Un Altro “Grosso” Protetto Di Mike Zito. Kevin Burt – Stone Crazy

kevin burt stone crazy

Kevin Burt – Stone Crazy – Gulf Coast Records

Il famoso detto recita “una ne fa e cento ne pensa”, ma nel caso di Mike Zito dovremmo modificarlo in “cento ne pensa e cento ne fa”, in quanto il nostro texano preferito è sempre impegnatissimo con nuovi progetti. Certo aiuta molto il fatto che avere una studio casalingo vicino a casa, soprattutto in questo periodo di pandemia durante il quale i musicisti non possono andare in giro in tour e quindi si occupano delle loro cose: nel caso di Zito anche il fatto di avere una propria etichetta è ulteriore stimolo. E quindi in questi mesi di quarantena ha “prodotto” molto: andando a ritroso troviamo nuovi album di Kat Riggins, il ritorno dei Louisiana’s Le Roux, l’ottimo disco della Mark May Band, quello dei Proven Ones, lo stesso Zito con Quarantine Blues. Il comune denominatore è che sono tutti belli: ora si aggiunge anche questo CD di Kevin Burt, registrato a giugno ai Marz Studios di Nederland. Texas, dove vive il buon Mike.

Come si rileva facilmente dalla foto di copertina Burt è una “personcina” più o meno delle dimensioni di Popa Chubby, e che brandisce la sua Gibson come fosse uno stuzzicadenti: alla registrazione di Stone Crazy hanno partecipato alcuni dei fedelissimi di Zito, ovvero l’ottimo Lewis Stephens a piano e organo, e la sezione ritmica formata da Doug Byrkit al basso e Matthew Johnson alla batteria, con lo stesso Zito che aggiunge anche le sue chitarre a profusione. Burt scrive tutte le canzoni, con l’eccezione della cover di Better Off Dead di Bill Withers. Ah dimenticavo, Mr. Burt, che suona anche l’armonica nel disco, è uno di quelli bravi, ottimo strumentista e voce potente, ma anche duttile, influenzata sia dal blues come dal soul, forgiata in 25 anni di musica on the road, che lo ha portato in giro in tour per gli States, a registrare un paio di CD precedenti autogestiti e a vincere alcuni premi nelle consuete classifiche blues.

Si parte subito forte con il blues di I Ain’t Got No Problem With It, dove l’armonica guida le volute di un brano fortemente influenzato da funky e R&B, mentre Kevin canta con brio, nella successiva Purdy Lil Thang si viaggia su territori cari allo swamp rock di Tony Joe White o al sound dei Creedence, chitarre acustiche ed elettriche in bella vista, l’ottima voce sempre in evidenza, mentre Rain Keeps Comin’ Down, con slide ed armonica a guidare le danze ha forti elementi sudisti nella costruzione del brano, ed un ottimo lavoro al bottleneck; la title track è una bella soul ballad, calda e suadente, sempre con la voce espressiva di Kevin in primo piano, per un sound che non è giocato su un lavoro da axeman, ma più da musicista raffinato, quale e è il nostro amico. In Busting Out entra in azione l’organo di Stephens e il suono si fa più pressante ed incisivo, sempre con derive funky e southern vintage anni ‘70 e un bel groove della band, mentre la chitarra inizia a lavorare di fino con un bel assolo.

Same Old Thing è un’altra piacevole ballata mid-tempo più influenzata dal blues, con Kevin che canta con fervore e lascia andare la solista con classe e feeling, You Get What You See è un boogie-shuffle dal bel drive, dove appare anche un sassofono non accreditato e un sound che richiama alla Marshall Tucker Band, con il plus della voce di Burt che è veramente un cantante espressivo. La musica sudista classica torna anche nella elettroacustica Something Special About You un rock got soul in crescendo di grande fascino, ottima anche Should Have Never Left Me Alone, un blues con uso R&B, che grazie anche alla presenza costante dell’armonica mi ha ricordato i non dimenticati Wet Willie di Jimmy Hall, ed eccellente anche la cover di Better Off Dead di Withers, dove il soul dell’artista nero viene coniugato con il rock in modo impeccabile, con la conclusiva Got To Make A Change dove una slide minacciosa ed incombente caratterizza un altro brano di ottima fattura dove la band e Kevin Burt hanno modo di mettere in evidenza con personalità la loro bravura. Ottimo ed abbondante.

Bruno Conti

Un’Altra “Scoperta” Dell’Infaticabile Mike Zito! Kat Riggins – Cry Out

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Kat Riggins – Cry Out – Gulf Coast Records

Anche in questo caso garantisce Mike Zito, che la produce e pubblica il disco per la propria etichetta: non è il primo album di Kat Riggins, ne ha già pubblicati almeno altri tre, più un EP e uno solo in streaming, ma la cantante nera (lo so che in tempi di politically correct qualcuno storce il naso, ma non è una offesa razzista, semplice constatazione che nella nostra musica si usa normalmente) si conferma una delle voci più interessanti delle nuove generazioni, benché la cantante della Florida abbia ormai compiuto 40 anni nel 2020, peraltro in ambito blues, soul e gospel, quelli che lei frequenta, direi quasi una giovinetta. Lo stile l’ho appena svelato, ma la Riggins ha quella che si suole definire “una voce della Madonna”, con inflessioni che rimandano a Koko Taylor, Etta James e Tina Turner, non esattamente le prime che passano per strada, ma in questo nuovo album prodotto da Zito, che ama le robuste sonorità rock, ci sono analogie pure con Dana Fuchs, Beth Hart e altre paladine del blues rock’n’soul moderno.

Prendiamo l’iniziale Son Of A Gun, ritmica rock gagliarda, riff di chitarra come piovesse, e la voce di devastante potenza della Riggins, Cry Out è un grande Texas blues, con Johnny Sansone all’armonica, brano che ricorda molto l’approccio della citata Koko Taylor, chitarra in primo piano, un organo vintage e la voce profonda e risonante sbattuta in faccia di Kat, che si trova a proprio agio anche nel funky fiatistico e sincopato di una brillante Meet Your Maker, voce che sale e scende, un tocco di raucedine che la rende sensuale, e grande controllo pure nel rock-blues tirato e cattivo di Catching Up, chiaramente farina del sacco di Zito che in questo tipo di brani ci sguazza e lascia andare la sua chitarra con libidine in un vibrante assolo, e anche l’heavy blues di Truth trasuda grinta e personalità, soprattutto quando si “incazza”, va beh diciamo si inquieta, e alza la voce. Dopo l’interludio a cappella di Hand In The Hand, non manca neppure il deep soul venato di gospel della splendida ballata Heavy dove si toccano profondità quasi alla Mavis Staples, fortificato dal ricercato lavoro alla slide di Zito e con un coro di voci di bambini ad aumentare nel finale il pathos del brano.

Nella di nuovo riffatissima Wicked Tongue arriva anche Albert Castiglia a dare una mano con la sua tagliente chitarra, che aumenta ulteriormente il tasso rock del pezzo con un assolo da sballo, mentre la band picchia di brutto e il testo cita anche la “maestra” Koko Taylor. Tornano i fiati e l’organo per la vibrante Can You See Me Now, sempre con chitarre fiammeggianti, che poi scatenano un pandemonio, come direbbe il buon Dan Peterson, nel robusto heavy blues della tirata Burn It All Down con il batterista Brian Zeilie che scandisce il tempo in modo granitico, ben spalleggiato dal bassista Doug Byrkit e dall’organo di Lewis Stephens spesso protagonista nell’album (in pratica la band di Mike), mentre Zito imperversa una volta di più. Molto bella anche la spumeggiante e con un groove quasi da revue alla Ike & Tina Turner On It’s Way, fiati in spolvero e un dinamico assolo di sax nella parte centrale, ma è un attimo e siamo al classico incrocio del blues, in un altro ottimo esempio di 12 battute con lo shuffle No Sale, dove ancora una volta non si prendono prigionieri e Mike Zito estrae il suo bottleneck per un’altra sfuriata delle sue e anche Sansone all’armonica si fa sentire, mentre la voce mi ha ricordato la Beth Hart più infoiata.

