La Grinta Non Manca Mai! Kelly Richey – Shakedown Soul

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Kelly Richey – Shakedown Soul – Sweet Lucy Records 

Dopo il poderoso e quasi “esagerato” Live At The Blue Wisp del 2014 http://discoclub.myblog.it/2014/06/09/tipa-tosta-piu-rock-che-blues-kelly-richey-band-live-at-the-blue-wisp/ , torna Kelly Richey, chitarrista e cantante di grana grossa, ma dalla notevole grinta: catalogata sotto blues, al limite blues-rock, la nostra amica in effetti forse appartiene più alla categoria rock, 70’s rock aggiungerei, armata della sua fida Fender Strato la Richey calca i palcoscenici americani ed europei da oltre 30 anni, ha una discografia di sedici titoli dove gli album dal vivo abbondano, e credo che fin da bambina sia cresciuta a pane e Led Zeppelin, Rory Gallagher, AC/DC, Jimi Hendrix, inserite il vostro rocker preferito e ci sta comunque. In ogni disco ci sono musicisti diversi che la accompagnano, evidentemente non reggono i suoi ritmi: questa volta abbiamo Rick Manning al basso e Tobe Donohoe alla batteria, quindi consueta formula power-trio che a tratti sfocia nell’hard-rock, ma la Kelly ha forse qualcosa in più, in ogni caso di diverso, da altre colleghe chitarriste in gonnella, soprattutto giovani europee ultimamente, meno 12 battute e più riff rocciosi, anche se la tecnica non manca e la voce è più della scuola Pat Benatar, Ann Wilson delle Heart, Michelle Malone. Forse tra i nomi a cui si ispira la Richey non ho citato Stevie Ray Vaughan, che è quello più amato, ma lei cita anche Free e Bad Company.

Da un paio di dischi ha preso l’abitudine di inserire anche elementi scratch e di leggera elettronica, affidati al batterista Donohe nel caso di Shakedown Soul, ma, anche se ne potremmo fare a meno, siamo nei limiti dell’accettabile. L’iniziale Fading, a tutto riff come al solito, sembra un pezzo anni ’80 delle citate Heart o di Pat Benatar, poi parte la chitarra e siamo in pieno “rawk” and roll. D’altronde il secondo brano (sono tutti suoi) si chiama You Wanna Rock  e dopo i leggeri effetti “moderni” dell’intro entriamo subito in territori Zeppelin e Free, e tra uno scatch e l’altro si fa  largo la chitarra vigorosa della (ex) ragazza. Diciamo che ci troviamo in una zona “hard rocking women”, un settore non frequentatissimo, che ha comunque i suoi estimatori; Lies, sul suo sito, viene presentata come una canzone influenzata dall’album omonimo di Sheryl Crow, uno legge, ma poi è libero di dissentire, questo per me è rock, duro e cattivo, fine. The Artist In Me, sempre con quei leggeri effetti sonori, a tratti fastidiosi, viene presentata come un brano ispirato dal sound di Lanois nell’album Wrecking Ball di Emmylou Harris?!?

Ma cosa si è bevuto o fumato l’estensore di queste note? Mah! Pezzo rock, indubbiamente più lento e di atmosfera, voce sussurrata, ma sempre duretto rimane. Love torna alla scuola Led Zeppelin, AC/DC, riff, viuulenza e tanto rock and roll, con la chitarra libera di graffiare, breve ma intenso, mentre in Afraid To Die i tempi si dilatano per uno slow-hard-blues, quasi dark e sabbathiano nel suo dipanarsi. Only Going Up viene sempre da Led Zeppelin II o giù di lì (in questo disco poco SRV), voce filtrata, ritmica in libertà e un accenno di wah-wah nel finale. Just Like The River, ha qualcosa di Patti Smith o del Boss, un sano pezzo rock di quelli gagliardi, con piacevoli interventi chitarristici e un ritornello quasi orecchiabile, anche se vocoder e synth rompono un po’ le palle. Effetto “elettronica” che si accentua in I Want To Run, anche se il riff’n’roll alla lunga la vince, con la chitarra che si fa largo con un bel solo vecchia scuola hard https://www.youtube.com/watch?v=x1rnUrnAuGE . Chiude il tutto, dopo neanche 40 minuti, la ripresa acustica di Fading, che diventa una sorta di ballata blues, solo voce e chitarra, dove si apprezza di più la voce di Kim Richey https://www.youtube.com/watch?v=v_p43w5zTQ4 . Come detto, la grinta non manca, una botta di sana “tamarritudine” (ma non glielo traduciamo) ogni tanto ci sta, forse meno “ricerca sonora” e più sostanza, ma in fondo va promossa.

