Ma Bruce Ci Darà Ancora La Luce? Bruce Springsteen – Wrecking Ball

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Bruce Springsteen – Wrecking Ball – Columbia – 06-03-2012

Il titolo del Post lo capiranno in America? Facezie a parte, a pochi giorni dall’uscita del nuovo album di Bruce Springsteen Wrecking Ball quattro parole in libertà le voglio dire anch’io, oltre a quello che avevo già esternato giorni orsono nelle Anticipazioni. Intanto il disco, risentito dopo una decina giorni, conferma la prima impressione: dischi come Born To Run, Darkness, The River o anche Nebraska non ne farà più e questo è pacifico da parecchi anni. Dal vivo rimane intoccabile, una vera forza della natura, e le sue opere di studio si seguono non solo per fede, passione e riconoscenza ma anche perché rimane uno dei migliori cantautori degli ultimi 40 anni (il prossimo anno) e come lui ce ne sono pochi in giro. Se non avesse fatto tutti quei dischi citati prima (ma anche i primi due), le nuove uscite sarebbero nettamente superiori al 90% di quello che esce oggi, ma purtroppo (o per fortuna) li ha fatti e quindi bisogna rassegnarsi a confrontare ogni nuova fatica discografica con il passato.

Questo Wrecking Ball mi sembra il migliore dei dischi di Bruce degli anni ’00, intanto a livello testi è sempre “incazzato come una biscia” per usare una perifrasi, e in questo nuovo disco fonde le arie proto-irlandesi e folk delle Seeger Sessions con il suo rock classico e una ballata memorabile (tra un attimo), ma…quel produttore, Ron Aiello, dove diavolo l’hanno scovato? E’ una domanda retorica, ovviamente lo so, nelle buste delle figurine Panini! Mi dicono di no, è il produttore del disco di Patty Scialfa del 2007 Play As It Lays (ah bè, allora). E che altro? Camera Can’t Lie, Ashley Tesoro, Allison Iraheta, Jeremy Riddle, Vanessa Amorosi, la Moshav Band e ha vinto un paio di Grammy con i Jars Of Clay. Apperò! Ma chi glieli consiglia? Il suo parrucchiere, la sua casa discografica o i suoi figli? Mah, mistero!

E nonostante questo, come dicevo prima,il disco non è poi così malvagio: anche con quell’intermezzo rap nel bel mezzo di Rocky Ground che gettando il produttore dalla finestra probabilmente diventerà un bel brano in crescendo vagamente gospel per i concerti dal vivo o il singolo di apertura, We Take Care Of Our Own una canzoncina leggera e radiofonica (d’altronde se vuole farsi sentire nell’America del mainstream qualche concessione la deve fare). Anche l’arrangiamento di Land Of Hope Of Dreams, che è l’ultimo brano in cui possiamo sentire un assolo di Clarence Clemons e quindi ci doveva essere, ebbene l’arrangiamento con l’aggiunta di drum machine, tante tastiere e “troppe” voci gospel non regge il paragone con la versione dal vivo, che questa volta già conosciamo e quindi si può confrontare.

Rimangono tante belle canzoni, una splendida come Jack Of All Trades assolutamente all’altezza delle cose più belle scritte da Bruce nel passato: 6 minuti da memorizzare che iniziano con un leggero spruzzo di elettronica ma poi si sviluppano in una bellissima ballata pianistica in crescendo, dove entrano via via, l’organo, la batteria, una sezione di fiati magica, una tromba nitida d’ordinanza (Curt Ramm), gli archi della New York String Section che si dividono la scena con la chitarra e la tromba nel finale del brano; il produttore, dopo aver fatto partire il loop elettronico deve essere andato a bersi un bel caffè e lascia spazio alla voce dolente e maschia del nostro amico che quando canta questi brani qualche brividino lungo la schiena me lo fa sentire ancora. Molto bella anche la cupa This Depression scandita dall’incedere inesorabile della batteria di Max Weinberg e con la chitarra dell’ospite Tom Morello a disegnare un assolo futurista nella parte centrale (però uno si chiede, con tre chitarristi in formazione ce ne voleva uno esterno? Evidentemente sì) assolutamente valido e pertinente.

