E I Risultati Si Vedono Ma Soprattutto Si Sentono. JB And The Moonshine Band – Beer For Breakfast

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JB And The Moonshine Band – Beer For Breakfast – Average Joe’s Ent.  

Non so se i risultati dipendano effettivamente dal titolo ma questo mondo tipicamente Americano dove le birre (ma nel disco precedente c’era anche il whiskey), le donne, le macchine e il divertimento puro si alternano nel testo, calza a cappello a questi JB And The Moonshine Band. Si sarebbe potuto usare benissimo anche “Fiddle, pedal steel and country guitars” per descrivere questo giovane quartetto texano originato dal Red Dirt Movement e giunto al secondo album con Beer For Breakfast dopo l’esordio, sempre indipendente, di un paio di anni intitolato Ain’t Goin’ Bak To Jail.

Loro, orgogliosamente, proclamano di fare del country non adulterato, privo di orpelli e trucchi in sala di incisione, però il loro management è a Nashville, Tennessee e anche parte del disco è stato registrato lì. Indubbiamente c’è del talento nella loro musica, i brani sono firmati per la quasi totalità dal cantante JB Pattinson che suona anche chitarre elettriche (che divide con Hayden Mc Mullen), acustiche e banjo, hanno una solida sezione ritmica in grado di sfociare anche nel southern rock o comunque in un country-rock molto energico, si avvalgono di violino e pedal steel e possono ricordare (almeno a chi scrive) i primi Band Of Heathens (quelli più country, ora sono diventati una band molto più solida e rock) o anche la Randy Rogers Band o i Cross Canadian Ragweed.

I brani raramente superano i quattro minuti ma i ragazzi sanno anche fare ruggire le chitarre in brani come Hell To Pay (che cita il titolo del 1° album nel testo) o l’ottima Ride che ricorda addirittura i fasti della Marshall Tucker Band e qualche riff dei Lynyrd Skynyrd o la tiratissima Yes che nei continui rilanci delle chitarre soliste si avvicina alle sonorità degli Outlaws dei primi due album, quelli in bilico tra rock e country. Quando la pedal steel e il violino salgono al proscenio come nell’iniziale divertente Beer For Breakfast (alla Charlie Daniels) o nella ballata The Only Drug i suoni si ammorbidiscono e riescono ad evitare la melassa di molta country music mainstream per un pelo, anche se non sono originalissimi, ma le armonie vocali sono efficaci e Pattinson ha la “voce classica” del country rocker tipico. Già la successiva Black and White fatta con lo stampino rispetto alla precedente testa un po’ la tua pazienza.

Pure l’idea di mettere in conclusione dell’album due brani, I’m Down e Perfect Girl, che erano già apparsi nel precedente CD sia pure con un mixaggio diverso, a detta loro più professionale non è originalissima, anche se le canzoni erano tra le migliori di quell’album.

In definitiva, non saranno innovativi, ma se amate del buon country rock con una certa energia del boogie e del southern rock aggiunte come sovrappiù potete accostarvi con fiducia, c’è in giro molto di peggio anche di nomi più celebrati. Incoraggiamo i nuovi talenti.

Bruno Conti

Dischi Prossimi Venturi E Altre News. Cosa Accadrà Nei Prossimi Mesi Part Five, Laura Marling, Billy Bragg & Wilco, Carole King

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Torniamo ad occuparci della rubrica delle novità che ci “delizieranno” nei prossimi mesi: quelle certe, se non nella data di pubblicazione, quantomeno nell’uscita. Ieri, in emergenza e all’ultimo minuto, perché c’erano problemi di collegamento con il Blog sia come autore che per i lettori, vi ho parlato del Box dei World Party, oggi un terzetto di uscite future molto interessanti, ma prima, avviso per i naviganti, la data di uscita dell’edizione CD e DVD+CD di Elvis Costello The Return Of The Spectacular Spinning Songbook è slittata al 3 aprile, quindi non andate nei negozi (fisici o virtuali) perché comunque non lo troverete.

Per la serie, diventando stretti parenti dell’automobilista incazzato di Gioele Dix, anche chi compra i dischi a furia di ricomprare sempre le stesse cose, alla fine si incazzerà pure lui. Quel A Creature I Don’t Know di Laura Marling che vi sembra familiare (ma non troppo): ma è cambiata la copertina? Il problema è che è cambiato anche il disco, il 3 aprile (o il 10, tbc) ne uscirà la versione in vinile ma anche una nuova edizione doppia in CD con un secondo dischetto che riporta un concerto inedito registrato a York, Minster nell’ottobre del 2011 con ben 16 brani. La buona notizia è che la Universal lo farà pagare come un singolo. I brani del concerto:

1.I Was Just a Card
2. The Muse
3.Ghosts
4.Don’t Ask Me Why
5.Salinas
6.The Beast
7.Goodbye England
8.Blues Run the Game (not previously available)
9.Night Terror
10.Flicker and Fail
11.Alpha Shallows
12.What He Wrote
13.My Friends
14.Sophia
15.Rambling Man
16.All My Rage          

