Ricordi Di Gioventù Di Un “Hobo”! Otis Gibbs – Souvenirs Of A Misspent Youth

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* NDB Un breve “cappello” prima di lasciarvi alla recensione del buon Tino. Ogni tanto mi piace prendermi qualche merito, sia pure marginale e destinato ad una ristretta cerchia di appassionati. Credo di essere stato il primo in Italia ( anche se non ne sono certo al 100%, mi pare) a parlare di Otis Gibbs, o per dirla alla Pippo Baudo “questo l’ho scoperto io, l’ho scoperto io!”, come potete rilevare da questo Post del 2010 http://discoclub.myblog.it/2010/04/06/le-ceneri-di-joe-hill-otis-gbbs/.

Otis Gibbs – Souvenirs Of A Misspent Youth – Wanamaker Recording Company

Purtroppo in pochi conoscono Otis Gibbs, pure se il suo nome si sta facendo strada (anche per merito del titolare di questo blog), tramite il passaparola fra gli appassionati della buona musica https://www.youtube.com/watch?v=TJp8o1Sp4VM . Dopo tre dischi assolutamente indipendenti (e introvabili) 49th And Melancholy (02), Once I Dreamed Of Christmas (03), One Day Our Whispers (04), al quarto tentativo con Grandpa Walked A Picketline (08) il corpulento e buon Otis è riuscito finalmente ad ottenere l’attenzione degli addetti ai lavori, facendo ancora meglio con i successivi Joe Hill’s Ashes (10) e Harder Than Hammered Hell (12) http://discoclub.myblog.it/2012/03/21/dopo-joe-hill-s-ashes-il-nuovo-album-di-otis-gibbs-harder-th/ , per giungere ora a questo settimo album della serie, Souvenirs Of A Misspent Youth,  l’occasione ideale per il musicista, e anche fotografo, di Wanamaker, Indiana (ora residente a Nashville) di far conoscere la sua musica, e uscire finalmente da quella “nicchia” che lo vede in compagnia di tanti altri bravi e sottovalutati “songwriters” americani (per citarne uno per tutti, Chris Kinght).

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Otis Gibbs è un classico esponente dell’America rurale, e le dieci canzoni di questa raccolta sono come sempre storie di vita vissuta, ricordi di famiglia e esperienze di gioventù, raccontate con la sua voce asciutta e profonda, che si ispira musicalmente alla grande tradizione americana dei Guthrie. Ad accompagnarlo in questo viaggio di “ricordi di gioventù sprecati”, oltre a Otis, alla voce e chitarra, troviamo il co-produttore Thomm Jutz alla chitarre, Mark Fain al basso, Justin Moses al banjo e violino, Fats Kaplin (autore di buoni lavori con Kevin Welch e Kieran Kane) alla pedal-steel e violino, Paul Griffith alla batteria, e Amy Lashley, sua compagna e valida autrice in proprio, alle armonie vocali, senza dimenticarsi la parte meritoria dei “fans” che hanno permesso di finanziare una buona fetta di questo progetto.

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I ricordi di Otis iniziano con l’intro di ottanta secondi di un violino “appalachiano” in Cuzmina, storia di una tempesta di neve affrontata con i pastori nomadi sui monti Carpazi della Romania, mentre la seguente Ghosts Of Our Fathers è una bellissima “story song” (sulla perdita di un suo vicino di casa nella guerra del Vietnam) sorretta da chitarre e violino https://www.youtube.com/watch?v=Tc4zWf7AnGU , passando per un brano radiofonico come Back In My Day Blues e due storie di “perdenti”,  raccontate con arrangiamento bluegrass in It Was A Train e The Darker Side Of Me, con la pedal-steel di Kaplin (uno dei migliori strumentisti di Nashville) e il banjo di Moses in evidenza https://www.youtube.com/watch?v=sulwOnz8eX4 . Con la “rootsy” No Rust On My Spade, Gibbs si ricorda dei dieci anni trascorsi a piantare alberi (oltre 7.000), mentre la pista seguente Wrong Side Of  Gallatin è un valzer a ritmo di country firmato dalla compagna Amy Lashley, a cui fanno seguito Nancy Barnett che ricorda la Gallo Del Cielo del grande Tom Russell, e il lento country-blues di Kokomo Bar, con il suono di una batteria spazzolata e di una dolce pedal-steel (ricordo di una ragazza seduta al tavolo ad aspettare un uomo, che forse non arriverà mai), andando a chiudere un lavoro affascinante con una sontuosa ballata “noir” come With A Gun In My Hand, cantata con la sua voce intrisa di sigarette e whisky.

