Miami Steve Al Cavern Di Liverpool Omaggia I Beatles… E Se La Gode Un Bel Po’! Little Steven And The Disciples Of Soul – Macca To Mecca!

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Little Steven And The Disciples Of Soul – Macca To Mecca! – CD + DVD Wicked Cool Records

Inutile sprecare tempo e parole per introdurvi Stevie Van Zandt, o Miami Steve, come tanti fans della E Street Band l’hanno sempre chiamato, o Little Steven come si fa accreditare sulle copertine dei suoi album. Tutti conosciamo l’importanza di questo amico e collaboratore del Boss sin dai lontani esordi e ne apprezziamo le doti di chitarrista, compositore, arrangiatore e produttore. La sua carriera solistica sembrava giunta a un punto morto dopo i primi due meritevoli episodi Men Without Women e Voice Of America dei primi anni ottanta (ristampati di recente con tanto di bonus DVD) https://www.youtube.com/watch?v=WAP-2yRvGD8  e i successivi assai meno convincenti Freedom No Compromise e Revolution. Un solo discreto ritorno nel ’99 con l’ingiustamente sottovalutato Born Again Savage e poi più nulla, se non gli esaltanti tour insieme a Bruce Springsteen e ai compagni della ricostituita E Street Band e il considerevole successo raggiunto come attore televisivo nel cast di importanti serial come I Sopranos e Lilyhammer. A sorpresa, nel 2017 arriva il disco della rinascita, un brillante compendio di rock, soul e rhythm ‘n’ blues intitolato Soulfire, seguito due anni dopo dall’altrettanto spumeggiante Summer Of Sorcery. Nel frattempo, mentre Bruce riempiva le sue serate di esibizioni solitarie a Broadway, il nostro Stevie ha rimesso in piedi una band coi fiocchi formata da quattordici elementi, i Disciples Of Soul, e ha girato in lungo ed in largo gli States e l’Europa portando il suo entusiasmante show anche dalle nostre parti, a Roma e Cortona, fino all’indimenticabile serata del 13 giugno 2019 all’Alcatraz di Milano.

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Prova tangibile dell’assoluto valore di queste sue esibizioni è il doppio CD (o triplo nella sua versione estesa) Soulfire Live!, probabilmente la miglior pubblicazione dell’intera sua discografia. A questa già monumentale prova di energia e talento, Stevie ha deciso di aggiungere un ulteriore dischetto che documenta la sua esibizione nel mitico Cavern di Liverpool, tenutasi all’ora di pranzo del 14 novembre 2017, un vero e proprio tributo ai Fab Four e ai loro esordi, realizzato con la devozione di un fan e l’entusiasmo di chi è consapevole di aver realizzato un sogno. Macca To Mecca prevede oltre agli otto brani eseguiti al Cavern anche un gustoso duetto con Paul McCartney registrato dieci giorni prima a Londra e un’ulteriore cover beatlesiana presa dalla data di Leeds dell’8 novembre https://www.youtube.com/watch?v=cBTL4IwOTaU . Il tutto è estremamente godibile, non solo in audio ma anche in video, grazie a un DVD di ottima qualità che ci rivela i notevoli sforzi logistici compiuti per far esibire una band di quindici elementi sul piccolo stage del Club di Liverpool.

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Ma lo sfizioso antipasto, come vi dicevo, si svolge sul palco della Roundhouse di Londra quando sir Paul raggiunge il visibilmente emozionato Miami Steve per lanciarsi in una ruspante versione di I Saw Her Standing There con tanto di solo all’elettrica. La band gira a mille, mentre il leader si gode la sua special guest supportandolo ai cori. Al Cavern invece i Disciples sono divisi in due settori, causa spazio claustrofobico della sala chiamata non a caso Tunnel: Little Steven, il chitarrista Marc Ribler e il bassista Jack Daley si spartiscono la prima linea e dietro di loro si accomodano, si fa per dire, i due tastieristi Andy Burton e Lowell Levinger, oltre al batterista Rich Mercurio e al percussionista Anthony Almonte. Nel corridoio laterale si devono giocoforza piazzare le tre notevoli coriste e il quintetto dei fiati guidato dal sassofonista Eddie Manion.

