Più Di 150 anni In Due Per Rendere Omaggio A Un Secolo Di Blues. Elvin Bishop & Charlie Musselwhite – 100 Years Of Blues

elvin bishop & charlie musselwhite 100 years of blues

Elvin Bishop & Charlie Musselwhite – 100 Years Of Blues – Alligator Records/Ird

Ultimamente entrambi i protagonisti di questo album stanno vivendo un ottimo periodo di creatività: Elvin Bishop, con una serie di ottimi album per la Alligator con il suo Big Fun Trio https://discoclub.myblog.it/2018/08/31/sono-veramente-bravi-tutti-elvin-bishops-big-fun-trio-something-smells-funky-round-here/ , quello del 2017 candidato anche ai Grammy come miglior disco di Blues Tradizionale, e anche Charlie Musselwhite, sia con una serie di album per etichette diverse, sia soprattutto con innumerevoli collaborazioni, sta tenendo alto il vessillo delle 12 battute. Di cui, per rovesciare il solito paradigma non “politically correct” (chissà perché non si può più dire musica nera?), ne sono sempre stati tra i migliori rappresentanti tra i musicisti “bianchi”. Partendo da California e Mississippi e passando entrambi a lungo per Chicago, sono diventati due veri paladini del blues elettrico, e Bishop per diversi anche anche del rock e del southern.

Come ricordano anche le note di copertina, pur avendo creato nella loro lunga carriera all’incirca una sessantina di album complessivamente, i due non avevano mai registrato un disco insieme (anche se probabilmente dal vivo sarà capitato diverse volte), comunque, come era quasi inevitabile, l’alchimia ha funzionato perfettamente, e questo 100 Years Of Blues, registrato ai Greaseland Studios di San Jose, CA, di Kid Andersen, che ha curato anche la produzione, oltre a suonare, stranamente, il contrabbasso in alcuni brani. Per il resto hanno fatto tutto Elvin Bishop, chitarra e voce, Charlie Musselwhite, armonica, e il fedele pard di Bishop negli ultimi anni Bob Welsh, che si è diviso tra chitarra e piano, in un disco che conferma questo ritorno ad un blues tradizonale di grande intensità, che ha caratterizzato per esempio anche le recenti prove di Bobby Rush e dei Pretty Things, tutti rigorosamente, ma creativamente, tornati alla musica che li aveva ispirati ad inizio carriera, e con risultati eccellenti. Entrambi non sono mai stati dei grandi cantanti, e Musselwhite addirittura per l’occasione ne canta solo una, mentre Bishop, con la sua voce vissuta e temprata da mille avventure, ci regala per l’occasione una delle sue migliori performance degli ultimi anni, come dimostra subito con una gagliarda e spigliata interpretazione nella propria Birds Of A Feather, un esempio di quanto viene offerto anche nel resto del disco.

Non la solita liturgia di molti album di blues eseguiti dai cosiddetti “tradizionalisti”, che spesso sono anche dischi piuttosto noiosi e ripetitivi, senza quella scintilla che permette di rivitalizzare una musica che per definizione vive appunto di tradizione, ma ha bisogno di queste botte di ispirazione per creare nuovo interesse in questo genere, di cui, come forse avrete notato, mi occupo spesso e volentieri nelle sue varie connotazioni, fine della concione. Quindi, sintetizzando (ogni tanto mi “scappa” la mano sulla tastiera, e mi dilungo, ma secondo me ci sta), Birds Of A Feather è un omaggio ai blues lovers, come dice il testo, offerto attraverso il basso pulsante di Andersen, le chitarre pungenti di Bishop e Welsh, qualche percussione a colorare il suono, ed una grinta ed energia ammirevoli, con Musselwhite che punteggia il tutto con il soffio della sua armonica (che leggenda vuole sia quella che ispirò Dan Akroyd per il suo personaggio Elwood Blues, nei Blues Brothers, mentre per Jake Joliet Belushi si ispirò a Curtis Salgado). Stranamente nell’album ci sono nove composizioni nuove e solo tre cover, una è quella di West Helena Blues di Roosevel Sykes, un brano non notissimo, che è però è l’epitome dello slow country blues, con Welsh al piano, Bishop alla chitarra elettrica e alla voce (che per smentirmi è viva e pimpante), mentre Musselwhite è sempre magistrale alla mouth harp, What The The Hell?, di nuovo di Elvin, è un classico blues elettrico Chicago Style, con la solista di Bishop in bella evidenza, spalleggiata dall’armonica di Charlie, Musselwhite che sale al proscenio con la propria Good Times, l’unico brano cantato da lui, che passa per l’occasione alla slide, suonata con grande perizia, mentre Andersen al contrabbasso e Welsh al piano contribuiscono al solido sound del pezzo.

Old School, come da titolo, è un blues di quelli tosti, se gli aggiungessimo una sezione ritmica alle spalle, avrebbe fatto un figurone nel repertorio della Butterfield Blues Band, mentre If I Should Have Bad Luck, a firma Musselwhite, è un altro ottimo esempio di 12 battute classiche, con Bishop molto efficace alla solista, come pure la cover di Midnight Hour Blues, un pezzo lento ed intenso dal repertorio di Leroy Carr, cantato con passione da Bishop, che poi lascia spazio all’amico Charlie per Blues, Why Do You Worry Me, un ottimo shuffle dove i tre solisti, Musselwhite all’armonica, Bishop alla solista e Welsh al piano, si dividono equamente gli spazi. Molto bello anche lo strumentale South Side Slide, dove è Elvin a salire in cattedra con un bottleneck “cattivo” al quale Charlie risponde colpo su colpo, per poi passare alla guida del combo per la propria Blues For Yesterday, un altro bel lento con uso slide di Elvin, ben coadiuvato dall’armonica di Musselwhite. Le due tracce conclusive sono Help Me, il super classico di Sonny Boy Williamson, ancora con Bishop, Musselwhite a e Welsh a menare le danze ai rispettivi strumenti in una esuberante versione, e la title track 100 Years Of Blues, firmata in coppia dai due titolari, che, a suggello di questo eccellente lavoro, ci raccontano con forza, vigore e orgoglio i loro cento anni complessivi vissuti a spargere il verbo di questa musica senza tempo.

