Questa Volta Un Diverso Modo Di Vedere Il Blues, Ma Sempre Affascinante! Fabrizio Poggi – For You

fabrizio poggi for you

Fabrizio Poggi – For You — Appaloosa Records/Ird

Lo avevamo lasciato tre anni fa, con l’album registrato in coppia con Guy Davis Sonny & Brownie’s last train, poi entrato nella cinquina della categoria Best Traditional Blues Album ai Grammy Awards del 2018, vinto dai Rolling Stones https://discoclub.myblog.it/2017/11/28/se-amate-il-blues-quasi-una-coppia-di-fatto-guy-davis-fabrizio-poggi-sonny-brownies-last-train/ . Quello era il capitolo 22 della lunga carriera di Fabrizio Poggi, contrassegnata soprattutto dal Blues: spesso e volentieri con i suoi Chicken Mambo, ma anche con innumerevoli collaborazioni con i musicisti più disparati, la più recente, prima del disco con Davis era stata quella con le Texas Blues Voices, ma in passato anche tuffi nella canzone popolare con i Turututela, con Francesco Garolfi nel semididattico The Breath Of Soul, storie e leggende relative all’armonica a bocca, un album come Il Soffio Della Libertò: il blues e i diritti civili, in questi tempi tornato quanto mai di attualità.

Insomma una produzione sterminata in quasi 30 anni di attività discografica; i suoi dischi sono stati molto apprezzati in giro per il mondo, e soprattutto negli States, dove ha raccolto vari riconoscimenti nelle manifestazioni dedicate al blues. Per l’occasione Fabrizio Poggi tenta una strada musicale leggermente diversa dal solito: mantenendo la stella polare sulle 12 battute, il musicista di Voghera inserisce, insieme all’ingegnere del suono, arrangiatore e bassista Stefano Spina, che produce l’album, un approccio dove confluiscono anche elementi e sfumature jazz e rock, per altro presenti, magari in misura minore anche in passato, oltre agli immancabili tocchi gospel soul. Insomma forse un disco meno immediato e carnale, ma più raffinato e ricercato anche nei suoni, diverso ma sempre riconducibile al suo stile. Dieci brani, tra cui la title track For You di Eric Bibb, nei quali la strumentazione prevede l’uso del contrabbasso, suonato dal musicista jazz pavese Tito Mangialajo, una piccola sezione fiati con Tullio Ricci al sax e Luca Calabrese al sax, Stefano Intelisano al piano in For You, e Pee Wee Durante all’organo, Enrico Polverari alle chitarre, e in un paio di brani Arsene Duevi, voce, oltre ad un consistente coro gospel.

Il disco è stato concepito e realizzato prima dell’arrivo della pandemia, ed esce curiosamente (o no) a pochi giorni dal 1° luglio, data del 62° compleanno di Fabrizio, senza dimenticare i temi sociali ed umanitari da sempre cari a Poggi, che nelle note del libretto ci dice che “Questo è un disco “per”: per te, per noi, per tutti. Perché uniti ce la faremo” Si diceva dieci canzoni, tra originali, tradizionali arrangiati e altro: dall’iniziale Keep On Walkin, una ballata notturna e jazzy, scandita dal contrabbasso, con il sax che interagisce con l’armonica, una elettrica minacciosa sullo sfondo, suonata da Giampiero Spina, mentre Poggi declama in modo quasi piano il testo carico di significati gospel, con If These Wings che confluisce nel precedente senza soluzione di continuità e la stessa strumentazione, con la tromba al posto del sax. La breve Chariot, cita il classico gospel Swing Low Sweet Chariot, solo voce, armonica e contrabbasso, mentre Don’t Get Worried è un blues classico elettrico e tirato, con la chitarra solista veemente e quasi acida che si fa sentire, e anche il lento minaccioso I’m Goin’ There si riallaccia agli stilemi abituali del blues, quello più rigoroso, magari con richiami arcani, con l’immancabile crescendo e il call and response tra voce, armonica e chitarra.

For You è una bellissima e deliziosa ballata pianistica con sezione archi e armonica, cantata con il “coeur in man” come si dice in Lombardia, che anche in questo caso confluisce nella successiva My Name Is Earth, un fluente gospel dove si inseriscono via via, coro maestoso, sezione ritmica, chitarra, armonica, organo, in un crescendo di grande fascino. Just Love è il classico blues che ti aspetteresti da Fabrizio, magari con una strumentazione più ricca, ma tipica del suo repertorio, Sweet Jesus, con quello che sembra un ukulele, è un altro gospel, caldo, sereno ed avvolgente, con i piccoli soffi dell’armonica a tipicizzarlo, lasciando la chiusura a It’s Not Too Late, altra gospel song che parte arcana su un coro a bocca chiusa e la voce di Arsene , poi introduce, armonica, organo, sezione ritmica, archi e un approccio corale e solenne. Diverso dal solito ma un ennesimo bel disco di Fabrizio Poggi.

Bruno Conti

 

 

Se Amate Il Blues, Quasi Una Coppia Di Fatto: Ora Anche Candidati Ai Grammy 2018! Guy Davis & Fabrizio Poggi – Sonny & Brownie’s Last Train

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Guy Davis & Fabrizio Poggi  – Sonny & Brownie’s Last Train – M.C. Records/Ird 

*NDB Vi ripropongo questo Post in quanto, è notizia delle ultime ore, il disco è entrato nella cinquina dei Grammy, la 60esima edizione, che si terrà il prossimo 28 gennaio 2018 in quel di New York, nella categoria “Best Traditional Blues Album”: tra i concorrenti di Guy e Fabrizio anche i Rolling Stones!

Best Traditional Blues Album

• Migration Blues
Eric Bibb

• Elvin Bishop’s Big Fun Trio
Elvin Bishop’s Big Fun Trio

• Roll And Tumble
R.L. Boyce

• Sonny & Brownie’s Last Train
      Guy Davis & Fabrizio Poggi

• Blue & Lonesome
The Rolling Stones

E visto che il disco è bello e merita perché non metterlo di nuovo in evidenza?