Come pure pertinente è il folk trascinante della “nerissima” (come umore) Death To My Hometown quella più vicina allo spirito delle Seeger Sessions con flautini, violini e voci a volontà che accantonano per un momento il sound della E Street Band. Che è comunque presente con metà delle sue forze, Van Zant (solo armonie vocali e il mandolino nel brano 13), Weinberg, Patti Scialfa, “i nuovi” Soozie Tyrell e Charlie Giordano (ma niente Bittan, Tallent e Lofgren) che con violino, tastiere e fisa formano il ponte verso i musicisti delle Seeger Sessions come Art Baron, Clark Gayton, Lisa Lowell, Ed Manion, Cindy Mizelle, Curt Ramm. Oltre al citato Morello ci sono il batterista Matt Chamberlain che faremmo prima a dire con chi non ha suonato ma diciamo, brevemente i Pearl Jam, molto con Tori Amos, Edie Brickell e nella band del Saturday Night Live. L’altro brano dove appare Clarence Clemons è la trascinante Wrecking Ball un brano tipico dell’opera springsteeniana fino all’immancabile countdown e con la sezione fiati in fibrillazione, anche questa probabilmente farà un figurone dal vivo ma anche nella versione in studio la sua porca figura la fa, bello l’intermezzo di violino nella parte centrale. Mi piacciono anche You’ve Got It e We Are Alive accomunate entrambe da un attacco solo voce e chitarra ma che poi si dipanano in modo assolutamente antitetico, rock e con slide d’ordinanza e fiati al seguito la prima, folk e molto sobria la seconda. 

Anche Shackled and Drawn con la sua fisarmonica e i suoi ritmi paesani viene di filato dal filone popolare delle Seeger sessions con ampio uso di armonie vocali e tanta energia. E per citarle tutte (escluse le due bonus dell’edizione Deluxe, Swallowed Up e American Land) rimarrebbe Easy Money che ha solo il titolo in comune con il famoso brano di Rickie Lee Jones ma per il contenuto musicale si allinea sempre al filone del brano precedente. Niente capolavoro quindi ma un disco onesto, addirittura buono, dove aldilà dello sparare sul produttore che poi non è che sia responsabile di chissà quali sfracelli (ma qualcuno sì) ci possiamo godere il nostro amico Bruce ancora una volta.

I “puristi” del passato storceranno il naso ma andranno, fedelmente, a vedere i concerti, per gli altri il “solito vecchio” Boss che a tratti ci illumina ancora!

Bruno Conti

Mancavano solo 3 giorni al 4 Marzo! Se Ne E’ Andato Anche Lucio Dalla.

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Chi legge questo Blog sa che, per usare un eufemismo, non sono un grande appassionato di musica italiana, ma la scomparsa di Lucio Dalla, avvenuta a causa di un infarto, poche ore fa in quel di Montreux, Svizzera dove si trovava per alcuni concerti, mi ha colpito profondamente. Mancavano pochi giorni al suo compleanno che sarebbe caduto nel 69° anno da quel “4 marzo 1943” reso celebre anche da una sua canzone sanremese. E la partecipazione al Festival di Sanremo resterà la sua ultima apparizione pubblica televisiva proprio su quel palco dove nel lontano 1966 avvenne il suo esordio im coppia con gli Yardbirds di Jeff Beck & Jimmy Page con Paff…bum che avrebbe fatto parte di 1999 il suo primo album pubblicato proprio quell’anno.

Ammetto che sono parecchi anni che non seguo più la sua musica (a parte le saltuarie collaborazioni con Francesco De Gregori, l’ultima nel recente Work In Progress Tour), ma negli anni ’70 e fino alla metà degli anni ’80 con DallAmeriCaruso i suoi dischi sono stati tra le colonne sonore della mia vita di ascoltatore. Addirittura un importante settimanale musicale inglese lo definì (ciccando completamente o forse no, ma come attestato di stima fu importante) il Bruce Springsteen latino. La cantante canadese Jane Siberry lo citò tra i suoi preferiti e i dischi di quegli anni (anche con gli Stadio) contengono alcune delle più belle canzoni della musica italiana.

Questa è una delle mie preferite, dal suo album forse più bello…

Che dire ancora? Grazie di tutto!

