Un Vero Peccato, Ma Non E’ Mai Troppo Tardi! 13 Featuring Lester Butler

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13 Featuring Lester Butler – Floating World Records

Quando alcune settimane fa, recensendo il CD di Big Pete un-armonicista-olandese-big-pete-choice-cuts.html, vi citavo fra le fronti primarie di ispirazione per l’armonicista olandese proprio Lester Butler, non immaginavo che a circa un mese di distanza mi sarei ritrovato nuovamente a parlare dello scomparso musicista americano. Come molti di voi sapranno, se non altro per averlo letto nella mia recensione, Lester Butler è morto il 10 maggio 1998 per una overdose di eroina e cocaina, interrompendo quella che era una carriera di “culto” per uno dei Bluesmen più originali della sua generazione. Anche se al momento della scomparsa non era più un giovanissimo avendo quasi 39 anni, Butler era comunque un artista in crescita, molto popolare in Olanda, e piuttosto conosciuto negli ambienti musicali americani anche se era decisamente osteggiato dai puristi del Blues che non gradivano il suo approccio, oggi lo chiameremmo lo-fi, diciamo ruspante ed anticonvenzionale alle classiche 12 battute. index2.html

In una carriera iniziata negli anni ’80, Lester, nativo dalla Virginia, ma di stanza a Los Angeles si era fatto conoscere nel 1992 con il primo disco dei Red Devils, la formazione che pubblicò l’ottimo King King dal nome del locale di L.A. dove agivano abitualmente e che aveva tra i proprio ranghi Bill Bateman e Gene Taylor dei Blasters oltre al chitarrista Paul Size. Il disco fu pubblicato dalla Def American, l’etichetta di Rick Rubin, che ne aveva curato la produzione. In seguito a quel disco il gruppo entrò anche in contatto, prima con Bruce Willis e, tramite Rubin, con Johnny Cash con il quale suonarono alcuni brani poi pubblicati postumi (per entrambi) nel box Unearthed. Nel 1997 dopo lo scioglimento dei Red Devils, Lester Butler pubblicò un nuovo album omonimo per la Hightone come 13.

In precedenza aveva suonato anche nel disco Wandering Spirit di Mick Jagger, sempre prodotto da Rubin, ma pure in questo caso solo un brano è uscito nella antologia di Jagger del 2007. Ma quello che ci interessa è che entrambi i gruppi facevano un tipo di Blues, gagliardo ed incontaminato, simile a quello dei primi gruppi bianchi ad inizio anni ’60, Stones, Animals, Them e Yardbirds, con quel blues elettrificato ed elettrizzante che da lì a poco si sarebbe trasformato anche nel rock-blues dei Cream di Crossroads e Spoonful, con l’aggiunta della energia dei gruppi punk californiani ma con una grande perizia strumentale e competenza musicale e il vigore rinnovato dei gruppi della Fat Possum che dai loro juke-joints proponevano un blues primigenio e sferragliante ricco di rinnovata energia come quella della prima ondata elettrica di Howlin’ Wolf, John Lee Hooker, Little Walter e Co. Accanto a Lester Butler, armonicista dallo stile irrefrenabile e cantante istintivo, c’erano il chitarrista Alex Schultz appena uscito dai Mighty Flyers di Rod Piazza, oltre a Smokey Hormel e Paul Bryant, sempre alla chitarra in alcuni brani, Stephen Hodges e Johnny Morgan che si alternano alla batteria e Tom Leavey e James Moore al basso oltre al tastierista Andy Kaulkin.

Il risultato è esplosivo, capisco perché il giovane Big Pete si è entusiasmato per questo musicista, l’energia scorre tra i brani di questo album, che all’origine aveva una copertina con una serie di mani rosse e una verde che emerge inquietante dal terreno mentre la nuova cover è più tradizionale. In ogni caso sin dall’inizio con l’ottima So Low Down passando per HNC e Sweet Tooth si capisce che siamo di fronte ad una band di talento con un frontman come Butler che si scrive anche i pezzi.

Qualcuno li ha paragonati ai primi Fabulous Thunderbirds per la grinta e la passione che traspare dalle loro canzoni, voce ed armonica (incise in modo separato) spesso volutamente distorte, chitarre e piano sempre in overdrive, ritmi incalzanti che accelerano di continuo come nella cover micidiale di Boogie Disease di Dr.Isaiah Ross che non è seconda ai Boogie del vecchio Hook  o alle riprese di classici come Smokestack Lightning di Howlin’ Wolf e So mean To me di Elmore James, per non parlare di una spettacolare Baby Please Don’t  Go che dà dei punti anche alla versione dei Them, ma è tutto l’insieme che sprizza energia, non c’è quell’autocompiacimento di molti musicisti che fanno blues oggi, quel guardate quanto siamo bravi o ligi alle regole, qui si tendono a frantumare le barriere tra blues e rock più che fonderle, comunque il risultato è eccitante. C’è anche dello humour all’opera, Down In The Alley,suona proprio come se fosse stata registrata in un vicolo vicino. Come Bonus ci sono anche tre tracce registrate dal vivo in Francia nel 1997 che sono ulteriore testimonianza della grande potenza di questo gruppo. Non è mai troppo tardi per scoprirli, questa ristampa è “quasi” imperdibile e caldamente consigliata!