In meno di un anno questo è il secondo CD dove il nome di Fabrizio Poggi campeggia in copertina, ma affiancato da quello di altri musicisti: per il disco della scorsa estate And The Amazing Texas Blues Voices Fabrizio si era “limitato” a suonare l’armonica in tutti i brani di una sorta di tributo alle voci del Lone Star State http://discoclub.myblog.it/2016/08/31/piccolo-aiuto-dai-amici-gran-bel-disco-fabrizio-poggi-and-the-amazing-texas-blues-voices/ . Questa volta ha unito le forze con Guy Davis per un sentito omaggio a Sonny Terry & Brownie McGhee, due veri miti del Blues acustico americano, e ancora una volta appare come armonicista in quella che è la sua seconda collaborazione con il bluesman di New York, dopo Juba Dance, mentre nel successivo Kokomo Kidd era presente solo in un brano. Questa volta Poggi cura anche la produzione dell’album, che è stato registrato lo scorso anno in Italia, in due giorni, all’inizio dell’estate, ed è socio alla pari di Davis, visto che il disco prevede la rivisitazione della musica di una coppia di musicisti. Dopo la febbrile elettricità dell’album texano, questa volta ci si tuffa a piedi uniti nel mare magnum della grande tradizione del Piedmont Blues, del folk e del country, sempre blues, attraverso il repertorio di questa storica coppia di musicisti neri che ha attraversato più di 40 anni di collaborazione musicale. Sonny Terry fu “scoperto” da John Hammond, per il suo famoso concerto alla Carnegie Hall From Spirituals To Swing del 1938, ma già da alcuni anni calcava i palcoscenici con Blind Boy Fuller, mentre anche Brownie McGhee aveva incrociato la strada di Fuller, che era diventato il suo mentore: alla scomparsa di Blind Boy nel 1941 i due decisero di unire definitivamente le forze (ma già collaboravano dal 1939), per un sodalizio che sarebbe andato avanti fino all’inizio degli anni ’80.

Nelle note del CD Guy Davis dice di avere visto i due nel 1981, sempre a New York, per una produzione musicale dedicata a Lead Belly, e, sia il sottoscritto che Fabrizio ricordiamo di averli visti in Lombardia nel 1980, ma, anche se è brutto dirlo, considerando la menomazione di Terry, i due non si potevano più vedere già da qualche tempo, diciamo che non si sopportavano più, un vero peccato visto quello che erano stati in grado di realizzare nei precedenti 40 anni. Esibendosi soprattutto a New York e dintorni, anche in musical e film, arrivarono ad incidere il primo disco in coppia per la Folkways solo nel 1958: poi da lì è stato un continuo e numeroso tripudio di registrazioni discografiche. Davis e Poggi, più che cercare di rifare le loro versioni dei brani di Terry & McGhee (come poi comunque è stato) hanno inteso questo disco come un sentito e devoto omaggio alla musica della coppia. Il repertorio in cui pescare era immenso, ed entrambi avevano già inciso dei brani del duo, ma si è preferito partire da una Sonny & Brownie’s Last Train, scritta da Guy Davis, che è una sorta di cronistoria e “sogno” dell’ultimo viaggio del treno che li porta “dall’altra parte”, si spera in Paradiso, e per l’occasione sia Poggi che Davis sono impegnati all’armonica, quest’ultimo anche alla chitarra e alla voce, al solito “strumento” dal timbro roco e vissuto, che al sottoscritto ricorda una via di  mezzo tra Howlin’ Wolf e Taj Mahal, fatte le dovute proporzioni, e la canzone è anche l’occasione per ricreare il classico “train time”, poi accelerato nell’incalzante finale, tipico del blues.

Da qui in avanti ognuno opera al proprio strumento: Guy Davis alla chitarra e Fabrizio Poggi alla mouth harp, con un continuo lavoro di interscambio e coloritura del suono, con l’armonica sempre pronta a sottolineare le fasi della musica, spesso con i tipici “urletti” dell’armonicista. Molto intensa la splendida cover di Louise, Louise, un brano scritto da due pezzi grossi come Robert Pete Williams e Big Bill Broonzy (è sempre difficile attribuire la paternità delle singole canzoni, che spesso passano di mano nel tempo), con Poggi che inserisce i suoi urletti e grida nei ripetuti assoli (splendidi) che poi punteggiano tutti i brani presenti. Hooray, HoorayThese Women Is Killing Me (l’errore grammaticale è voluto, è scritto proprio così, anche se qualcuno lo corregge impropriamente in Are Killing Me) è uno dei rari brani firmati da Sonny Terry, più mossa ed energica delle precedenti, sottolinea la vitalità e la resilienza di questi brani allo scorrere del tempo. Nella presentazione di Shortnin’ Bread, un traditional, Davis dice che ha cercato di impadronirsi dello spirito del brano, come fosse suo, o almeno l’avesse noleggiato, e il lavoro della chitarra è fantastico, come pure l’impatto vocale. Eccellente anche l’impatto del super classico Baby Please Don’t Go Back To New Orleans, brano di Big Joe Williams che è stato anche un must del blues (e del rock) elettrico, fantastico lavoro della acustica con bottleneck di Davis e dell’armonica di Poggi. Ottimo anche un altro traditional come Take This Hammer, un pezzo legato a Leadbelly, in cui Davis ha reinserito il classico “whop” vocale del martello che era presente nella versione originale, brano quasi danzante e delizioso.

