La Louisiana Da Oggi E’ Un Po’ Più Povera: A 75 Anni Si E’ Spento Anche Tony Joe White.

tony joe white death

Quando di recente ho recensito per questo blog il (bel) disco nuovo di Tony Joe White, Bad Mouthin’ https://discoclub.myblog.it/2018/10/11/bluesmen-a-tempo-determinato-parte-2-tony-joe-white-bad-mouthin/ , non avrei mai pensato di avere per le mani il suo canto del cigno, e men che meno in tempi così brevi. Nato nel 1943 ad Oak Grove, in Louisiana, Tony si è spento due giorni fa, il 24 Ottobre (a Nashville) per un attacco cardiaco, andandosene con discrezione ed in punta di piedi, esattamente nello stesso modo in cui aveva vissuto e fatto musica per tutta la sua esistenza. Dopo essersi esibito in gioventù in vari club tra Louisiana e Texas, White esordisce nel 1969 per la Monument con l’album Black And White, continuando ad incidere con regolarità per tutti gli anni settanta e diradando notevolmente la produzione negli ottanta. Titolare di un sound tra rock, blues e swamp, di un’abilità chitarristica non comune e di uno stile decisamente “laidback”, Tony non ha mai ottenuto un grandissimo successo, ma è stato uno dei maggiori artisti di culto in circolazione, attirando la stima di molti colleghi anche più blasonati di lui, come Carl Perkins, Eric Clapton e Joe Cocker.

Tra l’altro i suoi brani più noti lo sono diventati grazie ad interpretazioni di altri artisti, a partire da Polk Salad Annie, un classico per Elvis Presley nei primi anni settanta, passando per Rainy Night In Georgia, che fu una hit per Brook Benton e fu incisa anche da Ray Charles, Tennessee Ernie Ford e Johnny Rivers, per finire con Tina Turner che negli anni ottanta avrà un successo planetario con Steamy Windows. Nel 1991 Tony torna agli antichi fasti artistici con l’eccellente Closer To The Truth, disco che lo riporterà prepotentemente sulle scene, dove resterà con regolarità fino appunto al recente Bad Mouthin’, nel quale finalmente il nostro è riuscito a pubblicare un disco di puro blues alla John Lee Hooker (uno dei suoi idoli di gioventù). Alcuni album del nostro a mio giudizio da avere, almeno tra quelli più recenti, sono Snakey (2002), The Heroines (2004, un CD di duetti con voci femminili, tra cui Emmylou Harris, Lucinda Williams, Jessi Colter e Shelby Lynne), Hoodoo (2013) e Rain Crow (2016) https://discoclub.myblog.it/2016/07/05/sempre-la-solita-zuppa-si-ottimo-saporito-gumbo-tony-joe-white-rain-crow/ , tutti ottimi lavori all’insegna del suo tipico swamp-rock, un vero marchio di fabbrica.

Ora mi immagino Elvis (o Johnny Cash) intonare da lassù per l’ennesima volta Polk Salad Annie, ma questa volta avrà l’onore di avere il suo autore ad accompagnarlo alla chitarra.

Marco Verdi

*NDB

tony joe white that on the road look Live

Vorrei aggiungere anch’io qualche pensiero in libertà sulla scomparsa di Tony Joe White. Questo che leggete sotto è un Post che gli ho dedicato otto anni fa, in occasione della pubblicazione di That On The Road Look “Live”, e serve anche da riepilogo, insieme soprattutto ai video che trovate sparsi in tutto l’articolo, della sua personalità di incredibile performer.

Tony Joe White – That On The Road Look “Live” – Rhino Handmade

Questo signore è stato un altro dei “Grandi Vecchi” (era del 1943) della canzone americana. Uno degli inventori dello swamp rock o swamp music che dir si voglia, la sua musica si potrebbe sintetizzare come “Country got soul, soul got blues, blues got swamp” che è un po’ lungo ma efficace. Se siete amanti di quelle musiche che si nutrono da varie “radici” della musica americana, Tony Joe White è sicuramente un numero uno in questo stile: in possesso di una voce profonda e risonante, quasi glabra (pensate a Chris Rea senza quella patina di orecchiabilità o al grandissimo cantautore Greg Brown in un ambito più country-folk, per chi non lo conosce già, ovviamente!), grande chitarrista sia all’elettrica come all’acustica e compositore di spicco con una lunga carriera alle spalle e un futuro davanti. Il 28 settembre esce anche il suo nuovo album The Shine (su etichetta Swamp Records, giustamente) che si spera proseguirà l’ottima serie di dischi degli anni 2000, dove brillano The Heroines del 2004 (un disco di duetti con voci femminili, Jessi Colter, Shelby Lynne, Emmylou Harris, Lucinda Williams) e Uncovered del 2008 (con Mark Knopfler, Eric Clapton, JJ Cale e Michael McDonald).