Bruno Conti

Un Armonicista Olandese? Big Pete – Choice Cuts

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Big Pete – Choice Cuts – Delta Groove Productions

Un armonicista olandese? Anzi, un armonicista olandese Blues, e pure di quelli bravi! Non solo, ma anche un ottimo vocalist. Potrebbe sembrare una cosa strana, perché in effetti di solito si collegano gli olandesi al ciclismo o naturalmente al calcio ma non si penserebbe alla musica e al Blues in particolare. E invece i Paesi Bassi hanno una lunga tradizione in questo campo, non solo Shocking Blue e Golden Earring come nomi conosciuti in ambito musicale ma già a fine anni ’60 in pieno “British Blues” Boom in Olanda operavano gruppi come Cuby & The Blizzards e i Livin’ Blues che poi avrebbero avuto una carriera pluridecennale facendo dell’ottima musica.

In ogni caso il salto per arrivare a Pieter “Big Pete” Van Der Pluijim è di quelli lunghi e tortuosi: un giovane che già da teenager si appassiona di Blues ed in particolare di quello di Lester Butler è da triplo salto mortale. Un musicista non conosciutissimo, di culto, bianco, che ha operato negli anni ’90 come leader dei Red Devils, autori di un unico album prodotto da Rick Rubin e che erano stati scritturati per suonare nell’album solista di Mick Jagger Wandering Spirit, il suo unico disco valido, ma i loro brani poi non furono utilizzati e uno solo è apparso nell’antologia di Jagger. In quel gruppo c’erano un paio di Blasters, Bateman e Taylor e alcuni dei loro pezzi sono apparsi anche nel cofanetto postumo di Johnny Cash Unhearted dove suonano come backing band. Poi Butler ha suonato in un altro gruppo, i 13, prima di morire per una overdose nel maggio del 1998.

Tutto questo è collegato a Choice Cuts il disco di debutto registrato dal giovane Big Pete per la Delta Groove in quel di North Hollywood, California dove appaiono alcuni dei musicisti coinvolti nei vecchi dischi di Butler insieme a molte altre “stelle” del Blues contemporaneo.

Tanto per chiarire subito, il disco è bello, sono tutte cover scelte con minuzia nel grande repertorio della “musica del diavolo” e gli ospiti si alternano al proscenio nei vari brani aggiungendo spessore all’ottima house band utilizzata da Big Pete e che vede Alex Schultz alla chitarra, autore di un paio di album da solista e che ha suonato con Tad Robinson, Rod Piazza, William Clarke, i già citati 13 e una valanga di altri nomi in ambito Blues, al basso c’è Willie J Campbell e alla batteria Jimi Bott.

E poi tutti gli ospiti: dopo l’iniziale Driftin’ firmata proprio da Lester Butler, sei minuti di torrido blues con l’armonica di Big Pete in grande evidenza e cantato anche con notevole autorità e bella voce si passa a Can’t You SeeWhat You’re Doin’ To Me un classico brano del repertorio di Albert King con la chitarra tirata e lancinante di Schultz che cerca di ricreare lo spirito dell’originale con grande impegno e ottimi risultati, per arrivare al primo ospite Kim Wilson che sfodera la sua armonica per una Act Like You Love Me di grande intensità e con un suono molto pimpante, tipico della produzioni Delta Groove. Just To Be With You di Roth Bernard non la conoscevo ma è uno slow blues di quelli DOC con la chitarra di Kirk Fletcher e il piano di Rob Rio a duettare con Big Pete con ottimi risultati.

Don’t Start Crying di James Moore alias Slim Harpo la faceva anche Van Morrison (ma dove sei?) ai tempi dei Them ed è uno di quei brani veloci e tirati che ti attizzano con la chitarra di Schultz e l’armonica di Pete che si dividono il proscenio. I Got My Eyes On You con il suo mood alla Help Me vede un altro armonicista come ospite, Al Blake mentre Hey Lawdy Mama la faceva anche Clapton ai tempi e Kirk Fletcher estrae dal cilindro (dicasi chitarra) un notevole solo per l’occasione. Ottima anche la tiratissima I Was Fooled di Jody Williams con un ficcante assolo di Shawn Pittman che si conferma uno dei migliori axemen delle ultime generazioni. In tutti i brani Big Pete suona e canta con passione e trasporto come nell’ottima cover dell’Howlin’ Wolf d’annata Rockin’ Daddy dove la chitarra solista è nelle mani di Kid Ramos. Left Me With A Broken Heart è cantata da Johnny Dyer mentre in Just A Fool dal repertorio di Little Walter la solista è quella di Rusty Zinn. In Chromatic Crumbs uno strumentale per virtuosi l’armonica di Big Pete viene sostenuta dalle soliste di Schultz e John Marx. La conclusione è affidata a I’m A Business Man un brano di Willie Dixon che è l’occasione per Pete di duettare con la “melodica” di Paul Oscher.

Decisamente un buon disco di Blues classico per questo giovane olandese e per gli amanti del genere!

Bruno Conti