Un Ritorno Atteso, Pienamente In Linea Con Le Aspettative. Pearl Jam – Gigaton

pearl jam gigaton

Pearl Jam – Gigaton – Republic/Universal CD

Pur non essendo un loro fan sfegatato, sono sempre stato un estimatore dei Pearl Jam nonostante la mia cordiale avversione per il movimento grunge e per le sopravvalutatissime band che ne facevano parte, dai Nirvana ai Faith No More passando per Smashing Pumpkins, Soundgarden eccetera. A dire il vero non ho mai considerato il quintetto di Seattle come facente parte del mondo grunge (anche se almeno all’inizio loro ne hanno cavalcato l’onda, forse più per convenienza che altro), ma una band di puro rock di stampo classico, talvolta tendente all’hard: un po’ come i Clash negli anni settanta, che erano punk più negli atteggiamenti che nella musica ed almeno due spanne superiori a tutti gli altri gruppi inglesi appartenenti a quella corrente. Anzi, penso di non spingermi troppo in là se dico che per me i Pearl Jam sono la migliore rock band degli ultimi trent’anni insieme ai Black Crowes (che comunque preferisco nettamente), in quanto in quasi tre decadi di attività non hanno mai cambiato suono ed i loro standard compositivi sono sempre stati di livello medio-alto: in più, non va trascurato il fatto che quattro quinti del gruppo sono gli stessi dall’inizio (Eddie Vedder, Mike McCready, Stone Gossard e Jeff Ament, e comunque il batterista Matt Cameron è con loro dal 1998), cosa che indubbiamente è servita a cementare il loro sound nel tempo.

Il loro cammino negli anni novanta è stato pressoché perfetto, con una serie di album di grande rock (Ten, Vs., Vitalogy, No Code e Yield) fino a Binaural del 2000 che per il sottoscritto rimane il loro capolavoro; Riot Act, del 2002, è stato un passo indietro più che altro per la qualità inferiore delle canzoni, e a tutt’oggi è forse l’anello debole della loro discografia, ma negli anni successivi i PJ sono tornati ai livelli a cui erano abituati con l’ottimo Pearl Jam (quello con il mezzo avocado in copertina) ed i più che validi Backspacer e Lightning Bolt. Proprio quest’ultimo era fino ad un mese fa la loro ultima testimonianza in studio, ed il fatto che sia datato 2013 fa intuire facilmente perché Gigaton, il nuovo album di Vedder e soci, fosse uno dei dischi più attesi del 2020. Ebbene, devo dire con piacere che nonostante i sette anni di pausa i PJ non solo non hanno perso lo smalto, ma ci hanno consegnato il loro miglior lavoro da Binaural in poi: prodotto dai nostri con Josh Evans, Gigaton è infatti un riuscitissimo disco di puro rock, con le chitarre in prima linea, una sezione ritmica dura come un macigno e Vedder che con l’età ha migliorato la sua presenza vocale aumentando anche il numero di sfumature. Ma se il suono per i cinque di Seattle non è mai stato un problema (neanche in Riot Act), quello che fa la differenza in Gigaton sono proprio le canzoni, che anche se non tutte allo stesso livello sono di una qualità decisamente più che soddisfacente.

Siamo dunque di fronte ad un signor disco, una sferzata di energia che ci voleva in questi tempi cupi, anche se come nella tradizione dei nostri i testi dei vari brani non inducono certo all’ottimismo. L’album, che si presenta con una bella confezione stile libro con copertina dura (ma i PJ hanno sempre curato molto anche la parte visiva), inizia subito in maniera potentissima con Who Ever Said, un rock’n’roll sotto steroidi che è come un pugno in faccia: ritmo granitico con batteria secca e basso pulsante, chitarre che riffano alla grande e Vedder che canta alla sua maniera, con un bell’intermezzo in cui le acque di placano leggermente prima dell’accelerazione finale. Il ritmo non si calma neanche nella seguente Superblood Wolfmoon, un brano forse monolitico nel suono ma che ci riserva una sventagliata di elettricità di quelle che non si ascoltano tutti i giorni (e poi la prestazione chitarristica è goduriosa); Dance Of The Clairvoyants è il primo singolo, e si tratta di una leggera digressione dato che stiamo parlando di un funk-rock dal basso molto accentuato ed un synth sullo sfondo, un brano diverso ma godibile e dotato di un ritornello immediato.

Anche la cadenzata Quick Escape mantiene le atmosfere funky ed annerite, con la band che suona in modo spettacolare (grande l’assolo di chitarra) ed Eddie che gigioneggia da par suo, Alright è invece un lento rarefatto dalle sonorità moderne ma dal cantato rilassato e decisamente melodico, con una chitarra acustica ad ammorbidire il suono, mentre Seven O’Clock è una deliziosa rock ballad dal tempo mosso e con una parte vocale discorsiva ed orecchiabile, un pezzo nel quale i nostri alzano il piede dall’acceleratore consegnandoci una bella canzone dallo script adulto, una delle migliori del CD. Con Never Destination riprende il trip a tutto rock’n’roll con uno dei pezzi più diretti e coinvolgenti, un brano quasi alla Rolling Stones ma con un pizzico di cattiveria in più; il ritmo si fa ancora più pressante in Take The Long Way, sempre con le chitarre in tiro anche se come brano è un gradino sotto ai precedenti.

Buckle Up ci regala un altro momento di tranquillità nonostante la sezione ritmica non sia certo nelle retrovie, semmai sono le chitarre ad avere un approccio più “leggero”, e con Comes Then Goes abbiamo addirittura una ballata acustica, solo Eddie voce e chitarra, una soluzione insolita ma molto gradita. Anche Retrograde mantiene la struttura “unplugged”, ma è eseguita full band assumendo uno squisito sapore folk-rock, una digressione che testimonia le varie sfaccettature di un gruppo che oggi è molto più versatile di un tempo. Finale con River Cross, altro pezzo intenso in cui Vedder suona l’organo a pompa, una conclusione profonda e toccante.

Speriamo di non attendere altri sette anni per ascoltare il seguito di Gigaton, ma per il momento la cosa importante è constatare che i Pearl Jam sono più in forma che mai.

Marco Verdi

Un Ritorno Atteso, Pienamente In Linea Con Le Aspettative. Pearl Jam – Gigatonultima modifica: 2020-04-07T21:54:23+02:00da bruno_conti
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