Anche Goin’ Down Slow, a firma Jimmy Oden, è più famosa forse nella sua controparte elettrica e tirata, ma anche in versione acustica ha una grinta e potenza inusuali, di nuovo con slide e armonica in bella evidenza, oltre al vocione di Davis e all’hollering di Poggi. Elizabeth Cotten è stata una delle più grandi autrici e chitarriste nere della storia del blues e la sua Freight Train fa una splendida figura in questa raccolta, con il suo spirito folky e delicato, molto piacevole all’ascolto. Evil Hearted Me è il contributo di Brownie McGhee come autore, e se deve essere “musica del diavolo” che lo sia, ma nel testo diaboliche sono le donne, mentre la musica è eccellente ancora una volta. Come pure nell’ennesimo traditional pescato dal repertorio di S&B, Leadbelly e Josh White, Step It Up And Go con elementi ragtime nel tipico ondeggiare della musica e il testo lunghissimo in una canzone molto breve. I due pezzi forti, ma sono tutti molto belli, diciamo i più famosi, sono stati tenuti per il gran finale. prima la splendida Walk On, presente anche in versione elettrica nel disco di Fabrizio, firmata da Sonny Terry e da Brownie McGhee, e dalla di lui compagna Ruth ( a proposito di compagne l’immancabile Angelina ha “disegnato” la foto di copertina del duo per farli sembrare dei novelli Sonny & Brownie), e poi Midnight Special, altro brano legato a Lead Belly, ma conosciuto pure in innumerevoli versioni elettriche, tra cui al sottoscritto piace moltissimo quella dei Creedence, brano dal ritmo e dal testo contagioso che conclude in gloria uno dei più bei dischi di blues acustico che ascolterete quest’anno, grazie ai due nuovi “Ambasciatori Del Blues”. Anche se rischio il conflitto d’interessi, questo dovrebbe essere un disco da 4 stellette. Diciamo molto, molto bello e scusate per il ritardo con cui posto questa recensione!

Bruno Conti   

Questa E’ Una Grande Voce (E Anche Chitarrista)! Carolyn Wonderland – Moon Goes Missing

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Carolyn Wonderland – Moon Goes Missing – Home Records

L’ultima volta che ho avvistato (e ascoltato) Carolyn Wonderland era come ospite in un brano dell’eccellente Amazing Texas Blues Voices del “nostro” Fabrizio Poggi, alle prese con una versione grintosa e sanguigna di Nobody’s Fault But Mine, dove si apprezzava la sua voce potente e l’ottimo stile chitarristico http://discoclub.myblog.it/2016/08/31/piccolo-aiuto-dai-amici-gran-bel-disco-fabrizio-poggi-and-the-amazing-texas-blues-voices/ . Parafrasando il titolo di quel disco la Wonderland è effettivamente una “strabiliante voce texana”, nativa di Houston, vive da parecchi anni a Austin, dove è considerata una delle “regine” della scena blues locale. Con una discografia che con questo Moon Goes Missing approda al decimo album (tra dischi di studio e live), tutti rigorosamente poco reperibili, come spesso capita per i dischi belli, l’ultimo di studio era stato Peace Meal del 2011, ma nel 2015 ne era uscito anche uno dal vivo in trio per la Bismeaux Records, l’etichetta di Ray Benson degli Asleep At The Wheel, che è anche il proprietario degli studi discografici dove è stato registrato questo CD.

Ma la nostra amica non fa “solo” blues, anche la roots music e la musica dei cantautori non sono estranee al suo stile: e Bob Dylan è un fan dichiarato, al punto che nel 2004 chiese a Carolyn di scrivere alcuni versi di “risposta”al testo di una sua celeberrima canzone, che per l’occasione del nuovo album diventa  Brand New Leopard Skin Pillbox Hat, ed è uno dei maggiori motivi di interesse di questo disco, ma non l’unico. Partiamo proprio da questo pezzo: insieme alla Wonderland appare come seconda voce, slide e resonator guitar, ukulele e armonica (anche nel resto del disco), un ingrifato Guy Forsyth, che contribuisce al call and response di questa versione che evidenzia ancora di più l’aspetto blues del brano, con una versione dove le voci e le chitarre pimpanti dei due protagonisti  contribuiscono a creare una atmosfera calda e coinvolgente, e poi lei canta veramente bene. Ma questa non è una sorpresa, come si evidenzia fin dall’iniziale title track Moon Goes Missing, con le armonie vocali di Shelley King e un sound da bayou, misterioso e felpato, dove si apprezza anche il piano di  Cole El-Saleh, oltre alla chitarra della stessa Wonderland, che ha un tocco molto raffinato, ma è la voce ovviamente l’elemento che colpisce, potente e con quel tocco di “negritudine” che non guasta. Se aggiungiamo che i due musicisti che completano il suo trio, Kevin Lance alla batteria e Bobby Perkins al basso, sono due “vecchie volpi” della scena locale, si capisce perché la nostra amica è considerata una delle migliori cantanti della musica texana, più volte laggiù premiata (curiosamente Carolyn si è sposata nel 2011 sempre a Austin in una cerimonia officiata da Michael Nesmith).

Tornando alla musica Open Eyes è il blues classico che ti aspetteresti in un suo disco, uno slow intenso dove si apprezza anche l’organo Hammond B3 di Red Young,  e la voce sale e scende ben sostenuta dal lavoro eccellente della solista della stessa Wonderland, che è una chitarrista di notevole valore. Molto buono anche il duetto, scritto e cantato insieme a Ty Taylor, la turbina umana che è il leader dei Vintage Trouble, i due se le “suonano e se le cantano di gusto” nel funky-gospel-blues che risponde al nome di Hellfire Bitters; e pure la cover di  Can’t Nobody Hide From God dal repertorio di Blind Willie Johnson non scherza, elettrica e passionale, a tutta slide, con la voce che rimane padrona assoluta della canzone. In Swamp ci aiuta il titolo, una breva trasferta dal Texas alla Louisiana, con Forsyth all’armonica e tocchi di bayou-rock alla Creedence , della cover di Dylan abbiamo detto, ma anche la lunga e bellissima She Wants To Knows, con l’aggiunta di fiati, piano e organo a colorare il sound, ha una aura roots-rock ante litteram che non può non rimandare alla Janis Joplin di Pearl, e la parte centrale strumentale è fantastica, grande brano. Molto piacevole e rilassato l’old fashioned style di una birichina To Be Free, con “assolo” di voce alla Armstrong di Carolyn Wonderland, che è anche una brava trombettista, mentre Everytime You Go è un tagliente blues texano, con elettrica ed armonica a sostenere la voce a pieni polmoni della Wonderland, che poi si concede a un ritmato gospel-soul come Come Together, scritto insieme a Ruthie Foster, prima di chiudere con l’ultima sorpresa del disco, una versione intima ed acustica, ma di grande intensità, di Bad To The Bone di George Thorogood, solo voce e chitarre, ma che voce. Se già non la conoscete vale la pena di esplorare, per i fan una conferma.