little steven macca to macca cd+dvd 1Proprio a loro è affidato il compito di introdurre un classico come Magical Mystery Tour, esecuzione da manuale e adeguata apertura di un omaggio che va a scavare nelle origini della band più famosa al mondo, quando la sua dimensione era ancora quella dei piccoli locali come il Cavern e il repertorio era infarcito di cover di artisti americani di soul e r&b. https://www.youtube.com/watch?v=jQLA-4ip7KI&list=OLAK5uy_kgydfMf_n6t2-kVyhqW9oF6SJ_-MslLNI  Questo spiega la scelta di una sequenza che parte con Boys, b-side delle Shirelles e prima incisione come lead vocalist di Ringo Starr sull’album d’esordio Please Please Me, poi Slow Down di Larry Williams, uno dei cinque artisti coverizzato sia dai Beatles sia dai Rolling Stones, Some Other Guy e Soldier Of Love, la prima dalla penna di Richard Barrett coadiuvato dalla premiata ditta Leiber & Stoller, la seconda dal repertorio di Arthur Alexander, entrambe presenti solo su Live At The BBC.

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Le versioni che di questi brani poco noti ci propongono Steven e i suoi compagni suonano fresche ed attuali, suscitando l’entusiasmo dello sparuto pubblico del Cavern. C’è ancora qualche piacevole sorpresa da menzionare come l’ottimo recupero da Sgt. Pepper di Good Morning Good Morning, con i suoi continui cambi di ritmo, e la perfetta resa in stile Motown di Got To Get You Into My Life, con una superlativa performance della sezione fiati, autentico valore aggiunto al suono dei Disciples. Per chiudere, Miami Steve sceglie l’inno ecumenico beatlesiano per eccellenza, All You Need Is Love, perfetto suggello di una performance impeccabile. Sul CD e DVD c’è ancora spazio per una sanguigna Birthday, registrata alla 02 Academy di Leeds con dedica alla moglie Maureen nel giorno del suo compleanno. Durante i saluti finali, il ghigno felice di Little Steven è l’immagine perfetta per quest’ulteriore riprova della sua rinascita artistica.

Marco Frosi

Direi Che Ci Ha Preso Gusto…E Noi Con Lui! Little Steven & The Disciples Of Soul – Summer Of Sorcery

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Little Steven & The Disciples Of Soul – Summer Of Sorcery – Wicked Cool/Universal CD

La temporanea sosta della E Street Band (e la pausa dalla carriera di attore) ha dato modo negli ultimi tre anni a Little Steven di tornare a dedicarsi alla sua carriera solista, ed il piccolo Van Zandt lo ha fatto nei migliore dei modi, riformando i Disciples Of Soul, un gruppo straordinario, e dando alle stampe due album eccellenti, Soulfire (tra i dischi più belli del 2017 https://discoclub.myblog.it/2017/05/26/per-una-volta-il-boss-e-lui-little-steven-soulfire/ ) ed il suo strepitoso compendio dal vivo, Soulfire Live!, disco dal vivo del 2018 per chi scrive https://discoclub.myblog.it/2018/09/12/il-disco-dal-vivo-dellestate-si-ed-anche-dellautunno-dellinverno-little-steven-and-the-disciples-of-soul-soulfire-live/ . Ma Steven non ha finito, ed ora si ripresenta con un lavoro nuovo di zecca, Summer Of Sorcery, inciso sempre con i DOS e destinato a bissare il successo di critica e pubblico di Soulfire. Anzi, a mio giudizio Summer Of Sorcery è leggermente meglio, anche per il fatto che il suo predecessore era costituito esclusivamente da brani che il nostro aveva scritto per altri durante gli ultimi 40 anni, mentre le dodici canzoni qui presenti sono tutte nuove di zecca, pensate appositamente per questo progetto: la cosa è oltremodo rassicurante, in quanto possiamo constatare che Steve non ha perso la capacità di scrivere, e che se la può cavare alla grande anche senza ricorrere a pezzi già conosciuti.

