Classico Rock-Blues Di Stampo Sudista. Mark May Band – Deep Dark Demon

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Mark May Band – Deep Dark Demon – Gulf Coast Records

Nativo dell’Ohio, ma trasferitosi quasi subito in Texas per svolgere la sua attività musicale, Mark May, un tipico esponente della scena locale di Houston, si è poco alla volta creato una notevole reputazione per essere uno dei migliori tra le nuove leve del southern rock, tanto che gli Allman Brothers, anche grazie al suo disco di debutto del 1995 Call Of The Blues, dove Mark già evidenziava le influenze di alcuni suoi preferiti come Albert Collins e Jimi Hendrix, lo vollero come gruppo di spalla nel loro tour del 1997/98, dove si conquistò il rispetto di Dicket Betts che poi lo prese come secondo chitarrista dei Great Southern in una successiva edizione della sua band, dove May ha perfezionato il suo stile con twin lead guitars, anche armonizzanti tra loro, mutuato dallo stile degli Allman. Con questo Deep Dark Demon, il settimo della serie, la Mark May Band approda alla Gulf Coast Records, l’etichetta di Mike Zito, che ultimamente grazie al suo occhio lungo per musicisti suoi spiriti affini in un blues-rock sanguigno e corposo, lo ha messo sotto contratto insieme, tra i tanti, a Albert Castiglia, autore di un eccellente Live https://discoclub.myblog.it/2020/05/09/un-album-dal-vivo-veramente-selvaggio-albert-castiglia-wild-and-free/ , e al quintetto poderoso dei Proven Ones https://discoclub.myblog.it/2020/06/16/una-nuova-band-strepitosa-tra-le-migliori-attualmente-in-circolazione-the-proven-ones-you-aint-done/ , ai link trovate le mie recensioni sul blog.

Sono con Mark May, voce e chitarra solista, rude e vissuta la prima, composita ed eclettica nelle proprie derive la seconda, il bassista Darrell Lacy, Brandon Jackson e Geronimo Calderon alla batteria, e il secondo chitarrista Billy Wells, altro manico notevole, perfetto contrappunto alle divagazioni soliste del nostro (senza dimenticare Zito che se serve dà una mano). Betts indica tra le influenze che intravede nel suo protetto, oltre a quelle citate poc’anzi, anche Stevie Ray Vaughan, Carlos Santana e sé stesso, tutte cose vere e verificabili all’ascolto del CD, dove contribuisce alla riuscita dell’album anche l’uso costante delle tastiere, organo in prevalenza, suonate dall’ottimo Shawn Allen. Undici brani in tutto, spesso tra i sei e i sette minuti di durata, in modo da consentire alla band consistenti divagazioni strumentali senza comunque entrare nel superfluo o nel virtuosismo fine a sé stesso, quindi sempre a a favore di un sound che tiene avvinto l’ascoltatore.

Si parte con una gagliarda e potente Harvey Dirty’s Side, allmaniana e superba nel suo dipanarsi, con costanti citazioni anche a Jimi Hendrix grazie all’uso prolungato del wah-wah, in una canzone che racconta le vicende legate all’uragano Harvey (e non a Weinstein come si poteva supporre), che devastò Houston nel 2017, e che le atmosfere ricche di pathos ben individuano, con un riff di apertura che è puro southern rock vecchia maniera con una slide malandrina, poi declamato in un rock-blues robusto, che immette anche elementi alla Led Zeppelin o soprattutto Gov’t Mule, con l’organo che inziga le chitarre di Mark May e del suo socio Billy Wells, in un call and response corposo, prima che venga innestato il pedale wah-wah a manetta e, come nelle buone tradizioni del genere, non si fanno prigionieri.

