A Proposito Di Belle Voci! Jo Harman – People We Become

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Jo Harman  – People We Become – Totale Creative Feed

Ogni tanto dal Regno Unito sbuca qualche nuova voce femminile interessante, con un repertorio musicale che può essere interessante per i nostri lettori: penso a Joss Stone, potenzialmente una delle migliori voci rock & soul moderne, ma che spesso paga le scelte non felici di produttori e compagni di viaggio, che quest’anno compie 30 anni e dovrà scegliere cosa vuole fare da grande http://discoclub.myblog.it/2012/07/23/ma-che-voce-ha-il-ritorno-di-joss-stone-the-soul-sessions-vo/ , ma anche la bravissima Rumer, in possesso di una voce deliziosa, dal phrasing perfetto e con uno smisurato amore (ricambiato) per Burt Bacharach, che a chi scrive piace moltissimo http://discoclub.myblog.it/2010/11/13/perfect-pop-rumer-seasons-of-my-soul/ , tra i nomi del passato forse si potrebbe paragonare, anche se non vocalmente, a Dusty Springfield. In mezzo a questi nomi ora arriva Jo Harman, giovane cantautrice del Southwest britannico, nata a Luton e cresciuta nel Devon, poi trasferitasi a Londra per dedicarsi alla musica. Nella sua musica si trova una passione per i classici della canzone inglese, Beatles, Cat Stevens, Moody Blues, oltre alla grande soul music americana, nella persona di Aretha Franklin (passione in comune con Rumer), nomi e musiche carpiti dalla discoteca dei genitori e poi usati nei primi passi nel mondo musicale.

Di lei si parla molto bene in questi giorni per l’uscita del presente People We Become, ma in passato ha già pubblicato un album autoprodotto nel 2013, e due dischi dal vivo, tra cui un Live At The Royal Albert Hall, pubblicato dalla BBC. Inserita nel filone soul e blues (dove ha ricevuto vari premi di categoria) mi sembra che Jo Harman si possa inserire a grandi linee  in quel ramo, dove fioriscono anche voci come Beth Hart, Dana Fuchs o Colleen Rennison dei No Sinner, oltre a cantautrici, più, come le potremmo definire, “confessionali”, quelle che si ispirano a Joni Mitchell o Laura Nyro, per volare alti, o, soprattutto Carly Simon, quella del primo periodo, con cui mi pare condividere il timbro vocale. Ovviamente i nomi citati sono semplici suggestioni, anche personali, che servono comunque ad inquadrare il personaggio: questo nuovo album è stato registrato in quel di Nashville, mi verrebbe da dire a cavallo tra la Music City più commerciale e il lato più rootsy e ricercato dell’altro lato di Nashville, Il produttore scelto per l’avventura americana è Fred Mollin, un canadese trapiantato nel Tennessee,  uno che ha lavorato con Jimmy Webb, Kris Kristofferson (il di recente ristampato Austin Sessions), ma anche in moltissime colonne sonore per la Disney: e anche i musicisti utilizzati, grandi professionisti, da Greg Morrow alla batteria, Tom Bukovac alla chitarra e il bravissimo tastierista Gordon Mote, hanno lavorato, da professionisti, con Blake Shelton, Faith Hill, Amy Grant e simili, ma pure con Bob Seger e i Doobie Brothers.

Scusate questo voler esser fin troppo didascalici, ma questo dualismo nel disco, a tratti, si sente: ci sono molti brani dove si percepisce a fondo il talento di questa giovane cantante e alcuni dove è coperto da esigenze di mercato; e così si alternano brani come l’iniziale No One Left To Blame, un brano rock tirato, con chitarre, tastiere e sezione ritmica in evidenza, che sembrano essere in competizione con la voce della Harman, e non sempre, anche se l’ugola è potente, vince lei, ma pur risentendo del suono fin troppo pompato,  la classe si percepisce e non siamo lontani dagli episodi più duri di Beth Hart o dei No Sinner. Ma poi quando si passa a una canzone come Silhouettes Of You veniamo proiettati in un sound molto seventies, alla Carly Simon, con piano ed una bella slide in evidenza, oltre alla voce calda e matura di Jo. Molto bella anche la lunga, oltre i sette minuti, Lend Me Your Love, una ballata che parte solo voce e piano, e poi si sviluppa in un notevole crescendo, con l’organo, le chitarre e il resto degli altri strumenti, fiati compresi. che entrano man mano, qualcuno ha riscontrato addirittura delle similitudini in fase di costruzione sonora con i Pink Floyd, il tutto cantato con grande autorità.

Eccellente anche Unchanged and Alone, partenza acustica per un’altra splendida ballata dal crescendo irresistibile, mentre The Reformation introduce elementi blues e rock, più duri e tirati, che evidenziano la voce grintosa. Changing Of The Guard, sempre con una bella slide, è più leggera e godibile, sempre vicina alla Carly Simon citata, con Person Of Interest, intima e raccolta, che esplora il sound più acustico che veniva utilizzato nel primo album, per poi esplodere nel riff di When We Were Young https://www.youtube.com/watch?v=LyWw7ixwKjs , che sembra un pezzo dei Doobie Brothers, e quando entra la voce di Michael McDonald alle armonie vocali ne hai la conferma, il singolo dell’album, che prosegue con The Final Page, altra traccia elettroacustica sulle ali di una malinconica lap steel, ancora con la bella voce di Jo Harman da gustare, e pazienza se nell’arrangiamento c’è qualche zucchero di troppo. Infine la conclusiva Lonely Like Me, altra ballata pianistica dai saliscendi sonori e con elementi gospel conferma il valore di questo nuovo talento prodotto dalla scena britannica.

Bruno Conti