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Sulla vita di Otis Gibbs si potrebbe tranquillamente scrivere un romanzo, un personaggio unico, la cui storia piuttosto travagliata da anni lo porta instancabilmente in giro per il mondo, suonando dove è possibile, un “vagabondo” con la chitarra acustica in spalla che viaggia tra l’America e l’Europa, e vive alla giornata raccontando la sua vita di“hobo”.  Gibbs pubblica questo nuovo Souvenirs Of A Misspent Youth, che si candida (per chi scrive) ad essere quanto di meglio in circolazione per gli amanti di quel cantautorato americano che ha strette connessioni con il folk: una bella voce che richiama molto un altro grande autore di cui colpevolmente ho perso le tracce (Guthrie Thomas), un autentico “outsider”, praticante l’arte del perdente, che continua a vivere e lottare insieme a noi, che scrive ballate semplici, cantandole con una voce aspra e vera come poche, per un album di grande impatto emotivo, il lavoro di un cantastorie originale che forse renderà il nostro mondo un posto migliore e più giusto in cui vivere, perché l’universo musicale ha dannatamente bisogno di personaggi come Otis Gibbs, da aggiungere nei nostri scaffali vicino alla lista dei nuovi “fuorilegge”.

Tino Montanari  

Il Lato “Giusto” Di Nashville! Irene Kelley – Pennsylvania Coal

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Irene Kelley – Pennsylvania Coal – Patio Records

La prima volta che ho ascoltato questo CD l’immagine che mi si è presentata in testa, con tanto di nuvoletta, a mo’ di fumetto e con la didascalia sotto, è stata quella di un composto Emmylou Harris/Nancy Griffith. Quelle più country/bluegrass degli anni ’70-’80: voce angelica e calda, grande capacità di generare emozioni con il suo modo di cantare partecipe, raffinato ma semplice al tempo stesso, come le grandi cantanti del passato e del presente. In più anche una notevole bravura come autrice. Tutto questo è Irene Kelley, cantante residente in quel di Nashville, ma originaria della Pennsylvania, da qui il titolo, Pennsylvania Coal, dedicato al nonno, nativo della Polonia, emigrato negli Stati Uniti, dove lavorò nelle miniere di carbone ed effigiato nella foto d’epoca sul retro copertina dell’album stesso, mentre è sull’orlo del “buco” di ingresso della miniera. La Kelley, in un certo senso, racconta la storia della sua famiglia, in modo figurato e in alcune delle canzoni contenute nel CD, con l’aiuto di alcuni songwriters noti e meno noti, Peter Cooper, Thomm Jutz, Mark Irwin, John Weisberger, David Olney, John Hadley, Billy Yates e le figlie Justyna e Sara Jean.

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Oltre ad una pattuglia di musicisti, tra i quali mi piace ricordare il produttore (insieme a Irene) e bassista Mark Fain, l’ottimo Bryan Sutton a chitarre e banjo, Stuart Duncan al violino, Lynn Williams alla batteria, usata con discrezione ma che fornisce un giusto supporto ritmico al suono molto tradizionale del disco. Come vocalist ospiti appaiono, sempre tra i tanti, perché le armonie vocali sono i tra gli elementi vincenti delle canzoni, Claire Lynch, Trisha Yearwood (nella bellissima Better With Time https://www.youtube.com/watch?v=XHfWRIT7gOc , ma tutti i brani sono di elevata qualità), Carl Jackson e Rhonda Vincent. La Kelley non è una novellina, ha fatto tutta la trafila tipica dei musicisti country: autrice negli anni ’80, tra le prime canzoni una Pennsylvania Is My Home che finisce in un documentario della PBS e le procura un contratto con la MCA, che le pubblica due singoli e le fa registrare un album, mai distribuito, poi lunghi anni, sempre in quel di Nashville, come autrice, e i suoi brani vengono registrati da Loretta Lynn, Trisha Yearwood, Ricky Skaggs, Carl Jackson, Sharon White, Pat Green, Alan Jackson e da moltissimi altri.