Bruno Conti

Supplemento Della Domenica Di Disco Club: Fabrizio Poggi – Quattro Chiacchiere, Ma Anche Di Più, Con Il Blues(man)!

Fabrizio Poggi foto di Riccardo Piccirillo 1

Foto di Riccardo Piccirillo

Credo che tutti quelli che leggono questo Blog sappiano chi sia Fabrizio Poggi, cantante, armonicista, soprattutto, ma non solo, un bluesman completo: Fabrizio è anche un divulgatore che ha scritto diversi libri sull’armonica, sul blues e sulla musica folk, è in attività da molti anni, ha inciso venti album (anzi ventuno), sotto varie “ragioni sociali” e ha suonato in Italia con Eugenio Finardi, Enrico Ruggeri, Gang, Luigi Grechi De Gregori, Danilo Sacco (Nomadi), Francesco Baccini e tanti altri. Ha anche svolto una fitta attività negli Stati Uniti, dove ha inciso parecchi dischi incrociando la sua strada con gente come i Blind Boys of Alabama, Charlie Musselwhite, Little Feat, Ronnie Earl, Kim Wilson, Marcia Ball, John Hammond, Sonny Landreth, Garth Hudson  della Band, Ruthie Foster, Guy Davis, Eric Bibb, Otis Taylor, Mike Zito, Bob Margolin, Flaco Jiménez, David Bromberg, Zachary Richard, Jerry Jeff Walker, Bob Brozman, e potremmo proseguire ad libitum, molti usciti a nome Chicken Mambo. All’inizio dell’anno, in seguito alla pubblicazione dell’ultimo disco Fabrizio Poggi And The Amazing Texas Blues Voices, si è recato di nuovo negli States dove ha suonato sulla nave della Legendary Blues Cruise, in coppia con Guy Davis, e a fianco di grandi artisti come Ruthie Foster, Taj Mahal, Lee Oskar, tra i tantissimi in azione durante la crociera. E poi, sempre con Davis, alla Carnegie Hall, per una serata speciale dedicata a Lead Belly. Il suo disco del 2016 http://discoclub.myblog.it/2016/08/31/piccolo-aiuto-dai-amici-gran-bel-disco-fabrizio-poggi-and-the-amazing-texas-blues-voices/ ha vinto il premio come miglior album internazionale negli ultimi JIMI Award (gli Oscar della prestigiosa rivista Blues411) e in passato è stato insignito del Premio Oscar Hohner Harmonicas e candidato ai Blues Music Awards (gli Oscar del Blues). Insomma non il primo che passa per strada, probabilmente il più conosciuto bluesman italiano negli Stati Uniti.

Per una volta vorrei partire addirittura da prima di quello che tu stesso hai definito il tuo “ammalarsi di blues”, sindrome che tu dici ti ha colpito da oltre 40 anni , in pratica quando eri un ragazzino, ma, andando ancora più indietro, proprio ai primordi della tua carriera di ascoltatore, ci sarà stata anche dell’altra musica che sentivi quando eri giovane? Cosa girava per casa, c’erano altri appassionati di musica in famiglia, o sei una sorta di “autodidatta”?

Vengo da una famiglia operaia povera e numerosa di una piccola e grigia città di provincia come ce ne sono tante nel mondo e la musica non era certo tra le cose prioritarie in casa mia. Non sono mai girati dischi e la musica che sentivo era quella leggera degli anni Sessanta che trasmettevano alla radio. Io non me ne ricordo ma mia madre dice che ho sempre comunque mostrato interesse per la musica tanto che seguivo la hit parade di Luttazzi battendo sulle pentole della cucina. Ho cominciato ad ascoltare la musica americana e i nostri cantautori attraverso i miei compagni delle medie “benestanti” che potevano permettersi di comprare dischi e bontà loro mi facevano le mitiche cassette. Non ho mai preso lezioni di nulla e sono completamente autodidatta tanto che c’ho messo anni ad avere informazioni su come suonare l’armonica. Ai miei tempi non c’era nulla e i pochi che avevano qualche informazione se la tenevano ben stretta, tanto che per tantissimi anni ho pensato che qui in Italia non vendessero le stesse armoniche che vendevano negli States e con cui sicuramente sarebbe stato più facile suonare il blues. A quattordici anni cominciai a lavorare in fabbrica, un amico mi prestò il primo disco dei Santana e così decisi di suonare le percussioni. Andai a Milano e mi comprai un paio di congas e altre piccole percussioni per poi accorgermi che nelle cantine dove si suonava, la musica che andava per la maggiore era l’hard rock e che quindi di me non sapevano che farsene. Vendetti tutto e a militare imparai a suonare la chitarra. All’epoca mi piacevano soprattutto i cantautori italiani e quelli americani. Guccini, De Gregori, Dylan, Neil Young e tutti gli altri. O almeno quelli che si riuscivano a trovare. Poi scoprii la chitarra jazz e Wes Montgomery e studiavo per conto mio la notte per suonare come lui. Un incidente in fabbrica mi lesionò la mano destra e dovetti abbandonare la chitarra. Fu un momento di grande tristezza e un’armonica che avevo in un cassetto mi aiutò molto in quel periodo. Avevo vent’otto anni e lì scoprii quasi senza rendermene conto che l’armonica e il blues erano la lingua più naturale per esprimere ciò che non riuscivo a dire con le parole.

Fabrizio Poggi foto di Mario Rota 1

Foto di Mario Rota

In altre interviste hai detto che è stata l’armonica a sceglierti, più che viceversa, e che uno degli elementi scatenanti è stata la visione del film “Last Waltz” e in particolare l’apparizione di Muddy Waters e il suono dell’armonica di Paul Butterfield, confermi, o c’erano stati altri prodromi, indizi premonitori, che quella sarebbe stata la tua strada maestra e la mouth harp il tuo strumento?

