Da Gruppo Leader Del Rock Psichedelico A Paladini Del Suono “Americana”. Grateful Dead – Workingman’s Dead 50th Anniversary

grateful dead workingman's dead 50th anniversary

Grateful Dead – Workingman’s Dead 50th Anniversary – Rhino/Warner 3CD Deluxe – Lp Picture Disc

Riprendono le celebrazioni dei cinquantesimi anniversari per quanto riguarda gli album dei Grateful Dead, dopo che lo scorso novembre il mitico Live/Dead è stato “saltato” (evidentemente i nostri hanno cambiato idea decidendo di premiare solo i dischi in studio, modificando il progetto originale che prevedeva anche i live. La cosa comunque ha senso dato che ad esempio per Europe ’72 non potrebbero proporre nulla di inedito visto che nel 2011 era uscito un megabox con i concerti completi). Il 1970 fu un anno fondamentale per i Dead, che abbandonarono il suono psichedelico che li aveva eletti come uno dei gruppi cardine della Bay Area e della Summer Of Love, reinventandosi come band che rispolverava le sonorità delle radici proponendo una miscela vincente di rock, country, folk e blues, un sound che oggi definiremmo Americana ma che allora era visto come una novità assoluta. La cosa all’epoca stupì un po’ i fans del gruppo (ma i Dead avevano già dentro di loro questo suono, basta pensare agli esordi folk e bluegrass di Jerry Garcia), benché di sicuro contribuì ad aumentare la base dei loro estimatori: infatti i due album pubblicati a pochi mesi di distanza uno dall’altro, Workingman’s Dead e American Beauty, furono all’epoca anche i più venduti fino a quel momento.

Il motivo del successo non riguardava solo il cambio di suono, ma soprattutto il fatto che ci trovavamo di fronte a due grandissimi dischi, anzi a posteriori i loro capolavori assoluti, con dentro talmente tanti futuri classici da sembrare quasi dei Greatest Hits, brani che costituiranno l’ossatura dei loro concerti da quel momento in poi. Oggi mi occupo nello specifico di Workingman’s Dead in occasione della ristampa deluxe uscita ai primi di luglio (American Beauty verrà festeggiato in autunno, al momento non si sa ancora con quali contenuti), che invece dei soliti doppi CD usciti finora nell’ambito di questa campagna di ristampe è proposto in versione tripla, sia in edizione “normale” in digipak, che in una speciale confezione “slipcase” che però la fa costare dieci euro in più senza aggiungere nulla a livello musicale (esiste anche una versione in vinile picture disc con solo l’album originale, chiaramente per collezionisti incalliti). Il primo dischetto presenta Workingman’s Dead rimasterizzato ex novo, un album ancora oggi straordinariamente attuale, con una serie di canzoni che sono tutte diventate dei classici ed un suono elettroacustico largamente influenzato dal country e dal folk, con il sestetto (oltre a Garcia, Bob Weir, Mickey Hart, Bill Kreutzmann, Phil Lesh e Ron “Pigpen” McKernan) in stato di grazia sia dal punto di vista strumentale che vocale.

Gli otto brani presenti non hanno bisogno di presentazioni: c’è quella che per me è la migliore canzone di sempre dei Dead, ovvero la strepitosa Uncle John’s Band, ma anche tre grandissimi pezzi come High Time, Casey Jones e la countreggiante Dire Wolf, in cui Garcia si cimenta alla pedal steel (sua passione di quegli anni), mentre i restanti quattro brani, New Speedway Boogie, Black Peter, Cumberland Blues e Easy Wind, sono comunque largamente superiori alla media. (NDM: stranamente Weir non compare come autore in nessuno dei pezzi, che sono tutti accreditati al binomio Garcia/Hunter tranne Easy Wind che è del solo Hunter). Il secondo e terzo CD riportano un concerto completo ed inedito che i nostri tennero il 21 febbraio 1971 al Capitol Theatre di Port Chester, NY (sarebbe stato più logico un live del ’70, ma pare che il materiale di quell’anno scarseggi): non che io mi lamenti del “solito” disco dal vivo, ma sinceramente avrei preferito almeno un CD di outtakes e versioni alternate, dato che non solo esistono ma sono state messe a disposizione nelle ultime settimane sotto il nome The Angel’s Share, sia pure esclusivamente come streaming.

Il concerto è comunque strepitoso (nonché inciso benissimo), cosa che non mi sorprende dal momento che gli show del biennio 1971-72 sono unanimamente considerati i migliori di sempre per quanto riguarda i Dead. Il sestetto è davvero in stato di grazia, preciso e concentrato in ogni passaggio e molto presente anche dal punto di vista vocale (cosa non sempre scontata), con Garcia che è veramente un’iradiddio alla chitarra e ci regala una prestazione da urlo. Lo spettacolo è nettamente diverso da quelli della stagione psichedelica, con molti più brani in scaletta e durate ridotte anche se sempre “importanti”, oltre ad un suono decisamente più “roots”. Anche il repertorio è cambiato, con l’introduzione di una serie di cover di ispirazione country (Me And Bobby McGee, Me And My Uncle), rock’n’roll (Johnny B. Goode, Beat It On Down The Line, entrambe parecchio trascinanti), errebi (una Good Lovin’ di 17 minuti, la più lunga della serata) e blues (due strepitose Next Time You See Me di Junior Parker e I’m A King Bee di Slim Harpo, entrambe cantate da Pigpen e con Jerry formidabile alla sei corde).

E poi ovviamente ci sono i brani dei Dead, quattro dei quali da Workingman’s Dead (Easy Wind, Cumberland Blues, Casey Jones e Uncle John’s Band) e “solo” tre da American Beauty (ma forse i migliori: Sugar Magnolia, Truckin’ e la splendida Ripple, altro pezzo da Top Five di sempre dei Dead); inoltre non mancano altri classici che ormai è quasi normale per noi ascoltare su un live del gruppo, ma che all’epoca erano alle prime apparizioni, titoli come Playing In The Band, Loser, Bird Song, Wharf Rat, Bertha. E poi la sequenza finale formata da Truckin’, Casey Jones, Good Lovin’ e Uncle John’s Band vale da sola il prezzo richiesto. Fra pochi mesi vedremo cosa ci riserverà la ristampa di American Beauty: dato che un concerto del 1971 lo abbiamo già avuto qui, continuo a sperare in qualche outtake e rarità di studio.

Marco Verdi