Dal punto di vista sonoro Summer Of Sorcery è, come già Soulfire, una vera goduria, una miscela irresistibile di rock, soul, errebi e funky, con più di un occhio alle sonorità degli anni cinquanta e sessanta, tra vibrante rock’n’roll e romanticismo “piratesco” da parte di un formidabile gruppo di scapestrati, composto da ben quindici musicisti compreso il leader (Marc Ribler, chitarre varie e direzione musicale, Jack Daley, basso, Rich Mercurio, batteria, Andy Burton e Lowell Levinger, piano ed organo, Anthony Almonte, percussioni, le tre backing vocalists Jessie Wagner, Sara Devine e Tania Jones, e soprattutto la strepitosa sezione fiati di cinque elementi diretta da Eddie Manion, sax baritono, con Stan Harrison al sax tenore e flauto, Ron Tooley e Ravi Best alla tromba e Clarck Gayton al trombone). Colore, ritmo e feeling a volontà, un’ora di grandissima musica, gioiosa e creativa: Little Steven non sarà il Boss (neanche e soprattutto a livello vocale), ma sopperisce con l’anima e tonnellate di grinta. Communion ha un attacco potente quasi degno della E Street Band, poi il suono si sposta su coordinate più squisitamente errebi, con ritmo subito altissimo ed i fiati immediatamente protagonisti (come già in Soulfire, sono il fiore all’occhiello del disco), per sei minuti ad alto tasso adrenalinico.

Party Mambo! è un titolo che è tutto un programma, ed è una canzone solare dai suoni e colori decisamente “caldi”, gran gioco di percussioni, fiati e cori, con Steve perfettamente a suo agio nel ruolo di maestro di cerimonie, mentre per quanto mi riguarda è quasi impossibile tenere fermo il piede; Love Again è invece una deliziosa e saltellante soul song dal sapore d’altri tempi, un pezzo che il nostro avrebbe benissimo potuto scrivere per Southside Johnny, con una melodia immediata ed il solito suono pieno e generoso: potrebbe diventare un instant classic di Steve. Vortex è un bellissimo e coinvolgente brano dal motivo vincente, che colpisce al primo ascolto, e con un arrangiamento degno dell’Isaac Hayes dei primi anni settanta (e qui oltre ai fiati abbiamo anche gli archi a simulare una sorta di sgangherata disco music dei bassifondi), mentre A World Of Your Own è un irresistibile pezzo in puro stile sixties, romantico e cantato col cuore, cori femminili in evidenza ed un arrangiamento decisamente “spectoriano”: splendida anche questa. Gravity è funk-rock della miglior specie, suono grasso e corposo e solita grinta formato famiglia, con le backing vocalists che assumono quasi la stessa importanza del leader, Soul Power Twist è ancora una festa di ritmo e suoni, come se Steven avesse trovato in un cassetto una canzone inedita e dimenticata di Sam Cooke e l’avesse fatta sua senza dirlo a nessuno: una meraviglia.

Superfly Terraplane non prova neanche ad abbassare il ritmo, ma qui siamo in presenza di un travolgente rock’n’roll con fiati, un’altra gioia per le orecchie (comincio ad essere a corto di aggettivi), Education inizia con un sitar ma si trasforma quasi subito in un robusto pezzo tra errebi e rock, in cui i fiati si prendono tanto per cambiare il centro della scena, mentre Suddenly You è un brano più soft, quasi afterhours, con Steve che canta in modalità sottovoce, una sorta di relax dopo tante energie spese. I Visit The Blues, come da titolo, vede i nostri cimentarsi con la musica del diavolo, e lo fanno in maniera assolutamente credibile, con il solito supporto dei fiati a dare il tocco in più e Steven che prova a dire la sua anche con la chitarra. Il CD si chiude con la title track, ed è un finale sontuoso in quanto ci troviamo di fronte ad un mezzo capolavoro, una ballata epica e fantastica che gronda feeling e romanticismo da ogni nota, otto minuti di grandissima musica, degna conclusione di un album che definire strepitoso è poco e che, se vivessimo in un mondo giusto, dovrebbe essere eletto all’unanimità disco per l’estate.

Marco Verdi

Il Disco Dal Vivo Dell’Estate? Sì, Ed Anche Dell’Autunno, Dell’Inverno… Little Steven And The Disciples Of Soul – Soulfire Live!

