo scorso anno la label londinese Earth ha raccolto in due box da quattro CD ciascuno (Living In The Shadows e On The Edge Of A Dream, oltre a Live In Australia pubblicato a parte http://discoclub.myblog.it/2017/07/18/gli-ultimi-bellissimi-episodi-di-una-carriera-luminosa-bert-jansch-on-the-edge-of-a-dream/ ) tutti gli album pubblicati negli anni novanta e duemila dal grande Bert Jansch, non pensavo che ci fosse in previsione anche il recupero del catalogo più antico del chitarrista scozzese. Invece oggi esce, con la medesima veste grafica degli altri due cofanetti, questo A Man I’d Rather Be, che raccoglie i primi tre album pubblicati da Bert negli anni sessanta  prima di unirsi ai Pentangle (Bert Jansch, It Don’t Bother Me e Jack Orion), oltre all’unico album accreditato a lui in duo con John Renbourn, Bert & John. Per chi possiede già questi dischi (la Sanctuary li ha ristampati non molti anni fa) l’acquisto del box non è per nulla essenziale, in quanto non c’è neppure mezzo inedito, mentre nei due pubblicati lo scorso anno il quarto CD era costituito esclusivamente da canzoni mai sentite prima: qua non ci sono nemmeno le bonus tracks incluse nelle ristampe della Sanctuary, e di certo qualcosina in più in tal senso si poteva/doveva fare (a breve, il 23 Febbraio, uscirà la seconda parte di questo box, con i seguenti quattro lavori di Bert come solista, ancora senza inediti però).

Per chi non possedeva queste incisioni, come il sottoscritto, il box è comunque essenziale, in quanto ci mostra i primi passi di un artista sublime, un chitarrista che, pur suonando acustico, ha influenzato gente del calibro di Jimmy Page, Neil Young, Nick Drake e Mike Oldfield. E dire che già all’epoca, quando Bert emigrò da Edimburgo a Londra, non riuscì a trovare una major che scommettesse su un giovane armato solo di chitarra che non scriveva canzoni adatte ad essere pubblicate su singolo, e così si accasò presso l’indipendente Transatlantic, che diede al nostro la possibilità di far sentire la sua musica. Il cofanetto (con le note scritte ex novo da Bill Leader, il produttore originale di questi album) inizia con un vero e proprio classico: Bert Jansch (1965) è stato infatti indicato dalla rivista NME come uno dei venti album di folk più importanti di tutti i tempi, un lavoro che ci mostra un artista in completa solitudine ma già padrone assoluto dello strumento, e già capace di scrivere brani che sembrano dei vecchi traditionals. Quaranta minuti che si ascoltano tutti d’un fiato, con canzoni cristalline sospese tra folk e blues (Strolling Down The Highway, I Have No Time, la bella Rambling’s Going To Be The End Of Me, la purissima Running From Home) e scintillanti strumentali (la strepitosa Smokey River, la complessa Alice’s Wonderland, influenzata da Charlie Mingus, la cover di Angie di Davy Graham, ripresa anche da Simon & Garfunkel col titolo di Anji). E’ anche il disco della celebre Needle Of Death, una drammatica canzone (ma melodicamente splendida) contro la droga, che Neil Young ha volutamente “plagiato” nella sua Ambulance Blues e molti anni dopo ha ripreso nel controverso A Letter Home.

It Don’t Bother Me (ancora 1965) forse non è bello come il suo predecessore, ma è comunque un signor disco di folk, con elementi blues forse più marcati (Ring-A-Ding Bird, Tinker’s Blues, Want My Daddy Now), e comunque con cose splendide come la suggestiva Anti Apartheid, la dylaniana A Man I’d Rather Be o la fluida 900 Miles, con Bert al banjo. Ci sono anche due pezzi dove Jansch è affiancato per la prima volta da John Renbourn, My Lover e Lucky Thirteen: sono in due ma sembrano in cinque. E questo ci porta a Jack Orion (1966), album che vede la partecipazione di Renbourn in tutti i brani, che qui sono al 90% tradizionali (a parte una breve ma incisiva versione strumentale di The First Time I Ever Saw Your Face di Ewan McColl). Il pezzo centrale è senza dubbio la strepitosa title track, quasi dieci minuti di goduria assoluta, una vera lezione su come si suona la chitarra acustica. Ma sono imperdibili anche l’iniziale The Waggoner’s Lad, con uno splendido duello chitarristico, la vibrante Nottamun Town, antica ballata che servì da base a Bob Dylan per scrivere Masters Of War, e che in seguito venne ripresa anche dai Fairport Convention, o la scintillante Pretty Polly. Gran disco. In Bert & John (1966), costituito perlopiù da brani strumentali (i pochi pezzi cantati vedono comunque Bert alla voce solista), i due futuri Pentangle fanno vedere di cosa sono capaci (East Wind è qualcosa di fantastico), solo 26 minuti ma di un’intensità incredibile, da ascoltare tutti d’un fiato, con altre punte di eccellenza nella superba Soho e nella swingata e strepitosa Red’s Favorite.  Un tesoro da riscoprire, come d’altronde, se non ne possedete già il contenuto, il resto del box.