In chiusura un altro “lentone” intenso e ad alta intensità rock come The Storm, dove sembra che l’ottima Kat Riggins sia accompagnata dai Led Zeppelin per una scampagnata nei territori cari a Janis Joplin. Ottimo ed abbondante, assolutamente consigliato se amate le emozioni forti e la conferma che Zito raramente ne sbaglia una.

Bruno Conti

Classico Rock-Blues Di Stampo Sudista. Mark May Band – Deep Dark Demon

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Mark May Band – Deep Dark Demon – Gulf Coast Records

Nativo dell’Ohio, ma trasferitosi quasi subito in Texas per svolgere la sua attività musicale, Mark May, un tipico esponente della scena locale di Houston, si è poco alla volta creato una notevole reputazione per essere uno dei migliori tra le nuove leve del southern rock, tanto che gli Allman Brothers, anche grazie al suo disco di debutto del 1995 Call Of The Blues, dove Mark già evidenziava le influenze di alcuni suoi preferiti come Albert Collins e Jimi Hendrix, lo vollero come gruppo di spalla nel loro tour del 1997/98, dove si conquistò il rispetto di Dicket Betts che poi lo prese come secondo chitarrista dei Great Southern in una successiva edizione della sua band, dove May ha perfezionato il suo stile con twin lead guitars, anche armonizzanti tra loro, mutuato dallo stile degli Allman. Con questo Deep Dark Demon, il settimo della serie, la Mark May Band approda alla Gulf Coast Records, l’etichetta di Mike Zito, che ultimamente grazie al suo occhio lungo per musicisti suoi spiriti affini in un blues-rock sanguigno e corposo, lo ha messo sotto contratto insieme, tra i tanti, a Albert Castiglia, autore di un eccellente Live https://discoclub.myblog.it/2020/05/09/un-album-dal-vivo-veramente-selvaggio-albert-castiglia-wild-and-free/ , e al quintetto poderoso dei Proven Ones https://discoclub.myblog.it/2020/06/16/una-nuova-band-strepitosa-tra-le-migliori-attualmente-in-circolazione-the-proven-ones-you-aint-done/ , ai link trovate le mie recensioni sul blog.

Sono con Mark May, voce e chitarra solista, rude e vissuta la prima, composita ed eclettica nelle proprie derive la seconda, il bassista Darrell Lacy, Brandon Jackson e Geronimo Calderon alla batteria, e il secondo chitarrista Billy Wells, altro manico notevole, perfetto contrappunto alle divagazioni soliste del nostro (senza dimenticare Zito che se serve dà una mano). Betts indica tra le influenze che intravede nel suo protetto, oltre a quelle citate poc’anzi, anche Stevie Ray Vaughan, Carlos Santana e sé stesso, tutte cose vere e verificabili all’ascolto del CD, dove contribuisce alla riuscita dell’album anche l’uso costante delle tastiere, organo in prevalenza, suonate dall’ottimo Shawn Allen. Undici brani in tutto, spesso tra i sei e i sette minuti di durata, in modo da consentire alla band consistenti divagazioni strumentali senza comunque entrare nel superfluo o nel virtuosismo fine a sé stesso, quindi sempre a a favore di un sound che tiene avvinto l’ascoltatore.

Si parte con una gagliarda e potente Harvey Dirty’s Side, allmaniana e superba nel suo dipanarsi, con costanti citazioni anche a Jimi Hendrix grazie all’uso prolungato del wah-wah, in una canzone che racconta le vicende legate all’uragano Harvey (e non a Weinstein come si poteva supporre), che devastò Houston nel 2017, e che le atmosfere ricche di pathos ben individuano, con un riff di apertura che è puro southern rock vecchia maniera con una slide malandrina, poi declamato in un rock-blues robusto, che immette anche elementi alla Led Zeppelin o soprattutto Gov’t Mule, con l’organo che inziga le chitarre di Mark May e del suo socio Billy Wells, in un call and response corposo, prima che venga innestato il pedale wah-wah a manetta e, come nelle buone tradizioni del genere, non si fanno prigionieri.

Non tutto l’album è ai livelli di questa apertura incendiaria, ma BBQ And Blues è un ondeggiante shuflle tra boogie-rock e 12 battute classiche, più leggero e scanzonato, comunque sempre di buona fattura, le armonizzazioni delle due soliste sono più contenute ma godibili, poi in Back si scatena una festa latina, senza Carlos, ma con lo spirito di Santana evocato dalle fluide linee soliste, spesso all’unisono, delle chitarre, e percussioni (Al Pagliuso) e tastiere a ricordare il sound del baffuto californiano; la title track è un tipico slow blues di quelli duri, puri e tosti, tra SRV e vecchio British Blues, sempre con soliste molto impegnate, mentre l’incalzante Sweet Music rimanda di nuovo ai duelli Allman/Betts o Haynes/Trucks con May che sfodera anche una interpretazione vocale degna di Gregg, altro brano di qualità sopraffina. Qualità che non scema neppure nella sinuosa Rolling Me Down, di nuovo con le chitarre “gemelle”, slide e tradizionale, in bella evidenza, sostenute da un pianino malandrino, prima di ribadire ulteriormente il migliore spirito southern della vecchia ABB nella lunga e superba My Last Ride, ritmo incalzante, grandi giri armonici e raffinato lavoro delle soliste, altro pezzo sopra la media.

Four Your Love inserisce anche elementi R&B, in una ballata che evidenzia l’eclettismo imperante in questo album, con un sax insinuante, suonato da Erik Demmer, e tocchi più morbidi, forse fuori contesto, benché non disprezzabili, comunque la MMB si riprende subito con le volute blues-rock gagliarde della nuovamente allmaniana Walking Out The Door, dove le chitarre urlano e strepitano ancora alla grande, sempre con raffinate improvvisazioni armoniche di pregiata eleganza e potenza al contempo, con May che poi nel finale parte per la tangente. Something Good è un’altra bella ballata sudista, questa volta di stampo più consistente, organo di ordinanza, voce che emoziona mentre intona la bella melodia, uso lirico e carezzevole della slide, e per non farsi mancare nulla nella conclusiva super funky Invisible Man Mark May cosa ti va a “inventare”, l’uso di un talk box che non sentivo dai tempi di Frampton e Joe Walsh, che unito al groove coinvolgente del brano fa venire voglia di muovere mani e piedi per seguire il ritmo. Come si suol dire, niente di nuovo, ma fatto molto bene, prendere nota.

