Un’Altra Bella Voce Dalla California Via Texas Su Ruf Records. Whitney Shay – Stand Up!

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Whitney Shay – Stand Up! – Ruf Records

Diciamo che la maggior parte degli artisti messi sotto contratto negli ultimi anni dalla Ruf rientrano nella categoria chitarristi/cantanti, con qualche eccezione tipo Victor Wainwright, eccellente pianista, oppure anche alcuni gruppi, ma ci sono state (e ci sono) alcune bravissime cantanti, penso a Dana Fuchs o Ina Forsman. Forse propsio alla giovane cantante finlandese si può avvicinare Whitney Shay, cantante californiana di San Diego, con un paio di album indipendenti nella propria discografia, che come la Forsman è andata a registrare questo Stand Up! al Wire Recording Studio di Austin, Texas, dove la aspettavano il produttore Mark “Kaz” Kazanoff, leader dei Texas Horns, oltre alla bravissima chitarrista Laura Chavez, al grande Red Young alle tastiere e alla sezione ritmica formata da Chris Maresh al basso e da Brannen Temple e Tommy Taylor, che si alternano alla batteria, poi ci sono anche tre ospiti che vediamo nei brani che li riguardano.

Quindi più o meno i musicisti che suonano nel disco di Ina: la Shay non è una giovanissima (o così credevo, visto che era già in azione nel 2012, ma in effetti è del 1997), si è già creata una certa reputazione negli USA suonando circa 200 date all’anno, che le hanno consentito di vincere per quattro volte i San Diego Music Awards https://www.youtube.com/watch?v=OetG8B_cPvo  e nel 2019 di essere candidata ai Blues Music Awards nella categoria Soul Blues Female Artist of the Year per l’album A Woman Rules The World. Il nuovo disco presenta dieci brani firmati dalla Shay con il suo partner abituale Adam J. Eros, e un paio di cover: la nostra amica ha una voce rauca e potente, con qualche punto di contatto a livello timbrico con Susan Tedeschi o Bonnie Raitt, ma anche con le grandi voci nere del soul e del R&B, e in questo senso l’iniziale vibrante e fiatistica title track è sintomatica di quanto ci aspetta nell’album, con i Texas Horns in azione, la Chavez che rilascia un elegante assolo e l’insieme che rimanda, con i dovuti distinguo, allo stile di Janis Joplin, o della sua discepola Dana Fuchs; Someone You Never Got To Know con l’organo scivolante di Young in evidenza, insieme alla chitarra pungente di Laura Chavez, potrebbe ricordare qualche traccia perduta, di quelle più mosse, di Bonnie Raitt, grinta e stamina alla Shay certo non mancano (*NDB non per nulla fa parte del Blues Caravan 2020 con Jeremiah Johnson e Ryan Perry, di cui leggete in altra parte del Blog) . https://www.youtube.com/watch?v=mhA9-2spvP8  

Equal Ground presenta l’accoppiata Chavez e Derek O’Brien alla slide, per un minaccioso brano chitarristico che ci porta sulle sponde del Mississippi, zona Louisiana, mentre P.S. It’s Not About You è un vivace funky rock con Alice Sadler che raggiunge Whitney per dare un tocco errebì al tutto. Non mancano le ballate, come la bellissima e malinconica I Thought We Were Through, puro deep soul di marca sudista, con un bel assolo di sax di Kazanoff, seguita dalla ritmata Far Apart (Still Close) un sanguigno duetto con l’ottimo Guy Forsyth, sempre sottolineato dal lavoro di fino di Chavez e Young, e ancheYou Won’t Put Out This Flame rimane sulle coordinate sonore di questo soul blues molto mosso e ritmato, con fiati e sezione ritmica sempre fortemente impegnati a sostenere le divagazioni vocali della Shay. Tell The Truth non è il brano di Clapton, ma una canzone scritta da Lowman Pauling per i suoi Five Royales, un pezzo di ruvido R&B di grande impatto vocale, mentre Boy Sit Down, con Marcia Ball al piano, ondeggia tra R&R, swing e errebì, in modo divertente e piacevolissimo, con Forsyth che aggiunge la sua chitarra resonator alle procedure; I Never Meant To Love Him è una sontuosa ballata soul che faceva parte del tardo repertorio di Etta James, cantata splendidamente dalla Shay, che si conferma interprete di grande intensità dalla notevole estensione vocale.