Non tutto l’album è ai livelli di questa apertura incendiaria, ma BBQ And Blues è un ondeggiante shuflle tra boogie-rock e 12 battute classiche, più leggero e scanzonato, comunque sempre di buona fattura, le armonizzazioni delle due soliste sono più contenute ma godibili, poi in Back si scatena una festa latina, senza Carlos, ma con lo spirito di Santana evocato dalle fluide linee soliste, spesso all’unisono, delle chitarre, e percussioni (Al Pagliuso) e tastiere a ricordare il sound del baffuto californiano; la title track è un tipico slow blues di quelli duri, puri e tosti, tra SRV e vecchio British Blues, sempre con soliste molto impegnate, mentre l’incalzante Sweet Music rimanda di nuovo ai duelli Allman/Betts o Haynes/Trucks con May che sfodera anche una interpretazione vocale degna di Gregg, altro brano di qualità sopraffina. Qualità che non scema neppure nella sinuosa Rolling Me Down, di nuovo con le chitarre “gemelle”, slide e tradizionale, in bella evidenza, sostenute da un pianino malandrino, prima di ribadire ulteriormente il migliore spirito southern della vecchia ABB nella lunga e superba My Last Ride, ritmo incalzante, grandi giri armonici e raffinato lavoro delle soliste, altro pezzo sopra la media.

Four Your Love inserisce anche elementi R&B, in una ballata che evidenzia l’eclettismo imperante in questo album, con un sax insinuante, suonato da Erik Demmer, e tocchi più morbidi, forse fuori contesto, benché non disprezzabili, comunque la MMB si riprende subito con le volute blues-rock gagliarde della nuovamente allmaniana Walking Out The Door, dove le chitarre urlano e strepitano ancora alla grande, sempre con raffinate improvvisazioni armoniche di pregiata eleganza e potenza al contempo, con May che poi nel finale parte per la tangente. Something Good è un’altra bella ballata sudista, questa volta di stampo più consistente, organo di ordinanza, voce che emoziona mentre intona la bella melodia, uso lirico e carezzevole della slide, e per non farsi mancare nulla nella conclusiva super funky Invisible Man Mark May cosa ti va a “inventare”, l’uso di un talk box che non sentivo dai tempi di Frampton e Joe Walsh, che unito al groove coinvolgente del brano fa venire voglia di muovere mani e piedi per seguire il ritmo. Come si suol dire, niente di nuovo, ma fatto molto bene, prendere nota.

Bruno Conti

Dickey Betts: L’Altro Grande Chitarrista Degli Allman Brothers, Parte II

dickey betts today dickey betts 1974 live

Seconda parte.

Per il successivo disco di studio dovremo aspettare dieci anni, quando uscirà

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Dickey Betts Band – Pattern Disruptive – Epic 1988 ***

Curiosamente anche in questo album ci sono due futuri componenti della allora imminente nuova edizione degli Allman, quella 1989-1990, ovvero Warren Haynes alla seconda solista e Johnny Neel alle tastiere, con Butch Trucks e Matt Abts alla batteria. Formazione della Madonna, le canzoni un po’ meno, anche se le prime quattro portano la firma Betts/Haynes/Neel, che in tutto firma come co-autore ben 8 dei 10 brani: però a livello strumentale il suono è solidissimo anche se un po’ pompato e commerciale a tratti (Heartbreak Line è quasi AOR rock), ma sentite come suonano nell’iniziale Rock Bottom, in Time To Roll e in Blues Ain’t Nothin.

Bello pure il tributo strumentale al vecchio amico in Duane’s Tune, ma forse complessivamente ci si poteva aspettare di più, anche se probabilmente anni di eccessi con droghe e alcol fanno sentire il proprio effetto, e mentre Gregg Allman provvederà a disintossicarsi, all’inizio degli anni ’00 gli altri della band lo metteranno (non tanto) gentilmente alla porta. A questo punto il nostro amico rimette subito in azione il suo altro gruppo, con nuovi elementi e fa uscire