Bruno Conti

Più Rock Che Blues Nonostante Il Titolo, Comunque Sempre Una Garanzia, Anche In Quarantena. Mike Zito – Quarantine Blues

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Mike Zito – Quarantine Blues – Gulf Coast Records

Quando qualche mese fa, durante il viaggio aereo di ritorno dal tour europeo annullato per le note vicende del virus, Mike Zito si è trovato a pensare cosa fare durante il lungo periodo di pausa, ha deciso all’impronta di registrare un nuovo album da “regalare” ai suoi fans, con l’avvertenza che chi voleva poteva fare anche una donazione per aiutare a livello economico sia i membri della band, come lo stesso Mike, e anche i loro familiari. La campagna come ho visto sul sito è andata bene, ha raggiunto gli obiettivi prefissati e ha permesso anche di finanziare i costi della registrazione dell’album. Per quanto Zito abbia uno studio di registrazione casalingo ed anche una etichetta personale, la Gulf Coast Records, per la quale di recente ha rilasciato l’eccellente CD dal vivo di Albert Castiglia https://discoclub.myblog.it/2020/05/09/un-album-dal-vivo-veramente-selvaggio-albert-castiglia-wild-and-free/ . Per la serie una ne pensa e cento ne fa (come Joe Bonamassa), il nostro amico ha prodotto anche il nuovo album di Tyler Morris https://discoclub.myblog.it/2020/05/03/un-irruento-fulmine-di-guerra-della-chitarra-anche-troppo-tyler-morris-living-in-the-shadows/ , senza dimenticare quello dei Proven Ones https://discoclub.myblog.it/2020/06/16/una-nuova-band-strepitosa-tra-le-migliori-attualmente-in-circolazione-the-proven-ones-you-aint-done/ , e con i nuovi della Mark May Band e dei Lousiana’s Le Roux annunciati in uscita a breve.

Anche se Zito, come si evince da quanto detto finora, è uno che di solito comunque pianifica con precisione il suo lavoro, per Quarantine Blues ha fatto una eccezione, della serie del disco “cotto e mangiato”, o meglio registrato e pubblicato immediatamente. Ne parliamo sia perché merita, ma anche perché alla fine è stato deciso di pubblicare anche il CD fisico (a pagamento questa volta) e quindi chi non lo aveva scaricato gratuitamente, e non so se lo si trova ancora in questa modalità, e per chi è comunque un fan dei prodotti “fisici”, pur con le difficoltà di reperibilità e i costi di spedizione non a buon mercato per chi non abita negli States, può andarne alla ricerca.

Nonostante il titolo lasci presagire un disco blues, Mike Zito e i membri della sua band abituale, Matt Johnson, Doug Byrkit e il tastierista Lewis Stephens, hanno deciso di optare per un sound più rock, diciamo decisamente ruspante, al limite del “tamarro” a tratti: in effetti è stato coinvolto anche Tracii Guns, degli L.A. Guns , una band che diciamo non ha mai brillato per raffinatezza, e Don’t Touch Me, il duetto con lui, ricorda molto l’hair metal anni ‘80, con chitarre a manetta e ritmi granitici. Per fortuna il resto del disco è decisamente meglio, l’iniziale Don’t Let The World Get You Down, oltre ad essere una dichiarazione di intenti, è un gagliardo pezzo rock, dove si gusta la voce sempre inconfondibile e vissuta di Mike, mentre Stephens va di organo con grande libidine e i riff e gli assoli di chitarra si sprecano in un pezzo dal sapore rootsy.

Looking Out This Window, anche con uso di chitarre acustiche, al di là di un ritmo marziale rimanda alle solite influenze del nostro, gli amati John Fogerty e Bob Seger, mentre comunque almeno nella title track non può mancare ovviamente un turbolento blues dove Zito va di slide con grande impeto e anche Walking The Street è un ulteriore ottimo esempio del rock sudista del musicista di Saint Louis, che in questo ambito è sempre uno dei migliori in circolazione, con chitarre ruggenti e grande grinta https://www.youtube.com/watch?v=ssuqep-YXUw . Grinta e sonorità poderose che non mancano neppure in Dark Raven dove le influenze del suono dei Led Zeppelin sono evidenti, dalla scansione ritmica che fa molto John Bonham, alle folate di chitarra che si ispirano molto a quelle di Dazed And Confused, con un assolo, anche con chitarre raddoppiate, veramente vibrante; pure Dust Up ha un riff immediato e una struttura sonora che profuma di rock and roll d’altri tempi, con continui rilanci della solista https://www.youtube.com/watch?v=xvuSQ0WyhWM .

E se rock deve essere anche Call Of The Wild non prende prigionieri, con Zito e soci che ci danno dentro di brutto, e pure After The Storm ricorda il miglior hard rock targato anni ‘70, quello di Free e Bad Company per intenderci, potenza ma anche classe e “raffinatezza” nel lavoro della chitarra. Hurts My Heart non molla la presa, se amavate il Bob Seger rocker dei suoi anni d’oro qui c’è trippa per gatti, lasciando alla conclusiva What It Used To Be il compito di illustrare il lato più intimista del nostro texano adottivo preferito, una bellissima ballata acustica, solo voce e chitarra, con rimandi al folk, al country, persino al flamenco https://www.youtube.com/watch?v=3xApY4MLtLA . Mike Zito insomma è sempre una garanzia, anche in quarantena.

Bruno Conti

Una “Nuova” Band Strepitosa, Tra Le Migliori Attualmente In Circolazione. The Proven Ones – You Ain’t Done

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The Proven Ones – You Ain’t Done – Gulf Coast Records

Come appare ormai chiaro, Mike Zito appartiene alla categoria di coloro che una ne pensano e cento ne fanno: anche se per ora nel 2020 a causa della situazione generale ha dovuto trattenersi parecchio. Rispetto allo scorso anno dove tra produzioni, album a nome proprio (il Tributo a Chuck Berry) e partecipazioni varie, era apparso in una decina di dischi, per ora questo album dei Proven Ones è “solo” il secondo disco in cui appare come produttore, dopo il recente ottimo album Live di Albert Castiglia https://discoclub.myblog.it/2020/05/09/un-album-dal-vivo-veramente-selvaggio-albert-castiglia-wild-and-free/ , tra l’altro entrambi pubblicati dalla etichetta personale di Zito, la Gulf Coast Records, che comincia ad avere un consistente roster di artisti (ops, dimenticavo anche questo https://discoclub.myblog.it/2020/05/03/un-irruento-fulmine-di-guerra-della-chitarra-anche-troppo-tyler-morris-living-in-the-shadows/ ). Diciamo che se non possiamo definire quello dei Proven Ones un supergruppo si tratta comunque di una band dove militano alcuni “veterani” del Blues e del Rock di comprovata qualità: la voce solista e l’armonica sono affidate a Brian Templeton, leader in passato degli ottimi Radio Kings, e che ha diviso i palchi anche con Clapton e Muddy Waters, alle tastiere Anthony Geraci, spesso e volentieri nei credits di album di Ronnie Earl, Robillard, Sugar Ray e decine di altri, alla chitarra solista Kid Ramos, anche lui con innumerevoli collaborazioni, tra cui Mannish Boys, Fabulous Thunderbirds, Roomful Blues e con una manciata di album a nome proprio.

A completare la formazione la sezione ritmica Jimi Bott alla batteria e Willie J. Campbell al basso, entrambi spesso in azione con Mannish Boys, Thunderbirds e altri di quelli citati: ed in oltre la metà dei brani anche una piccola sezione fiati, pezzi tutti firmati a rotazione dai vari componenti e con la (co)produzione di Zito, insieme al batterista Bott. Il suono è gagliardo e tirato, come dimostra subito alla grande Get Love, dove, dopo una breve intro psych, la voce potente di Templeton si incrocia con la chitarra tirata e fumante di Kid Ramos, piano e organo di Geraci, la sezione fiati a sottolineare un blues-rock palpitante dove anche la ritmica non scherza. Gone To Stay è un’altra potente stilettata sempre di stampo rock, bella riffata e con tutta la band che tira di brutto, soprattutto Templeton veramente in grande spolvero e un Kid Ramos al meglio delle sue possibilità. La title track è addirittura stonesiana nella sua andatura, con Bott e Ramos (alla slide) che “citano” rispettivamente Watts e Richards con libidine, sembrano pure i migliori Fabulous Thunderbirds o la J. Geils Band, mentre fiati e organo imperversano sempre e ci sono pure delle voci femminili di supporto; anche Already Gone va di rock a tutto riff, il titolo ricorda il brano degli Eagles, e anche i coretti iniziali, ma lo stile è più alla Lynyrd Skynyrd, con Geraci impeccabile al piano.