La chiusura è affidata ad altri due brani firmati dall’accoppiata Shay/Eros, il blues-rock con retrogusti soul, di nuovo alla Bonnie Raitt, della eccellente Getting InMy Way, con Red Young a piano elettrico e organo e la Chavez alla chitarra sempre in grande spolvero, e Change With The Times,un ottimo esempio di incrocio tra R&B e soul di marca Stax, con Kazanoff e gli altri fiati all’unisono a spingere sul ritmo. Un bel disco e una eccellente vocalist, da consigliare a chi ama il genere.

Bruno Conti

Un Trio Di Gregari Ed I Loro Amici Si Divertono Alla Grande. The Texas Horns – Get Here Quick

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The Texas Horns – Get Here Quick – Severn Records

Il nome Texas Horns, scorrendo le note dei dischi di blues e soul, ricorre in decine di album ormai da svariate decadi, soprattutto nella persona del leader Mark “Kaz” Kazanoff, al sax tenore, ma anche i colleghi John Mills al sax baritono e Al (Adalberto all’anagrafe, giuro) Gomez alla tromba, non è infrequente trovarli nei credits di svariati album  di molti musicisti legati al genere, e non solo quelli provenienti dal Texas. Però, se non mi è sfuggito qualcosa, questo è solo il secondo disco che pubblicano a proprio nome dopo l’ottimo Blues Gotta Holda Me, uscito per la VizzTone nel 2015, e che prevedeva la presenza di alcuni ospiti nei vari brani: ma questa volta hanno fatto le cose in grande, infatti contando i nomi degli special guests riportati nel retro della copertina ce ne sono ben 17. Cantanti, chitarristi, tastieristi, bassisti e batteristi, ma niente armonicisti per l’occasione, anche perché con tre musicisti che soffiano con forza nei rispettivi strumenti a fiato, forse sarebbero risultati ridondanti.

Comunque tra pezzi cantati e strumentali il disco suona veramente gagliardo e pimpante, con una serie di canzoni che regalano allegria, classe e perizia tecnica a piene mani, un suono veramente fresco e godibile, come raramente capita di ascoltare, ma che non stupisce vista la bravura dei musicisti coinvolti, che ora vediamo. Oltre a tutto Kazanoff, a differenza dei pard, non è manco texano, essendo nato in Massachusetts, ma non stiamo a sottilizzare: l’iniziale Guitar Town, non quella di Steve Earle, ma un originale di Mills, mette subito le cose in chiaro su cosa aspettarsi, una sinuosa linea di chitarra  da parte di Anson Funderburgh, sostenuto da Johnny Moeller, Red Young alle tastiere, Guy Forsyth alla voce solista, Carolyn Wonderland alle armonie, ed una solida sezione ritmica con Russell Jackson al basso e Tommy Taylor alla batteria, sul tutto imperversano, sia a livello solista che di accompagnamento i fiati dei titolari del disco. I’m Doing Alright. At Least For Tonight, scritta da Kazanoff è anche meglio, ritmo sincopato ed irresistibile, la voce potente della Wonderland, anche alla chitarra elettrica, Nick Connolly alle tastiere, Chris Maresh al basso, e assoli di sax e tromba come piovesse; Feelin’ No Pain, di nuovo di Mills, è il primo strumentale, con Moeller che è la chitarra solista per l’occasione, altro brano da soul revue con Young al piano e Moeller appunto, a titillare il trio di fiatisti, sempre molto vivaci.

