Diana Jones – Song To A Refugee – Proper Records – CD – LP
Questa signora è diventata da qualche anno una “cliente” abituale di questo blog, infatti ce ne siamo occupati sia per l’uscita di High Atmosphere (11), comprensivo della complicata storia della sua vita https://discoclub.myblog.it/2011/05/08/bella-musica-e-anche-una-bella-storia-da-raccontare-diana-jo/ e Museum Of Appalachia Recordings (13) https://discoclub.myblog.it/2013/07/30/dal-tennessee-agli-appalachi-diana-jones-museum-of-appalachi/ , che indubbiamente erano influenzati dalle origini della sua famiglia, abbiamo tralasciato colpevolmente l’ottimo Live In Concert (15), per tornare ora con questo nuovo e importante lavoro Song To A Refugee. Questo disco mette in luce il problema dei rifugiati, raccontando le loro storie, anche su eventi della vita reale, che sono portatori di una vasta gamma di prospettive individuali e emotive, che non sono altro che il loro vissuto.
Diana Jones si avvale per l’occasione dei suoi inseparabili compagni di viaggio, che sono per l’occasione Jason Sypher e Joe DeJarnette al basso, Glenn Patscha e Mark Hunter al pianoforte, e Will Holshouser alla fisarmonica, con ospiti speciali come Richard Thompson, Steve Earle e la cantante Peggy Seeger (sorella del grande Pete Seeger), affidando la produzione all’autore e polistrumentista David Mansfield (in passato artefice in alcuni tour di Dylan) e a Steve Addabbo (Suzanne Vega, Shawn Colvin). Il viaggio della speranza inizia con le sonorità della fisarmonica di El Chaparral, un valzer della disperazione con il canto lamentoso della Jones e gli strappi della fisa, che evocano perfettamente la scena messicana, mentre la seguente I Wait For You racconta la storia di una donna sudanese venduta dal padre, il tutto raccontato sulle note del mandolino e violino di Mansfield, per poi passare alla title track Song To A Refugee, un brano dal grande pathos emotivo eseguito su una bella aria scozzese. Con la splendida We Believe You arriva la canzone più importante dell’album, dove Steve Earle, Richard Thompson, Peggy Seeger si alternano alla voce con Diana, su un tessuto melodico splendido, complice sempre il violino di David.
Brano seguito da Mama Hold Your Baby, dove si racconta la vicenda di una madre separata dal suo bambino, nella quale il sottofondo “bluegrass” con chitarra e mandolino è perfetto per raccontarne la storia, mentre Santiago è una sorta di ninna nanna sussurrata da Diana, sullo straziante violino di David. I racconti dolorosi proseguono con Ask A Woman, un brano dolcemente folk che vede in primo piano le armonie delle Chapin Sisters, a cui fanno seguito The Life I Left Behind accompagnata come sempre dal violino, e interpretata dalla Jones in uno stile che può ricordare la miglior Joan Baez, e una arpeggiata Where We Are solo chitarra, violino e voce, canzone di una struggente bellezza. Ci si avvia alla parte finale del viaggio con il valzer cadenzato di Humble, per poi tornare al duo Jones / Mansfield con Love Song To A Bird e The Sea Is My Mother, due brani riflessivi dove si raccontano prima le storie di una famiglia e poi di due sorelle che affrontano il pericolo della traversata in mare, per chiudere infine proprio con una struggente canzone d’addio The Last Words, con Glenn Patscha degli Ollabelle al pianoforte e la voce della Jones a sottolineare il tutto con empatia e compassione , in quello che è probabilmente il disco migliore della sua carriera.
Non tutte le canzoni di Song To A Refugee sono dirette o letterali, in quanto la nostra amica racconta una serie di storie dal punto di vista delle donne, a partire da vicende di bambini, sorelle, madri, sempre interpretate con voce dolorosa da questa nuova Emily Dickinson (la famosa poetessa americana), e cosa non trascurabile, in un lavoro che è stato inciso in pochi giorni, suonando tutti insieme in un piccolo studio, particolare che può passare inosservato, ma che un tempo, quando si suonava la “vera musica”, era una importante consuetudine. In definitiva questo nuovo lavoro della Jones non è un forse un disco facile da assimilare, ma si tratta di musica sincera ed essenziale, dove Diana Jones é peraltro ben assecondata da un manipolo di ottimi musicisti che la sorreggono in questo sincero omaggio alle problematiche sempre più attuali sul tema dei “rifugiati”.
Tino Montanari