Whom My Soul Loves è una bellissima deep soul ballad, con fiati e piano in evidenza, cantata a due voci dall’ospite Ruthie Foster e da Brian Templeton, un piccolo gioiellino con eccellenti assoli di organo, sax e della slide di Kid Ramos, e anche Milinda è una ottima ballata country oriented quasi alla Allman Brothers, di nuovo con Ramos eccellente alla lap steel e in Nothing Left To Give, firmata da Geraci, ci sono addirittura elementi di latin rock santaneggianti, sempre con la solista del Kid che interagisce in maniera brillante con l’organo e con i fiati, il buon Anthony scrive anche la successiva She’ll Never Know ,un’altra ballata blues dove si apprezza la calda vocalità di Templeton, veramente un signor cantante e Kid Ramos rilascia un ennesimo assolo ricco di feeling, prima di cantare l’ondeggiante I Ain’t Good For Nothin’, che ricorda un poco Holy Cow di Allen Toussaint, anche per il tocco bluesy dell’armonica di Templeton e quello jazzato di fiati, piano e chitarra bottleneck accarezzata in citazioni di New Orleans sound. Fallen torna al rock ruvido tra J. Geils e Stones, sempre grintosa, ma non priva di passaggi raffinati e in chiusura Favorite Dress è un ennesimo ottimo esempio del Rock And Roll fiatistico e vibrante della band, che si presenta come delle migliori band classiche americane attualmente in circolazione.

Assolutamente consigliato.

Bruno Conti

Un Album Dal Vivo Veramente “Selvaggio”. Albert Castiglia – Wild And Free

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Albert Castiglia – Wild And Free – Gulf Coast Records

Albert (anzi Albert Joseph, come firma le sue canzoni) Castiglia, non è più uno di primo pelo, 50 anni compiuti lo scorso anno, nativo di New York City, ma trasferito in Florida fin dalla più tenera infanzia, mamma cubana e papà italiano, con una “passionaccia” per il blues, coltivata anche grazie al suo trasferimento a Chicago, dove dalla metà degli anni ‘90 è stato il chitarrista della touring band di Junior Wells, fino alla morte del suo mentore nel 1998. Un paio di album indipendenti all’inizio degli anni 2000, poi una serie di album per l’etichetta Blues Leaf, e quattro album, compreso il collettivo Blues Caravan 2014 per la Ruf https://discoclub.myblog.it/2016/07/12/o-compagnia-sempre-gran-chitarrista-albert-castiglia-big-dog/ . Quindi era arrivato il tempo per un bel disco dal vivo a nome proprio, questo Wild And Free, registrato tra il 3 e il 4 gennaio del 2020 in quel di Boca Raton, Florida, con la produzione dell’amico Mike Zito, che appare anche in un brano. Castiglia diciamo che si potrebbe definire un artista di culto, ma è pure un fior di chitarrista, con un solismo ricco e variegato, scoppiettante, al limite del virtuosismo, una bella voce gagliarda, tra blues e musica del sud (qualcuno, presumo con seri problemi uditivi, lo ha paragonato come stile vocale a Van Morrison), e in questo live ha quindi l’occasione di mettere in mostra tutta la sua bravura alla solista, grazie anche a una serie di brani potenti e ruvidi, ma con “paccate” di feeling ed una tecnica di prim’ordine.

Una eccellente sezione ritmica, con Justine Tompkins (Todd Wolfe Band) al basso, e Ephraim Lovell (Roomful Of Blues) alla batteria, alle tastiere si alternano due dei migliori su piazza, Lewis Stephens, del giro di Mike Zito e John Ginty, solista di vaglia, di recente nella Allman Betts Band: e allora vai subito alla grande con Let The Big Dog Eat, un brano tratto dal disco del 2016 per la Ruf, dove Albert comincia a mulinare la sua Gibson, con una serie di assoli formidabili, mentre Stephens all’organo e la sezione ritmica pompano di brutto. Hoodoo On Me, brano scritto da Zito, era sul CD del 2017, un’altra scarica di pura adrenalina chitarristica, con Castiglia molto efficace anche nel reparto vocale, mentre I Been Up All Night scritta da Brian Stoltz (a lungo chitarrista nel giro Neville Brothers) è un vorticoso blues-rock dove il nostro si produce al wah-wah con un impeto e una forza travolgenti, estraendo dalla chitarra un fiume di note, prima di mostrare il suo lato più raffinato in una eccellente (e lunga) Heavy, uno slow blues tratto da Mastepiece, il suo disco del 2019, sempre con il lavoro della solista impetuoso e lancinante, fantastico.

Get Your Ass In The Van, ancora da Big Dog del 2016, ci permette di apprezzare anche la notevole maestria alla slide del chitarrista di New York, in puro stile Elmore James, ben spalleggiato da uno spumeggiante Stephens al piano; Searching The Desert For The Blues, va ancora più indietro nel tempo, pescando dal repertorio di Blind Willie McTell, elettrificato e adattato ai nostri tempi, con un ritmo scandito e con la solista di Castiglia sempre impegnata in continue folate. Keep On Swinging è un altro brano originale tratto dal disco dello scorso anno, ancora tirato e senza requie, un ennesimo rock-blues vibrante, sempre potenza pura che esce dalle casse del vostro impianto; poi Albert chiama sul palco Mike Zito per una ripresa di Too Much Seconal di Johnny Winter, con John Ginty all’organo, i due si scambiano sciabolate libidinose, godendo come ricci mentre rivisitano il classico blues senza tempo dell’albino texano https://www.youtube.com/watch?v=4FUZv9EzSyk .

Non contento Castiglia rende omaggio anche ad un altro pezzo da novanta del blues bianco Paul Butterfield,  Loving Cup un oscuro brano che si trovava su What’s Shakin’, dove alla chitarra c’era Bloomfield, mentre nella versione dal vivo di Albert, mantenendo lo spirito blues, si privilegia un approccio “cattivo”, grintoso e decisamente elettrico con alta presenza di ottani rock nel suono e un assolo notevole di organo di Ginty, e pure I Tried To Tell Ya è l’occasione per un altro vibrante tour de force a tutto wah-wah, prima di congedare alla grande il pubblico presente e gli ascoltatori di questo CD con una fantastica cover di Boogie Funk di Albert King https://www.youtube.com/watch?v=gXF-yDzNqVI , puro boogie rock texano all’ennesima potenza che chiude degnamente un album dal vivo tra i più belli finora di questo sfortunato 2020.

