Svezia + Italia = Richard Lindgren & Mandolin’ Brothers, Concerto 22 Ottobre Presentazione Album Malmostoso. Spazio Teatro 89 Milano

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Un’altra segnalazione per il fine settimana in musica. Domani sera 22 ottobre alla Spazio Teatro 89 di Milano il cantautore svedese Richard Lindgren e i Mandolin’ Brothers, ancora una volta insieme, presenteranno il nuovo album di Lindgren, Malmostoso, registrato questa estate ai Downtown Sudios di Pavia, undici nuovi brani ispirati dai soggiorni italiani di Richard e dall’amicizia con il gruppo pavese. Qualche titolo? Lonesome Giacomo, Let’s Go To Como Baby, Ragazzon Blues Addio a Pavia. Il disco esce ufficialmente al 28 ottobre, ma dovrebbe essere già disponibile per la serata di presentazione. Se vi chiedete la genesi del titolo, la grafia della copertina dovrebbe aiutare, con Malmo e Stoso divisi, presumo, per creare un gioco di parole tra la provenienza del nostro e il carattere “arcigno”, ma profondo, della sua musica.

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L’etichetta, al solito è la svedese Rootsy, e voci di corridoio mi parlano, in alcuni momenti, di un sound quasi alla Stones epoca Exile On Main Street, quindi diverso dalle consuete ballate intense del bravissimo cantautore svedese, dalla voce vissuta e con una cospicua discografia alla spalle, questo è il suo dodicesimo album e per chi non lo conosce potrebbe essere una gradita sorpresa, gli aficionados che già lo seguono potranno godersi una serata full band (magari con altri ospiti), dove nella prima parte suoneranno appunto i Mandolin’ Brothers, che presenteranno brani estratti dalla loro discografia e magari un omaggio al recente premio Nobel (se Jimmy legge queste righe sa) e forse chissà, di una sorpresa in arrivo.

Per chi non lo conoscesse e vuole approfondire i suoi CD, tra cui l’ultimo splendido Sundown On A Lemon Tree, di cui ascoltate la title-track qui sopra, sono distribuiti in Italia dalla Ird. Quindi per verificare lo stato delle cose non mancate domani sera. Naturalmente dopo l’uscita, appena possibile, recensione completa del disco.

Bruno Conti

Un Ulteriore Virtuoso Della 6 Corde! Albert Cummings – No Regrets

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Albert Cummings – No Regrets – Ivy Music Company 

Albert Cummings da Williamstown, Massachussetts, è uno di quelli che si è soliti definire un “bel manico”, chitarrista dal suono poderoso ed in possesso di una tecnica notevole, è uno dei discepoli postumi (se si può usare questa definizione) di Stevie Ray Vaughan. Cummings è tra coloro che sono rimasti folgorati e si sono convertiti sulla strada non di Damasco ma di Houston: da giovane era un ascoltatore e fan della musica country e bluegrass e suonava il banjo, poi la scoperta della musica di SRV (come ho già detto in passate recensioni) gli ha cambiato la vita. Il nostro amico è arrivato alla musica professionale abbastanza tardi, quasi intorno ai 30 anni, perché prima si era dedicato al business di famiglia, quello delle costruzioni, di lusso, fatte su misura e quindi penso che non abbia particolari problemi finanziari (lo so, ho già detto anche questo, ma un ripassino non fa male).

 

Dopo un primo disco del 1999 autogestito, con gli Swamp Yankee, di cui non deve essere particolarmente orgoglioso perché non viene riportato nelle discografie ufficiali, nei suoi primi album, From The Heart del 2003 e True To Yourself dell’anno successivo, suonano, in toto o in parte proprio i Double Trouble, a loro volta “folgorati” dalla bravura di questo ragazzone. Ottimi anche Working Man del 2006 e Feels So Good un gagliardo live del 2008 che tiene fede al famoso detto “ma dovresti sentirlo dal vivo!”. Entrambi questi dischi erano editi dalla Blind Pig e prodotti da Jim Gaines. Il famoso producer di rock-blues è rimasto anche per questo No regrets che viene distribuito a livello autogestito (probabilmente si è finanziato da solo) e conferma tutto quello di buono che si era detto su di lui, inserendo anche elementi country-rock e southern in alcuni brani, a dimostrazione della varietà delle proposte di Cummings.

