La Sua Prima Volta Dal Vivo In Europa. Paul Butterfield Band – Live At Rockpalast 1978

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Paul Butterfield Band – Live At Rockpalast 1978 – CD/DVD MIG/Made In Germany

Prosegue la doverosa e nutrita serie di pubblicazioni discografiche dedicate a Paul Butterfield: dopo la recente ristampa del doppio Live del 1970 https://discoclub.myblog.it/2019/05/15/uno-splendido-disco-restaurato-e-ristampato-butterfield-blues-band-live/ , alcune registrazioni inedite del periodo anni ’60 con Bloomfield e Bishop, il box dell’opera omnia 1965/1980, il live inedito dei Better Days, ora tocca a questo disco Live At Rockpalast del 1978, che segnò la prima esibizione dal vivo dell’armonicista e cantante americano in Europa, sotto il moniker Paul Butterfield Band. Volendo proprio essere completamente onesti il concerto era giù uscito una decina di anni fa, ma non nel formato CD+DVD, come Blues Rock Legends Vol. 2, però non essendo più disponibile da tempo, chi lo aveva mancato al primo giro potrebbe farci un pensierino in quanto si tratta di un buon concerto che illustra un lato più vicino al rock, al funky, al soul (presenti comunque anche nella versione anni ’70 di Butterfield), oltre all’immancabile blues: e anche la band che accompagna Paul in questo concerto, registrato alla mitica Grugahalle di Essen per la televisione tedesca il 9 settembre del 1978, è abbastanza inconsueta.

Una sezione ritmica “nera” (ma questo era normale fin dagli inizi della Butterfield Blues Band), con Ernest “Boom” Carter, uno dei primi batteristi della E Street Band, e Bobby Vega al basso, partito con il funky di Sly Stone e la jazz-fusion di Ronnie e Hubert Laws, ben due chitarristi elettrici, di quelli tosti, il rientrante Buzzy Feiten, già nella PBBB sul finire degli anni ’60 (Woodstock compresa), e Peter Atanasoff, poi praticante dell’alternative rock negli anni ’90 con Tito & Tarantula ed altri, quindi niente tastiere e fiati. Il suono è perciò più grintoso, duro e tirato rispetto ad altri periodi della formazione. Lo dimostra subito l’iniziale Fair Enough, una gagliarda esplosione di funky-rock, con le chitarrine impazzite di Feiten e Atanasoff, il basso super rotondo di Vega, su cui si innesta l’armonica di Butterfield, un po’ coperta nel mixaggio, ma sempre capace di grandi virtuosismi in questo strumentale; One More Heartache, un brano di Smokey Robinson, era già nel repertorio del gruppo dal lontano 1967, un pezzo soul gioioso virato verso il blues elettrico con maestria, grazie alla voce potente del nostro, con chitarre ed armonica a dividersi gli spazi solisti. Fool In Love, con un wah-wah travolgente, ricorda per certi versi il suono nerboruto della J.Geils Band, rock e blues che vanno a braccetto https://www.youtube.com/watch?v=T0FTz8msonc , per poi stemperarsi nelle classiche 12 battute di una ritmata e solenne New Walking Blues, di nuovo con l’armonica in grande spolvero, anche se il suono rimane decisamente “elettrico”.

La successiva It’s Alright sposa nuovamente l’arena rock, sia pure di qualità, in auge in quegli anni, poco blues, ma una buona ballata struggente. Di nuovo blues-rock con una travolgente Going Down di Don Nix, a tutte chitarre e con un sound ispirato dalla versione di Jeff Beck, anche se l’armonica cerca di farsi strada nell’impeto quasi hard della band, mentre la classica Born Under A Bad Sign di Booker T. via Albert King, è chiaramente ispirata dalla rilettura dei Cream, sempre in modalità hard-rock. Just When I Needed You Most  è una ballata francamente alla camomilla, scritta da Randy VanWarmer e che forse ci poteva essere risparmiata, in quanto non c’entra molto con il passato glorioso di Butterfield, che comunque si riscatta nella conclusiva lunghissima Be Good To Yourself, da sempre uno dei centrepiece dei concerti dell’armonicista di Chicago, dieci minuti abbondanti dove il blues (rock) venato di funky/soul riprende il sopravvento nella dinamica del concerto, tra chitarre fiammeggianti  e l’armonica suonata sempre con vigore https://www.youtube.com/watch?v=dT0K7pgjzgw . Il DVD contiene anche una intervista di 10 minuti. Una delle ultime oneste prove del buon Paul che il 4 maggio dell’87 ci lascerà a causa di una overdose, neppure a 45 anni. Peccato.

