Seth Lee Jones – Live At The Colony – Horton Records
Tulsa, Oklahoma, è una ridente cittadina del Sud degli Stati Uniti (beh cittadina, insomma, ha quasi mezzo milione di abitanti), famosa anche per la canzone scritta da Danny Flowers per Don Williams, ma resa celeberrima da Eric Clapton. Nella città, già dagli anni ’60 e ’70, esiste una fiorente scena musicale che ha prodotto gente come JJ Cale e Leon Russell, ma che nel corso degli anni si è sempre rinnovata con nuovi innesti. A Tulsa ha la sua sede anche la Horton Records, piccola etichetta che abbiamo conosciuto per gli ottimi lavori di Carter Sampson https://discoclub.myblog.it/2018/06/05/non-e-solo-fortunata-e-proprio-brava-carter-sampson-lucky/ e Levi Parham https://discoclub.myblog.it/2018/07/09/non-posso-che-confermare-gran-bel-disco-levi-parham-its-all-good/ (e in alcuni dei quali Seth LeeJones è uno dei chitarristi), ma che ha un eccellente roster di artisti tra cui spiccano la Paul Benjaman Band, Dustin Pittsley, Jesse Aycock ed altri, e che ha in Jared Tyler, un eccellente musica, produttore ed ingegnere del suono, che guida una pattuglia di musicisti che suonano a rotazione in molti dei dischi della etichetta.
Anche Seth Lee Jones vive a Tulsa, dove si è costruito una solida reputazione come mastro liutaio, uno dei migliori della zona, grazie alla trentina di chitarre che costruisce ogni anno per gli artisti che gliene fanno richiesta, ma che dopo una lunga gavetta fatta suonando nei piccoli locali, anche lui approda all’esordio discografico, proprio con un disco dal vivo, registrato al Colony, appunto un piccolo locale di Tulsa, dove è stato registrato questo (mini) album di esordio: sono comunque più di 30 minuti di musica, benché a giudicare dalla risposta, peraltro entusiasta del pubblico, non deve essere stato un evento a cui partecipavano più di una trentina di persone, forse cinquanta ad esagerare. Ma il buon Seth non se ne dà per inteso e suona come se fosse di fronte ad un folla oceanica: dotato di uno stile chitarristico irruente e vibrante, è anche un vero virtuoso della slide, e per di più, cosa che non guasta, dotato di una voce potente, roca e vissuta, con echi di Elvis e George Thorogood, cui lo lega un certo tipo di sound ruspante e dalle forti influenze blues e R&R, e a tratti il suo approccio alla chitarra può rimandare, a mio parere, a quello dell’Alvin Lee degli anni d’oro, con lo stile che è contemporaneamente ritmico e solista:
Gli assoli sono in ogni caso continui, freschi, con una tecnica fluida e fluente al contempo, come testimonia subito una gagliarda rilettura di Key To The Highway breve, ma anche frizzante, grazie ad una slide guizzante e alla voce intensa e palpitante di Seth Lee Jones, che poi inizia a scaldare l’attrezzo in una torrida Long Distance Call, dove l’atmosfera è raffinata e sospesa, i tempi si dilatano e la chitarra viaggia che è un piacere nella lunga intro strumentale, grazie anche al suono nitido e molto presente fornito dal tocco di Tyler alla consolle, e agli ottimi Bo Hallford al basso e Matt Teegarden alla batteria, con la voce che si fa più cattiva e lavora di concerto con la solista, che continua ad improvvisare lunghi assoli di quasi ferina e fremente intensità. Ma c’è anche un tocco quasi jazz e più rilassato in Payday, con una ambientazione sonora più pigra e dai sapori sudisti, grazie ai continui rilanci della solista in bilico tra slide ed accordatura normale e al cantato più rilassato, prima però di partire per un finale a tutto power trio di grande slancio.
Shake Your Tree sempre con il suo approccio ritmico-solista è più mossa e vivace, con echi di R&R e un ondeggiante lavoro della sezione ritmica, mentre Hard Times è la classica blues and soul ballad di fattura squisita, sempre con voce e chitarra che lavorano quasi all’unisono, grazie anche al vivido timbro della solista che pesca in sentimenti accesi e ricchi di passione.110, come altri brani, ricorda parecchio anche lo stile di Sonny Landreth, che potrebbe essere un punto di riferimento per inquadrare la musica di Seth Lee Jones, pure se la voce bassa e profonda è più vicina a quella del datore di lavoro di Sonny, ovvero John Hiatt, anche se il risultato è decisamente più blues. Comunque lo si giri è uno bravo, se amate il genere vale la pena di dargli (più) di un ascolto.
Bruno Conti