Se vi piacciono, oltre a Stevie Ray, musicisti come Clapton, Bonamassa, Tommy Castro, Tinsley Ellis, qui c’è pane per i vostri denti: dal funky-rock blues vaughaniano e tiratissimo dell’iniziale Glass House, dove c’è modo per apprezzare anche le ottime qualità vocali di Albert, passando per l’eccellente 500 Miles, dove cominciano ad emergere elementi “sudisti”, con il sound insinuante dell’organo di Rick Steff che aggiunge ulteriore varietà al notevole lavoro della solista, sempre variegata ed inventiva con continui rilanci dei temi sonori. Organo sempre protagonista nella successiva Eye To Eye, arricchita anche da sapori soul sottolineati dal trio dei background vocalists di supporto. Checkered Blues è uno di quei blues’n’roll che non ti danno tregua, ritmo serrato ed energia per una canzone dai sapori antichi, e poi la prima ballata, stupenda, She’s So Tired, con piano, organo e chitarre acustiche che sottolineano il cantato quasi Allmaniano di Cummings e le continue punteggiature liriche della sua solista che alzano il tasso emozionale di questo brano, veramente notevole. Your Day Will Come è un rock-blues serrato che potrebbe ricordare il Clapton primi anni ’70 quando la sua musica si intrecciava con quella di Duane Allman. Cry Me A River è un altro mid tempo che sottolinea questi nuovi elementi sudisti inseriti nel suono, con la presenza dell’organo e delle vocalist sempre pronte a “colorare” il dipanarsi della canzone.

 

Drink Party And Dance ci riporta al più Blues più classico con i pungenti interventi della solista che ci permettono di apprezzare la grande tecnica di Cummings, chitarrista che nel corso degli anni è diventato uno dei migliori in circolazione delle nuove leve, fluente e ricco di inventiva. Foolin’  Me è uno di quei funky-blues che stanno a metà tra Vaughan e Hendrix con wah-wah innestato e ritmi in libertà mentre Where You Belong è un’altra ballata avvolgente di gran classe, quasi Claptoniana ma con elementi country in grande evidenza, cantata con passione e coinvolgimento. Poi c’è l’unica cover del disco, una versione di Early Roman Kings di Dylan dall’ultimo Tempest. No? Mi dicono che si tratta di Mannish Boy di Bo Diddley (ma non l’aveva fatta Muddy Waters e quella di Bo Diddley era I’m A man? Che casino!). Comunque sia il brano è poderoso, con Cummings che strapazza la sua chitarra per estrarne fino all’ultima stilla di Blues, aiutato dall’armonica di Jimmy D. Taylor, il risultato finale rivaleggia con le migliori cose del Bonamassa più Blues e si avvicina all’intensità delle sue esibizioni live. La conclusione, sempre per confermare questo nuovo corso più variegato, è affidata ad una ulteriore ballata, questa volta addirittura solo chitarra acustica e piano e l’ottima voce di Cummings, la delicata Home Town. Per chi ama chitarre ruggenti ma anche buoni sentimenti!

Bruno Conti      

Proseguono I Festeggiamenti! Better World Coming – Lowlands & Friends Play Woody

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Better World Coming – Lowlands & Friends Play Woody

Una decina di giorni fa ricevo una mail da Edward Abbiati che mi annuncia che l’album dedicato a Woody Guthrie per festeggiare l’anniversario del centenario della nascita (il prossimo 14 luglio) è pronto. “Però aspetta a parlarne così creiamo un po’ di rumore a ridosso dell’uscita” (si svelano gli altarini di “massicce” manovre di marketing): non c’è problema aspettiamo, questo è un Blog, un diario, come dice la parola, con cadenza giornaliera (come dovrebbe essere per tutti, se no che “Diario” è). Poi arriva il contrordine, guarda che il disco è pronto, ma attenzione, aggiungo io, non è facile da trovare, se siete nella zona di Pavia (patria di Ed e dei Lowlands) dovreste trovarlo da questa settimana, se vi trovate nel resto d’Italia, a parte qualche negozio specializzato, lo troverete ai loro concerti (ma purtroppo ultimamente non ne fanno molti) oppure, per tagliare la testa al topo, lo prenotate sul loro sito e vi arriva comodamente a casa  http://www.lowlandsband.com/.