La Rhino records gli aveva già dedicato un cofanetto quadruplo intitolato Swamp Music – The Complete Monument Years dedicato al periodo 1968-1970, qui siamo in un imprecisato mese e giorno del 1971, in una imprecisata località del globo terracqueo, Tony Joe White azzarda che possa trattarsi della Royal Albert Hall di Londra come gruppo di apertura dei Creedence Clearwater Revival. E questo disco è “The Real Deal” in tutti i sensi: il vero articolo, perché White era un nativo originale della Louisiana e come scherzando (ma non troppo) ricordava al suo “rivale” – Vedi Fogerty, non ci sono alligatori a Berkeley, California – prima di cercare di cancellarlo dal palco con la sua formidabile band. Perché in effetti ogni serata era una vera battaglia tra due dei migliori gruppi live di quel periodo: nel gruppo di Tony Joe White c’erano l’ottimo batterista Sammy Creason, il grande tastierista Michael Utley e il maestro Donald “Duck” Dunn, il fantastico bassista di Booker T & The MG’s, futuro Blues Brothers e collaboratore di Clapton. Una formazione che era una vera forza della natura ma il vero protagonista rimaneva sempre il vocione incredibile di White (e le sue basette che rivaleggiavano all’epoca con quelle di Fogerty e Presley).

Si capisce subito che la serata è di quelle da ricordare, l’apertura è affidata al groove irresistibile di Roosevelt and Ira Lee, con la sezione ritmica subito a mille, l’organo di Utley che colorisce il suono, l’armonica che dà il via alle operazioni e la chitarra di Tony Joe White che comincia ad estrarre il blues dalle sue corde prima di innestare un wah-wah micidiale (whomper stomper come lo chiama il nostro amico) e partire verso i paradisi del rock. Another Night in The Life Of A Swamp Fox sono altri sei minuti e mezzo di swamp rock non adulterato a tutta birra, con chitarra e organo in overdrive, mentre la batteria picchia di gusto e Duck Dunn pompa sul suo basso come pochi altri saprebbero fare, anche qui siamo al livello dei migliori Creedence, veramente una bella lotta, ma questi musicisti sono anche superiori tecnicamente, certo Fogerty aveva dalla sua una miriade di brani di livello memorabile e indimenticabili. A questo punto White introduce una delle sue grandi composizioni, Rainy Night In Georgia (scritta nel 1962, era stata un successo incredibile nel 1970 per Brook Benton, vendendo un milione di copie) una fantastica soul ballad a livello delle migliori cose scritte dai grandi della black music, qui interpretata con grandissima raffinatezza, non vola un mosca in sala, tutti ascoltano rapiti dalla bellezza della musica.

A questo punto parte l’intermezzo acustico introdotto da una stupenda Mississippi River, con la voce che scende, scende, scende verso tonalità caldissime, quasi alla Elvis. Lustful Carl And The Married Woman è una lussuriosa swamp song acustica che non perde nulla del suo fascino anche in versione acustica. Willie And Laura Mae Jones è un’altro dei suoi grandi cavalli di battaglia, anche in questa versione, solo voce, chitarra acustica e armonica non perde un briciolo del suo fascino. Finita la parte acustica riparte la festa con una trascinante Back To The Country, con Utley che passa al piano per un brano quasi rockabilly, dove il basso di Dunn duetta con la chitarra di Tony Joe White a velocità veramente supersoniche, prodigioso. Travellin’ Bone concede un attimo di respiro al pubblico con un altro intermezzo acustico, poi il concerto si avventura in lidi Blues con una bellissima versione di Stormy Monday piegata ai voleri sonori di questo grande musicista. My Kind Of Woman è un altro di quei brani che potrebbero figurare indifferentemente nel repertorio di White o dei Creedence, qui riaccende il wah-wah per un altro fantastico viaggio  nelle “Paludi”. Polk Salad Annie era stato il suo più grande successo (al n°8 nel 1969) e poi sarebbe diventato uno dei capisaldi della rinascita di Elvis apparendo sia in That’s The Way It Is che in On Stage come pure nel concerto del Madison Square Garden ma questa versione di Tony Joe White è insuperabile, oltre 10 minuti di pura libidine sonora con i musicisti che distillano l’essenza della grande musica dal vivo in questo brano dall’andatura ondeggiante tra boogie, country, soul e qualsiasi genere vi venga in mente, non si può resistere al crescendo strumentale nella parte centrale quando i musicisti iniziano ad improvvisare con una veemenza inusitata, in due parole, grandissima musica.

Si poteva anche terminare qui ma manca la coda affidata alla bella country-folk ballad che dà il titolo a questo album, That On The Road Look che non avrebbe sfigurato nel repertorio di Willie Nelson o Townes Van Zandt, bellissima. Così, detto per inciso, perché magari la conoscete, anche quella Steamy Windows che avrebbe contribuito al rilancio di Tina Turner ad inizio anni ’80 l’ha scritta lui! Si fa un po’ fatica a trovarlo (per usare un eufemismo) visto che è della Rhino Handmade ma è una delle Pietre di Rosetta per capire la musica di quegli anni. Eccolo, con le sue basette e con Johnny Cash, e guardate come si divertivano.

Bruno Conti