Forse un segno premonitore c’era stato e lo racconto in una mia vecchia canzone che si chiama Just a cowboy che credo si trovi facilmente in rete. Avevo su per giù dieci anni, quando mio padre mi regalò una bellissima pistola da cowboy. Era stupenda, aveva il manico di madreperla e costava un sacco di soldi. Come ho già scritto la mia famiglia non nuotava certo nell’oro, ma io avevo insistito così tanto che mio padre, tra mille sacrifici, me la comprò. Nel pomeriggio dello stesso giorno andai fuori a giocare, ed incontrai un ragazzino zingaro, che  seduto su una panchina suonava una vecchia armonica arrugginita. Mi innamorai subito di quel magico suono e gli chiesi se volesse scambiarla con la mia pistola nuova di zecca. Naturalmente lui disse subito di sì. Mio padre si arrabbiò molto, ma forse lì cominciò a succedere qualcosa dentro di me. Un mio amico texano a cui avevo raccontato questa storia un giorno mi disse: ”Forse sei solo un cowboy nato nel posto sbagliato, il tuo cavallo è un sogno, la tua pistola una canzone. A volte capita.” E da lì nacque quella canzone.

Parlando di armonica ho visto che citi tra i tuoi preferiti alcuni nomi direi immancabili, come i due Sonny Boy Williamson, James Cotton, Paul Butterfield e Charlie Musselwhite, ma non per esempio Little Walter e Big Walter Horton, che molti considerano i più importanti, a favore di nomi “oscuri” come Jazz Gillum e Noah Lewis (che però gli appassionati dei Grateful Dead conoscono perché è quello che ha scritto “New, New Minglewood Blues” e “Viola Lee Blues”. So che ce ne sono decine di altri bravissimi, ma si tratta di una scelta precisa o solo una mera dimenticanza?

Nessuna delle due, quello è solo un elenco assolutamente parziale di armonicisti che mi hanno particolarmente influenzato. Forse perché la maggior parte di loro suonava l’armonica acustica che prediligo. Ho ascoltato tantissimo Little e Big Walter e tutti quelli che sono venuti prima e dopo di loro. Tutti gli armonicisti sono importanti quando ci si avvicina all’armonica e tutti danno il loro contributo. Credo di aver espresso piuttosto compiutamente il mio rapporto con i grandi dell’armonica blues nel mio libro “Il soffio dell’anima” che ho scritto proprio per colmare un vuoto immenso che c’era e c’è intorno all’armonica nel nostro paese. E’ piuttosto curioso e interessante notare che appunto Lewis e Gillum che sono stati dei capiscuola, tanto che Little e Big Walter hanno dichiarato più volte di essere stati influenzati da loro, oggi siano pressoché dimenticati. E’ un peccato e anche un po’ ingiusto perché hanno avuto un ruolo importantissimo per lo strumento. Consiglio a chi mastica un po’ di inglese di leggere la bellissima biografia di Little Walter uscita qualche anno fa per scoprire cose assolutamente inaspettate.

Tornando a Noah Lewis, una curiosità: questo signore era famoso anche perché era in grado di suonare due armoniche contemporaneamente, una con la bocca e una con il naso, ci hai mai provato, magari con gravi risultati per la tua salute?

C’erano tanti armonicisti che all’epoca dei “medicine show” suonavano l’armonica usando naso e bocca contemporaneamente. Secondo la leggenda, lo facevano anche i due Sonny Boy, Walter Horton, Peg Leg Sam e tantissimi altri. Io non c’ho mai provato ma non mi stupirei se ancora oggi ci fosse qualcuno anche nel nostro paese che lo fa. Erano “trucchi del mestiere” come quelli dei chitarristi che suonavano la chitarra dietro la schiena o facendo la spaccata e che servivano ad attrarre anche coloro che non erano interessati alla musica.

Fabrizio Poggi foto di John Bull 1

Foto di John Bull

Un altro armonicista importante, che ho astutamente saltato, è Sonny Terry: insieme al suo socio Brownie McGhee, è stato uno degli esponenti più importanti del blues acustico, vogliamo chiamarlo folk blues? I due hanno suonato insieme per quasi quarant’anni, fino al 1980, e nella mia qualità di “diversamente giovane” li ho visti proprio quell’anno, all’Anteo di Milano, in un concerto diciamo non memorabile in quanto i due non si parlavano praticamente più. Quindi tu, e la tua consorte Angelina, avete deciso di realizzare, in loro onore e insieme a Guy Davis, quello che è il tuo ultimo disco ( e di cui leggete a parte http://discoclub.myblog.it/2017/06/08/se-amate-il-blues-quasi-una-coppia-di-fatto-guy-davis-fabrizio-poggi-sonny-brownies-last-train/ ), intitolato  “SONNY & BROWNIE’S LAST TRAIN”. Come è nata l’idea?

Vidi anch’io Sonny e Brownie durante quel tour (credo che fosse l’aprile del 1980) in un piccolo cinema perso tra la nebbia delle risaie della Lomellina. Per me fu una grande esperienza. All’epoca non suonavo ancora l’armonica blues. Avrei voluto avvicinarli solamente per stringere loro la mano e ringraziarli per ciò che avevano dato alla musica, ma ero troppo giovane e timido per farlo. E poi all’epoca  conoscevo l’inglese a malapena. Il destino che, come non mi stancherò mai di dire, mi ha riservato una carriera al di sopra di ogni più rosea aspettativa, ha voluto che incontrassi in Guy Davis la persona giusta per “ringraziare” ora e finalmente dopo quasi quarant’anni Sonny & Brownie per ciò che hanno fatto per il blues e la musica in generale in un momento in cui il blues acustico è stato un po’ messo da parte. La mia compagna Angelina che è sempre stata parte fondamentale di tutti i miei percorsi aveva notato che quando ero on the road con Guy parlavamo spesso di questi due giganti del passato e di quanto sia io che Guy fossimo stati profondamente influenzati da loro. Angelina ci ha detto che era nostro “dovere” fare un disco per ricordarli e così abbiamo fatto. L’anno scorso ci siamo chiusi due giorni in uno studio a Milano e suonando dal vivo ma soprattutto improvvisando sul momento canzoni che non avevamo mai suonato è venuto fuori questo album in cui spero che lo spirito di Sonny e Brownie venga fuori con la debita riconoscenza che tutto il mondo del blues deve loro. Guy dice che è una “lettera d’amore” e io sono d’accordo con lui. Come canta nella prima canzone del disco e che dà il titolo all’album “Goodbye Sonny, Goodbye Brownie see you on the other side”.