Finite le “incombenze promozionali” passiamo al dischetto. I “festeggiamenti”, come dico nel titolo, sono iniziati ormai dallo scorso novembre, prima con l’uscita di Note Of Hope, poi il disco New Multitudes di Farrar, Yames, Johnson & Parker, ad aprile la ri-pubblicazione ampliata di Mermaid Avenue di Billy Bragg & Wilco, l’EP dei Lowlands per il Record Store Day, ne ha parlato (e suonato) Bruce al South By Southwest di Austin: se volete approfondire anch’io ne ho parlato più volte, usate la funzione “cerca” nel Blog e scrivete Woody Guthrie e qualcosa troverete.

Nel CD c’è un track by track, brano per brano, scritto da Ed, mi sono detto, “perché non fare un track-by-track del track by track?” Perché no! L’album inizia con un Intro, un breve brano strumentale per piano solo che al primo ascolto (prima di leggere le note) suonava familiare: in effetti si tratta di This Land Is Your Land ,che i più attenti, scorrendo la lista dei brani, noteranno non c’è tra le canzoni riprese, anche se…

Quindi l’album si apre con This Train, un brano sui treni, quasi inevitabile se si vuole parlare della musica e della vita di Guthrie. Ed dice di essersi ispirato alla versione di Johnny Cash e alla famosa biografia Bound For Glory, il cui titolo è citato nel testo del brano. Nel disco i “Friends” sono tanti, cominciamo ad introdurli: Roberto Diana alla chitarra e Francesco Bonfiglio al piano sono i due Lowlands superstiti, Maurizio Gnola Glielmo alla national guitar e Francesco Limido all’armonica sono i due “macchinisti” per il ritmo del treno, il mandolino di Alex Cambise e il banjo di Nicola Crivelli (che si dedica anche alle armonie vocali) provvedono ad aumentare la quota – com’è quella parola di quattro lettere che piace molto? – ah sì, Folk! Il ritmo, quello vero, è dato dagli shakers di Fabrizio Cassani e dai “sacchetti di plastica” di Furio Sollazzi. Heaven My Home, oltre a molti dei musicisti già citati, introduce anche il dobro di Marco Rovino e la voce di Lisa Liz Petty che aggiunge una quota femminile più gentile alle procedure oltre a quella più ruvida di Ivano Grasselli. Inutile dire che i vari musicisti si adoperano anche ad altri strumenti nel corso del disco, aggiungerei che questa versione, sempre nelle parole di Edward, è modellata su quella di Joel Rafael.

I Ain’t Got No Home è una delle più celebri e belle canzoni di Guthrie, anzi di Springsteen, infatti se fate una ricerca su Google vi viene come risultato (in moltissimi casi), testo di I Ain’t Got No Home Bruce Springsteen, Lyrics (in effetti era in quel disco e VHS, altri tempi, uscito negli anni ’90, chiamato Folkways A Vision Shared)…La versione Lowlands è molto raccolta, solo i tre del gruppo più l’armonica che aggiunge profondità al suono. All’attacco della successiva More Pretty Girls, dopo una fascinosa introduzione per piano e trombone (Daniele Zanenga) mi sono chiesto come aveva fatto Ed a coinvolgere Tom Waits, invece è il vocione di Sergio “Tamboo” Tamburelli. Better World Coming, la title-track, voce e chitarra, è affidata in questo caso al solo Edward Abbiati, niente Roberto Diana, questa è la “prova”, no è la versione definitiva, vai tu! Two Good Meen racconta la famosa storia di Sacco e Vanzettti vista da Woody Guthrie, rivista dai Lowlands unisce Italia e Irlanda, mandolini e bodhran, chitarre e fisarmoniche, e per gradire, qualche “schiaffeggiamento di cosce”.