Bruno Conti

Tipa Tosta, Molto Rock E Poco Blues! Kelly Richey Band – Live At The Blue Wisp

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Kelly Richey Band – Live At The Blue Wisp – Sweet Lucy Records Records

“Bella e brava” direi che non si possa dire di questa artista originaria di Lexington, Kentucky, bruttina ma brava non mi permetterei (mi rendo conto che mi sto infilando in un cul de sac),  possiamo dire di questa epigona dichiarata di Stevie Ray Vaughan (e forse ancor più di Jimi) che la dimensione dal vivo è quella più consona a una cantante e chitarrista che ha fatto del blues-rock la sua ragione di vita, D’altronde sei album Live (compreso un DVD) su tredici totali e in venti anni di carriera, lo stanno a testimoniare. Con una nuova Kelly Richey Band che la vede accompagnata da due tipi tosti pure loro, sin dal nome, Freekbass, al basso ovviamente, e il batterista Big Bamn, il gruppo piomba sul Blue Wisp di Cincinnati per un set sulfureo di rock anni ’70 miscelato a Blues, non troppo per la verità, 12 brani, firmati dalla stessa Richey, che vengono un po’ da tutti gli album della sua discografia.

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Diciamo che le sottigliezze della tecnica chitarristica (che pure c’è) non sono il primo pensiero della nostra amica, è evidente subito, fin dall’iniziale e tirata Fast Drivin’ Mama, un chiaro manifesto di intenti, basso e batteria pompano di gusto, la voce è quella della rocker intemerata, lo stile lo abbiamo citato, chitarra dura e tirata e pedalare. I Went Down Easy avrebbero potuto farla tanti colleghi maschi negli anni gloriosi del rock-blues più cattivo, quasi hard, di quegli anni, la chitarra inizia ad urlare e strepitare, mentre la sezione ritmica, per il momento, è precisa e quasi trattenuta. One Way Ticket comincia ad aumentare i ritmi, siamo dalle parti di Beth Hart o Dana Fuchs, senza la classe vocale delle due rockers americane, però con una chitarra che si destreggia tra riff rocciosi e improvvise accelerazioni della solista sulle variazioni funky, soprattutto di Freekbass, che tiene fede al suo moniker https://www.youtube.com/watch?v=YXu7bFeRa7A . La cosa viene portata ai suoi eccessi massimi negli oltre dodici minuti di Sister’s Gotta Problem https://www.youtube.com/watch?v=vUcxMxYEaWI , che era la title-track del primo disco di studio, wah-wah innestato, basso poderoso, anche un po’ di DJ scratching per aumentare il “casino” (niente paura, se non amate, l’hip hop è lontano continenti interi), l’assolo di batteria immancabile nel tipo di musica (non so se proprio mi mancava), e poi quello di un basso molto “effettato”, fanno da apripista all’immancabile orgia chitarristica, anche se Jimi e Stevie Ray avevano ben altra consistenza, e peraltro il rito classico del rock si perpetua per l’ennesima volta https://www.youtube.com/watch?v=xZD96BKlY2Y .

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Workin’ Hard Woman sta sempre dalle parti degli hard-rock irriducibili, mentre Everybody Needs A Change, sempre con il basso funkyssimo solista in primo piano, prosegue sulle derive di Sister’s e alla lunga, devo dire, comincia a stancare. I dieci minuti di Is There Any Reason portano qualche variazione, i tempi si fanno più lenti e dilatati, si vira persino verso certa psichedelica acida, la chitarra si fa più sognante, per quanto sempre debordante, con accelerazioni improvvise in crescendo e basso e batteria che si dividono gli spazi con la solista della Richey, in questo lungo brano strumentale che una sua aura “hendrixiana” ce l’ha, insomma la “giovanotta” sa suonare. Leavin’ It All Behind è abbastanza scontata, il riff di Something’s Going On fa molto Foxy Lady (o era Purple Haze, o entrambe?) e Just A Thing pure, cose sentite quei due o tre milioni di volte, anche se la grinta non manca. Feelin’ Under, ancora con il volume della chitarra a undici, sta sempre da quelle parti e la conclusiva Risin’ Sun, tratta dall’album dello scorso anno Risin’ Sun,ci porta ad una ulteriore dozzina di minuti di grooves e riff https://www.youtube.com/watch?v=fthFcKiYeAs , melodie e idee poche, se le cercate in questo disco avete sbagliato posto, se cercate chitarre fumanti siete in quello giusto!

Bruno Conti