Quest’anno si festeggia il centesimo anniversario della nascita di Woody Guthrie e fervono le attività, prima è uscito quel New Multitudes di Jay Farrar, Yim Yames & Co. come primo atto. Ora la Nonesuch ripubblica in un cofanetto i due volumi di Mermaid Avenue che Billy Bragg e i Wilco avevano dedicato ai brani inediti di Guthrie tra il 1998 e il 2000, ci aggiunge un terzo CD con ulteriori 17 brani inediti, il DVD Man In The Sand che era il documentario sulle sessions realizzato nel 1999 (e già pubblicato), il tutto corredato da un bel libretto di 48 pagine con nuove note di Nora Guthrie, testi, fotografie d’archivio e altre curiosità. La data di uscita è fissata per il Record Store Day del 21 aprile. E si ricompra (forse) sempre la stessa roba.

Stanno per uscire le ristampe in CD di quattro album di Carole King che mancavano all’appello, Simple Things, Touch The Sky, Welcome Home e Pearls (Songs Of Goffin & King), o meglio, in America sono già uscite il 28 febbraio per la Rockingale Records mentre in Europa dovrebbero uscire ai primi di aprile. Poi il 24 aprile, per la Hear Music/Concord/Universal, uscirà questo Legendary Demos che contiene le prime versioni di molti di quelli che sarebbero diventati i brani appunto più leggendari della sua carriera di cantante e autrice, ovvero:

1. Pleasant Valley Sunday
2. So Goes Love
3. Take Good Care Of My Baby
4. (You Make Me Feel Like) A Natural Woman
5. Like Little Children
6. Beautiful
7. Crying In The Rain
8. Way Over Yonder
9. Yours Until Tomorrow
10. It’s Too Late
11. Tapestry
12. Just Once In My Life
13. You’ve Got A Friend

Per oggi è tutto, a domani!

Bruno Conti

Meglio Esagerare! World Party – Arkeology Box Set

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World Party – Arkeology – 5CD – Seaview Records – 10-04-2012

L’ultimo disco se non ho fatto male i conti risale al 2000, Dumbing Up, ma nel frattempo Karl Wallinger (che sarebbe i “World Party) è stato lontano dalle scene per molti anni a causa di un aneurisma che l’aveva reso incapace di parlare. Nel 2006 è ritornato con un tour americano e poi nel 2007 in Australia come supporto degli Steely Dan. Nel 2008 è uscito Big Blue Ball un progetto di artisti vari originato da Peter Gabriel edito dalla Real World e registrato in un arco di tempo che andava dal 1991 al 2007, nel quale Wallinger appariva in quattro brani. Nel 2011 è tornato al South By Southwest di Austin per un concerto gratuito come supporto dei Blue October.

Ma in tutti questi anni ha continuato a lavorare a questo progetto mastodontico che uscirà il 10 aprile: 5 CD di materiale completamente inedito registrato tra il 1985 e il 2011. Demo, canzoni nuove, Everybody’s Falling In Love è del 2011, outtakes, live, brani radiofonici, b-sides, covers, in tutto 70 brani mai sentiti prima. Questo è il contenuto del cofanetto che come formato si presenta come un calendario di 142 pagine che traccia la storia di 25 anni dei World Party…

DISC 1
1. “Waiting Such A Long Time”
2. “Nothing Lasts Forever”
3. “Everybody’s Falling In Love”
4. “Where Are You Going When You Go”
5. “Photograph”
6. “Everybody Dance Now”
7. “Closer Still”
8. “I Want To Be Free”
9. “I’m Only Dozing”
10. “No More Crying”
11. Interview/”Sweet Soul Dream” (Live Radio)

DISC 2
1. “Lucille”
2. “The Good Old Human Race”
3. “Put the Message in the Box” (Live)
4. “Trouble Down Here”
5. “Basically”
6. “Silly Song”
7. “Man We Was Lonely”
8. “She’s The One” (Live)
9. “Ship of Fools”
10. “Mystery Girl”
11. “This is Your World Speaking”
12. “All The Love That’s Wasted”
13. “Lost in Infinity”
14. “New Light”

DISC 3
1. “Words”
2. “Dear Prudence”
3. “Call Me Up” (Live Radio)
4. “Like A Rolling Stone”
5. “Sooner Or Later”
6. “Love Street”
7. “Time On My Hands”
8. “Who Are You”
9. “Sweetheart Like You”
10. “Another World”
11. “You’re Beautiful, But Get Out of My Life”
12. “Living Like The Animals”
13. “Stand” (Live)
14. “Thank You World” (Original Jam)

DISC 4
1. “Break Me Again”
2. “Baby” (Demo)
3. “Ship Of Fools”
4. “Put The Message In The Box”
5. “When Did You Leave Heaven”
6. “Nature Girl”
7. “It’s A Pity You Don’t Let Go”
8. “My Pretty One”
9. “De Ho De Hay”
10. “We Are The Ones”
11. “World Groove”/”Mind Guerilla”
12. “Happiness Is A Warm Gun”
13. “Kuwait City”
14. “Do What I Want”
15. “All We Need Is Everything”
16. “Outro”