Per me il “centrepiece” del disco (se guardate la traduzione di centrepiece potreste trovare centrotavola o trionfo, propenderei per la seconda) è Plane Wreck At Los Gatos (Deportees), uno dei primi brani che ho sentito di Guthrie, al di fuori dell’inevitabile Dylan, qualche annetto fa, in una magnifica versione dei Byrds contenuta in The ballad of Easy Rider, e che per me rimane insuperabile, con la voce di Roger McGuinn e la string bender di Clarence White  che convogliano tutta la desolante malinconia e tristezza contenuta in questo brano. Ma Ed e amici hanno tentato la strada della versione corale, cantata a più voci, verso dopo verso, un po’ alla This Land Is Your Land, che non c’è (o sì?): e allora si susseguono le voci di Edward Abbiati, Franco Limido, Paolo Terlingo, Jimmy Regazzon, Maurizio Gnola Glielmo e le armonie di Nicola Crivelli, Betty Verri e Claudio Raschini, con l’assolo di armonica di Ragazzon, il mandolino di Cambise e la fisarmonica di Bonfiglio ad aggiungere emozioni a questa canzone ispano-americana che già di suo è bellissima, se la fai bene diventa devastante e qui ci siamo!

Stepstone è l’altro brano di Guthrie, rifatto nella “versione” di Joel Rafael, con un bel organo, sia Vox che Hammond ad aggiungersi all’ottimo dobro di Rovino, la batteria dal battito “militare” di Sollazzi e la voce di supporto della Verri aggiungono fascino ad una eccellente versione dove svetta anche la solista acustica di Roberto Diana, fedele compagno di molte avventure musicali. Going Down The Road è un altro bellissimo brano del songbook di Guthrie e Ed racconta di averla vista suonare nel 1996 a Dublino da Joe Ely e Bruce Springsteen. La versione qui presente si appoggia ancora una volta sui tre Lowlands, acustica, fisarmonica e dobro, che rimangono anche per la successiva Lonesome Valley, molto evocativa. Ci avviamo alla conclusione e quindi un altro brano di quelli corali è ideale per concludere il disco, Hard Travelin’ è un altro dei brani classici “di viaggio” di Woody Guthrie e se alla fine non resisti e ci attacchi una coda con This Land Is Your Land dove tutti cantano e suonano fino a che… “Til We Outnumber Them”. Un po’ di sana “retorica” non guasta mai. L’Outro è sempre la versione strumentale del celeberrimo brano.

Bruno Conti

P.S. Per chi fosse interessato ho visto che il 9 luglio la Smithsonian Folkways pubblicherà questo triplo CD con allegato libro di 150 pagine dal titolo di Woody At 100 -The Woody Guthrie Centennial Collection che è quello che vedete qui sotto in versione gigante.

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Nonostante Tutte Le Difficoltà… Marshall Chapman – Big Lonesome

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Marshall Chapman – Big Lonesome – Tallgirl Records

Quando questa “ragazzona” (Tallgirl è il nome della sua etichetta ma si riferisce anche alla sua altezza, 6 ft 1 inch, circa 1 m e 85) inizia la sua carriera musicale intorno alla prima metà degli anni ’70, in quel di Nashville, Tennessee (The Music City) dove si era trasferita dalla natia Spartanburg, South Carolina il CD non era ancora stato inventato e in quella città nasceva il fenomeno della “Outlaw Country music”, per intenderci Kris Kristofferson, Waylon Jennings, Billy Joe Shaver che sono fra i primi compagni di avventura di Marshall Chapman.

Ma il suo esordio avviene con una major, la Epic Records nel 1977 con Me I’m Feelin’ Free e ancora di più con l’eccellente Jaded Virgin del 1978, un album prodotto da Al Kooper (che era il T-Bone Burnett dei tempi) dove rock e country vanno a braccetto con la bellissima voce della brava Marshall e il disco entra nelle liste dei migliori dischi dell’anno e rimane a tutt’oggi uno dei migliori della sua discografia. Discografia che si arricchisce di altri due ottimi album Dirty Linen del 1987 e Inside Job del 1991 mentre la sua carriera, per qualche anno, si intreccia con quella di Jimmy Buffett con cui suona dal vivo e compone Last Mango In Paris, una delle sue canzoni più famose.