Bruno Conti

Un Irruente Fulmine Di Guerra Della Chitarra, Anche Troppo! Tyler Morris – Living In The Shadows

tyler morris living in the shadows

Tyler Morris – Living In The Shadows – VizzTone Label Group

Sono passati circa due anni dal precedente Next In Line, attribuito alla Tyler Morris Band e prodotto da Paul Nelson, che era comunque il terzo album del musicista di Boston https://discoclub.myblog.it/2018/04/10/avanti-il-prossimo-chitarrista-tyler-morris-band-next-in-line/ : nella copertina del nuovo album sembra un po’ meno giovane, mantenendo comunque un che di fanciullesco nelle fattezze. La sua etichetta, sempre la VizzTone, gli ha affiancato un nuovo produttore, il grande Mike Zito, specializzato nel trattare con talenti vecchi e nuovi del blues e dei dintorni più vicini al rock, tra gli ospiti, accanto a Joe Louis Walker, che appariva anche nell’album precedente, oltre a Zito, troviamo anche un altro acclamato specialista della chitarra come Ronnie Earl, e la vocalist Amanda Fish (sorella maggiore della più nota Samantha).

Come al solito, a maggior ragione in questi tempi di virus e pandemie, recensendo l’album in netto anticipo e non avendo quindi molte informazioni, neanche quella se verrà mantenuta la data di uscita (confermata in questi giorni), vado un po’ a occhio, anzi a orecchio, regolandomi solo con quello che ascolto, sempre una buona pratica comunque da applicare e quindi vado a descrivervi ciò che sto ascoltando, che mi sembra valido. Il giovane Tyler è rimasto un irruento fulmine di guerra della chitarra, anche se la produzione di Zito cerca di mettere in luce anche altri aspetti della musica: rispetto al precedente album Morris ha accantonato una buona abitudine che avevo sottolineato con favore, ovvero ha deciso di essere lui la voce solista nella quasi totalità delle canzoni, uhm, mah! Il suono è sempre “duretto” anziché no, la chitarra viaggia al solito che è un piacere, la sezione ritmica ci dà dentro, un organo, Lewis Stephens, agisce sullo sfondo e il risultato in Movin’ On è classico rock-blues di buona fattura, dal repertorio di Gary Moore, altro musicista di riferimento per il giovane Tyler https://www.youtube.com/watch?v=SxRo-o2ml2k Everybody Wants To Go To Heaven è un robusto slow blues, dal repertorio di Albert King, la solista è fluida e con un tocco più raffinato, Zito si occupa della seconda chitarra e l’insieme è godibile, anche se la voce mi sembra appena adeguata.

Polk Salad Annie è il classico swamp rock di Tony Joe White, Mike Zito e Joe Louis Walker sono della partita e qui si comincia a ragionare, un vocione potente e rabbioso, una slide che taglia il brano in due, un groove gagliardo; la title track, di nuovo tirata e “cattiva”, con le chitarre che imperversano su un bel giro di basso, suonato da Terry Dry, quasi alla Free, e un tempo scandito con grande energia, non è per niente male, ma la voce, per fortuna poco presente, continua a non piacermi troppo https://www.youtube.com/watch?v=tcfG8DRWtyg . Altra hard ballad è Temptation, diciamo che si scorge l’impeto e il vigore del primo Jeff Healey, ma la classe è un’altra, però gli amanti delle sonorità diciamo robuste apprezzeranno. Amanda Fish, ottima cantante, chitarrista e multistrumentista, rende il favore a Morris (che era apparso come ospite in Free, il secondo album della cantante di Kansas City per la VizzTone) canta in Better Than You, un altro roboante brano rock a tutto riff vagamente stonesiano, dove non si prendono ostaggi e la Fish sembra una novella Beth Hart o Dana Fuchs prima maniera, mentre le chitarre ruggiscono e c’è persino un pianino sullo sfondo.

Why Is Love So Blue va di boogie duro alla ZZ Top, sempre con chitarre arrotatissime, con il nostro che si conferma comunque solista di vaglia; Nine To Five direi che non è decisamente quella di Dolly Parton e ci si avvicina pericolosamente all’hard rock “esagerato” https://www.youtube.com/watch?v=0evxmRHuVu4 , mentre Young Man’s Blues, il duetto con Ronnie Earl, che come sapete non canta neppure sotto minaccia armata, non è quella di Mose Allison, resa celebre anche dagli Who, c’è un genitivo sassone in più, ma è un blues tirato anziché no in cui Morris sciorina tutti i suoi idoli, e dove Earl si adatta allo stile del giovane amico, con un assolo però che fa risaltare la differenza tecnica tra i due, uno in punta di dita, l’altro impegnato a cercare di sfondare gli ampli. Anche Taken From Me è sempre violentissima, con Zito che comunque risponde colpo su colpo alle bordate del suo nuovo protetto https://www.youtube.com/watch?v=NyFnah9Go_k , e anche la conclusiva I’m On To You non molla la presa, sempre con un rock-blues ad alta densità chitarristica, forse persino troppo.

Bravo è bravo, ma calmatelo un po’, per il momento la parola d’ordine è “viuulenza”!

Bruno Conti

 

 

Mike Zito: Un Texano Onorario Tra Rock E Blues, Parte II

mike zito 2

Gli Anni Della Ruf 2012-2019: dai Royal Southern Brotherhood al lavoro come produttore e scopritore di talenti, ai dischi da solista.

royal southern brotherhoodroyal southern brotherhood songs from the road

Nel 2011, dopo avere firmato per la tedesca Ruf, forma i Royal Southern Brotherhood con Cyril Neville dei Neville Brothers, Devon Allman, il figlio di Gregg, e una potente sezione ritmica con Charlie Wooton al basso e Yonrico Scott alla batteria, pubblicando nel 2012 Royal Southern Brotherhood – Ruf Records 2012 ***1/2 un eccellente omonimo esordio, prodotto da Jim Gaines, che fonde mirabilmente le diverse attitudini dei tre protagonisti, e con Mike che firma tre brani con Cyril e due in proprio, Hurts My Heart, un robusto rocker alla Seger e la sudista All Around The World, oltre alla collettiva Brotherhood, e lo stesso anno, registrano in Germania il potente CD+DVD dal vivo Songs From The Road – Ruf Records 2013 ***1/2, che ai brani dell’esordio unisce due gagliarde tracce finali come Sweet Little Angel di B.B. King e la pimpante Gimme Shelter degli Stones.

royal southern brotherhood heartsoulblood

Il terzo e ultimo album con i RSB è heartsoulblood – Ruf Records 2014 ***, poi Zito e Allman saluteranno, sostituiti da Tyrone Vaughan, figlio di Jimmy e Bart Walker: ancora una volta prodotto da Jim Gaines (che ai tempi non amavo particolarmente, ma poi ho rivalutato in virtù anche delle sue collaborazioni con Albert Cummings, splendida l’ultima); disco che una volta di più è buono ma non eccelso, insomma Live a parte la band non ha mai sfruttato a fondo le proprie potenzialità, con Zito che presenta una buona ballata come Takes A Village e il rock-blues sinistro di Ritual, e tra le collaborazioni, la corale e poderosa World Blues, puro southern rock, il funky-latin santaniano di Groove On con Devon, nonché Callous con Cyril, oltre ad altri tre brani scritti collettivamente Trapped, She’s My Lady, e Love And Peace, che ogni tanto sconfinano in un funky-soul di maniera, anche se il lavoro delle chitarre, soprattutto di Zito, è sempre eccellente, però complessivamente mi aspettavo di più.

mike zito gone to texas

Nel frattempo Mike Zito pubblica il suo primo album da solista per la Ruf (e inizia anche il suo lavoro di produttore e scopritore di talenti conto terzi, ma ne parliamo alla fine): Gone To Texas – Ruf Records 2013 **** il suo primo lavoro con i Wheel è un gran bel disco, un album autobiografico che raccoglie le storie del suo viaggio ideale e reale da St. Louis al Texas, attraverso una serie di brani che raccontano la sua redenzione dai demoni del passato, l’incontro con la moglie che lo ha salvato dalla sua lunga dipendenza dalle droghe: il disco, registrato comunque a Maurice in Louisiana, vede la presenza di un ispirato Sonny Landreth alla slide nella gagliarda Rainbow Bridge, una canzone che è una via di mezzo tra il miglior John Hiatt e Bob Seger, con l’aiuto dei Little Feat, e con Susan Cowsills che lo “aizza” con il suo contributo vocale.

