Il Disco Dal Vivo Dell’Estate? Sì, Ed Anche Dell’Autunno, Dell’Inverno… Little Steven And The Disciples Of Soul – Soulfire Live!

little steven soulfire live 31-8

Little Steven And The Disciples Of Soul – Soulfire Live! – Wicked Cool/Universal 3CD

Uno dei dischi più belli dello scorso anno per il sottoscritto è stato sicuramente Soulfire https://discoclub.myblog.it/2017/05/26/per-una-volta-il-boss-e-lui-little-steven-soulfire/ , che vedeva il ritorno alla prova da solista per Little Steven, a ben diciotto anni dal non eccelso Born Again Savage, che a sua volta veniva dopo una decade da Revolution (che era proprio brutto). Con Soulfire Steven in un certo senso aveva chiuso un cerchio, in quanto aveva riformato i Disciples Of Soul, un gruppo formidabile in grado di garantire un suono potente e pieno di feeling, a base di rock’n’roll, soul ed errebi, gruppo con cui aveva esordito come solista nel lontano 1982 con l’ottimo Men Without Women, e che a tutt’oggi è di gran lunga la migliore tra le sue varie band (ci sarebbe anche una certa E Street Band, ma non è la “sua” band, bensì di qualcun altro…). Steven ha poi intrapreso un lungo tour mondiale per promuovere Soulfire, e questo triplo CD di cui mi accingo a parlare è lo splendido risultato: Soulfire Live! è un disco formidabile, inciso alla grande e suonato in maniera fantastica, un album nel quale il buon Van Zandt dimostra di essere un bandleader più che credibile, e nel quale veniamo accompagnati in un bellissimo viaggio nel soul, rhythm’n’blues e tanto rock’n’roll, musica potente ma anche incredibilmente romantica, merito di un gruppo che ha pochi eguali in quanto a tecnica, feeling ed energia.

Oltre a Steve, voce e chitarra, abbiamo Marc Ribler pure alla chitarra, la granitica sezione ritmica formata da Jack Daley, basso, e Rich Mercurio, batteria, Andy Burton all’organo, Lowell Levinger al pianoforte, Anthony Almonte alle percussioni, un coro femminile di tre voci (Jaquita May, Sara Devine e Tania Jones) e soprattutto il vero fiore all’occhiello della band, cioè una sezione fiati di cinque elementi (Eddie Manion è il leader, poi Stan Harrison, Clark Gayton, Ravi Best e Ron Tooley) che fornisce un vero e proprio “wall of sound” indispensabile nell’economia sonora di questo gioioso carrozzone. L’album era già uscito unicamente per il download a fine Aprile, ma solo con il contenuto dei primi due CD (il concerto vero e proprio, con brani presi da varie location), ma ora è stato aggiunto un dischetto bonus che, senza nulla togliere ai primi due che sono fantastici, è forse ancora più interessante. Steven nel corso della serata suona ad una ad una (cambiando l’ordine) tutte le canzoni di Soulfire, ma prende almeno un brano da ognuno dei suoi altri album, prediligendo sia Men Without Women che Voice Of America, con quattro scelte ciascuno, e lasciando le briciole agli altri tre, dai quali fa appena un pezzo a testa. Dopo un’introduzione semiseria da parte di Mike Stoller, leggendario songwriter che in coppia con Jerry Leiber ha scritto alcuni dei più famosi brani rock’n’roll di sempre, si parte ovviamente con Soulfire, più funkeggiante che mai, subito gran ritmo e potenza a mille: Steve forse non avrà una voce fantastica, ma è più che adeguata alla bisogna e, soprattutto, tiene per tutta la durata del concerto.

Lo splendido soul-rock I’m Coming Back, un brano degno della E Street Band, precede una formidabile Blues Is My Business (canzone di Etta James) di nove minuti, un’esplosione elettrica dove chitarre, piano e fiati si sfidano a duello con assoli a profusione, ed una calda atmosfera errebi che pervade il brano: grandissima musica. La scintillante Love On The Wrong Side Of Town è scritta assieme a Bruce Springsteen, e si sente, Until The Good Is Gone è presa dal primo solo album di Steve, e sono altri nove minuti di pura goduria, un pezzo che profuma di Stax Records, soul music piena d’anima (appunto) cantata benissimo da Steve (che gigioneggia non poco, qualcosa avrà pur imparato da Bruce) e suonata al solito con un feeling micidiale. Altri highlights del primo CD (non le nomino tutte se no devo fare una recensione a puntate) sono la festosa e danzereccia (nel senso buono) Angel Eyes, la sontuosa Some Things Just Don’t Change, soul song calda e vibrante di ispirazione Motown, la deliziosa e spectoriana Saint Valentine’s Day, tra le melodie più belle del concerto, l’irresistibile Standing In The Line Of Fire, che sembra uscita da un western musicato da Ennio Morricone, la potente Salvation, alla quale i Disciples Of Soul tolgono la patina hard rock dell’originale (era su Born Again Savage), la struggente e romantica The City Weeps Tonight, in cui Steve sembra quasi Willy DeVille.