Mi ricollego a quanto appena detto, citando il titolo di una canzone scritta da Muddy Waters, proprio con Brownie McGhee, “The Blues Had A Baby And They Named It Rock and Roll”, per ricordare che comunque i tuoi concerti dal vivo (di cui leggete un esempio sotto, a fine intervista), con i Chicken Mambo, hanno una forte componente “elettrica”, la band tira di brutto, versioni lunghissime dei pezzi, grande interazione con il pubblico e quindi anche il lato R&R della tua personalità musicale viene a galla, è vero?

Il blues è davvero la madre, la radice di tutto ciò che è venuto dopo. E’ quello che canto nel “nuovo” testo che ho scritto per “the blues is alright”. Il rock è nel mio DNA ed è la musica che ha fatto da colonna sonora alla mia adolescenza in cui amavo perdermi nei lunghi assoli di Duane Allman e Mike Bloomfield ed è un altro aspetto della mia personalità. Ho sempre ascoltato tutta la musica senza confini di genere. Parlando con molti dei miei eroi giovanili che ora sono diventati miei eroi ho scoperto che anche loro facevano la stessa cosa anche se poi magari si sono dedicati a un genere particolare. Anche i grandi bluesmen itineranti del passato non hanno mai suonato solamente blues ma tutto ciò che gli permetteva di far dimenticare alle persone almeno per un po’ il male di vivere. L’interazione con il pubblico è un importante aspetto del blues che ho imparato proprio in Mississippi, là dove il blues è nato. Lì davvero come dico spesso palco e platea non esistono. C’è una connessione quasi magica tra chi suona e chi ascolta. E quindi spesso si battono le mani e si canta tutti insieme. E’ un rito liberatorio, quasi salvifico. D’altronde blues e spiritual sono facce della stessa medaglia e davvero il blues è peccato e redenzione.

Ancora un paio di domande, la prima sul tuo passato anche in un ambito più folk, con i Turututela: è possibile che avrà ancora futuri sviluppi questa altra passione?

Molti considerano il blues la sola musica autoctona americana. Il loro folk più autentico, ed è probabilmente vero. Quindi diciamo che in realtà non ho mai smesso in di suonare musica folk. Per ora sono sceso dal treno della musica popolare, ma l’esperienza è stata davvero eccitante seppur dolorosa considerando lo scarso interesse che c’è intorno al genere e non è detto che un giorno, magari in un’altra vita, possa tornare a bordo.

E infine l’ultima, immancabile, sui classici cinque dischi da portare sull’isola deserta?

Domanda difficilissima anche perché cambio continuamente e domani l’elenco potrebbe essere completamente diverso. Ecco quello di oggi:

Muddy Waters (qualcuno dei suoi primi dischi)

Rolling Stones Exile on Main St.

The Band The Last Waltz

Bob Dylan The Freewheelin’

Sonny Boy Williamson II (le incisioni della Chess)

WEB-270x278-POGGI locandina concerto febbraio 2017

Il Concerto, Spazio Teatro 89 – Milano – Sabato 18 Febbraio 2017

Dal vivo Fabrizio Poggi e i suoi compagni Chicken Mambo sono una vera macchina da blues, ma hanno anche tante connotazioni rock e un irrefrenabile spinta verso l’improvvisazione, tenete conto che nel corso della serata, durata circa due ore, hanno eseguito “solo” nove brani, quindi la lunghezza di ogni pezzo viene dilatata dalla capacità dei vari solisti di lanciare i loro strumenti in continui assoli e rilanci, ma anche dal dialogo tra Fabrizio e il pubblico, con incitamenti a tenere il tempo, battere le mani, cantare, insomma interagire con i musicisti sul palco, nella migliore tradizione delle 12 battute, ma anche un tiro e una potenza tipiche delle band rock (blues), questa sera ingigantita dalla presenza a sorpresa di Claudio Bazzari, alla seconda chitarra solista, a fianco del “titolare” Danny De Stefani, i due ingaggiano alcuni duetti poderosi che mi hanno ricordato quasi la verve degli Allman Brothers dei tempi d’oro (ho esagerato? Non credo!), ben sostenuti dall’organo di Claudio Noseda e dalla sezione ritmica di Tino Cappelletti, che pompa imperturbabile sul suo basso e Gino Carravieri, preciso e grintoso alla batteria, in più Fabrizio estrae dalla sua immancabile valigetta una serie quasi inesauribile di armoniche, aneddoti e storie di blues, a partire da una ritmata e scandita  Hole in Your Soul, che contiene nel testo uno dei motti di Poggi, ovvero “Chi non ama il blues ha un buco nell’anima”, trovata sul muro di un negozietto nel Mississippi, nel corso dei suoi viaggi americani. Checkin’ Up On My Baby scritta da Sonny Boy Williamson II, nel suo incedere ricorda molto Mastro Muddy e si avvale di un ottimo solo di De Stefani, che già nel precedente brano aveva scaldato l’attrezzo, in alternanza con l’organo di Noseda.

