Dal “Profondo” Dell’America. JD Malone & The Experts – Avalon

jd malone.jpg

 

 

 

 

 

 

 

JD Malone & The Experts – Avalon – CD+DVD – Its About Music 2011

 Spendere oggi con coscienza il proprio denaro nell’acquisto di costosissimi CD, è cosa ardua. La scelta è vasta, l’offerta supera senza dubbio la domanda, ed organizzare le risorse è obiettivamente difficile. Chi avrà un po’ di spregiudicato coraggio e comprerà il CD di tale JD Malone & The Experts, non rimarrà deluso. Il nostro, nato in una piccola cittadina di nome Bennington nello Stato del Vermont, è stato il fondatore e frontman di un gruppo di nome Picnic Steamroller dalla scarsa visibilità, per approdare nel Settembre 2004 a lavorare con gente come Gerry McWilliams, Pete Donnelly, ed artisti del livello di Natalie Merchant, Amos Lee e Wallflowers. Nel 2008 JD ha pubblicato il suo primo EP Dia de los muertos, seguito nel 2010 dal secondo disco solista Save My Face, che lo porta a condividere il palco con nomi altisonanti tipo Eric Andersen e Tom Gillam.

C’è un intero mondo rock in questo Avalon, un mondo che va da Bob Seger a Willie Nile,i Del Lords, passando per Joe Grushecky, un genere che ormai è ridotto a nostalgia e solo le ristampe e le “outtakes” lo tengono in vita. Accompagnato dai fidati Experts, compagni di tante bevute, con Tommy Geddes alla batteria, Avery Coffee alla chitarra, Jim Miades al basso, e il bravissimo Tom Hampton che suona di tutto, dalle chitarre, al mandolino, al dobro e pedal steel, per una musica immediata, diretta, con ritmo e potenza alla maniera dei grandi rockers, tipicamente “blue collar”.

Si parte alla grande con una stradaiola Silver From, che rimanda ai primi Bodeans, cui fa seguito Still Love you una ballata in mid-tempo in cui il fraseggio di JD, eccelle. Leave Us Alone altra ballata con una bella melodia e un delizioso riff di mandolino presente nel ritornello, preludio di un cambio di ritmo con una “rokkata” She Likes cantata in versione Blues. A questo punto devo chiedervi di rilassarvi perché è il turno di una delle perle del disco Sweet Evil Things, con la chitarra di Hampton che cuce la canzone dalla prima all’ultima nota, e su questo tessuto si sviluppa una ballata degna del miglior John Hiatt. Si ritorna alla normalità con una Just Like New, troppo simile a mio avviso a tanti brani senza particolari acuti, per smentirmi subito con una superba Avalon , una canzone piena di pathos e la voce di Malone, in gran forma che ricorda il grande David Gray.

Seguono una Ballad of Mr.Barbo che si sviluppa con un giro di basso, per una bella progressione armonica che accompagna una bella melodia, e una struggente Black Yodel con la pedal steel sugli scudi. Si arriva all’unica “cover” del disco, una coraggiosa Fortunate Son dei Creedence Clearwater Revival, eseguita con cuore e passione, come dovrebbe sempre essere per i brani “immortali”. Do what you can do, passa inosservata, mentre Emerald Lake per contro è una ballatona di altri tempi, con contrappunto della pedal steel di Tom, che consiglierei di ascoltare a qualunque animo inquieto. Capolavoro. Chiude il lavoro una lunga Emmit Meets a Demon con ritmica possente, tutta suonata tra basso e batteria in forma vagamente psichedelica, a dimostrare le bravura di quelle “canaglie” degli Experts. Il CD presenta inoltre 5 Audio Tracks eseguite dal vivo e un DVD di performance in Studio durante la registrazione del disco.

Avalon può essere senz’altro il primo passo per avvicinarsi ad un “rocker” onesto e sincero, figlio come tanti altri  della “working class hero”, in fondo la buona musica richiede qualche sacrificio e un pizzico di coraggio, anche di chi acquista i CD. Cercatelo, ne vale la pena.

Tino Montanari

Capitolo Terzo. Cowboy Junkies – Nomad Series:Sing In My Meadow

cowboy junkies sing in my meadow.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Cowboy Junkies – Sing In My Meadow Nomad Series Vol.3 – Proper Records

Come annunciato fin dall’inizio di queste Nomad Series i Cowboy Junkies approdano al terzo volume, quello psichedelico. Perché, mi pare di intuire, ogni singolo progetto è unificato da un tema, e se quello di Remnin’ Park (la-tetralogia-dei-cowboy-junkies-capitolo-i-renmin-park.html) era la musica e la cultura cinese, quello di Demons (disco-del-mese-cowboy-junkies-demons.html) la rivisitazione di alcuni momenti dell’opera di Vic Chesnutt, questo Sing In My Meadow si potrebbe sintetizzare in Loud Guitars and Heavy Bass & Drums ovvero, come ha detto lo stesso Michael Timmins, troviamoci per quattro giorni nei nostri studi ed improvvisiamo in libertà cercando di ricreare alcuni di quelli che sono stati momenti topici nella nostra ricerca musicale. 