Marco Verdi

Una Doverosa Appendice Al Cofanetto! 1: Bert Jansch – Live In Australia

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Bert Jansch – Live In Australia – Earth CD

Questo CD, come suggerisce il titolo del post, è quasi indispensabile se vi siete accaparrati, o avete deciso di farlo, il recente box di Bert Jansch Living In The Shadows, contentente tre album incisi dal grande musicista scozzese negli anni novanta, con l’aggiunta di un quarto CD di inediti http://discoclub.myblog.it/2017/02/03/gli-anni-novanta-di-un-grandissimo-musicista-bert-jansch-living-in-the-shadows/ (ed il numero uno nel titolo dell’articolo preannuncia un secondo post dedicato al nuovo live di Francesco De Gregori Sotto Il Vulcano, ideale completamento del box riepilogativo della carriera Backpack): perfino la copertina, praticamente identica a quella del cofanetto quadruplo, suggerisce che in realtà Live In Australia è da considerarsi il quinto CD dell’operazione. Ma attenzione, se possedete già Downunder, live di Jansch uscito nel 2001 (ed ora fuori catalogo), non comprate questo album, in quanto è esattamente lo stesso concerto (registrato al Continental Cafe di Melbourne nel 1998), solo in una veste migliore, completamente rimasterizzato, e, come per il box, con le esaurienti note dell’esperto giornalista irlandese Colin Harper, anche se senza la benché minima bonus track.

Se non avete l’edizione del 2001, questo CD è invece (a mio parere) da avere, primo perché gli album live di Jansch non abbondano, ma soprattutto in quanto vedono il nostro, in forma smagliante, affrontare i quindici brani inclusi con la classe e raffinatezza che tutti gli conosciamo, ma senza lasciare in secondo piano la sua eccezionale abilità di chitarrista acustico. Una performance scintillante quindi, durante la quale Bert è coadiuvato (e non sempre) da appena due musicisti, Pete Howell al basso e Ian Clarke alle percussioni, in modo da lasciare in primo piano la sua splendida chitarra e la sua voce forse non bellissima ma particolare e unica. Se pensate che ci siano anche brani dei Pentangle rimarrete delusi, in quanto Bert si concentra su classici della tradizione, qualche cover (da lui comunque già incisa in passato) e diversi pezzi scritti di suo pugno: il CD inizia proprio con due cover, la tenue e delicata Blues Run The Game (di Jackson Frank, incisa tra gli altri da Sandy Denny, Nick Drake e dall’ex pard John Renbourn, mentre la versione originale di Bert è del 1975) ed il blues sopraffino Come Back Baby (scritto da Walter Davis e conosciuto per la versione di Ray Charles, mentre quella di Bert risale al 1967), subito seguiti dalla tersa e cristallina Lily Of The West, un noto traditional la cui versione in studio fa parte del CD di inediti del recente box.

Ben sei dei brani del concerto sono tratti da Toy Balloon, l’album di Jansch uscito lo stesso anno di questa serata, tra i quali alcuni davvero bellissimi come Paper Houses, poesia folk allo stato puro, e la fluida Born And Bred In Old Ireland, scritta dal nostro ma che sembra un pezzo tradizionale. Ci sono addirittura due canzoni in anteprima da Crimson Moon, album che Jansch pubblicherà nel 2000, e cioè l’intensissima My Donald (dopo un po’ non farete caso alla strumentazione ridotta al’osso, rapiti come sarete dal fraseggio chitarristico) e l’avvolgente strumentale Downunder, scritto apposta per questo tour australiano. Infine, meritano senz’altro una citazione la solare Strolling Down The Highway, o la limpida Angie, in cui il nostro lascia il pubblico a bocca aperta (non è il noto successo dei Rolling Stones, ma uno strumentale composto da Davy Graham con il titolo originale di Anji, lo hanno rifatto anche Simon & Garfunkel), o ancora lo splendido traditional The Curragh Of Kildare, perfettamente nelle corde dell’ex Pentangle.

Non c’è molto altro da dire, se non mettere il CD nel lettore e lasciar fluire la musica di questo straordinario artista, mai troppo apprezzato in vita.

Marco Verdi