Dickey Betts: L’Altro Grande Chitarrista Degli Allman Brothers, Parte I

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In fondo, anche se Forrest Richard “Dickey “ Betts è stato il chitarrista della Allman Brothers Band dal 1969 al 1976, poi dal 1978 al 1982, nel 1986, e ancora dal 1989 al 2000, per tutti, o per molti, è sempre stato “l’altro” chitarrista, la spalla di Duane Allman, col quale a ben vedere ha suonato solo per circa due anni o poco più, fino alla morte di quest’ultimo avvenuta il 29 ottobre del 1971. Ma tanto era bastato per forgiare una coppia di chitarristi formidabili che avevano costruito un interscambio tra loro quasi telepatico, con i due che si completavano a vicenda : anche se altre band avevano avuto, pure in precedenza, due chitarre soliste, per dirne un paio la Butterfield Blues Band di Mike Bloomfield e Elvin Bishop o i Fleetwood Mac di Peter Green e Danny Kirwan, per non parlare degli Stones. Ma nel caso di Allman e Betts, se mi perdonate la citazione colta, erano “primus inter pares”, benché, come ricordavo prima, poi quello passato alla storia è stato Duane Allman, che ad essere onesti comunque aveva qualcosa in più del suo compagno di avventura.

Ma quella è un’altra storia e per non privilegiare ancora una volta “l’altro”, questa volta raccontiamo la storia (a livello discografico) di Betts. In effetti Richard, nato a West Palm Beach, Florida, il 12 dicembre del 1943, era il “vero” sudista, in quanto già nel 1967 suonava nei Second Coming, con Berry Oakley, il fratello Dale, e Reese Wynans, un embrionale southern rock, che poi unito a quello degli Hour Glass dei fratelli Allman, avrebbe dato vita a quel rock sudista organico e libero da vincoli che rimane tuttora uno dei generi più amati , considerati e longevi, in terra americana. Dei Second Coming rimane solo un 45 giri pubblicati nel 1968, ma niente di più concreto, mentre la carriera solista di Dickey Betts è stata breve e frammentaria, anche se ha prodotto almeno un grande album.

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Richard Betts – Highway Call – Capricorn 1974 ****

Registrato nel 1974 ai Capricon Studios di Macon, Georgia, l’album è una specie di completamento e perfezionamento dello stile più country che Betts aveva impiegato per registrare Brothers And Sisters l’anno precedente: il principale collaboratore presente nel disco è il grande violinista Vassar Clements, maestro di country e bluegrass, che aveva partecipato in precedenza a dischi epocali come Aereo-Plain di John Hartford, Will The Circle Be Unbroken della Nitty Gritty Dirt Band e all’album degli Old & In The Way, con Garcia, Grisman e Rowan. Il disco di Betts partiva da quei presupposti, ma poi nel suo svolgimento era più elettrico, più country-rock, grazie alla presenza di una sezione ritmica, di Chuck Leavell al piano, di John Hughey alla steel guitar, di Jeff Hanna della Nitty Gritty e altri musicisti di complemento validi. Tutte le canzoni, a parte la conclusiva Kissimmee Kid di Clements, portano la firma di Dickey Betts, e il disco, prodotto da Johnny Sandlin, sorprendentemente arrivò fino al 19° posto delle classifiche.

La durata è di soli 35 minuti ma il disco conferma la “voce” trovata nel recente Brothers and Sisters e nei suoi poco più di 35 minuti è un disco vivo e vibrante: Long Time Gone ha quel delizioso suono alla Ramblin’ Man, tra country e rock, con la solista sinuosa e di gran classe e tecnica di Dickey, che si insinua tra pedal steel, piano e una sezione ritmica agile ma robusta, e il lavoro vocale delle Rambos aggiunge un pizzico di suoni del profondo Sud. Anche Rain è simile alla precedente, un altro squisito country-rock dove Hughey alla pedal steel fa il Duane della situazione in simbiosi con la solista di Betts. Ottima anche la title track, una malinconica ballata che potrebbe venire dal songbook di James Taylor, con Leavell superbo al piano e una bella melodia a sostenere la canzone; Let The Nature Sing, è un perfetto esempio di dolce pastorale Americana, con intrecci paradisiaci del dobro di Betts, del violino di Clements, della pedal steel di Hughes, del mandolino di Adams, e anche il lavoro vocale rilassato e corale di Dickey e delle coriste è incantevole e sognante.

