Questa Volta Lo Ha Fatto Bello! Shooter Jennings – Shooter

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Shooter Jennings – Shooter – Elektra/Warner CD

La carriera di Waylon Albright Jennings, detto Shooter (figlio, come certo saprete, del grande Waylon Jennings e di Jessi Colter), è sempre stata parecchio altalenante, in quanto il nostro ha alternato lavori di ottimo country-rock di stampo outlaw (fortunatamente per la maggior parte: Put The “O” Back In Country, The Wolf, Family Man e The Other Life), ad altri molto meno riusciti (il granitico Electric Rodeo, suonato con grinta ma totalmente privo di canzoni di spessore) o addirittura pasticciati (l’inqualificabile Black Ribbons). Anche le sue ultime due prove di studio, due EP, non sono certo dei capolavori: sto parlando dell’incerto Don’t Wait Up (For George), tributo non del tutto riuscito a George Jones, e soprattutto del tragico Countach (For Giorgio), incomprensibile omaggio al produttore Giorgio Moroder. Dopo essersi parzialmente riscattato l’anno scorso con il bel Live At Billy Bob’s Texas https://discoclub.myblog.it/2018/01/06/countryrock-di-classe-e-sostanza-in-una-delle-mecche-del-genere-shooter-jennings-live-at-billy-bobs-texas/ , oggi Jennings Jr. torna tra noi con un nuovo full-length (più o meno, dato che dura appena 31 minuti), intitolato semplicemente Shooter. Ebbene, questa volta devo riconoscere che il nostro ha fatto le cose come si deve, consegnandoci un signor disco di vero country-rock texano, che si mette tranquillamente sullo stesso piano dei suoi lavori più riusciti: merito senza dubbio delle canzoni, ma anche del fatto di essersi affidato alla produzione di Dave “Re Mida” Cobb, con il quale aveva già condiviso la consolle per l’ultimo album di Brandi Carlile, By The Way I Forgive You, uscito all’inizio di quest’anno.

Per Shooter il figlio di Waylon ha anche momentaneamente rinunciato alla sua abituale backing band, utilizzando i musicisti che di solito Cobb si porta in studio, con risultati indubbiamente degni di nota: Leroy Powell alla chitarra solista, Brian Allen al basso, lo stesso Cobb all’acustica, Chris Powell alla batteria e Fred Newell alla steel, e con in più le voci di supporto di Bekka Bramlett (la figlia di Delaney & Bonnie) e Kristen Rogers. Un album breve ma senza sbavature, che inizia in maniera abbastanza insolita con la travolgente Bound Ta Git Down, non perché sia travolgente ma per il suo stile, un rock’n’roll scatenato al quale una sezione fiati dona un sapore errebi, facendola sembrare più un pezzo di Southside Johnny (le iniziali sono le stesse…) che di un outlaw texano. Con Do You Love Texas? siamo invece in territori familiari, non solo per il titolo ma in quanto siamo in presenza di un delizioso honky-tonk elettrico, suonato in maniera robusta e con piglio da rock band (e con tanto di Waylon & Willie citati nel testo): questo è lo Shooter migliore, peccato che ogni tanto il nostro se ne dimentichi (un plauso anche a Cobb, il suono è perfetto).

Living In A Minor Key è una lenta e toccante cowboy tune, sullo stile di certe ballate di papà Waylon (penso ad Amanda), dalla strumentazione cristallina; D.R.U.N.K. è un trascinante rockin’ country, texano al 100%, che si posiziona da subito tra le cose più riuscite del nostro, mentre Shades & Hues è un altro slow, pianistico, semplice e diretto, con in più un gusto southern soul che riscalda il cuore. I’m Wild & My Woman Is Crazy riporta il disco su territori rock’n’roll, per un pezzo che suonato dal vivo è in grado di far saltare tutta la sala, Fast Horses & Good Rideout è una ballata un filo più eterea, ma che non sfigura affatto, anzi ricorda certe cose dell’Elton John dei primi anni settanta, ed alla fine risulta una delle migliori. Il CD termina con Rhinestone Eyes, bellissima e saltellante country song dal mood solare, e con Denim & Diamonds, una ballad elettrica tesa e vibrante dal chiaro sapore seventies, che invece di country ha molto poco, ed in certi passaggi strumentali può ricordare addirittura i Pink Floyd più bucolici.Intitolando la sua nuova fatica semplicemente con il suo soprannome, Shooter Jennings ha forse voluto simbolicamente fissare un nuovo punto di partenza della sua carriera, e devo riconoscere che c’è riuscito in maniera egregia.

Marco Verdi