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Little Steven And The Disciples Of Soul – Soulfire Live! – Wicked Cool/Universal 3CD

Uno dei dischi più belli dello scorso anno per il sottoscritto è stato sicuramente Soulfire https://discoclub.myblog.it/2017/05/26/per-una-volta-il-boss-e-lui-little-steven-soulfire/ , che vedeva il ritorno alla prova da solista per Little Steven, a ben diciotto anni dal non eccelso Born Again Savage, che a sua volta veniva dopo una decade da Revolution (che era proprio brutto). Con Soulfire Steven in un certo senso aveva chiuso un cerchio, in quanto aveva riformato i Disciples Of Soul, un gruppo formidabile in grado di garantire un suono potente e pieno di feeling, a base di rock’n’roll, soul ed errebi, gruppo con cui aveva esordito come solista nel lontano 1982 con l’ottimo Men Without Women, e che a tutt’oggi è di gran lunga la migliore tra le sue varie band (ci sarebbe anche una certa E Street Band, ma non è la “sua” band, bensì di qualcun altro…). Steven ha poi intrapreso un lungo tour mondiale per promuovere Soulfire, e questo triplo CD di cui mi accingo a parlare è lo splendido risultato: Soulfire Live! è un disco formidabile, inciso alla grande e suonato in maniera fantastica, un album nel quale il buon Van Zandt dimostra di essere un bandleader più che credibile, e nel quale veniamo accompagnati in un bellissimo viaggio nel soul, rhythm’n’blues e tanto rock’n’roll, musica potente ma anche incredibilmente romantica, merito di un gruppo che ha pochi eguali in quanto a tecnica, feeling ed energia.

Oltre a Steve, voce e chitarra, abbiamo Marc Ribler pure alla chitarra, la granitica sezione ritmica formata da Jack Daley, basso, e Rich Mercurio, batteria, Andy Burton all’organo, Lowell Levinger al pianoforte, Anthony Almonte alle percussioni, un coro femminile di tre voci (Jaquita May, Sara Devine e Tania Jones) e soprattutto il vero fiore all’occhiello della band, cioè una sezione fiati di cinque elementi (Eddie Manion è il leader, poi Stan Harrison, Clark Gayton, Ravi Best e Ron Tooley) che fornisce un vero e proprio “wall of sound” indispensabile nell’economia sonora di questo gioioso carrozzone. L’album era già uscito unicamente per il download a fine Aprile, ma solo con il contenuto dei primi due CD (il concerto vero e proprio, con brani presi da varie location), ma ora è stato aggiunto un dischetto bonus che, senza nulla togliere ai primi due che sono fantastici, è forse ancora più interessante. Steven nel corso della serata suona ad una ad una (cambiando l’ordine) tutte le canzoni di Soulfire, ma prende almeno un brano da ognuno dei suoi altri album, prediligendo sia Men Without Women che Voice Of America, con quattro scelte ciascuno, e lasciando le briciole agli altri tre, dai quali fa appena un pezzo a testa. Dopo un’introduzione semiseria da parte di Mike Stoller, leggendario songwriter che in coppia con Jerry Leiber ha scritto alcuni dei più famosi brani rock’n’roll di sempre, si parte ovviamente con Soulfire, più funkeggiante che mai, subito gran ritmo e potenza a mille: Steve forse non avrà una voce fantastica, ma è più che adeguata alla bisogna e, soprattutto, tiene per tutta la durata del concerto.

Lo splendido soul-rock I’m Coming Back, un brano degno della E Street Band, precede una formidabile Blues Is My Business (canzone di Etta James) di nove minuti, un’esplosione elettrica dove chitarre, piano e fiati si sfidano a duello con assoli a profusione, ed una calda atmosfera errebi che pervade il brano: grandissima musica. La scintillante Love On The Wrong Side Of Town è scritta assieme a Bruce Springsteen, e si sente, Until The Good Is Gone è presa dal primo solo album di Steve, e sono altri nove minuti di pura goduria, un pezzo che profuma di Stax Records, soul music piena d’anima (appunto) cantata benissimo da Steve (che gigioneggia non poco, qualcosa avrà pur imparato da Bruce) e suonata al solito con un feeling micidiale. Altri highlights del primo CD (non le nomino tutte se no devo fare una recensione a puntate) sono la festosa e danzereccia (nel senso buono) Angel Eyes, la sontuosa Some Things Just Don’t Change, soul song calda e vibrante di ispirazione Motown, la deliziosa e spectoriana Saint Valentine’s Day, tra le melodie più belle del concerto, l’irresistibile Standing In The Line Of Fire, che sembra uscita da un western musicato da Ennio Morricone, la potente Salvation, alla quale i Disciples Of Soul tolgono la patina hard rock dell’originale (era su Born Again Savage), la struggente e romantica The City Weeps Tonight, in cui Steve sembra quasi Willy DeVille.