“Miles Davis all’Isola di Wight nel suo trip di Bitches Brew, Captain Beefheart nel periodo creativo di Mirror Man, i Birthday Party di Nick Cave all’Electric Ballroom di Londra nelle ultime propaggini dell’era punk o i tanto amati Crazy Horse di Neil Young nel pieno del loro furore chitarristico”.

Hai detto niente! Solo che loro sono i Cowboy Junkies dal Canada, il gruppo caratterizzato dall’angelica voce di Margo Timmins e da atmosfere eteree e sognanti, il più delle volte. Certo, soprattutto nei concerti dal vivo (ma anche su disco), ogni tanto si lasciano andare a momenti più duri e improvvisati con le chitarre che si incattiviscono e la sezione ritmica libera di agire in libertà con la voce di Margo lasciata a fluire sul tutto. E non è tra questi brani che si trovano le perle del loro repertorio anche se fanno parte del loro DNA visto che Michael Timmins è comunque l’autore dei brani e il leader musicale del gruppo.

Quindi? Dopo avere ascoltato per qualche volta questo Sing In My Meadow non lo metterei allo stesso livello dello splendido Demons: è un buon album dei Cowboy Junkies, non uno dei loro migliori, sicuramente tra i più “strani”. Dividerà i fans e anche gli appassionati di musica: gli altri comunque non l’avrebbero ascoltato quindi non ci interessa il loro parere. Anche quello di chi scrive è solo un parere e quindi vale solo a livello personale: dalla violenta e distorta apertura di Continental Drift con chitarre fuzzy, fiati trattati elettronicamente (o e l’armonica’ O tutti e due?) e la voce di Margo Timmins sommersa dal magma sonoro del gruppo sembra di essere più in territori grunge che psichedelici.

Le atmosfere sospese, filtrate e ricche di echi di It’s Heavy Down Here tra i Crazy Horse meno “carichi” e il suono classico del gruppo lasciano più spazio alla voce di Margo di incantare. 3rd Crusade con le chitarre taglienti e aguzze di Mike Timmins, il basso potente di Alan Anton su sonorità che ricordano quelle di Jack Casady e la batteria di Peter in libertà, si avvicina ai vecchi Jefferson Airplane (e progetti Starship collaterali) di Grace Slick con la voce della Timmins più autorevole e vibrante del solito. Late Night Radio è uno dei brani migliori del progetto, la voce è in primo piano, non è filtrata da strani effetti e anche se le chitarre di Michael si arricchiscono di pedali wah-wah, la canzone mantiene quelle coordinate tipiche del loro stile, sognante e notturna come si conviene, insomma una bella canzone.

Nella title-track Sing In My Meadow, fanno capolino chitarre acustiche (una rarità in questo disco) anche in modalità bottleneck e l’armonica di Jeff Bird per un brano dall’impianto vagamente Blues, il Blues secondo i Cowboy Junkies, comunque un altro brano notevole con una parte centrale ancora tra psichedelia à la Jefferson e momenti più quieti. Tornano le chitarre pungenti in Hunted dai ritmi vagamente jazzati e spezzati della ritmica e la voce cerca di trovare una melodia che si perde tra montagne di chitarre che ti aggrediscono dai canali dello stereo, piace, non piace? Si vedrà! A bride’s place oltre al sound dei già citati Jefferson e ai punti di riferimento enumerati da Michael Timmins mi ha ricordato la terza facciata (quando c’erano ancora), quella più sperimentale, di Electric Ladyland di Hendrix quella dove c’erano il basso pulsante di Casady e l’organo di Winwood aggiunti agli Experience e qui la voce di Margo Timmins negli ampi spazi funziona in modo efficace.

Chiude Move On con le chitarre tra feedback impazzito e sonorità più fuzzy, con il free drumming del terzo fratello Timmins lasciato in libertà, la voce di Margo è sempre filtrata e si aggira un po’ aliena tra gli spazi ristretti della musica. Per concludere, se vi piacciono i Cowboy Junkies di Trinity Session passate pure le mano, se invece i vostri ascolti prevedono anche altri percorsi sonori più complessi e difficili il disco ha i suoi momenti anche se Demons rimane il loro “disco del 2011”. A proposito di mani, così parlò Ponzio e pure Pilato!

Comunque se non ci avete capito nulla, nel sito si possono ascoltare in streaming gli otto brani dell’album http://latentrecordings.com/cowboyjunkies/ ed eventualmente acquistarlo con il Bonus EP con le tracce live dal tour 2006.

Bruno Conti