Per farla breve in oltre 35 anni di carriera Marshall Chapman ha registrato solo 12 album, compreso questo Big Lonesome, però le sue canzoni sono state interpretate da almeno una cinquantina di musicisti provenienti dai generi più disparati (nel suo sito http://www.tallgirl.com/content/ trovate la lista completa). Tra coloro che hanno cantato i suoi brani c’è anche Tim Krekel, un ottimo musicista che ha spesso lavorato ai margini del big business e con il quale questo album doveva diventare un disco di duetti. Poi la vita ha deciso di prendere un’altra strada e Krekel è morto per una violenta forma di tumore che nel giugno del 2009, dopo una breve malattia, se lo è portato via. Alcuni dei brani erano già stati registrati e formano “il cuore” del CD, poi la Chapman ci ha costruito un album intorno, con l’aiuto di alcuni musicisti di valore e del collaboratore storico di Buffett, Michael Utley, che oltre a curare la produzione ha suonato anche le tastiere.

Il risultato è il suo miglior disco dai gloriosi giorni degli esordi. Il genere è sicuramente rimasto quel country poco ortodosso che si citava agli inizi, intriso di blues e con qualche leggera spruzzata di rock e un filo di jazz, costruito intorno alla voce di Marshall Chapman, calda ed avvolgente e che non ha perso un briciolo del fascino originale: si parte con la prima collaborazione scritta con Krekel, quella Big Lonesome che dà il titolo all’album, dove una chitarra molto twangy, dobro e pedal steel pigramente si dispongono attorno alle voci dei due protagonisti. Down In Mexico è il primo brano dove le cose si fanno “serie”, una ballata dalle atmosfere sospese (alla Lucinda Williams se volete, ma la Chapman faceva già questa musica da prima) con la slide dell’ottimo Will Kimbrough in bella evidenza, come peraltro in tutto il disco. Going Away Party è un vecchio brano scritto da Cindy Walker, dalle atmosfere vagamente jazzate e old time, con la voce di Marshall che mi ha ricordato moltissimo quella della Carly Simon più ispirata mentre Falling Through The Trees è un’altra bellissima e intensa ballata, genere nel quale la nostra amica eccelle, quando i tempi rallentano e le atmosfere si fanno malinconiche, le sue capacità interpretative risaltano, aiutate in questo brano da un notevole lavoro all’organo da parte di Michael Utley e da un altro bel assolo di chitarra di Kimbrough.

Sick of Myself è una delle ultime collaborazioni tra la Chapman e Krekel, un bel duetto country con una sezione di fiati che ravviva il procedere delle operazioni e dona quella patina vagamente country got soul. Tim Revisited è un sentito omaggio alla memoria del suo amico, una dolce ballata cullata dalle note di una pedal steel (Jim Hoke) che rievoca tanti anni di musica insieme e vuole essere un viatico per il futuro. I Can Stop Thinking About You è un altro brano che esalta la voce vissuta della Chapman seguita da una Mississippi man In Mexico che percorre territori decisamente country-Blues con grande vigore e passione. I’m So Lonesome I Could Cry è una bellissima cover del celeberrimo brano di Hank Williams, eseguita con rigore e partecipazione. Riding with Willie, rivela già dal titolo le sue intenzioni ma poi diventa efficace nella esecuzione, uno dei brani migliori di questo album. Ma il pezzo migliore è proprio la conclusiva I Love Everybody, l’ultima collaborazione con Tim Krekel, un travolgente brano registrato dal vivo dove country e rock si esaltano ancora una volta in un continuo crescendo che esplode in una inarrestabile coda strumentale. Ottima musica!

Bruno Conti

P.S. Se vi chiedevate dove fosse finito ieri il Blog, il titolo di questo Post fa riferimento anche alle difficoltà tecniche. Pare ci sia stato un attacco degli hackers!