Fix Your Face l’ha scritta Gary Nicholson, che se la canta anche, lui viene da Nashville, Tennessee, ma come autore ha firmato brani per molti dei nostri preferiti (Buddy Guy, Bonamassa, Willie Nelson, Delbert McClinton, che stilisticamente ricorda molto, i primi che mi vengono in mente, bastano?) e in questo vibrante blues-rock, con Ronnie Earl alla chitarra in un assolo da urlo, tiene alto il livello del CD https://www.youtube.com/watch?v=NNkXqmTm1RM . Get Here Quick è un altro strumentale molto coinvolgente, fiati a manetta, il piano elettrico e la chitarra di Moeller, e vai con un rockin’ swing soul delizioso; per Love Is Gone, sempre del  buon Kaz come la precedente, arrivano la voce vellutata di John Nemeth e la chitarra di Denny Freeman, per  una splendida soul ballad ispirata da Dark End Of The Street, sempre con fiati a profusione, seguita da un altro vorticoso strumentale come 2018 con Moeller e Connolly in evidenza, e poi ancora, a seguire, troviamo un altro vocalist sopraffino come Curtis Salgado (il Blues Brother originale), che canta da par suo un errebì vibrante come Sundown Talkin’ https://www.youtube.com/watch?v=GHvmiDDs2Pk , prima di lasciare spazio ad un altro strumentale, Funky Ape, che svela le sue intenzioni sin dal titolo, Moeller e Connolly sempre protagonisti, mentre Kazanoff suona per l’occasione uno strano  synth dal “suono umano”.

Tornano ancora Nicholson e Funderburgh per un altro tuffo nel sinuoso R&B di gran classe che risponde al nome di Soulshine, una delizia per i nostri padiglioni auricolari, come non manca di soddisfare anche l’unica ventura come vocalist di Kazanoff, che non sarà un gran cantante, anzi, ma si porta dietro tre chitarre soliste, di nuovo Moeller, poi Derek O’Brien alla slide e Jon Del Toro Richardson, per un pungente rock-blues di quelli vispi e briosi. A chiudere, un altro strumentale vigoroso, Truckload Of Trouble, dove Ronnie Earl e Denny Freeman si sfidano a colpi di chitarra, mentre Kazanoff, Mills e Gomez non stanno a guardare e dicono (anzi suonano) la loro. Proprio un bel dischetto, anche se siamo in ritardo sull’uscita, consigliatissimo.

Bruno Conti

Ancora Una “Reginetta” Del Blues. Sue Foley – The Ice Queen

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Sue Foley – The Ice Queen – Stony Plain/Dixie Frog/Ird

Sono parecchi anni che la chitarrista e cantante canadese, ma di adozione texana, e che si è alternata appunto a vivere in quel di Austin, pur svolgendo parte della sua carriera anche nel nativo Canada, dove ha vinto svariati premi per i suoi album, non pubblicava nulla di nuovo in proprio. Gli ultimi avvistamenti erano stati per un paio di album in coppia con l’ottimo Peter Karp, gli eccellenti He Said She Said del 2010 e Beyond The Cossroads del 2012, entrambi per la Blind Pig https://discoclub.myblog.it/2012/08/12/un-altra-bella-accoppiata-peter-karp-sue-foley-beyond-the-cr/ , e prima ancora per Time Bomb, un disco del 2007 condiviso con Deborah Coleman e Roxanne Potvin; se aggiungiamo l’antologia The Queen Bee, con il meglio delle registrazioni effettuate per la Antone’s ad inizio carriera, l’ultimo vero album solista di Sue Foley, risale addirittura a New Used Car per la Ruf del 2006. Eppure in tutti questi anni la rossa musicista di Ottawa non ha perso il tocco, e questo Ice Queen, 15° album della sua carriera, antologie e collaborazioni incluse, risulta uno dei suoi dischi migliori in assoluto: registrato ancora una volta in quel di Austin, l’album vede la presenza di un terzetto di illustri colleghi texani a duettare con lei, Jimmie Vaughan, Billy F. Gibbons e Charlie Sexton. Il titolo è anche una sorta di omaggio all’Ice Man, il re della Telecaster, Albert Collins, e vede nello sgabello del produttore, il virtuoso del B3 Mike Flanigin, in prestito dall’organ trio con Vaughan, oltre a George ‘Big Beat’ Rains, una delle leggende del blues texano, alla batteria (e Chris Layton in un paio di brani), e Johnny Bradley, il bassista della band di Gary Clark Jr., in alternanza a Billy Horton e Chris Maresh.

