Greetings From Texas: Uno Splendido Tesoro Ritrovato! Joe Ely – Full Circle: The Lubbock Tapes

joe ely lubbock tapes

Joe Ely – Full Circle: The Lubbock Tapes – Rack’ em CD

Joe Ely, tra i maggiori singer-songwriters texani di sempre, quest’anno ha voluto fare un regalo ai suoi fans, pubblicando questo Full Circle: The Lubbock Tapes, che raccoglie quindici canzoni incise tra il 1974 ed il 1978 e mai pubblicate finora, almeno in questa veste, e registrate ai Caldwell Studios di Lubbock. Nel 1974 Joe cercava un contratto discografico, in quanto era finita l’avventura dei Flatlanders con Jimmie Dale Gilmore e Butch Hancock (almeno fino all’inattesa e più proficua reunion dei primi anni duemila) e si trovava ad esibirsi da solo in diverse coffee houses texane. Fu così che formò una band con il già grandissimo Lloyd Maines alla chitarra e steel, Greg Wright al basso e Steve Keeton alla batteria, ed incise alcuni demo che finiranno nelle mani del già leggendario Jerry Jeff Walker, il quale a sua volta li porterà alla MCA, che si convincerà della bontà di quelle canzoni e farà esordire Ely tre anni dopo con l’album omonimo. I pezzi del 1978 invece sono delle prime versioni di brani che finiranno poi su Down On The Drag, terzo album di Joe, e vedono alla band di cui sopra aggiungersi Ponty Bone alla fisarmonica e Jesse Taylor alla chitarra elettrica, che condividerà negli anni un lungo cammino con il nostro.

Il Joe Ely dei primi quattro dischi è ancora oggi da molti considerato il migliore di sempre, ed in questo Full Circle abbiamo la possibilità di assaporare alcune tra le più belle canzoni finite su quei lavori (Joe Ely, Honky Tonk Masquerade, Down On The Drag e Musta Notta Gotta Lotta), per di più incise in maniera davvero spettacolare, quasi come se si trattasse di un CD registrato un mese fa (anche perché ancora oggi Joe ha una voce parecchio giovanile). Un disco quindi imperdibile per i fans di Ely ma anche per quelli della buona musica in generale, anche se la quasi totalità delle canzoni era già nota in versioni diverse: queste però non suonano assolutamente come dei demo, anzi mi azzarderei a dire che sarebbero potute andar bene anche così. Una chicca è certamente la bellissima Windmills And Watertanks, brano di Butch Hancock che apre il CD e che Joe non aveva mai pubblicato prima, uno scintillante honky-tonk con un grande Maines alla steel. All’epoca il nostro si affidava spesso ai pezzi dell’amico Butch, e qui ne abbiamo altri cinque: lo scatenato rockabilly texano Road Hawg, gran ritmo e Maines al solito strepitoso, Standin’ At A Big Hotel, altra honky-tonk song di notevole spessore, le splendide Fools Fall In Love e If You Were A Bluebird, due delle più belle canzoni di Hancock e tra le migliori del periodo (almeno in Texas), per finire con la mossa e coinvolgente Down On The Drag, con la fisa di Bone in evidenza.

Anche Joe però era già un songwriter coi fiocchi, e lo dimostrano l’ariosa e limpida Because Of The Wind, che diventerà uno dei suoi classici, con quel Mexican touch che lo accompagnerà per tutta la carriera, e la trascinante Gambler’s Bride, una western tune cantata e suonata alla grande. Non sono certo da meno la languida I’ll Be Your Fool e la guizzante All My Love, due country songs dal sapore antico, il rock’n’roll da bar texano I Had My Hopes Up High, qui molto più country che nella versione che aprirà il primo album di Joe, o la swingata e divertente Joe’s Cryin’ Schottiche, altro brano che ascoltiamo qui per la prima volta. E poi c’è BBQ & Foam, che è scritta dal sassofonista Ed Vizard ma è sempre stata legata a doppio filo a Joe, una straordinaria ed intensa country ballad, piena di pathos e con una melodia di prim’ordine. Forse questo CD non lo troverete nel negozio sotto casa (ammesso che di negozi così ce ne siano ancora molti), ma credetemi se vi dico che vale la pena sbattersi un po’ per cercarlo.

