Solo Jenny, Senza Johnny? Jenny Lewis – The Voyager

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Jenny Lewis – The Voyager – Warner Bros

Riprende la carriera solista della ex frontwoman dei Rilo Kiley, dopo una pausa durata cinque anni esce il nuovo album solista di Jenny Lewis. Per la verità nel 2010 era uscito un CD a nome Jenny & Johnny di cui potete leggere qui http://discoclub.myblog.it/2010/12/03/chi-e-quella-brava-dei-due-2-jenny-johnny-i-m-having-fun-now/ e lo scorso anno era uscita una compliation di demo, b-sides ed inediti in generale dei Rilo Kiley, intitolata Rkives. Il sodalizio con il compagno in musica ( e nella vita), Johnathan Rice, che è presente in alcuni brani di questo The Voyager, sembra reggere, se volete leggere i capitoli precedenti della vita e della carriera della Lewis andate al link qui sopra, mentre del nuovo album, come promesso una decina di giorni fa, andiamo a parlarne adesso. jenny lewis 1

Uscito il 29 luglio su etichetta Warner Bros, il disco ha avuto una lunga gestazione, durata quasi cinque anni, un periodo in cui c’è stato lo scioglimento della sua band, che è stato un duro colpo a livello psicologico, seguito anche dalla scomparsa del padre e da altri problemi di natura familiare. Stranamente il suo “salvatore” è stato un personaggio che uno non vedrebbe nel ruolo dello stabilizzatore, il nostro amico Ryan Adams, che, in attesa di pubblicare il suo nuovo album solista omonimo ai primi di settembre, nel frattempo ha accolto Jenny Lewis nei suoi Pax AM Studios dove il disco è stato registrato, curando sia la co-produzione dello stesso ma anche facendo da catalizzatore e da sprone per far ripartire la carriera della bella californiana (anche se nata in quel di Las Vegas), a colpi di brani dei Creed, che non sapevo avessero questi effetti taumaturgici. Comunque l’ha detto lei in una intervista e c’è da crederle perché l’album è molto piacevole, come al solito, a livello musicale ed è andato bene anche a livello commerciale, avendo debuttato in questi giorni al numero nove delle classifiche americane.

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Per chi scrive il disco migliore rimane sempre il primo da solista, Rabbit Fur Coat, con le Watson Twins https://www.youtube.com/watch?v=JRpScJzx41U , ma sia a livello solista che nelle sue varie collaborazioni la Lewis ha sempre pubblicato dei dischi di qualità medio alta, con quel sound californiano in bilico tra la West Coast classica, il sound dei Seventies di gente come Fleetwood Mac/Stevie Nicks, ma anche l’alternative rock più melodico degli anni ’90, ben rappresentato dall’asse Evan Dando/Juliana Hatfield, con qualche spruzzata del Paisley rock meno lisergico delle Bangles e del pop radiofonico meno becero e più raffinato di qualsiasi epoca. Prendete Head Underwater, il brano che apre questo The Voyager, è una perfetta confezione pop https://www.youtube.com/watch?v=E5HAD_PxBvI , con la bella voce di Jenny in primo piano, armonie vocali piacevolissime la circondano, il suono è commerciale quanto volete ma rimanda al sound, se non alla voce, dei dischi solisti della citata Stevie Nicks, quasi in concorrenza con certe cose alla Katy Perry o altre voci fatte a stampino che imperversano attualmente nelle classifiche mondiali, ma con altra classe ed allure, anche se le sonorità potrebbero avvicinarsi, Ryan Adams e la stessa Jenny riescono a tenere gli eccessi sotto controllo.