Entrambi protagonisti nuovamente in una pimpante rivisitazione di You Gotta Move (era su Mercy), al crocicchio tra Rev. Gary Davis, Fred McDowell e gli Stones, ovvero il blues e il rock più genuino. Poi sale sul palco anche Bazzari per una lunghissima Midnight Train, preceduta dagli sbuffi di armonica che ricreano lo stantuffo del treno, e con l’ottimo Claudio, armato di una Stratocaster, che ci regala un solo di tecnica e gusto squisito, in un continuo crescendo della sua solista. Bazzari rimane sul palco anche per la successiva I’m On The Road Again, che appare in diversi album di Fabrizio Poggi, e illustra il suo amore pure per la canzone Americana, rivista in questa occasione in una chiave più grintosa e tirata, che è il mood della serata, ma anche in generale dei concerti del nostro, che continua ad incitare il pubblico e i suoi musicisti a dare il meglio. Nobody’s Fault But Mine è l’unico brano tratto dal suo più recente album Amazing Texas Blues Voices, e il buon Fabrizio cerca di non far rimpiangere Carolyn Wonderland che la cantava sul CD. Nel corso della serata Poggi scende anche tra il pubblico del Teatro per un lungo e coinvolgente assolo di armonica non amplificata, per poi omaggiare la sua compagna di viaggio (in tutti i sensi) con una dolce e sentita ballata come Song For Angelina, deliziosa nella sua melodia. Torna Bazzari per il gran finale, prima con una chilometrica, vorticosa e scandita The Blues Is Alright, dove Claudio e Danny De Stefani si “affrontano” a colpi di chitarra, con Noseda che strapazza la sua tastiera da tutte le posizioni, mentre Fabrizio dirige le operazioni, presenta la band ripetutamente, sempre soffiando con forza nella sua armonica, prima di lasciare il palcoscenico alla band, per un finale strumentale di rara potenza, con assoli dei vari protagonisti, anche la sezione ritmica Le luci sembrano accendersi, ma, c’è ancora tempo per una fantastica Bye Bye Bird, ancora di Sonny Boy II, il testo è minimo, ma la musica è nuovamente vorticosa, con armonica, chitarre, organo a scatenarsi in continui soli e la ritmica, con Cappelletti (autore anche di simpatici siparietti con Fabrizio nel corso della serata) e Carravieri a legare il tutto, con classe e grande abilità. Insomma un grande showman, una band coesa e di rara efficacia, che non ha nulla d invidiare alle migliori formazioni americane, per una serata di blues che sarebbe stato un peccato non vedere. Se capitano dalle vostre parti non mancate, lo spettacolo è assicurato, e anche la musica.

Bruno Conti    

P.S Mi scuso per il ritardo con cui è stata postata, in effetti l’intervista avrebbe dovuto essere pubblicata qualche tempo fa, ma poi per vari motivi ci sono stati dei ritardi, quindi eccola alla fine, e comunque se volete altre informazioni, sulla discografia, anche sulle date dei concerti e in generale sull’attività di Fabrizio Poggi, potete andare qui http://www.chickenmambo.com/ nel suo bellissimo sito.

Fabrizio Poggi & Chicken Mambo, L’Avventura Del Blues Continua. Sabato 18 Febbraio Concerto A Milano E Verso Fine Marzo Nuovo Album Con Guy Davis

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Reduce dalle recenti esibizioni americane tra la fine del mese di gennaio e i primi di febbraio, torna a Milano allo Spazio Teatro 89 di Via F.lli Zoia il 18 febbraio p.v. Fabrizio Poggi, insieme ai suoi Chicken Mambo in formazione leggermente riveduta e corretta, cioè la seguente:

Fabrizio Poggi – armonica e voce

Tino Cappelletti – basso

Denny De Stefani – Chitarra

Claudio Noseda – organo

Gino Carravieri – batteria

Il concerto sarà l’occasione per presentare ancora una volta l’ultimo ottimo album http://discoclub.myblog.it/2016/08/31/piccolo-aiuto-dai-amici-gran-bel-disco-fabrizio-poggi-and-the-amazing-texas-blues-voices/, uscito sul finire dell’estate dello scorso anno, e anche una cavalcata attraverso il repertorio di 20 album incisi in una pluriventennale attività discografica, ricca di collaborazioni e anche di dischi incisi direttamente sul suolo americano, come l’ultimo appena ricordato.

legendary blues cruise 2017 leadbelly fest

Proprio negli States Fabrizio si è esibito, prima alla Legendary Blues Cruise, di cui vedete la locandina autografata qui sopra, la serie di concerti “marinari” in crociera tenutisi tra il 22 e il 29 gennaio scorsi, durante i quali Fabrizio Poggi, in coppia con Guy Davis o da solo, ha partecipato alle decine di eventi e jam spontanee che si tengono sulla nave (ma anche durante il viaggio), occasione puree per innumerevoli incontri con amici vecchi e nuovi, tra i tantissimi presenti citiamo Ruthie Foster, Mitch Woods, JJ Grey & Mofro, Ronnie Baker Brooks, Terrance Simien, Professor Louie, Danielle Nicole, Irma Thomas, Tab Benoit, Nick Moss, Curtis Salgado, Lee Oskar, Billy Branch, Mark Wenner, Otis Taylor, Walter Trout, oltre al grande Taj Mahal.

 

Oltre a partecipare, pochi giorni dopo, sempre con Guy Davis, il 4 febbraio, alla Carnegie Hall di New York alla serata speciale Lead Belly Fest per celebrare la musica di Huddie William Ledbetter detto Leadbelly, con tutti gli ospiti che vedete elencati nell’altra locandina sopra.

guy davis poggi Sonny & Brownie’s last train”

Sempre i due in coppia pubblicheranno per la MC Records il prossimo 24 marzo questo Sonny & Brownie’s Last Train, dedicato alla musica di Sonny Terry & Brownie McGhee, con il seguente contenuto:

1. SONNY AND BROWNIE’S LAST TRAIN
2. LOUISE, LOUISE (4.50)
3. HOORAY, HOORAY THESE WOMEN IS KILLING ME (2.56)
4. SHORTNIN’ BREAD (3.35)
5. BABY PLEASE DON’T GO BACK TO NEW ORLEANS (4.52)
6. TAKE THIS HAMMER (4.08)
7. GOIN’ DOWN SLOW (5:24)
8.FREIGHT TRAIN (3.00)
9. EVIL HEARTED ME (4.13)
10. STEP IT UP AND GO (2.28)
11. WALK ON (2.47)
12. MIDNIGHT SPECIAL (3.40)

Ma questa è un’altra storia e ne parleremo più avanti. Se volete ulteriori informazioni su vita, morte e miracoli di Fabrizio Poggi andate qui http://www.chickenmambo.com/ita/, ma nel frattempo ricordatevi questo sabato 18 febbraio di andare allo Spazio Teatro 89 di Milano per vedere il concerto, mi raccomando, ne vale la pena.