Anche la Foley si è dovuta rivolgere all’autofinanziamento del crowdfunding tramite la Kickstarter Campaign, raccogliendo più di 35mila dollari: poi Sue è tornata in Canada per scrivere le canzoni e di nuovo ad Austin , con dieci nuovi brani pronti, per incidere il CD. Il disco, registrato live in studio, cattura tutti gli aspetti della musica della Foley, blueswoman tosta e grintosa, direi “elettrica”, quando serve, ma anche autrice di ballate e brani più intimi ed acustici all’occorrenza, voce felpata e birichina, ma chitarra pungente ed aggressiva alla bisogna, come dimostra subito l’iniziale Come To Me, con un beat aggressivo vagamente alla Bo Diddley e la minacciosa slide di Charlie Sexton subito impegnata a duellare con la Fender di Sue in un interscambio solistico di gran pregio, pigro ma intenso come richiede il blues di qualità, con tutta la band in spolvero. Sexton rimane anche per la successiva 81, bellissimo mid-tempo rock di grande intensità, la solita voce ammiccante della Foley non è cambiata di una virgola negli anni, le mani di Flanigin scivolano sull’organo e il brano si dipana con grande fluidità tra continui inserti delle chitarre, in puro spirito blues-rock texano della più bell’acqua. Pure quando non ci sono ospiti il livello rimane comunque elevato, come nel vigoroso R&R della tirata Run dove la solista viaggia incattivita o nel magnifico slow blues della lunga title-track Ice Queen, raffinata e dalle atmosfere sospese con assolo da urlo di grande tecnica.

Poi arriva il duetto con Jimmie Vaughan in una brillante The Lucky Ones, classico shuffle con uso d’organo e le voci pimpanti e le chitarre di Mr. Vaughan e Miss Foley a scambiarsi le loro storie con assoluta nonchalance; Gaslight ha un retrogusto R&B sottolineato dai fiati dei Texas Horns, poi di nuovo presenti nell’altro duetto con Vaughan in una pimpante rivisitazione del canone sonoro di  Bobby “Blue” Bland nella maestosa blues ballad orchestrale If I Have Forsaken You, molto 60’s, come piace al fratello di SRV che inchioda un assolo di gran classe. In mezzo c’è il duetto con Billy F. Gibbons degli ZZ Top, in una ciondolante Fool’s Gold, scritta con Flanigin, tutte le altre sono firmate dalla Foley, dove il barbuto canta quasi bene, in onore della sua ospite, e si cimenta con successo anche all’armonica, ed è misurato e pulito alla solista; Send Me to the ‘Lectric Chair, una delle due cover, dal repertorio di Bessie Smith, ha quella allure jazz & blues vecchia scuola che calza come un guanto con la voce senza tempo della nostra amica, perfettamente a proprio agio anche in questa ambientazione sonora, poi ribadita nella delicata Death Of A Dream, una deliziosa ballata jazzy da “fumosi” locali della Chicago anni ’30 o ’40, suonata in punta di dita all’acustica dalla bravissima Sue. L’altra cover Cannonball Blues, viene dal repertorio delle origini di A.P. Carter, fatta a tempo di ragtime chitarristico acustico e fa il paio con The Dance dove la nostra amica addirittura si cimenta con un brano in puro stile flamenco. Insomma, ancora una volta la classe non è acqua, neppure ghiacciata, ma sfocia in grande musica.

Bruno Conti