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Le chitarrine elettriche raffinate di She’s Not Me si intrecciano nuovamente con quel sound che sta a cavallo tra Bangles e pop vocale della vecchia West Coast, un po’ come una sorta di Mamas & Papas “alternativi”, con delicate armonie vocali, tastiere e le chitarre elettriche di Adams, oltre alla batteria di Griffin Goldsmith dei Dawes, che danno un’aria à la Fleetwood Mac al tutto https://www.youtube.com/watch?v=k9hKp2zm6X4 . In Just One Of The Guys (accompagnato da uno stupidello ma delizioso video musicale, dove la Lewis, Kristen Stewart e altre giovani attrici americane appaiono anche in versione simpaticamente baffuta jenny lewis just one of the guys) si fa aiutare da Beck, che producendo il brano apporta un lato “narcotico” e sognante al folk-rock psichedelico della canzone, con coretti curatissimi e chitarre lievemente acide che si sovrappongono al ritmo scandito, quasi marziale del brano, frutto di una collaborazione con Johnathan Rice di qualche anno fa, una buona canzone non si butta mai via! Slippery Slopes ha sempre questa aria sognate e lievemente psych, ma il suono è più rock, forse è il brano che più ricorda i vecchi Rilo Kiley, chitarre più aggressive che ci portano alla California post West Coast e alternativa degli anni ’80/’90. Late Bloomer dall’andatura decisamente più West Coast vecchio stile e anche jingle-jangle https://www.youtube.com/watch?v=q5GDwuUTYAY , potrebbe ricordare certe cose del Tom Petty solista o di quello che una volta, magari impropriamente, si chiamava country-rock, ora alternative country (in effetti Lou Barlow dei Sebadohdal quale il brano è ispirato, appare nella canzone), chitarre tintinnanti, ritornelli al solito assai curati e quella voce calda ed accattivante, quasi malinconica, in ricordo di tempi andati che forse non ritorneranno.

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You Can’t Outrun ‘Em è uno dei due brani in collaborazione con Johnathan Rice, ancora quel folk-rock elettroacustico dal ritmo urgente ma rilassato al tempo stesso con la voce della Lewis che assume delle tonalità quasi vicine alla prima Kate Bush, se fosse vissuta in California, fresca e giovanile https://www.youtube.com/watch?v=SX9VDoKSj4k . Nuovamente jingle-jangle aggiornato per i giorni nostri, delicato e frizzante, in The New You, altra confezione pop raffinata, solare ed estiva che andrebbe consigliata a tutte le radio più illuminate, con le chitarre ben delineate che suggeriscono lo zampino di Ryan Adams dietro a tutto ciò. Una slide insinuante apre le procedure più energiche di Aloha & The Three Johns (bel titolo e bella canzone), un rock chitarristico e grintoso che alza la temperatura del disco. Sound ribadito nel festival di chitarre e voci che è la vorticosa Love U Forever, altro chiaro esempio di come fare una musica che unisce pop lisergico, ma anche orecchiabile, all’urgenza garage del miglior rock californiano, scegliete voi l’epoca . In conclusione il brano più riflessivo di questa raccolta di canzoni, la title-track The Voyager https://www.youtube.com/watch?v=tPFWeMtTob0con chitarre acustiche, archi e tastiere sintetiche, ma non invadenti, che accarezzano la voce nuovamente malinconica e pensosa di Jenny Lewis, che si conferma, se ben guidata, un personaggio da seguire, magari senza le esagerazioni della stampa di settore che ha assegnato a questo The Voyager voti oscillanti tra il sette e le otto, forse esagerati ma che indicano la buona considerazione in cui viene tenuta dalla critica. In definitiva, una brava e da continuare a tenere d’occhio.

Bruno Conti

Novità Di Aprile Parte Ib. Leisure Society, Rilo Kiley, Crystal Bowersox, Webb Sisters, Milk Carton Kids, Evie Sands

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Ecco gli altri titoli “interessanti” in uscita il 2 aprile: le date sono quelle “ufficiali”, poi non sempre vengono rispettate, alcune volte escono prima, altre dopo, usatele a livello indicativo, visto che si tratta di materiale che esce in giro per il mondo. Anche le date dei Post non sono assolute, alcune volte li preparo prima e poi li pubblico anche in base alle “creazioni” dei collaboratori (oggi è già andato in rete Stephen Stills). In ogni caso partiamo con il primo terzetto.