DISC 5
1. “Mystery Girl” (Early Version)
2. “What Is Love All About” (Outtake)
3. “I Hope it All Works Out For You”
4. “And God Said” (Long version)
5. “It Ain’t Gonna Work”
6. “Another One”
7. “I Am Me”
8. “It’s Gonna Be Alright”
9. “In Another World”
10. “Thank You World”
11. “Cry Baby Cry”
12. “Temple Of Love”
13. “Fixing A Hole”
14. “Way Down Now” (Live)
15. “Change The World”

Non voleva uscire con un “semplice CD” ma nello stesso tempo era contrario al solo formato digitale, per cui Karl Wallinger ha deciso che era meglio esagerare! Molti lo conoscono perché ha suonato nella formazione originale dei Waterboys, altri perché è quello che ha scritto She’s The One, poi un megasuccesso per Robbie Williams (la sua versione è prealtro molto più bella), ma in effetti i World Party sono anche stati uno dei migliori gruppi pop-rock britannici degli ultimi 30 anni.

Attendo con curiosità il cofanetto.

Bruno Conti

I Was Born In Chicago…Studebaker John – Old School Rockin’

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Studebaker John – Old School Rockin’ – Delmark

Parafrasando l’incipit, l’attacco, di uno dei più famosi brani scritti da Nick Gravenites,  si potrebbe dire: “I was Born In Chicago in nineteen and forty-one “(che, curiosamente, non è l’anno di nascita né di Gravenites che l’ha scritta, né di Paul Butterfield che l’ha lanciata, ma probabilmente per motivi di rima con “gun”) e sostituendo la data con quella di Studebaker John (1952) otteniamo un altro illustre nativo della capitale del Blues elettrico, la Windy City.

L’oggetto di questo “spazio” prende il nome d’arte da una fabbrica di automobili americana che ormai non esiste più, ma anche lui è uno dei “nostri”, visto che il suo vero nome è John Grimaldi. Tralasciando le note biografiche Studebaker John ha una lunga carriera alle spalle, iniziata, come per molti altri ragazzi bianchi, con la scoperta, dopo il rock’n’roll, della musica nera per antonomasia, il Blues. Quindi Jimmy Reed, Freddie King, Slim Harpo ma anche gli Stones, gli Yardbirds, i Fleetwood Mac di Peter Green (in pellegrinaggio a Chicago) e poi Butterfield, Bloomfield, Dylan, Johnny Winter e molti altri. Ma per il nostro amico la miccia fu uno “sconosciuto” suonatore di armonica privo di un braccio, tale Big John Wrencher, che suonava regolarmente a Maxwell Street e poi anche il grande Hound Dog Taylor, quindi per non fare torto a nessuno ha imparato a suonare sia l’armonica che la slide, che poi è diventata il suo strumento principale.

Un altro aggancio con la città dell’Illinois è l’etichetta Delmark, l’ultima grande etichetta storica di Blues della città (e già, e l’Alligator qualcuno dirà? Ma quella è venuta dopo) alla quale Studebaker John è approdato da un paio di anni, dopo una lunga carriera con etichette come la Blind Pig, la Evidence e la Avanti. Se il disco precedente That’s The Way You Do era un omaggio al Blues più tradizionale con il nome di Maxwell Street Kings, questo Old School Rockin’, già dal titolo, indica un approccio più tirato, più elettrico, alle sue radici musicali, definirlo rock-blues è probabilmente esagerato ma i ritmi e la slide viaggiano spediti sulle traiettorie del Ry Cooder meno roots o dei vari gruppi con licenza di slide che sono nati negli ultimi anni e in quanto tale ha una carica più dirompente rispetto a prove in ambito più “tradizionale” di Studebaker.  

E quindi sin dall’iniziale Rockin’ That Boogie, con uno di quei titoli che spiegano chiaramente le intenzioni del brano, è una festa di slide e ritmi, con quell’approccio live in studio che ricorda i concerti (giusto qualche chitarra aggiunta in fase di registrazione, ma il minimo sindacale) e una voce vagamente alla Hiatt, senza la potenza dell’altro John ma con un bel tiro. Disease Called Love ha quel sound che ricorda le incisioni di Howlin’ Wolf per la Chess degli anni ’60, tra Spoonful e Evil. La lunga Fire Down Below (niente a che vedere con Seger), ma ci sono altri brani intorno ai 6 minuti, ci consente di ascoltare oltre alle consuete cavalcate con la slide anche un notevole assolo di armonica che mi ha ricordato il suono (tra i tanti) di John Popper dei Blues Traveler. Rockin’ Hot, molto cadenzata e Fine Little Machine dall’andamento Stonesiano sono tra i suoi cavalli di battaglia in concerto e alzano la temperatura del disco mentre Old School Rockin’ è un altro bel boogie “cattivo” alla Hound Dog Taylor. She Got It Right, tra Fabulous Thunderbirds e ZZTop è uno dei brani dove si sconfina (quasi) nel rock-blues sempre con quella voce alla John Hiatt e la chitarra che impazza alla grande. Deal With The Devil potrebbe essere una traccia perduta dei primi Canned Heat, Mesmerized vagamente latineggiante nei ritmi è più “trattenuta”.