dickey betts band let's get together

Dickey Betts Band – Let’s Get Together – 2001 Free Falls Entertainment – ***1/2

La band è composta da  Mark Greenberg e Frank Lombardi alle batterie, Kris Jensen, sax e flauto, Dave Stoltz al basso, Mark May alla seconda chitarra, e Matt Zeiner alle tastiere, più qualche ospite, e all’interno del libretto c’è una foto di gruppo con mogli e figli che vorrebbe ricordare gli anni felici della “comune” Allman Brothers. Il disco è piuttosto buono nell’insieme: Rave On è un grintoso blues shuffle strumentale dove l’uso di sax e fiati aggiunge profondità e l’interscambio tra un ispirato Betts, che come chitarrista non si discute certo, e May, entrambi impegnati a scambiarsi fendenti alle rispettive Les Paul, è eccellente, sembrano quasi gli Allman.

La title-track con Donna Bonelli alle armonie vocali è uno spiritato errebì con il riff “ispirato” dal vecchio brano di Wilbert Harrison, rimanda al suono dei migliori ABB, twin guitars a go-go e anche l’impiego di un inconsueto wah-wah aiutano; Immortal  e il lento Call Me Anytime, entrambe cantate con voce vissuta da Zeiner hanno chiari retrogusti soul. Ma i due pezzi forti del CD sono le lunghe, oltre i dieci minuti, One Stop Be-Bop, dove Il nostro rivisita con classe e grande perizia strumentale tutto lo scibile musicale, dal jazz in tutte le forme, be-bop, swing e fusion, al southern rock,  con un corposo aiuto dal sax di Jensen e dalla seconda chitarra di May, e anche i 12 minuti di Dona Maria riservano qualche sorpresa, con uno stile latin rock molto santaneggiante, suonato con grande souplesse e tecnica sopraffina.

Niente male anche la ballatona country-southern Tombstone Eyes, a dimostrazione che questi brani non li sapeva scrivere solo Gregg, e Betts la canta pure con grande enfasi e trasporto. Un bel disco che viene seguito l’anno successivo dal ritorno dei Great Southern con quello che è, e temo rimarrà, l’ultimo strano album di studio del musicista della Florida.

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Dickey Betts & Great Southern – The Collectors #1 –  2002 Self Released  ***1/2

In effetti si  tratta di uno “strano” disco registrato con lo stesso personale di Let’s Get Together, principalmente materiale elettroacustico, proveniente dalle stesse sessioni, qualche jam, qualche versione alternativa, molto materiale strumentale, tanto che poi è uscito in Inghilterra in un doppio CD della Evangeline del 2009, ora Retroworld, in un twofer appunto con Let’s Get Together. Dickey Betts suona la chitarra acustica in tutti i brani: tra cui una piacevole ed inconsueta Beyond The Pale che è un brano di raffinato folk celtico, una brillante versione western swing di Georgia On A Fast Train di Billy Joe Shaver, la parte 2 di One Step Bebop, sempre in modalità tra jazz e old time swing, un raro omaggio a Bob Dylan, con una bella versione di I Shall Be Released.

Non manca il blues del Delta con una sentita versione di Steady Rollin’ Man, solo voce, chitarra acustica e armonica, una lunghissima, oltre 14 minuti, e splendida versione del blues lento Change My Way Of Living, che in origine era uscita su Where It All Begins degli Allman Brothers, come pure Seven Turns, la title track del disco del disco del 1990 e un altro strumentale western swing come The Preacher. Forse inconsueto ma è un dischetto che vale la pena di cercare.

Questo è tutto per i suoi album di studio, ora una piccola

Selezione di Album Live, ufficiali, Instant, radiofonici, eccetera.