Il secondo CD inizia con una monumentale Down And Out In New York City, tredici minuti di pura “blaxploitation” in cui i fiati si prendono il centro della scena, un brano quasi da colonna sonora alla Shaft, e si prosegue con la solida rock ballad Princess Of Little Italy, dal motivo epico. Abbiamo poi un trittico di canzoni “politiche” in stile dub-reggae (Solidarity, Leonard Peltier e soprattutto la coinvolgente I Am A Patriot, resa popolare da Jackson Browne) ed una cover in puro stile errebi di Groovin’ Is Easy degli Electric Flag. Altri momenti da segnalare sono il roboante rock’n’roll Ride The Night Away (purtroppo non c’è il DVD, ma penso che nessuno nella sala riesca a stare fermo), l’immancabile salsa-rock di Bitter Fruit, suo maggior successo come singolo, la sventagliata elettrica e ritmica di Forever e la stupenda e commovente I Don’t Want To Go Home, che diede il titolo al primo album di Southside Johnny. Ed eccoci al terzo dischetto, un CD composto al 99% da cover, molte di esse suonate una sola volta durante il tour, e più di una decisamente sorprendente. Si inizia con una splendida Even The Losers di Tom Petty in omaggio alla tragica ed inattesa scomparsa del biondo rocker, una versione tirata il giusto, cantata bene da Steve e con i fiati che le danno un sapore diverso (e poi il brano è già grande di suo). Can’t Be So Bad, dei Moby Grape, è suonata con Jerry Miller, autore del pezzo e chitarrista dello storico gruppo californiano, ed è un travolgente rock’n’roll all’ennesima potenza (con grande assolo da parte dell’ospite), così come You Shook Me All Night Long, proprio quella degli AC/DC, un brano che non ti aspetti da Steve e compagni ma che funziona eccome (ed è dedicata a Malcolm Young).

Working Class Hero è una delle canzoni più profonde di John Lennon, e questa versione elettrica, tesa e potente (l’originale era acustica) è una vera sorpresa, mentre con We Gotta Get Out Of This Place (Animals) i Discepoli Del Soul sono nel loro ambiente, ed infatti la rilettura è tra le più riuscite. Anche Can I Get A Witness, di Marvin Gaye, è perfetta per Steve e soci, ed il brano è impreziosito dalla presenza alla chitarra di Richie Sambora, che dimentica per un attimo i trascorsi con Bon Jovi e suona come si deve. It’s Not My Cross To Bear è un sentito omaggio a Gregg Allman ed alla Allman Brothers Band, una bella versione, calda e bluesata, anche se la voce di Steve non è certo quella di Gregg; la saltellante e festosa Freeze Frame, della J. Geils Band, vede salire sul palco proprio Peter Wolf, cantante originale del gruppo, per quattro minuti di puro divertimento, mentre The Time Of Your Life è l’unico pezzo scritto da Steve in questo CD (proviene dalla colonna sonora del film Nine Months), ed è una tenue ballata, romantica e stracciona alla maniera di Tom Waits, con una deliziosa fisarmonica sullo sfondo ed un motivo toccante. Finale con due pezzi che vedono i nostri raggiunti sul palco da Bruce Springsteen (non poteva mancare), per una Tenth Avenue Freeze-Out che è già perfetta quando a suonarla c’è solo un sassofonista (che sia Clarence o Jake Clemons), figuriamoci con un’intera sezione fiati come quella dei Discepoli, ed un’altra I Don’t Want To Go Home, leggermente più rock della precedente (ed un po’ mi sorprende l’assenza in questo CD da parte di Southside Johnny); chiusura con la natalizia Merry Christmas dei Ramones, in puro stile Phil Spector.

Little Steven con questo Soulfire Live! conferma il suo momento di grazia, e non ho alcuna difficoltà ad affermare che ci troviamo di fronte al disco live dell’anno: imperdibile.

Marco Verdi