Waylon Jennings – White Lightnin’ – Goldenlane/Cleopatra CD
Non sono un fan delle produzioni discografiche targate Cleopatra, etichetta indipendente californiana che si occupa di materiale d’archivio più o meno inedito: qualche buon prodotto negli anni lo ha pubblicato, ma anche ricicli di cose già uscite e spacciate per nuove o vere e proprie ciofeche, come il recente Joint Effort degli Humble Pie, compilato con materiale di scarto degli anni settanta non esattamente di prima qualità. Questo album intestato al grande countryman texano Waylon Jennings ed intitolato White Lightnin’ non è da considerarsi una fregatura, ma l’assenza di note nella confezione interna lascia (volutamente?) in sospeso l’ascoltatore occasionale sulla provenienza delle canzoni contenute. Alla fine White Lightnin’ è il classico segreto di Pulcinella, in quanto altro non è che la ristampa del primo album in assoluto del nostro, Waylon At JD’s del 1964 (che nonostante il titolo non è un disco dal vivo), al quale sono state aggiunte due canzoni che facevano parte di un raro singolo del 1959: diciamo quindi che questa volta la Cleopatra si è salvata dal giudizio del severo critico, in quanto comunque stiamo parlando di incisioni da tempo fuori catalogo e quindi difficilmente reperibili (ma la “cleopatrata” non manca neanche qui, in quanto sulla confezione vengono riportati dodici titoli invece dei quattordici che ci sono in realtà).
Il disco è dunque piacevole ed offre un interessante ritratto di gioventù di un musicista che negli anni settanta sarebbe diventato un grande del country ed uno degli esponenti di punta del movimento Outlaw. Qui Waylon non ha ancora uno stile ben preciso, alterna brani di classico country ad altri più rock’n’roll, ed in più si affida unicamente a materiale già noto in versioni altrui: il risultato finale è comunque piacevole ed interessante, ed in tutta onestà non mi sento di sconsigliarne l’acquisto, specie per quanto riguarda i fan del nostro. L’album inizia proprio con i due pezzi del singolo del ‘59, il primo in assoluto per Waylon, entrambi con la chitarra e la produzione del mitico Buddy Holly (non dimentichiamo che Jennings all’epoca era uno stretto collaboratore di Buddy, e per puro caso non salì su quel maledetto aereo la sera di quel tragico 3 Febbraio 1959): When Sin Stops è un incrocio tra pop e doo-wop tipico per l’epoca, molto diversa dallo stile futuro del nostro anche se il vocione è già quello, mentre Jole Blon è una versione lenta del noto standard, con il sax strumento solista. Le altre dodici canzoni fanno parte come ho già scritto di Waylon At JD’s, e vedono il nostro a capo di un quartetto che comprende lui stesso alla chitarra solista (Waylon è sempre stato un ottimo chitarrista), Gerald W. Gropp alla ritmica, Paul Foster al basso e Richard Albright alla batteria.
Come già detto si tratta di un disco di cover, con ben due omaggi a Roy Orbison, Crying e Dream Baby, più essenziali nel suono e senza gli arrangiamenti orchestrali tipici di The Big O, con Waylon che pur non avendo l’estensione vocale dell’occhialuto cantante suo conterraneo se la cava egregiamente. Deliziosa invece Don’t Think Twice, It’s Alright, il classico di Bob Dylan ripreso in una spedita rilettura country alla Johnny Cash, e decisamente piacevole anche White Lightnin’, divertente rilettura del noto successo di George Jones (scritta da J.P. Richardson, ovvero il Big Bopper che morì insieme a Holly e Ritchie Valens nel tragico incidente), con un arrangiamento elettrico tra country e rockabilly. Ci sono poi brani che in altre mani erano già delle hit country, come la squisita Sally Was A Good Old Girl (lanciata da Hank Cochran due anni prima), molto rock’n’roll in questa versione, un’ottima Love’s Gonna Live Here di Buck Owens ripresa in puro Bakersfield style, l’honky-tonk Burning Memories di Mel Tillis e la trascinante Big Mamou di Link Davis, dal ritmo molto sostenuto. Detto di un breve omaggio al vecchio amico Buddy con una It’s So Easy riveduta ma non corretta, il CD si chiude con il puro country di Abilene (di George Hamilton IV), una roccata Money (That’s What I Want) di Barrett Strong, ma più nota per la versione dei Beatles e la dolce ballata Lorena: tre brani che hanno in comune il fatto di non essere cantati da Waylon ma bensì da Gropp e Foster.
Temevo l’imbroglio, invece mi sono trovato tra le mani un dischetto piacevole ed interessante, anche se non certo imperdibile.
Marco Verdi