Hand Picked, è la controparte western swing, bluegrass e country dei migliori strumentali di Betts come Jessica, la più simile, High Falls o Pegasus, oltre 14 minuti di pura jam music dove tutti i solisti, da Betts a Clements, passando per Leavell e Hughey, improvvisano come non ci fosse futuro in modo superbo e in assoluta libertà. E La conclusiva Kissimee Kid è una replica più in breve della stessa formula. Grande disco, anche se di così belli non ne farà più, riservando le sue migliori risorse per gli ABB. Comunque tra il 1977 e il 1978 forma i Great Southern con cui incide due buoni dischi.

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Dickey Betts & Great Southern – Arista 1977 ***

Dickey Betts & Great Southern – Atlanta’s Burning Down – Arista 1978 ***1/2

Il primo omonimo, forse perché di musicisti particolarmente validi a parte Dan Toler alla chitarra (la formula della doppia solista non manca mai, un must del rock sudista), non ce ne sono altri, non è particolarmente memorabile: Out To Get Me è un buon blues-rock con l’armonica di Topper Price e la slide di Betts in bella evidenza, e qualche tocco di twin leads, non male anche Run Gypsy Run , un solido pezzo rock con rimandi a Ramblin’ Man ed ottimo lavoro delle due soliste, come pure la countryeggiante Sweet Viriginia, che non è quella degli Stones e neppure il brano di Guthrie Thomas, ma fa la sua ottima figura anche grazie ad una slide tangenxiale. Devo dire che riascoltando il disco per questo articolo mi viene da rivalutarlo, anche in virtù della bellissima ballata Bougainvillea posta in chiusura che rivaleggia con le migliori degli Allman Brothers, con la lunga parte strumentale dove si  apprezza il lavoro della doppia batteria e doppia solista.

Nel disco del 1978 rimane Topper Price che è comunque un buon armonicista, ma arrivano i futuri Allman Brothers, David Toler alla batteria, e David Goldflies al basso, che insieme a Dan Toler saranno nella formazione della ABB dal 1978 al 1982, ma trattasi di altra storia. In più in Atlanta’s Burning Down troviamo Reese Wynans, il vecchio amico dei Second Coming, alle tastiere, ed un terzetto di vocalist femminili di supporto da sballo, Bonnie Bramlett, Clydie King e Sherlie Matthews. Il risultato è eccellente, dall’iniziale carnale Good Time Feeling che rimanda agli Allman più in vena di boogie, ma con gli elementi soul portati dalle tre coriste, la title track scritta dal veterano Billie Ray Reynolds è una bellissima ballata sulla Guerra Civile, arricchita anche da una sezione archi e da un’ottima interpretazione vocale di Betts, che lavora anche di fino con la sua lirica solista, mentre le armonie vocali si lasciano gustare appieno.

Back On The Road Again va di nuovo di boogie alla Lynyrd Skynyrd, e anche Dealin’ With The Devil rocca e rolla alla grande; Shady Street è un’altra ballata che non avrebbe sfigurato nel repertorio degli Allman, magari cantata da Gregg, non male anche lo swingato errebì  You can have her, I don’t want her, con le tre ragazze in modalità call and response con Dickey, e la conclusiva malinconica ed intensa Mr. Bluesman cantata a due voci con Bonnie Bramlett.

Fine della prima parte, segue.

Bruno Conti

Uno Dei Migliori Episodi Della Serie! Dickey Betts & Great Southern – Live At Rockpalast 1978 & 2008

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Dickey Betts & Great Southern – Live At Rockpalast 1978 & 2008 – WDR 3CD/2DVD Box Set