Leisure Society sono una interessante band britannica, già nominata all’Ivor Novello, un premio della critica inglese, questo Alone Aboard The Ark è il loro terzo album, esce per la Full Time Hobby, è stato registrato negli studi Konk di proprietà di Ray Davies dei Kinks, e qualche similitudine con la band inglese nel loro periodo pop più raffinato c’è, insieme a un certo baroque sound, al sound del giro Mumford And Sons (a cui sono stati accostati anche perché hanno fatto un tour delle cattedrali con Laura Marling). Si citano pure Belle And Sebastian e Decemberists (tutta musica buona quindi) e nel 2009 erano stati cooptati dalla rivista Mojo per una delle loro compilations esclusive, registrando Something dei Beatles. Fiati e una elettronica umana convivono con il loro pop tipicamente british ed elementi più acustici, mi sembrano interessanti e bravi, date un piccolo ascolto.

I Rilo Kiley a livello discografico non danno segni di vita dal 2007, e anche la loro frontwoman Jenny Lewis non pubblica nulla dal 2010, anno di Jenny & Johnny, salvo una breve apparizione quest’anno nel disco dei surf punk-rocker Wavves dove canta i coretti nella title-track di Afraid Of Heights. Quindi immaginate la mia sorpresa quando ho visto annunciato un nuovo disco del gruppo, Rkives, per una piccola etichetta di proprietà del bassista, la Little Record Company. Vi confesso che non avevo afferrato subito il titolo del CD, Ar-chives, quindi “Archivi”, si tratta di una compilation di materiale raro ed inedito, meglio di niente, comunque:

01 Let Me Back In *
02 It’ll Get You There *
03 Runnin’ Around *
04 All the Drugs *
05 Bury, Bury, Bury Another *
06 Well, You Left *
07 Draggin’ Around
08 I Remember You
09 Dejalo (Zondo remix ft. Too $hort)
10 A Town Called Luckey
11 Emotional
12 American Wife
13 Patiently
14 Rest of My Life (demo) *
15 About the Moon
16 The Frug

* previously unreleased

A proposito di gentili donzelle, Crystal Bowersox nel 2010 si è piazzata al secondo posto nel talent show American idol, e in questo blog non sarebbe una nota di merito. La Jive del gruppo Sony/BMG/Rca lo stesso anno ha pubblicato il suo debutto Farmer’s Daughter, che pur non avendo un sound memorabile lasciava intravedere delle possibilità soprattutto in una interessante cover di For What’s Is Worth dei Buffalo Springfield di Stephen Stills. E tutto poteva finire lì. Invece sul finire del 2012, dopo essere stata mollata dalla Sony (quindi tutto come al solito), è stata messa sotto contratto dalla Shanachie che l’ha affidata al produttore Steve Berlin (proprio quello dei Los Lobos, non un omonimo) e il nuovo disco, che contiene anche un duetto con Jakob Dylan, Stitches, si chiama All That For This ed è uscito la scorsa settimana negli Stati Uniti. E non è per niente male, c’è anche Joel Guzman alla fisarmonica, lei ha una bella voce, senza usare eufemismi, non per fulla è stata scelta per rappresentare Patsy Cline in una prossima commedia musicale a Broadway. Una piacevole sorpresa degna di essere investigata, nel secondo video guardate bene nella descrizione.

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Altre voci femminili ed una interessante uscita di un nuovo gruppo.

Le Webb Sisters, Webb & Hattie, sono le due fedeli coriste (con Sharon Robinson), che da cinque anni a questa parte accompagnano Mastro Leonardo in giro per il mondo. Dal 2006 a oggi hanno anche trovato il tempo per pubblicare due album a nome loro (oltre ad uno pubblicato nel lontano 2000 in quel di Nashville) oltre ad alcuni EP, l’ultimo dei quali, esce proprio in questi giorni. Si intitola When Will You Come Home, su etichetta Proper Records, e contiene ben due diverse versioni di Show Me The Place (una con orchestra) di Mister Leonard Cohen, tratte da Old Ideas e che dal vivo è uno dei momenti in cui il grande canadese lascia loro “ampio” spazio.