Ma se devo essere sincero tra i 14 brani, tutti originali, che compongono questo album non ci sono punti deboli, tutta roba buona, tanto boogie, blues di qualità, un bel suono dalla slide guitar e dall’armonica di Studebaker John che centra con questo Old School Rockin’ probabilmente il miglior disco della sua carriera.

Da sentire, blues di quello giusto!

Bruno Conti

“Southern Hard Rock”! Rob Tognoni – Boogie Like You Never Did

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Rob Tognoni – Boogie Like You Never Did – Music Avenue/blues Boulevard

Rob Tognoni è un “sudista”, anzi più che un sudista, viene da Down Under (anche se con quel cognome!), dal Queensland dell’Australia per la precisione e ormai ha una lunga carriera alle spalle. Viene considerato un ottimo chitarrista (famiglia Dave Hole per citare un altro australiano che però, per il sottoscritto, è decisamente più bravo) ed in effetti lo è, ma il suo genere più che il consueto e canonico rock-blues o power-trio si potrebbe definire southern hard rock. Influenze blues ce ne sono ma si tramutano con una abbondante innervatura di Hendrix, Ac/dc, ZZTop, il tutto suonato a volumi “heavy” con wah-wah che spesso imperversano dalle casse dei vostri impianti, nelle cuffiette o negli stereo della macchina (dove preferite): il buon Rob, se serve, aggiunge anche quella tastiera che fa tanto hard-rock anni ’70 ma anche progressive e psych, come nella tirata Spaceman dove ci dà una dimostrazione della sua perizia chitarristica. Altrove si dedica all’arte dello strumentale come nell’iniziale Reboot o all’hard rock di maniera come in The Broken String (con citazione hendrixiana nel testo), il tutto sempre di grana un po’ grossa, ma il genere lo richiede e ha i suoi estimatori, basta sapere cosa aspettarsi.

Oltre a tutto, tra i suoi estimatori, questi titoli non risulteranno neppure nuovi: ebbene sì, questo Boogie Like You Never Did è una raccolta, sono brani tratti dai 3 album pubblicati tra il 2008 e il 2011 sempre per la Blues Boulevard, 2010dB, Capital Wah e Ironyard Revisited, basta saperlo visto che lo scoprite solo aprendo il digipack del CD. Ogni tanto, come nella bluesata, Can’t See The Smoke o nella title-track il boogie sudista alla ZZTop prende il sopravvento ma la voce, discreta ma non memorabile non aiuta, anche se la chitarra mulina sempre i suoi assoli con vigore e buona tecnica. Però ci sono anche molti brani dalle sonorità scontate e risapute come Light Of day mentre in altri momenti come nella riffata The Rain (due giri di chitarra ed è subito La Grange) si agita il piedino con piacere. Tanto per non continuare a citare titoli che non conoscete, ci siamo capiti, se amate del rock energico senza troppe finezze ma suonato con la giusta carica e dove le chitarre suonano già sentite ma sincere questo album fa per voi.

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Oltre a tutto mentre scrivo questa recensione, leggo (e sento) che è già uscito un ulteriore nuovo disco di Rob Tognoni, Energy Red, questa volta per la Dixiefrog; la formula è sempre quella ma stavolta ci sono anche alcune cover che esplicano ulteriormente i gusti del nostro axe slinger. Una Can’t You See molto “raffinata” tratta dal repertorio della Marshall Tucker Band, un omaggio ai conterranei Crowded House con Better Be Home Soon e una inconsueta acustica As Tears Go By dal repertorio degli Stones, ma già in passato Tognoni aveva infilato una cover di San Francisco in un vecchio album.

Quindi potete scegliere se acquistarli entrambi, se amate il genere o non avete gli album precedenti, oppure passare la mano, in fondo non siamo di fronte ad un disco fondamentale (o due), si può anche tralasciare, piacevole se volete passare un’oretta a fare dell’air guitar di fronte allo specchio, che è sempre uno sport casalingo!