Marco Verdi

Due Notevoli Ristampe…Nel Segno Del Texas! Steve Earle – Guitar Town/Terry Allen – Lubbock (On Everything)

steve earle guitar town deluxe

Steve Earle – Guitar Town/30th Anniversary Edition – MCA/Universal 2CD

Terry Allen – Lubbock (On Everything) – Paradise Of Bachelors 2CD

Parliamo di due ristampe, ma non ristampe qualsiasi, in quanto nella fattispecie si tratta di due dischi a loro modo fondamentali, l’uno perché ha dato il via ad una carriera luminosa (e l’album in sé è considerato tra i più importanti nell’ambito della rinascita del country nella seconda metà degli anni ottanta), ed il secondo perché è semplicemente un capolavoro, il miglior lavoro di uno degli artisti di culto per eccellenza: entrambi i dischi, poi, hanno il Texas come elemento in comune.

Steve Earle, a dire il vero, è sempre stato un texano atipico, in quanto ha vissuto per anni a Nashville e da parecchio si è spostato a New York, ma la sua musica, almeno nei primi anni, risentiva non poco dell’influenza del Lone Star State. Penso che un disco come Guitar Town non abbia bisogno di presentazioni: considerato giustamente come uno degli album cardine del movimento new country breed (solitamente associato a Guitars, Cadillacs di Dwight Yoakam, uscito lo stesso anno), contiene una bella serie di classici di Steve, brani che hanno resistito nel tempo e che ancora oggi suonano freschi ed attuali, in più con una qualità di incisione decisamente professionale (è stato uno dei primi album country ad essere inciso in digitale), che questa nuova edizione ha ulteriormente migliorato. Non dimentichiamo che Steve aveva avuto molto tempo per preparare queste canzoni, dato che aveva iniziato a frequentare l’ambiente giovanissimo già negli anni settanta (era nel giro di Guy Clark e Townes Van Zandt), ma non era mai riuscito a pubblicare alcunché prima del 1986, complice anche una fama di ribelle e di persona dal carattere poco accomodante (con già tre matrimoni falliti alle spalle, mentre oggi siamo arrivati a sette), che da lì a qualche anno lo condurrà anche dietro le sbarre. Earle nel corso della sua carriera ha suonato di tutto, dal rock, al folk, alla mountain music, al blues, ma Guitar Town, così come Exit 0 uscito l’anno dopo, era ancora un disco country, anche se molto elettrico e con poche concessioni al suono di Nashville, merito anche dei Dukes, band che accompagnerà Steve praticamente durante tutta la carriera, pur con vari cambi di formazione (questa prima versione vede gente del calibro di Richard Benentt, in seguito collaboratore fisso di Mark Knopfler, Bucky Baxter, poi per anni in tour con Bob Dylan, Harry Stinson ed Emory Gordy Jr., che produce anche il disco).

Guitar Town andrà al numero uno in classifica, ma Steve a questo non importerà, dato che da lì a due anni darà alle stampe il suo capolavoro, Copperhead Road, pieno di sonorità rock non molto nashvilliane, con grande scorno dalla MCA che pensava di fare di lui una superstar. E’ sempre un grande piacere riascoltare comunque grandi canzoni (e futuri classici del genere) come la title track, Good Ol’ Boy (Gettin’ Tough) e Someday, scintillanti country-rock come Goodbye’s All We’ve Got Left e Fearless Heart, o country puro come la tersa Hillbilly Highway, chiaramente influenzata da Hank Williams, ma anche esempi dello Steve balladeer, con le lucide ed intense My Old Friend The Blues e Little Rock’n’Roller (ma Think It Over e Down The Raod non sono certo dei riempitivi): tutti brani che se conoscete un minimo il nostro non vi saranno certo ignoti. Il secondo CD di questa edizione per il trentennale ci propone un concerto inedito, registrato a Chicago a Ferragosto dello stesso anno, inciso benissimo, e con Steve e Dukes  in gran forma che suonano tutte le canzoni di Guitar Town, in veste molto più rock che su disco (che qua e là qualche arrangiamento più “cromato” ce l’aveva), oltre a sette pezzi in anteprima da Exit 0 (su dieci totali), tra cui segnalerei la springsteeniana Sweet Little 66, il country’n’roll The Week Of Living Dangerously e la trascinante San Antonio Girl, uno splendido tex-mex in puro stile Sir Douglas Quintet, ed in più la sua signature song The Devil’s Right Hand, due anni prima di Copperhead Road ed in versione molto più country (ma l’aveva già incisa Waylon Jennings, che Steve ringrazia prima di suonarla) ed una solida rilettura elettrica di State Trooper, proprio quella del Boss.