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Poi ad inizio anni 2000 un paio di album, molto belli, pubblicati a livello indipendente https://www.youtube.com/watch?v=gu7JMYZ8bP4  e ora, dopo una pausa di quasi dieci anni, questo nuovo album che rivaleggia, nel genere, con le cose migliori delle ricordate Emmylou e Nancy Griffith, di Dolly Parton, Alison Krauss, Trisha Yearwood e Rhonda Vincent, che ci cantano, e aggiungerei anche Kathy Mattea, così le migliori le abbiamo citate tutte, un piccolo gioiellino nell’ambito bluegrass/country, vogliamo aggiungerci Americana, Folk e mountain music? Facciamolo, non si sbaglia di certo! Il brano d’apertura, You Don’t Run Across My Mind, è un meraviglioso bluegrass in forma di canzone, brioso e cantato divinamente, con Darren Vincent al controcanto e il guizzante violino di Stuart Duncan a duettare con le chitarre e il banjo di Sutton, oltre al mandolino di Adam Steffey, altro musicista imprescindibile nella realizzazione sonora del disco https://www.youtube.com/watch?v=hjbKonHRek4 . Ancora il violino in primo piano nella malinconica Feels Like Home https://www.youtube.com/watch?v=i1K_pvP5zXE , sempre con queste stupende armonie vocali che galleggiano sul tappeto sonoro del brano, questa volta affidate a Dale Ann Bradley e Steve Gulley, mentre la Kelley canta veramente come un “angelo” del country, a livello delle migliori Emmylou, Dolly e Nancy.

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Pennsylvania Coal, che racconta la storia del nonno minatore, è un brano intenso, dall’incedere maestoso, tra folk e country, sempre con il violino, da sentire per credere, di un ispirato Stuart Duncan, che aggiunge pathos e sostanza alla notevole interpretazione di gruppo https://www.youtube.com/watch?v=ojU5Y6zpYg0 . Breakin’ Even è una dolce e delicata ballata, con improvvise accelerazioni, ancora con la voce magnifica della Kelley, in questo album veramente al top delle sue capacità, grazie anche al  lavoro di Mark Fain, vincitore di sette Grammy con i Kentucky Thunder di Ricky Skaggs. Deliziosa anche My Flower, scritta con la figlia Justyna e con le armonie della Lynch, nonché Rattlesnake Rattler, dal sapore bluegrass ancora più accentuato e con la seconda voce della Vincent che sembra la sua gemella https://www.youtube.com/watch?v=YsRFt28sqrE .Sister’s Heart è più raccolta e tradizionale, tra folk, spiritual e mountain music, ma sempre con il drive della batteria a sostenerla.

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Things We Never Did, scritta con Hadley e Olney e percorsa dalla fisarmonica di Jeff Taylor, ha un taglio più cantautorale, come pure Angels Around Her, dedicata alla madre scomparsa circa dieci anni fa, commovente e delicata, entrambe vicine allo spirito della Griffith più tradizionale https://www.youtube.com/watch?v=bjdIpRPUA6g . La già ricordata Better With Time, in duetto con la Yearwood, è una ballata cantabile dalle melodie sopraffine e Garden Of Dreams, l’altro brano scritto con l’accoppiata Olney/Hadley è una ulteriore canzone che conferma l’elevata qualità dell’album, tra i migliori dell’anno in questo ambito musicale. La bonus track, You Are Mine, scritta e cantata con le figlie, è la classica ciliegina sulla torta, per un dolce veramente ben riuscito https://www.youtube.com/watch?v=Dz2QCX0MJpw . Il CD è già uscito da qualche mese, non è di facile reperibilità, ma se amate il genere vale assolutamente la ricerca!

Bruno Conti