Gone To Texas è una ballata sudista che rivaleggia con le migliori degli Allman Brothers, con l’interplay sapido tra il sax di Jimmy Carpenter e la chitarra di Zito, sostenuti dall’organo del bravissimo Lewis Stephens e dalla voce della Cowsills, una vera meraviglia. Molto bello anche il duetto con Delbert McClinton in The Road Never Ends, scritta con Devon Allman, dove bisogna scomodare ancora una volta il miglior Bob Seger, in un florilegio di armonica (suonata da McClinton) e piano che interagiscono con la slide sinuosa di Mike. McClinton che firma anche il delizioso blue-eyed soul di Take It Easy, con grande interpretazione vocale di Zito: non manca ovviamente il blues “cattivo” e distorto di Don’t Think Cause You’re Pretty di Lightnin’ Hopkins e quello più gentile, acustico e canonico di Death Row, oltre a quello meticciato, tra New Orleans e Little Feat, di Subtraction Blues, o una scorrevole Wings Of Freedom che ricorda ancora una volta, indovinate, Bob Seger, grazie anche alla presenza del sax di Carpenter che rammenta Alto Reed della Silver Bullet Band.

mike zito songs from the road

Uno dei dischi migliori della sua discografia, che viene festeggiato con il CD+DVD Songs From The Road – Ruf Records 2014 ***1/2, registrato nel gennaio del 2014, sempre accompagnato dai Wheel, in quel di Dosey Doe, The Woodlands, TX., un piccolo locale della cittadina texana: al solito, come in altri titoli della serie della etichetta tedesca, il repertorio del CD differisce da quello del DVD, ma complessivamente il risultato è esplosivo: si apre con il funky-rock misto a soul, tra James Brown e l’Average White Band, di Don’t Break A Leg, con Carpenter sugli scudi, poi oltre ai brani di Gone To Texas troviamo una versione tra Stones e southern rock di Greyhound, con grande lavoro di Zito alla slide, l’imperiosa Pearl River, dove il blues la fa da padrone, e sempre da quel disco una grande versione di C’Mon Baby, mentre Judgment Day viene da Greyhound, con assolo torcibudella di wah-wah nel finale e nel DVD anche una splendida One Step At A Time.

mike zito keep coming back

Con la solita cadenza l’anno successivo esce Keep Coming Back – Ruf Records 2015 ***1/2, l’ultimo album con i Wheel, quello forse con il suono più alla Creedence di tutti, tanto che in conclusione del CD è posta una cover eccellente della band di Fogerty, ovvero Bootleg, ma prima nel disco, questa volta prodotto da Trina Shoemaker, troviamo la title track, un boogie-rock con bottleneck a manetta, un terzetto di brani firmati con Anders Osborne, tra cui spiccano il delizioso ed ottimista mid-tempo Get Busy Living, una ballatona delicata e bellissima come I Was Drunk, anche una ariosa country song come Early In The Morning e per completare la lista delle sue influenze una versione tiratissima di Get Out Of Denver di Bob Seger e la stonesiana Nothin’ But The Truth, a tutto riff.

mike zito make blues not war

Per la serie non sbaglia un album neanche a pagarlo Make Blues Not War – Ruf Records 2016 ***1/2, questa volta registrato negli studi di Nashville di Tom Hambridge, che cura la produzione oltre a suonare la batteria, manco a dirlo è un album di qualità superiore, a partire dalla torrida Highway Mama dove lui e Walter Trout se le “suonano” di santa ragione, coadiuvati da Tommy MacDonald al basso, Rob McNelley alla seconda chitarra solista, in più il magico Kevin McKendree alle tastiere, nella title track e in One More Train appare anche Jason Ricci all’armonica, per due pezzi che ricordano gli Stones dell’era Mick Taylor, mentre nel duetto con il figlio Zach in Chip Off The Block, viene reso omaggio al Texas Blues del grande Stevie Ray Vaughan e nella lancinante Bad News Is Coming viene rivisitata una delle più belle slow blues ballads di Luther Allison.

mike zito first class life

Nel 2018 doppia razione, prima con First Class Life – Ruf 2018 ***1/2 un altro dei suoi dischi migliori in assoluto, dove Zito torna a prodursi in proprio e per l’occasione richiama il vecchio amico, il tastierista Lewis Stephens, mentre Terry Dry e Matthew Johnson sono la nuova sezione ritmica: in Mississippi Nights, di nuovo tra CCR e Seger, fa vibrare quella “voce che ti risuona nell’anima”, come l’ha definita l’amico Anders Osborne, e pure la cover di I Wouldn’t Treat a Dog (The Way You Treated Me), un vecchio brano di Bobby “Blue” Bland, non scherza, cadenzata e vicina allo spirito R&B dell’originale (mi sono autocitato dalla mia vecchia recensione), Mama Don’t Like No Wah Wah, scritta con Bernard Allison, rivela una debolezza personale di Koko Taylor che era refrattaria all’uso nelle sue bands del wah-wah, che però naturalmente viene usato con libidine nel pezzo.

Molto bella The World We Live In tra blue eyed soul e le ballate alla B.B. King, e pure la title track, una southern song che ricorda le alluvioni in Texas dell’anno prima, ha un suo fascino innegabile, come pure Dying Day un brillante e pimpante shuffle dedicato alla moglie Laura, con la solista che viaggia sempre di gusto, tornando poi al Seger Sound per l’ottima Time For A Change, un altro dei brani migliori del CD, che conferma il valore effettivo del nostro amico.

mike zito vanja sky bernard allison blues caravan 2018

Pubblicato come Blues Caravan 2018 – Ruf Records ***1/2 Zito fa comunella con Bernard Allison e Vanja Sky per un altro dei CD+DVD dell’etichetta tedesca, con il secondo che riporta ben sette brani in più della versione audio, registrato a gennaio viene pubblicato nel mese di settembre: con il figlio Bernard che omaggia abbondantemente il repertorio del babbo Luther, Zito si ritaglia una parte nella corale Low Down & Dirty posta in apertura, nel terzetto Keep Coming Back, Wasted Time e Make Blues Not War, le ultime due tratte dal disco omonimo, all’epoca del concerto non ancora pubblicato, mentre nel DVD, oltre ad altri due pezzi in trio, troviamo anche l’ottima One More Train. Del disco a nome Mike Zito & Friends, intitolato Rock’n’Roll – A Tribute To Chuck Berry ****, vi ho già cantato le lodi sul blog, andate a rileggervi quanto detto https://discoclub.myblog.it/2019/12/11/ventuno-anzi-ventidue-chitarristi-per-un-disco-fantastico-mike-zito-friends-rock-n-roll-a-tribute-to-chuck-berry/ : 21 chitarristi per rendere omaggio ad un degli uomini che ha inventato il Rock and Roll.