Bruno Conti

L’Altra Metà Del Cielo: Chuck Prophet – Temple Beautiful

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Chuck Prophet – Temple Beautiful – Yep Roc Records 2012

Quando certi personaggi ritornano sulla scena discografica, provo sempre un po’ di emozione, se poi i ricordi portano alla mente una band che negli anni ’80 ha frantumato il cuore di molti, e parlo dei Green On Red (sguinzagliate i “cani poliziotto” e cercate l’album Scapegoats del ’91), il ricordo e la passione portano al piacere di parlare di questo lavoro. Di origine Californiana, Chuck ha fatto la gavetta in alcune band di San Francisco, prima di approdare giovanissimo alla corte dello scorbutico e mutevole Dan Stuart, nei citati Green On Red, finendo poi per imporsi diventandone una colonna portante. Il gruppo, a causa degli stati d’animo di Stuart, si concede dei momenti di stallo e proprio in uno di questi periodi Prophet, inizia a suonare da solo, giungendo all’esordio di Brother Aldo, che viene acclamato dalla critica e dal pubblico come uno dei migliori dischi del ’90, bissato nel ’93 dallo splendido Balinese Dancer, che non è semplicemente il seguito del disco di esordio, ma è la definitiva maturazione di un artista che affronta con piglio sicuro la seconda prova.

 

Carriera discontinua la sua, la discografia solista comprende undici dischi di varia caratura, con alti e bassi, ma sempre ricca di vero rock, cui si aggiunge questo Temple Beautiful, registrato ai Closet Studios di San Francisco e co-prodotto con Brad Jones, che ci regala un sano “sound” americano che va diritto al sodo, con una base ritmica importante, chitarre in spolvero e, quello che più conta, una manciata di belle canzoni. Lo aiutano in questa avventura, James Deprato alle chitarre, Rusty Miller al basso, Prairie Prince batteria e percussioni, Chris Carmichael violino e violoncello, Jim Hoke ai fiati, e la moglie Stephanie Finch voce e cori.

 

E il CD ti entra subito, a partire dal brano iniziale Play That Song Again, un rock sano, semplice e diretto. Un attacco ritmico deciso e una voce filtrata aprono Castro Halloween, in cui compaiono una tastiera digitale e chitarre dilatate. La “title track” è una canzone rock più tradizionale, puro stile anni ’60 (à la Kinks) con chitarre e organo in bella evidenza e la voce di Roy Loney dei leggendari Flamin’ Groovies in questo omaggio al leggendario locale di Frisco. Ballata acida è Museum of Broken Hearts, con accompagnamento ritmico chitarristico ed un violino in sottofondo. Willie Mays is up at Bat inizio blues con tanto di slide, si apre in un ritornello che entra subito in mente. The Left Hand and The Right Hand. e I Felt Like Jesus sono due brani un po’ incolori, che ricordano sonorità del George Harrison meno ispirato.

 

Who Shot John ha un inizio che ricorda i migliori Green On Red, ma poi si snoda con un ritmo alla Rolling Stones. La sognante He Came From So Far Away inizia con rumori elettrici di sottofondo, una ballata urbana con la voce della moglie Stephanie in perfetta sintonia con il tessuto sonoro dell’arrangiamento, come nella seguente Little Girl, Little Boy, in un duetto che richiama alla mente la famosa coppia Gram Parsons ed Emmylou Harris e dove spunta inaspettata anche una sezione fiati. White Night, Big City è un veloce country-rock che si snoda vivace e divertente, mentre la conclusiva Emperor Norton in The Last Year of His Life è una canzone dolcissima, una ballata dai sapori antichi, dove l’inconfondibile tocco della chitarra di Chuck punteggia una grande melodia.

 

Durante una lunga e onesta carriera, i suoi brani sono stati eseguiti da leggende come Solomon Burke, ha registrato con tutti da Calvin Russell a Kelly Willis, è salito sul palco con Lucinda Williams, Jim Dickinson, Aimee Mann, per citarne alcuni. Questo ultimo lavoro, dedicato alla sua città di adozione, San Francisco è consigliato a tutti e Chuck Prophet dimostra di non essere un semplice comprimario, ma un artista di spessore, che ci accompagna sull’autostrada della vita, con la sua musica suonata ad alto volume, mentre l’aria della notte entra dai finestrini aperti.

Tino Montanari