Bruno Conti  

Discepoli (Preferiti) Di Springsteen! Joe Grushecky – We’re Not Dead Yet Live

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We’re Not Dead Yet – Joe Grushecky and the Houserockers – Schoolhouse Records – 2012

Amico fraterno di Springsteen, protagonista principe di quello che è stato definito “blue collar rock”, fin dai tempi ormai lontani degli Iron City Houserockers (una delle più misconosciute e valide rock-bands  a cavallo tra fine ’70 e primi anni ‘80), Joe Grushecky ci ha abituato a dischi che mischiano il miglior  rock “stradaiolo” americano con ballate che non tradiscono il romanticismo tipico di questo genere. Due sono (per chi scrive) gli album fondamentali della sua copiosa e valida discografia e per conoscere questo “rocker” di Pittsburgh, cresciuto in mezzo alla siderurgia e , e poi diventato uomo con Bruce nel cuore: American Babylon (95), un disco dal suono fortemente chitarristico (prodotto dallo stesso Springsteen), e Coming Home (97), album più meditato e personale, con una serie di grandi ballate e canzoni dal tono romantico e “soul”. Negli oltre 30 anni di carriera, Joe si è sempre fatto accompagnare nei suoi lavori dagli Houserockers, una band fedele, strutturata come una piccola E Street Band dal suono potente, perfettamente in linea con i rumori urbani e aspri del rock della Pennsylvania.

Come ogni nuovo disco di Grushecky che si rispetti, anche questo “live” (registrato in due serate infuocate nel Settembre scorso) al New Hazlett Theater di Pittsburgh, ricalca la sua musica, fatta di forza ed energia, ritmo e potenza, un degno omaggio alla sua città natale. Scomparso Bill Toms, (ormai proiettato in una degna carriera solista), la nuova “line-up” della band è composta dai veterani Art Nardini al basso, Joffo Simmons alla batteria, e il tastierista Joe Pelesky, con l’apporto del figlio Johnny, Dan Gochnour , il produttore Rick Witkowsky , e naturalmente il buon “vecchio” Joe alle chitarre e vocals.

La prima parte inizia con East Carson Street,  e immediatamente mostra di che vaglia siano questi “dannati” Houserockers, confermata da una selvaggia versione della “springsteeniana” Another Thin  Line in stile Clash. Si picchia duro anche in American Babylon, mentre la ballata urbana dal titolo lunghissimo Don’t Forget Where You’re Coming From, mostra il lato più romantico e sensibile di Joe.

I’m Not Sleeping è un altro brano uscito dalla penna con Bruce, mentre Coming Home dimostra di essere un brano perfetto in versione “live”. La “vecchia” Rock and Real non perde un briciolo della sua bellezza, con le chitarre tirate allo spasimo, come nella seguente The Sun Is Going To Shine Again con una batteria dura ed un bel gioco di chitarre e tastiere. I Always Knew e Pumping Iron sono brani che mettono in  risalto la sua vena di “rocker” ruspante. Chiude il primo set una Hideaway di grande impatto, con una batteria che rulla alla grande, per un rock d’annata, dove sembra di sentire il primo Graham Parker.

Il concerto riprende con una indiavolata Swimming With the Sharks, una lunga cavalcata che esalta la band, mentre nella seguente Everything’s Gonna Work Out Fine sembra di essere tornati ai tempi di End  of the Century, piccolo capolavoro personale di Joe con un bel contrappunto di armonica, e assolo di chitarra. Una bella melodia e un delizioso riff di chitarra introduce Chain Smokin’ , una ballata che   sembra uscita da un disco del “Boss”, mentre Chasing Shadows  possiede una ritmica possente, tutta giocata tra chitarre e batteria. A questo punto devo chiedervi di rilassarvi, perché con Dark and Bloody Ground siamo in territorio Bruce, un brano scritto a quattro mani da Joe è sua maestà del New Jersey, una di quelle canzoni nelle quali sono presenti delle cavalcate chitarristiche, che incendiano il pubblico in sala. Meravigliosa. Senza un attimo di tregua si riparte con Have a Good Time, But Get Out Alive, e Junior’s Bar, due brani dal tosto impatto elettrico, che si rifanno alla miglior tradizione del rocker di Pittsburgh. Code of Silence è l’ultimo brano scritto con Springsteen in scaletta, cantato dal leader con voce rabbiosa, mentre A Good Life è un tipico brano rock come venivano fatti tra la fine degli anni  settanta e i primi ottanta. Chiude un Concerto splendido We’re Not Dead Yet, una bruciante rock song che rimanda al Neil Young in Tour con i Crazy Horse.

Dopo anni e anni “on the road” il tempo non ha intaccato il genuino feeling con il “rock and roll” di questo appassionato, viscerale, intenso e caparbio “rocker”, ancora capace di offrire musica di grande qualità, attraverso le sue songs fatte di fatica e sudore ( l’ideale cantore dell’America che raramente vediamo e sentiamo nella sua cruda realtà). Joe Grushecky e i suoi Houserockers non richiedono il vostro rispetto, perché tanto lo guadagnano ogni volta che salgono sul palco. Consiglio ai naviganti: ascoltate questo CD a tutto volume, possibilmente sorseggiando un buon whisky torbato.

Autoprodotto e distribuito in proprio, non di facile reperibilità.

Tino Montanari

*NDB Mi scuso con i lettori del Blog, ma come avrete notato c’è un problema tecnico con il Post odierno.