Il dischetto è molto piacevole, costa molto poco e contiene anche una bella cover di Always On My Mind reso celebre prima da Elvis Presley e poi da Willie Nelson (e anche dai Pet Shop Boys). Ci sono anche due brani nuovi che non erano sul disco del 2011 Savages: Missing Person e la profetica It May Be Spring But I Still Need A Coat.

Any Way That You Want Me di Evie Sands non è proprio nuovo, la Rev-ola lo aveva già pubblicato in CD nel 2005 (ma ora è di nuovo disponibile) e il disco all’origine uscì nel lontano 1969. Questa signora è quella che ha registrato le prime versioni di Take Me For A Little While, I Can’t Let Go, Angel Of The Morning, Any Way That You Want, gli originali sono tutti suoi, anche se poi sono diventate famose nelle versioni di Dusty Springfield, Hollies, Troggs, Juice Newton e tanti altri. Se vi piacciono appunto la Springfield o la prima Laura Nyro, ma anche Linda Ronstadt o Karen Carpenter che hanno inciso i suoi brani qui c’è trippa per gatti. Nel disco in questione ci sono Any Way… e Take me for a little while, oltre a belle versioni di Carolina On My Mind di James Taylor, anni prima che diventasse un successo, Maybe Tomorrow, Until It’s Time For You To Go di Buffy Sainte-Marie e tanti brani firmati da Chip Taylor (di cui, in un certo senso, è stata la musa) e Al Gorgoni che erano anche i produttori del tutto. E nel disco suona anche gente come Eddie Hinton e Paul Griffin, il pianista dei primi dischi di Dionne Warwick (ma ha suonato anche con Dylan). Se amate il genere cantanti e autrici (scrive anche lei qualche brano) sconosciute, ma brave, potreste avere una bella sorpresa.

A proposito di anni a cavallo tra i ’60 e i ’70 i Milk Carton Kids sono stati presentati come i figli illegittimi di Simon & Garfunkel e degli Everly Brothers. E un grosso fondo di verità c’è, non si può negare, si sente, ma in The Ash And Clay, che esce in questi giorni per la Epitaph/Anti,  c’è anche altro. Duo folk, quindi i nomi son quelli, non ci sarebbe nulla di male, fossero così bravi. Altri hanno scomodato, per il tipo di suono, anche Gillian Welch e David Rawlings, senza dimenticare un signore semisconosciuto ma bravissimo come Joe Purdy, con cui hanno condiviso il palco e del quale sono stati la backing band nel tour dove presentavano l’album precedente, Prologue del 2011. Hanno suonato dal vivo anche con Old Crow Medicine Show e Lumineers, insomma il filone si è capito, quel new folk con mille sfaccettature, ma una per loro con una patina tipicamente acustica. Uno dei loro fans è Joe Henry che ha scritto le note del libretto. Per gradire un paio di brani.

Di altri dischi, appena trovo il tempo, vorrei occuparmi nello specifico, ad esempio, Poco, Hiss Golden Messenger, Last Bison, JJ Grey & Mofro. Dico i nomi, così mi prendo l’impegno. E Marco Verdi si occuperà dell’ultimo dei nuovi Dylan, Thom Chacon, mentre a Tino Montanari tocca il nuovo Elliott Murphy. Ebbene sì, sono uno schiavista!

Alla prossima.

Bruno Conti

Chi E’ Quella Brava Dei Due? 2 – Jenny & Johnny – I’m Having Fun Now

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Jenny And Johnny – I’m Having Fun Now – Warner Bros

Anche se Chrissie Hynde (come ribadito nel post di ieri) non ha nessuna intenzione di appendere la chitarra al chiodo, una delle possibili eredi potrebbe essere Jenny Lewis.

Dopo una infanzia passata nel nativo Nevada si è trasferita in California dove per molti anni della sua adolescenza e gioventù è stata una piccola stella della televisione partecipando a innumerevoli sitcom e serie televisive. Poi, alla fine degli anni ’90, ha formato il suo primo gruppo professionale, quei Rilo Kiley dove tutt’ora milita e che hanno pubblicato 5 album (un paio veramente deliziosi), ma ha anche pubblicato due dischi solisti, di cui il primo, quello con le Watson Twins Rabbit Fur Coat è sicuramente la sua prova migliore, degna della signora citata in apertura.