Negli anni la serie Live At Rockpalast, dal nome di una nota trasmissione della TV tedesca che si occupa dal 1974 di trasmettere concerti rock che si tengono in terra teutonica, ci ha regalato (si fa per dire) diversi CD o DVD assolutamente degni di nota, come quelli dedicati a Richard Thompson, George Thorogood, Ian Hunter, Graham Parker, Lee Clayton, Willy DeVille, Muddy Waters ed i Rockpile, ma ne potrei citare altri. L’ultima pubblicazione in ordine di tempo è a mio parere una delle più riuscite, ed anche delle più generose: infatti stiamo parlando di due concerti distinti del grande Dickey Betts con due diverse formazioni dei Great Southern, uno nel 1978 e l’altro nel 2008, cioè nei due periodi in cui non faceva parte dalla Allman Brothers Band, il tutto presentato in un elegante box formato “clamshell” contenente tre CD audio e due DVD, che propongono lo stesso menu. Come sappiamo Betts è un musicista straordinario, che ha da sempre eletto il palcoscenico come luogo principe delle sue scorribande elettriche, sia dentro che fuori dagli Allman: negli ultimi anni, a causa dell’età e di qualche acciacco, ha un po’ diradato l’attività, ma quando prende in mano la sua sei corde è ancora in grado di far vedere ciò che vale.

E questi due concerti tedeschi (ad Essen quello del 1978, a Bonn quello del 2008) ce lo fanno assaporare al meglio delle sue enormi possibilità, per di più con una pulizia sonora impressionante. Nel 1978 Betts aveva lanciato da tre anni la sua carriera solista, approfittando anche dello scioglimento degli Allman a causa di insormontabili problemi interni, ed aveva formato i Great Southern, una band di turnisti di ottimo valore che lo assistevano in maniera più che valida https://discoclub.myblog.it/2018/01/10/un-live-tira-laltro-dickey-betts-great-southern-southern-jam-new-york-1978/ . Se in studio Dickey non riusciva ad esprimersi al meglio ed i suoi album erano discreti ma non eccelsi, on stage la trasformazione era palese, come dimostrano le dieci canzoni di questa serata di Marzo del 1978, nella quale fa letteralmente venire giù la Grugahalle di Essen con un set che definire infuocato è poco. Accompagnato da un quintetto (Dan Toler, chitarrista che seguirà Betts negli Allman per la prima reunion dal 1979 al 1981, il fratello David Toler e Dani Sharbono alla doppia batteria, David Goldflies al basso e l’ottimo Michael Workman al piano ed organo), Dickey si lancia subito nel boogie Run Gypsy Run, un brano potente e perfetto per scaldare i motori, con la sezione ritmica che è già un macigno ed il nostro che rilascia un paio di assoli notevoli. You Can Have Her è una sorta di gospel-rock davvero trascinante, specie nel botta e risposta vocale del ritornello, ritmo sostenutissimo e Dickey che lascia scorrere le dita sul manico della chitarra in maniera sontuosa.

Leavin’ Me Again è un sanguigno rock-blues che vede il nostro imbracciare la slide, e sono sei minuti di pura goduria musicale, grazie anche alla band che non perde un colpo; le cose vanno ancora meglio in Back On The Road Again, un rock’n’roll tutto ritmo e adrenalina, praticamente un treno in corsa, che prelude ad una grandiosa In Memory Of Elizabeth Reed, undici minuti in cui il classico degli Allman viene riletto con la solita dose di feeling e creatività, mantenendo le tipiche atmosfere calde tra rock e jazz ed i cambi di tempo che l’hanno resa famosa. E poi Betts suona davvero in maniera celestiale, sentire per credere (ed al giubilo generale partecipano anche Workman con il suo organo e Toler che non vuole essere da meno del suo datore di lavoro). Dickey è ancora in tiro e lo dimostra con una devastante Good Time Feelin’, sette minuti irresistibili tra rock, boogie e blues, ritmo saltellante e solita chitarra spaziale, mentre i quattro minuti scarsi del bluesaccio elettrico Dealin’ With The Devil servono da apripista per un altro highlight, e cioè una splendida rilettura di Jessica, tredici minuti vibranti di grandissima musica, con il ben noto riff melodico che si apre verso una lunga serie di improvvisazioni di livello inarrivabile per chiunque, in cui anche il piano elettrico e la seconda chitarra di Toler dicono la loro.