Senza voler essere esaustivi, perché a livello dischi dal vivo Betts è stato molto prolifico vediamo di segnalarne alcuni tra i più interessanti, anche in base alla attuale reperibilità. E dal vivo il nostro amico, nonostante i suoi  annosi problemi vari di dipendenza, e la comunque cospicua produzione con la ABB, sapeva sempre come dispensare emozioni a piene mani. Citando a caso tra i migliori il box da 2 DVD/3 CD Live At The Rockpalast 1978 & 2008 ***1/2, con i concerti dei Great Southern, con tutti i classici come In Memory Of Elizabeth Reed, Jessica, High Falls (30 minuti), Ramblin’ Man, Statesboro Blues, One Way Out e anche una lunga jam di 17 minuti con gli Spirit  in If I Miss This Train/Rockpalast Jam, tratta dal concerto della band di Randy California.

Sempre dal vivo in Germania Live From The Metropolis, Germany 2006***1/2, ancora con i Great Southern dove milita anche il figlio Duane Betts alla seconda solista e Andy Aledort addirittura alla terza chitarra, formula adottata negli ultimi anni. Tra i “radiofonici” ottimo il Live At The Coffee Pot 1983 ***1/2, iscito sia in doppio CD che in DVD ed attribuito ad una sorta di supergruppo con Dickey Betts, Jimmy Hall dei Wet Willie, Chuck Leavell e Butch Trucks (BHLT), che vista la presenza di Hall come cantante, a tratti vira anche verso soul e R&B.

Come saprete lo scorso anno Betts ha avuto seri problemi di salute, prima un leggero ictus, poi un incidente domestico per una caduta che gli ha provocato la frattura del cranio, da cui pare si sia ripreso, ma che ne hanno notevolmente limitato la capacità di essere autosufficiente e non si sa se sarà ancora in grado di suonare dal vivo, comunque poco prima di questi grossi problemi aveva fatto in tempo ad incidere un nuovo disco dal vivo CD + Blu-ray,  Ramblin’ Man: Live At The St. George Theatre ****, molto bello, probabilmente il migliore in assoluto, e di cui leggete in altra parte del Blog https://discoclub.myblog.it/2019/08/18/prima-delle-disavventure-andava-ancora-come-un-treno-the-dickey-betts-band-ramblin-man-live-at-the-st-george-theatre/

Bruno Conti

Un Live Tira L’Altro. Dickey Betts & Great Southern – Southern Jam New York 1978

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Dickey Betts & Great Southern – Southern Jam New York 1978 – Rockbeat 2 CD

Negli ultimi anni, diciamo dieci abbondanti, sono usciti più dischi dal vivo di Dickey Betts, attribuiti a lui, ai Southern Allstars o con i Great Southern, di quanto pubblicato in tutta la sua carriera restante, Allman Brothers esclusi ovviamente. Ormai della grande band sudista nella formazione originale, a parte Jaimoe, è rimasto vivo solo lui, gli altri non ci sono più e quindi per certi versi toccherebbe proprio a Betts tenere alto il vessillo della gloriosa formazione di Macon, ma il chitarrista sono anni che non pubblica un album di studio, più di 15, dai tempi di Let’s Get Together e quindi ci dobbiamo “accontentare” di queste pubblicazioni di archivio: il doppio del Rockpalast copriva registrazioni sia del 1978 come del 2008, mentre il Live At Metropolis, della categoria broadcast, viene sempre dal 2008, altri come Coffee Pot o quello a nome Southern Allstars al Capitol Theatre di Passaic, peraltro ottimi, documentano i concerti del 1983 http://discoclub.myblog.it/2016/09/07/dei-sudisti-antichi-ne-vogliamo-parlare-the-southern-allstars-live-radio-broadcast-capitol-theatre-passaic-nj-may-7th-1983/ , The Official Bootleg riguarda un concerto del 2006, quindi questa Southern Jam del 1978 a New York giunge graditissima.