Ma da alcuni anni Jenny Lewis ha anche una vita sentimentale (e artistica) in comune con Johnathan Rice altro belloccio con talento della scena alternativa americana. I due hanno scritto spesso canzoni insieme scambiandosele nei rispettivi album e lui suona anche nella band di lei dal vivo, ma, diciamocelo, pur se il rapporto è quasi paritario quella “brava” (o più brava) dei due è chiaramente lei.

Questo loro disco d’esordio come Jenny & Johnny (solo ordine alfabetico?) si chiama I’m Having Fun Now e, come da titolo, è chiaramente musica solare, power pop-rock influenzato dal suono anni ’70-80 mentre i testi sono una sorta di “baruffe chiozzotte” tra innamorati, o se preferite “l’amore non è bello se non è litigarello” per citare sia il “sacro” che il “profano”.

Risultato? Direi più che buono! In Inghilterra sono addirittura entusiasti, 4 stellette sia Mojo che Uncut (ma entrambe le riviste hanno una sorta di predilezione per Jenny Lewis), in America un po’ più contenuti ma sempre giudizi positivi dai vari Rolling Stone, Spin, Pitchfork, Los Angeles Times, New York Times  con voti che oscillano tra il 7 e le 3 stellette.

Io mi schiero con gli americani: disco molto piacevole, scorrevole che si ascolta tutto di un fiato ma non particolarmente memorabile anche se ha un suo fascino. Vediamo in dettaglio, brevemente.

Si parte alla grande con Scissor Runner con le sue celestiali armonie vocali e le voci che si rincorrono gioiosamente, che rievocano il meglio del rock Californiano ma anche i Lemonheads di Evan Dando nei loro momenti di maggior gloria (ad esempio i duetti con Juliana Hatfield), una piccola sciccheria. Giova al tutto anche la brillante produzione di Mike Mogis dei Bright Eyes che evidenzia voci e strumenti: tutto fatto in casa, lui le chitarre lei il basso (ma sono interscambiabili dal vivo) con un aiuto del batterista dei Rilo Kiley Jason Boesel. My Pet Snakes ci catapulta in ritmi sincopati più anni ’80, ma l’intreccio delle voci, prima lei, poi lui, insieme ad armonizzare democraticamente è perfetto, anche quelle chitarre leggermente fuzzy completano l’opera. Switchblade, ballata dolce e romantica con la voce di Rice in primo piano e lei che canta all’unisono è un altro quadretto sonoro, questa volta semiacustico con il suo intrecciarsi di chitarre e tastiere.

Big wave ricorda le Bangles spensierate degli esordi quando erano le “cocche” del nascente Paisley Underground che ricreava la California degli anni d’oro watch?v=BwtV7L5bxtk. While Men Are Dreaming, una specie di ninna nanna futurista con le voci “trattate” in sottofondo è un episodio meno riuscito. Animal, cantata da Rice con una voce che mi ricorda un qualcosa che non riesco a definire (forse i R.e.m. degli anni ’90), è pop di grana raffinata. Just Like Zeus è un’altra power pop song, piacevole ma non essenziale mentre New Yorker Cartoon potrebbe venire dal repertorio di Simon & Garfunkel o dei Mamas & Papas (o in tempi più recenti Tom Petty & Stevie Nicks) molto bella comunque.

Straight Edge Of The Blade cantata con la voce più bella di Jenny Lewis (tra le tante nel suo spettro sonoro), un contralto vagamente alla Hynde e con un ritmo incalzante è semplicemente “una bella canzone”, merce sempre più rara anche se fortunamente ancora disponibile. Slavedriver e Committed sono due brani minori (meglio la seconda, più tirata) che concludono un disco complessivamente più che positivo, leggero ma non privo di sostanza. Lei potrebbe regalarci altre belle sorprese in futuro ma anche lui è “bravo”!

Bruno Conti