Ma se pensate che il concerto sia giunto all’apice, beccatevi una monumentale High Falls (sempre ABB, era sul sottovalutato Win, Lose Or Draw) della durata di mezz’ora: non ho parole per descrivere cosa succede sul palco, una incredibile jam in cui c’è spazio anche per assoli di basso e batteria, veramente da urlo; lo show finisce con una fluida versione della splendida Ramblin’ Man, puro country-rock, uno dei brani di punta di quel grande disco degli Allman che era Brothers And Sisters. Come bonus, e che bonus, abbiamo 17 minuti di musica libera, creativa e coinvolgente al massimo intitolata If I Miss This Train/Rockpalast Jam, in cui Betts funge da ospite speciale nientemeno che per gli Spirit, ed il solo pensare a Dickey e Randy California sullo stesso palco vi può solo far immaginare cosa i due riescano a fare, un fiume in piena tra rock, blues ed un tocco di psichedelia, un’aggiunta graditissima che forse da sola vale l’acquisto del box. E veniamo alla serata del 2008, altre dieci canzoni in cui un Dickey Betts notevolmente più esperto guida una band giovane ma con la bava alla bocca, a partire dal figlio Duane Betts, ottimo alla seconda chitarra, Frankie Lombardi e James Vanardo alla batteria, Andy Aledort alla terza chitarra, Pedro Arevalo al basso e Michael Kach all’organo.

Qui ci sono solo tre pezzi del Betts solista: la vibrante e bluesata Nothing You Can Do, la distesa Get Away, una delle rare slow ballads del nostro, anche se il suono è sempre molto potente, e la solare e corale Having A Good Time, decisamente gradevole e con qualche punto in comune con lo stile dei Grateful Dead. Il resto è repertorio degli Allman, con tre ripetizioni rispetto al concerto del 1978, e cioè una Elizabeth Reed che di minuti ne dura quasi venti (inutile dire che c’è da godere come armadilli), mentre sia Jessica che Ramblin’ Man, posta anche qui in chiusura, durano più o meno come trent’anni prima. Gli altri quattro pezzi sono una sempre solidissima Statesboro Blues, che apre il concerto nello stesso modo del mitico Live At Fillmore East, la stupenda Blue Sky, ovvero la quintessenza del Betts autore e musicista, con assoli di una liquidità impressionante, una tonante One Way Out da spellarsi le mani (qui attribuita per errore a Dickey stesso, mentre come saprete è del repertorio di Sonny Boy Williamson) e la meno famosa No One To Run With (era su Where It All Begins, l’ultimo album di studio della ABB con Betts al suo interno), una buona canzone anche se non mi sarebbe dispiaciuto ascoltare la splendida Seven Turns, una delle mie preferite in assoluto. Grandissimo doppio concerto quindi, direi imperdibile: sia che decidiate di ascoltarlo o di vederlo, il godimento è garantito.

Marco Verdi

Un Live Tira L’Altro. Dickey Betts & Great Southern – Southern Jam New York 1978

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Dickey Betts & Great Southern – Southern Jam New York 1978 – Rockbeat 2 CD

Negli ultimi anni, diciamo dieci abbondanti, sono usciti più dischi dal vivo di Dickey Betts, attribuiti a lui, ai Southern Allstars o con i Great Southern, di quanto pubblicato in tutta la sua carriera restante, Allman Brothers esclusi ovviamente. Ormai della grande band sudista nella formazione originale, a parte Jaimoe, è rimasto vivo solo lui, gli altri non ci sono più e quindi per certi versi toccherebbe proprio a Betts tenere alto il vessillo della gloriosa formazione di Macon, ma il chitarrista sono anni che non pubblica un album di studio, più di 15, dai tempi di Let’s Get Together e quindi ci dobbiamo “accontentare” di queste pubblicazioni di archivio: il doppio del Rockpalast copriva registrazioni sia del 1978 come del 2008, mentre il Live At Metropolis, della categoria broadcast, viene sempre dal 2008, altri come Coffee Pot o quello a nome Southern Allstars al Capitol Theatre di Passaic, peraltro ottimi, documentano i concerti del 1983 http://discoclub.myblog.it/2016/09/07/dei-sudisti-antichi-ne-vogliamo-parlare-the-southern-allstars-live-radio-broadcast-capitol-theatre-passaic-nj-may-7th-1983/ , The Official Bootleg riguarda un concerto del 2006, quindi questa Southern Jam del 1978 a New York giunge graditissima.