E per finire un cenno alle collaborazioni e alle produzioni del nostro amico, che definire prolifico è dire poco: nel 2011 produce il disco delle Girls With Guitars: la bravissima Samantha Fish, Dani Wilde e Cassie Taylor ***, poi nel 2014 Temptation *** di Laurence Jones, nel 2017 Up All Night***1/2 il disco di Albert Castiglia, dove appaiono come ospiti Sonny Landreth e Johnny Sansone, nel 2018 l’esordio di Vanja Sky Bad Penny ***, lo stesso anno anche Inspired*** di David Julia per la VizzTone e per la Ruf Straitjacket ***1/2 del bravo Jeremiah Johnson. Nel 2019 esce l’esordio della chitarrista texana Ally Venable Texas Honey e anche il disco per la Ruf di Katarina Pejak Roads That Cross ***, protagonista pure del Blues Caravan 2019 con Ally Venable e Ina Forsman. E per non farsi mancare nulla ha partecipato come ospite ai dischi, andando a ritroso, di Mike Campanella nel 2019, Billy Price Dog Eat Dog, sempre nel 2019, Walter Trout We’re All In This Together del 2017, il disco di Fabrizio Poggi & the Amazing Texas Blues Voices del 2016, Cyril Neville Magic Honey del 2013 e dei Mannish Boys Shake For Me del 2010, tanto per citarne solo alcuni.

Grande chitarrista e cantante, attendiamo ora le prossime mosse di Mike Zito, nel frattempo, se volete investigare, dove cascate cascate, trovate solo ottima musica nei suoi CD.

Bruno Conti

Mike Zito: Un Texano Onorario Tra Rock E Blues, Parte I

mike zito 1

Sul finire dello scorso anno è uscito un bellissimo disco, attribuito a Mike Zito & Friends, intitolato Rock’n’Roll – A Tribute To Chuck Berry, nel quale il musicista di St. Louis (ma Texano onorario, visto che da parecchi anni vive a Nederland, una piccola cittadina nella contea di Jefferson, sulla Gulf Coast, vicino a Viterbo – giuro! – dove ha aperto degli studi di registrazione, Marz Studios, casalinghi, ma bene attrezzati, dove pianifica le sue mosse in ambito musicale, sia come cantante e chitarrista in proprio, che come produttore)  rendeva omaggio al suo illustre concittadino https://discoclub.myblog.it/2019/12/11/ventuno-anzi-ventidue-chitarristi-per-un-disco-fantastico-mike-zito-friends-rock-n-roll-a-tribute-to-chuck-berry/ . Anche lui, come altri bluesmen, ha avuto una lunga gavetta, e vari problemi con droghe e alcol nel corso degli anni, ma ora sembra avere trovato la sua strada e si sta sempre più affermando come una sorta di “Renaissance Man” in ambito rock e blues, ma nella sua musica, praticamente da sempre, sono comunque presenti elementi country e southern, soul e R&B, per uno stile che definire eclettico è fargli un torto.

Le origini e il periodo Eclecto Groove 1996-2011

Mike Zito, grande chitarrista, ma anche ottimo cantante, con una voce che potremmo avvicinare, per chi non lo conoscesse e per dare una idea, a quella del Bob Seger più rock: la sua progressione verso il successo e i giusti riconoscimenti è stata lunga e tortuosa, già in azione a livello locale da quando era poco più di un teenager (è del 1970) Zito ha poi in effetti iniziato a pubblicare album indipendenti e distribuiti in proprio da metà anni ’90, il primo Blue Room è del 1996 ed è stato ristampato dalla sua attuale etichetta, la Ruf, nel 2018.

mike zito blue room mike zito today

In seguito ne sono usciti altri due o tre negli anni 2000, ma andiamo sulla fiducia, perché non mi è mai capitato né di vederli, né tantomeno di sentirli, per cui diciamo che l’inizio della carriera ufficiale avviene con la pubblicazione di Today – Eclecto Groove 2008 *** che esce appunto per la piccola ma gloriosa Eclecto Groove, una propaggine della Delta Groove, che cerca di lanciarlo con tutti i crismi del caso: il suo stile è già quasi perfettamente formato, il disco è co-prodotto da Tony Braunagel, che suona anche la batteria, e da David Z, tra i musicisti coinvolti ci sono Benmont Tench alle tastiere, James “Hutch” Hutchinson al basso, Mitch Kashmar all’armonica, Joe Sublett e Darrell Leonard ai fiati, più Cece Bullard e la texana Teresa James alle armonie vocali. Le canzoni sono tutte firmate da Zito, meno la cover di Little Red Corvette di Prince, e l’album lascia intravedere il futuro potenziale di Mike.

Love Like This suona come un incrocio tra John Fogerty e Bob Seger, da sempre grandi punti di riferimento, con la voce da vero rocker del nostro, aspra e potente, mentre la chitarra è meno prominente rispetto ai dischi attuali, Superman è un funky non perfettamente formato e acerbo, mentre Holding Out For Love, tra jazz alla Wes Montgomery e smooth soul non convince e pure la cover di Prince non è eccelsa.Tra le canzoni migliori la lunga e potente Universe, altro brano dal piglio rock, dove Mike comincia a strapazzare la sua chitarra, il mid-tempo elettroacustico di Blinded, lo slow blues urticante di Slow It Down, il country-southern piacevole di Today, Big City che anticipa in modo embrionale il futuro sound dei Royal Southern Brotherhood e in finale l’eccellente ballata autobiografica Time To Go Home.

mike zito pearl river

L’anno successivo esce Pearl River- Eclecto Groove 2009 ***1/2, registrato tra Austin, New Orleans e Nashville, illustra le diverse anime della musica di Zito, ma soprattutto il blues, e presenta un ulteriore step positivo nello sviluppo della sua musica, Dirty Blonde è un eccitante shuffle texano alla Stevie Ray con Mike Zito che mulina la sua chitarra assistito da Reese Wynans all’organo, Pearl River è uno intenso blues lento scritto con Cyril Neville e cantato alla grande, ottima anche la bluesata Change My Ways, molto bella inoltre la collaborazione con Anders Osborne nella delicata One Step At A Time e la brillante versione di Eyesight To The Blind di Sonny Boy Williamson con Randy Chortkoff all’armonica e un ondeggiante pianino che fa tanto New Orleans.

Come ribadisce la deliziosa e scandita Dead Of Night con Jumpin’ Johnny Sansone alla fisarmonica, per un tuffo nel blues made in Louisiana, 39 Days è un blues-rock di quelli gagliardi e tirati con Susan Cowsill alle armonie vocali, che rimane anche a duettare nella stonesiana Shoes Blues, ma questa volta non c’è un brano scarso in tutto il disco, fantastica pure la cover di Sugar Sweet di Mel London, con un groove di basso libidinoso e Zito e Wynans che duettano alla grande, e in Natural Born Lover Mike sfodera il bottleneck per un altro blues di quelli tosti.

mike zito live from the top

Nel 2009 esce anche Real Strong Feeling, un disco dal vivo uscito per la sua etichetta personale di cui non vi so dire nulla, ma sono le prove generali per il disco Live From The Top – Mike Zito.Com 2010/Ruf Records 2019 ***1/2, ristampato dalla etichetta tedesca sul finire dello scorso anno, con il repertorio pescato a piene mani dall’album del 2009, più alcune cover di pregio e una sfilza di ospiti notevoli: intanto c’è Jimmy Carpenter, futuro sassofonista dei The Wheel, Ana Popovic alla solista per una robusta e super funky versione di Sugar Sweet, con la chitarrista serba in modalità wah-wah e Mike che ribatte colpo su colpo.