Vecchie Glorie 10. Albert Lee & Hogan’s Heroes – On The Town Tonight

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Albert Lee & Hogan’s Heroes –  On The Town Tonight – 2CD/DVD Heroic Records

Ci sono alcuni personaggi nella scena musicale mondiale che si possono definire con termini più o meno felici “vecchie glorie” o “leggende del rock”, Albert Lee direi che appartiene di diritto ad entrambe le categorie e in più gli spetta anche il titolo di Guitar Hero. Per uno che ha iniziato la sua carriera agli inizi degli anni ’60 nell’era pre-Beatles spinto dalla passione per musicisti come Cliff Gallup, Scotty Moore, James Burton e Jerry Reed ma anche gli Everly Brothers, dopo la parentesi nei Thunderbirds di Chris Farlowe di cui è stato il primo chitarrista, non è stato difficile rivolgersi al suo primo amore, il country, fondando un gruppo come i Poet & One Man band che poi sono diventati gli Heads Hands & Feet, una delle prime band ad incorporare elementi di country, rockabilly, blues e pop, degli antesignani del genere che poi sarebbe diventato country-rock, Americana, roots music, senza sapere di essere degli innovatori (ma forse sì) e il tutto in Inghilterra.

E li ho anche visti dal vivo all’epoca, per dire quanto sono “antico” (ma ero un ragazzino): ed erano grandissimi. Albert Lee ha suonato anche con i Crickets di Buddy Holly nella loro reunion, ha sostituito il suo “maestro” James Burton nella Hot Band di Emmylou Harris, ha suonato per parecchi anni nella band di Eric Clapton a cavallo della fine anni ’70 –primi ’80 (e il vecchio Eric lo chiama ai suoi Crossroads Guitar Festival).  E’ stato il direttore musicale del concerto del 1983 che vedeva di nuovo insieme gli Everly Brothers e di sfuggita era stato anche il chitarrista (in sostituzione di Blackmore) per la versione in studio di Gemini Suite di Jon Lord. In tutto questo ha trovato anche il tempo per registrare alcuni dischi da solista tra i quali lo strepitoso Hiding del 1979 e per suonare in qualche miliardo di dischi dei migliori musicisti sulla faccia del pianeta quando c’era bisogno di un chitarrista che conoscesse il country e il R&R come le proprie tasche.

Da parecchi anni, dal 1987, data dell’incontro con Gerry Hogan, un virtuoso della pedal steel guitar, Albert Lee ha messo in piedi questi Hogan’s Heroes che prendono il loro nome da una famosa sitcom americana che prendeva per i fondelli la Germania nazista in un improbabile campo di concentramento nella 2° Guerra Mondiale. La formazione è in parte omologa ai Rhyhtm Kings di Bill Wyman o alla All Starr Band di Ringo Starr, anche se l’unica “stella” è Lee, ma il genere è quello, un po’ rock, un po’ country, western swing, rockabilly e R&R, classici degli anni ’60 e ’70, molto vintage e questo doppio CD On The Town Tonight registrato dal vivo al Tivoli Theatre di Winborne, Somerset nel cuore dell’Inghilterra (ma era già uscito come DVD lo scorso anno con il titolo Live At the Tivoli) è la summa di 25 anni di onorata carriera ai margini dei grandi circuiti musicali,forse il loro migliore, per amanti di generi magari desueti ma sempre vivi e da preservare.

Sono un paio di ore di musica dove i momenti migliori, non a caso, sono le composizioni di Albert Lee, poche, Song And Dance, la strepitosa Country Boy dal repertorio degli Heads Hands & Feet, Restless di Carl Perkins che è diventata “sua”, cover scintillanti di Travellin’ Prayer (il brano di Billy Joel da Piano Man che più lo risento più mi piace), Highwayman scritta da Jimmy Webb ma che tutti conoscono nella versione del super quartetto country che prese il titolo dal brano. E ancora un brano “minore” dei Beatles come Oh Darling, la ‘Til I Gain Control Again scritta da Rodney Crowell e resa celebre dalla sua datrice di lavoro Emmylou Harris, ma anche per proprietà transitiva Wheels dei Flying Burrito Brothers di Gram Parsons, brani di John Hiatt, John Stewart, Gary Brooker dei Procol Harum, classici del R&R, vecchi brani anni ’50 ma anche di Jesse Winchester, Delbert McClinton e John David Souther, una bellissima You’re Only Lonely alla Eagles vecchia maniera. E poi ancora boogie, western swing, brani di Ray Charles: sul tutto scivola leggiadra e unica la chitarra di Albert Lee, ma anche i suoi pards che si alternano con lui al canto sono bravi e fanno sì che questi 25 brani possano accontentare, senza eccedere, gli amanti della buona musica e soprattutto quelli della country music nella sua accezione più ampia, magari un po’ datato ma di gran classe. 

Bruno Conti  

Musica Dal Profondo Sud E Da New Orleans. Gran Bella Voce! Beth McKee – Next To Nowhere

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Beth McKee – Next To Nowhere – Swampgirl Music

Ho già incrociato la sua strada (come recensore per il Busca), un paio di volte:  la prima, molti anni fa, nella prima parte degli anni ’90, quando faceva parte delle Evangeline, un gruppo di New Orleans (ma lei è di Orlando, Florida) sotto contratto per la Margaritaville di Jimmy Buffett e con uno stile musicale intriso degli umori della Crescent City, quindi swamp music, cajun, country, roots e americana.

