Un Disco Storico Di Ray Charles Rivisitato Con Garbo E Classe. Band Of Heathens – A Message From The People Revisited

band of heathens a message from the people revisited

The Band Of Heathens – A Message From The People Revisited – BOH Records

Una premessa prima di tutto: se chiamano Ray Charles “The Genius”, un motivo evidentemente ci sarà. Lo testimonia una carriera strepitosa che lo ha consacrato come una delle più grandi voci della musica del ‘900, non solo di quella nera,  con uno stile in bilico tra R&B (di cui è stato uno degli inventori), jazz, soul, con iniezioni di gospel e country (i due Modern Sounds In Country Music sono dei capolavori), una voce tra le più espressive e coinvolgenti mai ascoltate, una abilità al pianoforte mostruosa e moltissimi altri pregi che sarebbe molto lungo elencare. Questo A Message From The People, un disco uscito nel 1972 (e ristampato dalla Concord nel 2009, ma al momento nuovamente fuori produzione)  era interessante soprattutto per l’idea che gli stava dietro, e a cui Charles stava lavorando da parecchio tempo, ovvero un disco in cui attraverso una serie di canzoni scelte con cura il grande musicista nero voleva tracciare un ritratto, anche impietoso, di una nazione in uno dei suoi momenti più bui, ancora divisa dai conflitti razziali tra bianchi e neri, la guerra del Vietnam, e i primi scricchiolii nella popolarità di Richard Nixon, poi giunto al tracollo con lo scandalo Watergate.

Un album in cui Ray Charles voleva instillare una serie di buoni sentimenti: la fratellanza universale, l’amore per la Patria, la tolleranza, l’aiuto verso i poveri e i bisognosi, tutte tematiche che suonano ancora e nuovamente vere anche ai giorni nostri. Forse a livello musicale e come album nel suo insieme, risentito oggi (ma anche allora), il disco non suona forse così memorabile, un buon disco con gli arrangiamenti curati anche da Quincy Jones, pur se con alcune vette e con la voce inarrivabile del nostro. Ma visto che dobbiamo parlare della nuova versione registrata dai Band Of Heathens concentriamoci su questa: registrato in quattro giorni nel dicembre del 2017, in uno studio di Austin, la loro rivisitazione ovviamente risente dello stile del quintetto texano, tra rock, blues, country got soul, funky,  musica roots dal Sud degli Stati Uniti https://discoclub.myblog.it/2017/03/03/un-cocktail-di-suoni-americana-the-band-of-heathens-duende/ , ma rinvigorita da una serie di canzoni in ogni caso interessanti per diversi motivi e con il gruppo che tocca vertici di creatività raramente raggiunti in passato e quindi prospera anche a livello sonoro in questo tuffo nel songbook di Ray Charles. Le due canzoni che aprono e chiudono il CD sono due traditionals di Pubblico Dominio della canzone popolare americana: Lift Every Voice And Sing era un gospel-soul di straordinaria intensità nella versione di Ray Charles, e anche se Ed Jurdi non può competere a livello vocale, la versione dei Band Of Heathens ha comunque una propria dignità, qualche falsetto ai limiti, ma una rivisitazione intima ed acustica, tra folk e radici, molto coinvolgente https://www.youtube.com/watch?v=K8Tl3tqztfA .

Seems Like I Gotta Do Wrong pare un brano uscito da un disco di Jim Croce o dei praticanti del blue eyed soul più solare degli anni ’70, morbida e soffice, ma di gran classe, con un assolo di chitarra in punta di dita, un pezzo che Charles aveva pescato nel repertorio dei Whispers. Heaven Help Us All è più bluesy e sinuosa, con un ottimo uso dell’organo e un ritornello avvolgente, in origine una canzone del ’70 di Stevie Wonder, la versione dei BOH mantiene lo spirito leggermente gospel dell’originale di Wonder e della rilettura di Ray Charles; There’ll Be No Peace Without All Men As One è una ballata accorata, che fu uno due singoli estratti dal LP dell’epoca, bella versione senza strafare troppo quella dei texani. L’altro lato del 45 era Hey Mister, un pezzo decisamente più funky, con organo e chitarrina sugli scudi, molto gradevole, anche se il synth…, mentre la cover del brano di Melanie Look What The’ve Done To My Song, Ma è un mid-tempo delizioso, dove lo spirito roots e sudista della band esce in pieno, con l’intreccio costante tra le voci di Jurdi e Quist, anche se la citazione in francese del testo e il coretto finale son fin troppo sdolcinati https://www.youtube.com/watch?v=lgDUTNFwdlU .

Decisamente migliore la rilettura del classico di Dion, Abraham, Martin And John, grande canzone aperta dal florilegio pianistico di Trevor Nealon, e che poi si apre in un afflato quasi dylaniano che contrasta con lo spirito gospel della versione originale, ma lo rende uno dei brani più riusciti del CD https://www.youtube.com/watch?v=4wEdQqJFll8 ; come pure Take Me Home, Country Roads di John Denver è assolutamente incantevole nel suo spirito country-gospel, un ambito dove il quintetto texano dà il meglio di sé. Forse l’unico pezzo in cui il rock prende il sopravvento è una versione gagliarda e intensa di Every Saturday Night, tra chitarre ruvide, ritmi induriti e organo scivolante, prima di congedarci con quello che è considerato una sorta di inno americano di riserva, ovvero America The Beautiful, un gospel intriso di soul che se nella versione di Ray Charles era superbo, anche nella rivisitazione dei Band Of Heathens non sfigura affatto e conclude degnamente un album che certamente non è un capolavoro ma un meritorio omaggio ad un piccolo classico dimenticato degli anni ’70.

Bruno Conti