Bruno Conti

“Con Un Piccolo Aiuto Dai Suoi Amici”, Un Gran Bel Disco! Fabrizio Poggi And The Amazing Texas Blues Voices

Fabrizio Poggi Texas-Blues-Voices

Fabrizio Poggi  And The Amazing Texas Blues Voices – Appaloosa/Ird

Questi sono i dischi che ci piacciono, al di là dei contenuti musicali (che sono ottimi), il titolo rende subito l’idea e ci spiega a cosa ci troviamo di fronte: Fabrizio Poggi,  armonicista di pregio, ha fatto un disco con delle “Stupefacenti” Voci Blues Texane, chiarissimo! Il titolo, ovviamente, è stato registrato in quel di Austin al Wire Recording Studio, con lo stesso Fabrizio alla produzione e l’ottimo ingegnere del suono Stuart Sullivan (vincitore di due Grammy per album di Jimmie Vaughan e Pinetop Perkins), che si occupa della parte tecnica. Il nostro amico questa volta non canta, si “limita” a suonare l’armonica in tutti i brani. Il gruppo che lo accompagna per l’occasione non è quello dei Chicken Mambo, ma ci sono ottimi musicisti locali riuniti per l’occasione, Bobby Mack e Joe Forlini, alle chitarre elettriche e slide, Cole El Saleh, a piano e organo, Donnie Price, basso e Dony Wynn, batteria. Prima di addentrarci nei contenuti e negli ospiti che celebrano insieme a Fabrizio il Blues Texano contemporaneo (ma anche quello classico) vi ricordo che questo è il 20° album di Poggi, dopo Il Soffio Della Libertà dello scorso anno incentrato sul blues e sui diritti civili http://discoclub.myblog.it/2015/07/27/ne-pensa-cento-ne-fa-fabrizio-poggi-il-soffio-della-liberta/  e l’eccellente Spaghetti Juke Joint che ipotizzava uno zampino italiano nella nascita delle 12 battute classiche http://discoclub.myblog.it/2014/11/03/quindi-abbiamo-inventato-anche-il-blues-fabrizio-poggi-chicken-mambo-spaghetti-juke-joint/ .

Entrambi erano contraddistinti dalla presenza di vari ospiti di pregio, caratteristica da sempre presente nei dischi del musicista lombardo, e il nuovo segue questa tradizione. I nove ospiti che si alternano sono tutti, più o meno, texani Doc (o “naturalizzati”), come Mike Zito, che viene da St. Louis, Missouri, e Guy Forsyth, da Denver, ma vive a Austin da 25 anni. Anche le età sono molto diverse: si va dagli 87 anni di Lavelle White ai 77 di W.C Clark, con gli altri che hanno una età media tra i 40 e i 60 anni. A parte Zito e Ruthie Foster, non sono forse molto famosi, tutti accomunati però da una gran voce. Ma andiamo con ordine: ad aprire le danze è Carolyn Wonderland, voce solista e chitarra in Nobody’s Fault But Mine, il brano “originale” di Blind Willie Johnson,  gran versione, tra blues e gospel, con classico call and response tra la voce strepitosa della Wonderland e quelle di Shelley King e Mike Cross, con brevi soli della stessa Carolyn e dell’armonica di Fabrizio. Ruthie Foster alle prese con Walk On, vecchio brano di Ruth & Brownie McGhee, tramutato in un aggressivo e tirato blues con uso di doppia slide. Sempre mantenendo lo spirito gospel grazie alle voci di King, Cross e Wonderland, con il buon Poggi che aggiunge il suo peso specifico all’armonica. Poteva mancare un omaggio a Muddy Waters? Certo che no! E quindi vai con Forty Days And Forty Nights, grande prestazione vocale e chitarristica (anche lui alla slide) per Mike Zito, che conferma una volta di più di essere un grande talento, con l’armonica di Poggi che risponde colpo su colpo  Dopo una tripletta così tocca a W.C. Clark, ancora in grande spolvero vocale, che ci regala un suo pezzo Rough Edges (nel vecchio 45 giri originale suonava anche Stevie Ray Vaughan), che ha tutti i crismi del grande blues texano, tra chitarre ed armoniche ruspanti.

Poi è la volta della super veterana Miss Lavelle White, 87 anni suonati, anche lei non autoctona, viene dalla Louisiana, ma vive in Texas da 70 anni e ci racconta che Mississippi, My Home, uno slow blues lungo e sontuoso con la solista della Wonderland in evidenza, ma anche gli altri strumentisti, in particolare piano e armonica in overdrive, e la voce vissuta ma ancora ricca di pathos della Lavelle. Bobby Mack aveva già scaldato la sua chitarra negli altri brani, ma ora è protagonista assoluto in Neighbor, Neighbor, un pezzo dove sembra quasi di sentire i vecchi Bluesbreakers di John Mayall. Mike Cross, con Lorkovic al piano, propone un proprio pezzo Many In Body, un altro gospel corale con uso di soul. Poi tocca ad un’altra signora che forse molti non conoscono, Shelley King, che ha fatto un paio di album accompagnata dai Subdudes e ha collaborato in passato con Levon Helm, molto bella la sua Welcome Home, con voce roca e felpata sostenuta dagli altri colleghi, mentre armonica e chitarra si scatenano. Di nuovo Mike Cross con la propria Wishin’ Well, ancora classico blues elettrico. Manca all’appello Guy Forsyth, ultimo ospite in ordine di apparizione ma non per l’impegno profuso, ottimo il traditional Run On, solo la voce poderosa di Forsyth, la sua National resophonic guitar e footstomp, a duettare con l’armonica Fabrizio Poggi nell’unico brano acustico di questa raccolta.

Che dire? Ottimo e abbondante. Esce in questi giorni.

Bruno Conti