L’avventura non era finita bene, il gruppo si sciolse nel 1996 e da allora Beth McKee aveva fatto perdere le sue tracce. Poi, lentamente, nel corso degli anni, anche con lo stimolo e l’incoraggiamento del marito, Juan Perez, musicista pure lui, batterista per la precisione, ha ripreso la sua avventura nel mondo della musica incisa. In possesso di una bella voce (un giornalista della rivista Nashville Scene l’ha definita una “Bonnie Raitt giovane”), e di una notevole abilità musicale, suona piano, organo, synth, piano elettrico e accordion, riprende a incidere.

E qui avviene il secondo incontro con chi vi scrive, all’uscita del suo esordio da solista un I’m That Way dedicato alla musica di Bobby Charles, una delle leggende della musica di New Orleans. Un disco molto piacevole, tutte cover ma eseguite con gran classe e con lo sfoggio di una voce che è il suo migliore strumento e che la inserisce in quel filone dove navigano anche Susan Tedeschi, Kelley Hunt e altre cantanti di nicchia ma che regalano piaceri sopraffini agli amanti delle belle voci. Questo Next To Nowhere è il passo successivo: un album tutto di materiale originale firmato dalla stessa McKee con l’aiuto di alcuni dei musicisti che suonano con lei nell’album, tra i quali Tommy Malone dei Subdudes nella conclusiva Already Mine, ma che suona una tagliente slide guitar in parecchi brani dell’album.

Il nome dell’etichetta vi dice già che musica aspettarvi ma il suono è molto eclettico e variato: dall’errebi screziato di cajun della title-track con la fisarmonica della McKee a disegnare le sue evoluzioni tra chitarrine, tastiere e una sezione ritmica agile e preziosa. Ma anche l’eccellente funky meets Carole King di On The Verge (che poteva essere l’altro titolo del CD) dove appare anche una piccola sezione fiati, delle voci femminili che supportano alla grande la voce sicura della brava Beth e dei continui inserimenti di una solista intrigante. La successiva Shoulda Kept On Walkin’, quasi identica nel groove alla New Orleans con un organo hammond molto presente a destreggiarsi tra sax e ritmi sensuali. Not Tonight, Josephine fin dal titolo è un omaggio alle musiche e ai ritmi di Professor Longhair, di Fats Domino e degli altri grandi musicisti di quella città, con la stessa Mckee che si doppia nei due canali dello stereo per duettare con sé stessa mentre il suo pianino maliziosamente si impone nell’arrangiamento. Poi rincara la dose con una bellissima ballata come New Orleans To Jackson che si aggiunge ad una lista di brani dedicati alla città della Louisiana: un delizioso violino suonato da Jason Thomas impreziosisce l’arrangiamento mentre lei canta veramente come un incrocio tra “due giovani” Bonnie Raitt e Carole King, molto bello, le piccole delizie della musica di “culto”.

River Rush avrebbe fatto un figurone in Tapestry e la voce assume delle tonalità anche à la Joni Mitchell del periodo elettrico mentre coretti e piano elettrico duettano con la sua fisarmonica. Ma la nostra Beth sa anche maneggiare il blues elettrico e grintoso di un brano come Tug Of War dove la chitarra di Malone sale al proscenio. Someone Came Around è un un brano rock/R&B degno della migliore Susan Tedeschi (con o senza consorte al seguito), con un basso martellante, chitarre e piani impazziti nella migliore tradizione delle revue anni ’70. Same Dog’s Tail è nuovamente puro New Orleans Style con la bella fisa (correttore di bozze, occhio) della protagonista in evidenza. Return To Me scritta con i tre produttori dell’album è un’altra grintosa ballata dall’ampio respiro mentre la conclusione è affidata allo swamp blues della già citata Already Mine scritta con Tommy Malone e dove la McKee esegue un assolo “vecchio stile” al synth come non sentivo da secoli.

Non salverà le sorti della musica mondiale ma se cercate della bella musica non andate troppo lontano!

Bruno Conti 

Novità Di Marzo Parte I. Todd Snider, Katie Melua, Move, Cast, Magnetic Fields, Andrew Bird

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Questa settimana la lista delle nuove uscite è più scarna del solito non perché non ci siano nuovi dischi in uscita ma tra recensioni, anteprime delle anticipazioni e post appositi ormai gli argomenti sono stati sviscerati tutti. Come sapete martedì prossimo 6 marzo, tra i tanti, esce anche il nuovo Bruce Springsteen e la recensione di un paio di giorni fa ha fruttato al Blog il suo record di visite in un giorno, quasi 750, che per un Blog “specializzato” e non “troppo frivolo” non è male (evidentemente l’argomento interessava). Quindi grazie e spargete la conoscenza tra gli amici. Passiamo agli altri dischi interessanti in uscita martedì prossimo.