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https://www.youtube.com/watch?v=35AqdIC3QBM

Come dicono i tipi della RockBeat pare trattarsi di uscita autorizzata dagli artisti e presa da registrazioni pre-FM, cioè catturate prima della diffusione radiofonica e poi rimasterizzate (non sempre è vero per i loro prodotti, e anche qui ho dei dubbi in proposito): comunque la qualità è in effetti molto buona, ogni tanto c’è un effetto proprio da broadcast radiofonico con il sound che si fa a tratti “sibilante” e pasticciato, ma più che accettabile. Però la qualità musicale compensa abbondantemente, siamo a Hempstead, New York (quindi nella tana del “nemico” nordista, ma vicino ai luoghi dei trionfi degli Alllman), 11 Agosto 1978, la band è eccellente, con la doppia batteria di David Toler e Donnie Sharbono, fratello Dan Toler alla seconda chitarra, David Goldflies  al basso e Mimi Hart alle armonie vocali, della line-up del secondo album manca giusto Reese Wynans alle tastiere, sostituito da Michael Workman, che comunque era presente in Atlanta’s Burning Down, uscito pochi mesi prima. E poi c’è un Dickey Betts formidabile, chitarrista mai abbastanza lodato, spesso considerato la ruota di scorta di Duane Allman, e poi offuscato negli ultimi anni degli Allman Brothers da Warren Haynes e Derek Trucks, ma pure lui solista sopraffino, con un tocco vellutato dalle nuances country e blues, ma in grado di scatenare uragani di note rock e improvvisazioni di stampo quasi jazzistico, come gli illustri colleghi citati poc’anzi: Run Gypsy Run viene dal primo album dei Great Southern ed è una partenza formidabile, il sound è quello di Brothers And Sisters, pura musica sudista, con le due batterie e il basso di Goldflies che offrono un formidabile supporto ritmico alle divagazioni soliste di un ispiratissimo Betts, ben supportato da Dan Toler, e la Hart aggiunge un pizzico di “soul” alla voce non memorabile di Dickey, You Can Have Her (I Don’t Want Her) e Good Time Feeling hanno il classico suono tra country e rock del miglior Betts, decisamente più bluesata e boogie southern la seconda.

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https://www.youtube.com/watch?v=qqgvZ_aF7n0

In Memory Of Elizabeth Reed arriva quasi subito, versione compatta di “soli” 11 minuti, con partenza attendista e poi il classico e fluido riff che si dispiega in tutta la sua bellezza, con la slide di Betts che disegna linee sinuose mentre Toler cerca di sostituire Duane; Bougainvillea dal primo album omonimo è uno dei pezzi più belli del Dickey Betts solista, una struggente ballata degna dei brani migliori degli Allman Brothers, buona ma non eccelsa California Blues a parte per il lavoro scintillante della chitarra, ribadito e portato alla ennesima potenza nel medley che chiude il primo CD, si parte con Jessica, poi arriva Southbound e nel finale di nuovo Jessica, che dire? Una meraviglia, anche Toler è brillantissimo e le due chitarre all’unisono sembrano teleguidate. Anche il secondo dischetto applica la stessa formula: si parte con Crazy Love, allora inedita e che sarebbe apparsa su Enlightened Rogues, il disco della prima reunion degli Allman del 1979, vigoroso pezzo blues-rock dove le slide vanno di gusto e la Hart ricopre il ruolo di Bonnie Bramlett nella versione di studio, seguita da Long Time Love, l’unico estratto da Highway Call, a questo punto del concerto arriva una monumentale High Falls, che era su Win, Lose Or Draw, diviso in due parti lo strumentale complessivamente dura quasi 27 minuti, compresi gli immancabili e lunghissimi assoli di batteria e basso, pura goduria sonora, con le due chitarre magiche, ma anche la band suona in modo splendido, sembrano quasi gli Allman Brothers. E non manca neppure una godibilissima Blue Sky, tratta da Eat A Peach, richiesta dal pubblico, ancora con le intricate linee soliste delle twin guitars di Dickey Betts e Dan Toler,  in grado di creare nuove meraviglie sonore, prima del commiato finale dedicato ad una sontuosa Ramblin’ Man.

Bruno Conti