terry allen lubbock

Terry Allen è invece sempre stato legato a doppio filo al natio Texas, dal momento che le sue canzoni ne hanno sempre parlato in lungo e in largo, e questa può essere una delle ragioni per le quali all’interno dei confini texani è una vera e propria leggenda, ma al di fuori non ha mai sfondato. Però Terry se ne è sempre fregato, ha sempre fatto musica quando aveva la voglia e l’ispirazione (appena nove dischi in quarantun anni parlano chiaro), e non ha mai cambiato il suo stile diretto, ironico e pungente, a volte persino “perfido”, al punto che l’ho sempre visto, dato che è anche un ottimo pianista, come una sorta di Randy Newman texano, ma con una vena sarcastica spesso ancora più accentuata, quasi a livello di Warren Zevon (che quando voleva sapeva essere cattivo come pochi). Anche apprezzato pittore, Allen è considerato in maniera un po’ riduttiva un artista country, ma in realtà è un songwriter fatto e finito, capace di scrivere canzoni geniali e di usare il country come veicolo espressivo. Il suo esordio, Juarez (già un ottimo disco) è datato 1975, ma è con il doppio Lubbock (On Everything), uscito quattro anni dopo, che il nostro firma il suo capolavoro, un disco pieno di grandi canzoni, che non ha una sola nota fuori posto, suonato e cantato alla grande e che negli anni è sempre stato considerato un album di grande ispirazione da parte dei suoi colleghi, e ancora oggi è giudicato uno dei progenitori del movimento alternative country. Negli anni Lubbock ha beneficiato di diverse ristampe in CD, ma tutte, volendolo far stare su un solo dischetto, presentavano diverse parti accorciate, canzoni in ordine diverso e talvolta persino eliminate (High Horse Momma), così da snaturare l’opera originale. Oggi finalmente esce per la Paradise Of Bachelors (*NDB etichetta specializzata in artisti oscuri, ma spesso interessanti: Hiss Golden Messenger, Itasca, Nathan Bowles, Steve Gunn, ma anche Michael Chapman) questa bellissima ristampa in doppio CD digipak, ricco libretto pieno di note e commenti (anche di Allen stesso), un suono parecchio rinvigorito e, cosa più importante, per la prima volta dal vinile originale le canzoni conservano la loro lunghezza e sono messe nell’ordine corretto. Ed il disco si conferma splendido, con Terry accompagnato da una band da sogno (con Lloyd Maines come direttore musicale, polistrumentista e produttore, più Ponty Bone alla fisarmonica, Kenny Maines e Curtis McBride a basso e batteria, Richard Bowden al violino, oltre a Joe Ely all’armonica ed al suo chitarrista dell’epoca Jesse Taylor).

Con una serie di canzoni splendide, a partire dalla più famosa, la straordinaria New Dehli Freight Train che era già stata pubblicata due anni prima dai Little Feat nell’album Time Loves A Hero, qui in una versione potente e più country di quella del gruppo di Lowell George, ma pur sempre un grandissimo brano. Il pianoforte è centrale in tutte le canzoni, fin dall’apertura di Amarillo Highway, una country song strepitosa, cantata con forza e suonata in modo magnifico, con un ritornello memorabile, subito seguita dalla languida High Plains Jamboree, tutta incentrata su piano e steel, dallo scintillante honky-tonk The Great Joe Bob e dalla straordinaria The Wolfman Of Del Rio, solo voce, piano e chitarra, ma con un motivo splendido ed un feeling enorme. E ho nominato solo le prime quattro, ce ne sono ancora diciassette, ma il livello resta sempre altissimo, a tal punto che la parola capolavoro non è sprecata: mi limito a citare la squisita The Girl Who Danced Oklahoma, puro country come oggi non si fa quasi più, l’irresistibile Truckload Of Art (ma dove le trovava canzoni così?), le imperdibili Oui (A French Song) e Rendezvous USA, con testi da sbellicarsi e musica sublime, la bossa nova anni sessanta Cocktails For Three, la già citata High Horse Momma, un gustoso pastiche in puro stile dixieland, le caustiche FFA e Flatland Farmer, unite in medley e con uno strepitoso finale chitarristico, la geniale The Pink And Black Song, tra rock’n’roll e doo-wop, e la deliziosa The Thirty Years War Waltz, tra le più belle del disco e con Terry formidabile al piano.

Se non avete Lubbock (On Everything) è assolutamente arrivato il momento di correre ai ripari, se viceversa possedete anche una delle precedenti ristampe non è strettamente necessario l’acquisto di quest’ultima edizione, ma almeno andate a risentirvelo.

Marco Verdi