Katie Melua, la cantante di origine Georgiana (ex repubbliche russe non USA), con questo nuovo disco Secret Symphony, il quinto della sua discografia, sempre per la Dramatico Records/Edel, dopo la parentesi con il produttore William Orbit dello scorso album, torna a collaborare con il suo scopritore, mentore e boss dell’etichetta Mike Batt. Accompagnata dalla Secret Symphony Orchestra sotto la supervisione di Mike Batt, questa volta la Melua, a parte un paio di brani originali, si cimenta come interprete di brani altrui, la maggior parte di Batt ma anche cover di Francoise Hardy, Ron Sexsmith, Fran Healy (quello dei Travis) e un classico come Nobody Knows You When You’re Down And Out scritto da Jimmie Cox ma reso celebre da Bessie Smith e da mille altri che nel corso degli anni l’hanno cantata (Odetta, Janis Joplin, Nina Simone, Otis Redding, Clapton più volte, anche John Lennon e Carla Bruni, il sacro e il profano).

Dopo il doppio dal vivo dello scorso anno Todd Snider ci presenta un nuovo album Agnostic Hymns & Stoner Fables che si dice lo riporti ai fasti della sua prima produzione. Registrato in quel di Nashville, ma nella parte giusta della città, anche questo disco tocca temi sociali che sono tornati in auge nella musica americana del dopo (o durante) crisi. Esce per la Aimless Records, in tutto il disco c’è Amanda Shires al violino che fa la Scarlet Rivera della situazione (e anche come avvenenza ci siamo) e c’è pure una bella cover di un “oscuro” brano di Jimmy Buffett, West Nashvllle Grand Ballroom Gown (per i più curiosi era su Living & Dying in 3/4 Time, uno dei primi e più belli di Buffett). Se gli volete dare una ascoltata…todd-sniders-agnostic-hymns-and-stoner-fables.html

Andrew Bird è un musicista abbastanza prolifico (per usare un eufemismo): tra dischi in studio, dal vivo, EP, gruppi in cui ha militato e collaborazioni varie avrà pubblicato ben più di venti album in una quindicina di anni. Tra l’altro è un cantautore anomalo perchè il suo strumento principale è il violino anche se suona pure la chitarra. In effetti questo Break It Yourself è il suo sesto album da solista, il primo per la Mom+Pop Records (la stessa che pubblica Ingrid Michaelson e Joshua Radin) negli Stati Uniti e per la Bella Union distr. Universal in Europa. Tra rock, folk e qualcuno ha detto pop barocco (sarà il violino) questo signore è uno di quelli bravi ed interessanti, da scoprire.

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Un’altra chicca di archivio per uno dei gruppi storici del pop britannico, i Move (la BBC 1 inaugurò le sue trasmissioni con Flowers In The Rain nel settembre 1967). Per noi italici i Move erano anche quelli di Blackberry Way, Tutta Mia La Città nella traduzione di Mogol per l’Equipe 84. Ma i Move sono stati soparattutto il gruppo di Roy Wood e di Bev Bevan e Carl Wayne (senza di lui e con l’aggiunta di Jeff Lynne sarebbero diventati poi l’Electric Light Orchestra). Questo doppio CD Live At the Fillmore 1969  è la registrazione inedita di un concerto completo dell’epoca edito dalla Nova Sales & Distribution. Tra l’altro contrariamente a quanto ho letto, e compatibilmente con l’epoca, la qualità del suono non mi sembra affatto male e consente di gustare il gruppo nella proprio fase rock e psichedelica con versioni lunghe e ricche di assoli dei loro brani classici e non. Per gli amanti una piccola chicca.

Tornano i Cast di John Power (già bassista nei La’s), uno dei gruppi in auge nel periodo del Britpop. Dopo 10 anni di pausa tornano con questo nuovo Troubled Times, già edito da qualche mese in formato digitale e ora distribuito in proprio sulla loro etichetta. Se vi piace il power pop.

I Magnetic Fields sono fondamentalmente la creatura di Stephin Merritt e sono in circolazione da oltre vent’anni (l’esordio è del 1991 con Distant Plastic Trees) ma sono conosciuti soprattutto per 69 Songs un triplo CD che conteneva, come da titolo, 69 canzoni di cui almeno la metà erano piccole perle di pop di grande qualità. Però mi sembra che nè prima né dopo abbiano fatto dei dischi all’altezza della reputazione di quel disco. Anche questo Love At the Bottom Of The Sea pubblicato dalla Domino Records, più orientato sull’elettronica ma con qualche escursione pop non mi sembra entusiasmante anche se qualche spunto interessante non manca ma hanno un loro seguito per cui si segnala comunque!

Avrei finito, ma, anche se lo spazio non c’entra nulla, vorrei ricordare che il 29 febbraio è scomparso anche Davy Jones, il cantante originale dei Monkees una delle più popolari formazioni americane degli anni ’60, aveva 66 anni. E il brano del video mi piaceva un casino, insieme a tantissime altre!

Bruno Conti