E ancora una bellissima versione elettrica di One Step At A Time di Osborne, che sembra una brano del miglior Seger anni ’70, e ancora una torrida 19 Years Old di Muddy Waters, con Nick Moss alla slide e Curtis Salgado all’armonica, e un gran finale con lo slow blues All Last Night di George Smith, una tiratissima Hey Joe di Mastro Hendrix a tutto wah-wah, che pare uscire dal disco con i Band Of Gypsys e Ice Cream Man un oscuro brano di John Brim, contemporaneo di Elmore James, brano ripreso anche dai Van Halen, dove Zito va di nuovo a meraviglia di slide.

mike zito greyhound

L’anno successivo, registrato ai Dockside Studios di Lafayette, Louisiana, con la produzione di Anders Osborne, che appare anche come secondo chitarrista, esce Greyhound – Eclecto Groove 2011 ***1/2, altro solido album dal suono più roots e swampy, vista la location, e la sezione ritmica di Brady Blade alla batteria e Carl Dufrene al basso, abituali collaboratori di Tab Benoit, e quindi già orientati verso quel tipo di sound: tutto materiale originale di Mike, con due collaborazioni con Osborne e Gary Nicholson, si passa dal solido groove rock di Roll On, ancora con la slide in evidenza, alla brillante title track che sembra un brano perduto dei Creedence di John Fogerty.

Passando per il blues acustico e malinconico di Bittersweet e Motel Blues, ben supportato sempre da Anders, passando ancora per il robusto sound della poderosa e chitarritistica The Southern Side, il riff & roll di una quasi hendrixiana Judgement Day, alle sferzate potenti della zeppeliniana The Hard Way, entrambe con i due solisti in modalità “cattiva”, con Stay che sembra uscire dalle paludi della Louisiana, sempre con le slide che imperano https://www.youtube.com/watch?v=fjdawkVl10A , per chiudere con l’intensa Please Please Please, una canzone d’amore quasi disperata.

Fine della prima parte.

Bruno Conti

Anche Quest’Anno Ci Siamo: Il Meglio Del 2019 Secondo Disco Club, Parte IV

numero uno alan ford

Ogni tanto mi rituffo nelle mie vesti virtuali di “Numero Uno” (anche del Blog), in questo caso per la mia classifica di fine anno, molto ampia ed articolata, e vi annuncio sin d’ora che ci sarà anche una appendice corposa, che mi riservo in qualità di Boss, ma soprattutto perché scorrendo le uscite del 2019 mi sono accorto che sarebbero rimasti fuori dalla lista molti titoli meritevoli, già individuati, che però avrebbero reso questo Post quasi un romanzo. Per cui andiamo con il Best Of in versione “normale”, il resto a seguire. Non sono in stretto ordine di preferenza, esclusi i primi sette o otto.

Bruno Conti Il Meglio Del 2019

Top 15

van morrison three chords & the truth

Van Morrison – Three Chords & The Truth

janiva magness sings john fogerty

Janiva Magness – Sings John Fogerty Change In The Weather

christy moore magic nights

Christy Moore – Magic Nights

mavis staples we get by

Mavis Staples – We Get By

gov't mule bring on the music 2 cd

Gov’t Mule – Bring On The Night Live At Capitol Theatre

marc cohn blind boys of alabama work to do

Marc Cohn And Blind Boys Of Alabama – Work To Do

mike zito a tribute to chuck berry

Mike Zito & Friends – Rock ‘n’ Roll – A Tribute To Chuck Berry

reese wynans sweet release

Reese Wynans And Friends – Sweet Release

john mayall nobody told me

John Mayall – Nobdoy Told Me

jack ingram ridin' high...again

Jack Ingram – Ridin’ High Again

chris kinght almost daylight

Chris Knight – Almost Daylight

over the rhine love and revelation

Over The Rhine – Love And Revelation

allison moorer blood

Allison Moorer – Blood

delbert mcclinton tall dark and handsome

Delbert McClinton – Tall, Dark & Handsome

bruce springsteen western starsbruce springsteen western stars songs form the film

Insieme e alla pari, alla faccia di chi ne ha parlato male!

Bruce Springsteen – Western Stars + Western Stars: Songs From The Film

 

Le Migliori Ristampe Nel senso più ampio del termine.

jimi hendrix songs for groovy children front

Jimi Hendrix – Songs For Groovy Children The Fillmore East Concerts

bob dylan rolling thunder revue

Bob Dylan The Rolling Thunder Revue – The 1975 Live Recordings

fleetwood mac before the beginning front

Fleetwood Mac – Before The Beginning

rory gallagher blues

Rory Gallagher – Blues

allman brothers band fillmore west '71 box

Allman Brothers Band – Fillmore West ’71

van morrison the healing game

Van Morrison – The Healing Game 3 CD

the band the band 2 CD

The Band – The Band 50th Anniversary Edition 2 CD

richard thompson across a crowded room live

Richard Thompson – Across A Crowded Room Live At Barrymore’s 1985

steve miller band welcome to the vault

Steve Miller Band – Welcome To The Vault

rolling stones bridges to buenos aires

Rolling Stones – Bridges To Buenos Aires

Jorma Kaukonen & Jack Casady - Bear’s Sonic Journals Before We Were Them

Jorma Kaukonen & Jack Casady – Before We Were Them

E’ uscito all’inizio dell’anno e molti se lo sono dimenticato, ma merita.

bob dylan travelin' thru bootle series vol.15

Bob Dylan – Travelin’ Thru The Bootleg Series Vol. 15 1967-1969

L’altro cofanetto di quest’anno di Bob Dylan (e Johnny Cash).

gregg allman laid back deluxe

Gregg Allman – Laid Back

carole king live at montreux 1973 cd+dvd

Carole King – Live At Montreux 1973 CD/DVD

marvin gaye what's going on live

Marvin Gaye – What’s Going On Live

pretty things the final bow

Pretty Things – The Final Bow CD/DVD/10″

Recensione nei prossimi giorni: ospiti nel concerto Van Morrison David Gilmour.

 

mandolin' brothers 6

Miglior Disco Italiano

Mandolin’ Brothers – 6

 

Il Meglio Del Resto (Una Prima Selezione)

mary black orchestrated

Mary Black – Orchestrated

runrig the last dance

Runrig – The Last Dance

patty griffin patty griffin

tom russell october in the railraod earth

Tom Russell – October In The Railroad Earth

tedeschi trucks band signs

Tedeschi Trucks Band – Signs

drew holcomb neighbors

Drew Holcomb & The Neighbors – Dragons

rodney_crowell-Texas_cover

Rodney Crowell – Texas

https://discoclub.myblog.it/2019/08/22/un-riuscito-omaggio-alle-sue-radici-anche-attraverso-una-serie-di-duetti-rodney-crowell-texas/

robert randolph brighter days

Robert Randolph & The Family Band – Brighter Days

peter frampton band all blues

Peter Frampton Band – All Blues

echo in the canyon soundtrack

Jakob Dylan & Friends – Echo In The Canyon

nick cave ghosteen

Nick Cave & The Bad Seeds – Ghosteen

michael mcdermott orphans

Michael McDermott – Orphans

joe henry the gospel according to water

Joe Henry – The Gospel According To Water

session americana north east

Session Americana – North East

doobie brothers live from the beacon theatre

Doobie Brothers – Live From The Beacon Theatre

leonard cohen thanks for the dance

Leonard Cohen – Thanks For The Dance

 

Delusione Dell’Anno 

sturgill simpson sound & fury

Sturgill Simpson – Sound And Fury Ovvero, il disco più brutto dell’anno! Intendiamoci, ce ne sono a decine, a centinaia, di più brutti, ma da “uno dei nostri” non me lo aspettavo.

Per ora è tutto, ma nei prossimi giorni, come promesso all’inizio del Post, una corposa appendice con il Resto Del Meglio.

Bruno Conti