Bruno Conti

Sono Veramente Bravi Tutti! Elvin Bishop’s Big Fun Trio – Something Smells Funky ‘Round Here

elvin bishop's big fun trio - something smells funky 'round here

Elvin Bishop’s Big Fun Trio – Something Smells Funky ‘Round Here – Alligator/Ird

Con l’album omonimo dello scorso anno hanno rischiato di vincere il Grammy per il miglior disco di Blues tradizionale nel 2018 https://discoclub.myblog.it/2017/02/04/come-il-buon-vino-invecchiando-migliora-elvin-bishops-big-fun-trio/ , ed Elvin Bishop era già stato candidato nel 2008 con The Blues Rolls On: nel 2015 era anche entrato nella Rock And Roll Hall Of Fame come componente della Butterfield Blues Band, quest’anno a ottobre compirà 76 anni, ma il chitarrista e cantante californiano (cittadino onorario di Chicago, per i suoi meriti nella musica blues) non sembra intenzionato ad appendere la chitarra al chiodo. Si è inventato questa formula del trio dopo tanti anni on the road ,con una big band che aveva almeno sette/otto elementi in formazione, ma ha dichiarato che non è stato per motivi economici che ha cambiato il formato, quanto perché si era stufato di aspettare che il suonatore di trombone finisse il suo assolo (lo humor non gli è mai mancato). Quale che sia il motivo comunque i risultati si sentono: Bishop si è scelto due soci di grande spessore, Willy Jordan (John Lee Hooker, Joe Louis Walker e Angela Strehli), al cajon, e soprattutto vocalist formidabile e Bob Welsh (Rusty Zinn, Charlie Musselwhite, Billy Boy Arnold, James Cotton), piano e chitarra, che sono, come leggete appena sopra, musicisti dal pedigree notevole e tutti e tre insieme fanno un “casino” notevole, inteso nel senso più nobile del termine.

Sono solo dieci brani, ma uno più bello dell’altro, l’album complessivamente mi sembra addirittura superiore al precedente, insomma un gran bel disco di blues, con abbondanti elementi rock, soul e di quant’altro volete sentirci: la title track Something Smells Funky ‘Round Here è firmata da tutti e tre, anche se il testo è di Bishop, che dice di non essere una persona molto politicizzata abitualmente, però l’ultimo inquilino della Casa Bianca è riuscito a fare “incazzare” anche lui, il tutto viene spiattellato a tempo di un rock-blues vibrante e tirato quanto consente un trio in teoria non elettrico, ma con le chitarre che ci danno dentro di gusto. La cover di (Your Love Keeps Lifting Me) Higher And Higher di Jackie Wilson è semplicemente splendida, accompagnamento minimale, ma la voce di Willy Jordan tenta dei falsetti acrobatici e spericolati che neanche Wilson ai tempi raggiungeva, mentre Bishop e Welsh con piccoli accenni di chitarra e slide danno il loro tocco di classe; Right Now Is The Hour è una nuova versione di un pezzo del 1978 che era su Hog Heaven, cantata a due voci da Jordan e Bishop, non sfigura rispetto all’originale del disco Capricorn che aveva un arrangiamento sontuoso, tanta grinta e chitarre anche nella nuova rivisitazione. Pure Another Mule di Dave Bartholomew, il pard storico di Fats Domino, era uscita su un disco di Bishop del 1981, e questa nuova versione mescola Chicago e New Orleans Blues in grande scioltezza, mentre la chitarra è sempre felpata e con sprazzi di gran classe in questo sinuoso blues.

That’s The Way Willy Likes It parte cantata coralmente poi diventa un blues and soul godurioso cantato alla grande da Jordan, con Bishop e Welsh sempre precisi e puntuali alle chitarre. I Can Stand The Rain è l’altra grande cover di un classico della soul music, questa volta di Ann Peebles, di nuovo cantata magnificamente da Wily Jordan, mentre la slide di Bishop e l’organo di Welsh aggiungono ancora tocchi di genio ad una versione intensa, mentre in precedenza in Bob’s Boogie Welsh aveva fatto volare a tutta velocità le mani sulla tastiera del  suo piano. Anche Stomp è un altro strumentale, questa volta di Bishop, sempre a tempo di boogie, con Elvin che mostra la sua abilità sia alla slide come alla solista; prima della conclusione arriva uno dei classici blues confidenziali di Bish che “conversa” con il suo pubblico su pregi  e difetti della terza età, con ironia e dosi di piano e stridente chitarra sparse a piene mani, e ancora il cajun soul godurioso della cover di un vecchio brano di Edwin Hawkins (quello di Oh Happy Day, scomparso di recente a gennaio), con l’accordion di Andre Thierry a duettare brillantemente con piano e chitarra.

Bruno Conti