Il secondo CD inizia con una monumentale Down And Out In New York City, tredici minuti di pura “blaxploitation” in cui i fiati si prendono il centro della scena, un brano quasi da colonna sonora alla Shaft, e si prosegue con la solida rock ballad Princess Of Little Italy, dal motivo epico. Abbiamo poi un trittico di canzoni “politiche” in stile dub-reggae (Solidarity, Leonard Peltier e soprattutto la coinvolgente I Am A Patriot, resa popolare da Jackson Browne) ed una cover in puro stile errebi di Groovin’ Is Easy degli Electric Flag. Altri momenti da segnalare sono il roboante rock’n’roll Ride The Night Away (purtroppo non c’è il DVD, ma penso che nessuno nella sala riesca a stare fermo), l’immancabile salsa-rock di Bitter Fruit, suo maggior successo come singolo, la sventagliata elettrica e ritmica di Forever e la stupenda e commovente I Don’t Want To Go Home, che diede il titolo al primo album di Southside Johnny. Ed eccoci al terzo dischetto, un CD composto al 99% da cover, molte di esse suonate una sola volta durante il tour, e più di una decisamente sorprendente. Si inizia con una splendida Even The Losers di Tom Petty in omaggio alla tragica ed inattesa scomparsa del biondo rocker, una versione tirata il giusto, cantata bene da Steve e con i fiati che le danno un sapore diverso (e poi il brano è già grande di suo). Can’t Be So Bad, dei Moby Grape, è suonata con Jerry Miller, autore del pezzo e chitarrista dello storico gruppo californiano, ed è un travolgente rock’n’roll all’ennesima potenza (con grande assolo da parte dell’ospite), così come You Shook Me All Night Long, proprio quella degli AC/DC, un brano che non ti aspetti da Steve e compagni ma che funziona eccome (ed è dedicata a Malcolm Young).

Working Class Hero è una delle canzoni più profonde di John Lennon, e questa versione elettrica, tesa e potente (l’originale era acustica) è una vera sorpresa, mentre con We Gotta Get Out Of This Place (Animals) i Discepoli Del Soul sono nel loro ambiente, ed infatti la rilettura è tra le più riuscite. Anche Can I Get A Witness, di Marvin Gaye, è perfetta per Steve e soci, ed il brano è impreziosito dalla presenza alla chitarra di Richie Sambora, che dimentica per un attimo i trascorsi con Bon Jovi e suona come si deve. It’s Not My Cross To Bear è un sentito omaggio a Gregg Allman ed alla Allman Brothers Band, una bella versione, calda e bluesata, anche se la voce di Steve non è certo quella di Gregg; la saltellante e festosa Freeze Frame, della J. Geils Band, vede salire sul palco proprio Peter Wolf, cantante originale del gruppo, per quattro minuti di puro divertimento, mentre The Time Of Your Life è l’unico pezzo scritto da Steve in questo CD (proviene dalla colonna sonora del film Nine Months), ed è una tenue ballata, romantica e stracciona alla maniera di Tom Waits, con una deliziosa fisarmonica sullo sfondo ed un motivo toccante. Finale con due pezzi che vedono i nostri raggiunti sul palco da Bruce Springsteen (non poteva mancare), per una Tenth Avenue Freeze-Out che è già perfetta quando a suonarla c’è solo un sassofonista (che sia Clarence o Jake Clemons), figuriamoci con un’intera sezione fiati come quella dei Discepoli, ed un’altra I Don’t Want To Go Home, leggermente più rock della precedente (ed un po’ mi sorprende l’assenza in questo CD da parte di Southside Johnny); chiusura con la natalizia Merry Christmas dei Ramones, in puro stile Phil Spector.

Little Steven con questo Soulfire Live! conferma il suo momento di grazia, e non ho alcuna difficoltà ad affermare che ci troviamo di fronte al disco live dell’anno: imperdibile.

Marco Verdi