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https://www.youtube.com/watch?v=35AqdIC3QBM

Come dicono i tipi della RockBeat pare trattarsi di uscita autorizzata dagli artisti e presa da registrazioni pre-FM, cioè catturate prima della diffusione radiofonica e poi rimasterizzate (non sempre è vero per i loro prodotti, e anche qui ho dei dubbi in proposito): comunque la qualità è in effetti molto buona, ogni tanto c’è un effetto proprio da broadcast radiofonico con il sound che si fa a tratti “sibilante” e pasticciato, ma più che accettabile. Però la qualità musicale compensa abbondantemente, siamo a Hempstead, New York (quindi nella tana del “nemico” nordista, ma vicino ai luoghi dei trionfi degli Alllman), 11 Agosto 1978, la band è eccellente, con la doppia batteria di David Toler e Donnie Sharbono, fratello Dan Toler alla seconda chitarra, David Goldflies  al basso e Mimi Hart alle armonie vocali, della line-up del secondo album manca giusto Reese Wynans alle tastiere, sostituito da Michael Workman, che comunque era presente in Atlanta’s Burning Down, uscito pochi mesi prima. E poi c’è un Dickey Betts formidabile, chitarrista mai abbastanza lodato, spesso considerato la ruota di scorta di Duane Allman, e poi offuscato negli ultimi anni degli Allman Brothers da Warren Haynes e Derek Trucks, ma pure lui solista sopraffino, con un tocco vellutato dalle nuances country e blues, ma in grado di scatenare uragani di note rock e improvvisazioni di stampo quasi jazzistico, come gli illustri colleghi citati poc’anzi: Run Gypsy Run viene dal primo album dei Great Southern ed è una partenza formidabile, il sound è quello di Brothers And Sisters, pura musica sudista, con le due batterie e il basso di Goldflies che offrono un formidabile supporto ritmico alle divagazioni soliste di un ispiratissimo Betts, ben supportato da Dan Toler, e la Hart aggiunge un pizzico di “soul” alla voce non memorabile di Dickey, You Can Have Her (I Don’t Want Her) e Good Time Feeling hanno il classico suono tra country e rock del miglior Betts, decisamente più bluesata e boogie southern la seconda.

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https://www.youtube.com/watch?v=qqgvZ_aF7n0

In Memory Of Elizabeth Reed arriva quasi subito, versione compatta di “soli” 11 minuti, con partenza attendista e poi il classico e fluido riff che si dispiega in tutta la sua bellezza, con la slide di Betts che disegna linee sinuose mentre Toler cerca di sostituire Duane; Bougainvillea dal primo album omonimo è uno dei pezzi più belli del Dickey Betts solista, una struggente ballata degna dei brani migliori degli Allman Brothers, buona ma non eccelsa California Blues a parte per il lavoro scintillante della chitarra, ribadito e portato alla ennesima potenza nel medley che chiude il primo CD, si parte con Jessica, poi arriva Southbound e nel finale di nuovo Jessica, che dire? Una meraviglia, anche Toler è brillantissimo e le due chitarre all’unisono sembrano teleguidate. Anche il secondo dischetto applica la stessa formula: si parte con Crazy Love, allora inedita e che sarebbe apparsa su Enlightened Rogues, il disco della prima reunion degli Allman del 1979, vigoroso pezzo blues-rock dove le slide vanno di gusto e la Hart ricopre il ruolo di Bonnie Bramlett nella versione di studio, seguita da Long Time Love, l’unico estratto da Highway Call, a questo punto del concerto arriva una monumentale High Falls, che era su Win, Lose Or Draw, diviso in due parti lo strumentale complessivamente dura quasi 27 minuti, compresi gli immancabili e lunghissimi assoli di batteria e basso, pura goduria sonora, con le due chitarre magiche, ma anche la band suona in modo splendido, sembrano quasi gli Allman Brothers. E non manca neppure una godibilissima Blue Sky, tratta da Eat A Peach, richiesta dal pubblico, ancora con le intricate linee soliste delle twin guitars di Dickey Betts e Dan Toler,  in grado di creare nuove meraviglie sonore, prima del commiato finale dedicato ad una sontuosa Ramblin’ Man.

Bruno Conti