Bruno Conti

Uno Dei Migliori Episodi Della Serie! Dickey Betts & Great Southern – Live At Rockpalast 1978 & 2008

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Dickey Betts & Great Southern – Live At Rockpalast 1978 & 2008 – WDR 3CD/2DVD Box Set

Negli anni la serie Live At Rockpalast, dal nome di una nota trasmissione della TV tedesca che si occupa dal 1974 di trasmettere concerti rock che si tengono in terra teutonica, ci ha regalato (si fa per dire) diversi CD o DVD assolutamente degni di nota, come quelli dedicati a Richard Thompson, George Thorogood, Ian Hunter, Graham Parker, Lee Clayton, Willy DeVille, Muddy Waters ed i Rockpile, ma ne potrei citare altri. L’ultima pubblicazione in ordine di tempo è a mio parere una delle più riuscite, ed anche delle più generose: infatti stiamo parlando di due concerti distinti del grande Dickey Betts con due diverse formazioni dei Great Southern, uno nel 1978 e l’altro nel 2008, cioè nei due periodi in cui non faceva parte dalla Allman Brothers Band, il tutto presentato in un elegante box formato “clamshell” contenente tre CD audio e due DVD, che propongono lo stesso menu. Come sappiamo Betts è un musicista straordinario, che ha da sempre eletto il palcoscenico come luogo principe delle sue scorribande elettriche, sia dentro che fuori dagli Allman: negli ultimi anni, a causa dell’età e di qualche acciacco, ha un po’ diradato l’attività, ma quando prende in mano la sua sei corde è ancora in grado di far vedere ciò che vale.

E questi due concerti tedeschi (ad Essen quello del 1978, a Bonn quello del 2008) ce lo fanno assaporare al meglio delle sue enormi possibilità, per di più con una pulizia sonora impressionante. Nel 1978 Betts aveva lanciato da tre anni la sua carriera solista, approfittando anche dello scioglimento degli Allman a causa di insormontabili problemi interni, ed aveva formato i Great Southern, una band di turnisti di ottimo valore che lo assistevano in maniera più che valida https://discoclub.myblog.it/2018/01/10/un-live-tira-laltro-dickey-betts-great-southern-southern-jam-new-york-1978/ . Se in studio Dickey non riusciva ad esprimersi al meglio ed i suoi album erano discreti ma non eccelsi, on stage la trasformazione era palese, come dimostrano le dieci canzoni di questa serata di Marzo del 1978, nella quale fa letteralmente venire giù la Grugahalle di Essen con un set che definire infuocato è poco. Accompagnato da un quintetto (Dan Toler, chitarrista che seguirà Betts negli Allman per la prima reunion dal 1979 al 1981, il fratello David Toler e Dani Sharbono alla doppia batteria, David Goldflies al basso e l’ottimo Michael Workman al piano ed organo), Dickey si lancia subito nel boogie Run Gypsy Run, un brano potente e perfetto per scaldare i motori, con la sezione ritmica che è già un macigno ed il nostro che rilascia un paio di assoli notevoli. You Can Have Her è una sorta di gospel-rock davvero trascinante, specie nel botta e risposta vocale del ritornello, ritmo sostenutissimo e Dickey che lascia scorrere le dita sul manico della chitarra in maniera sontuosa.

Leavin’ Me Again è un sanguigno rock-blues che vede il nostro imbracciare la slide, e sono sei minuti di pura goduria musicale, grazie anche alla band che non perde un colpo; le cose vanno ancora meglio in Back On The Road Again, un rock’n’roll tutto ritmo e adrenalina, praticamente un treno in corsa, che prelude ad una grandiosa In Memory Of Elizabeth Reed, undici minuti in cui il classico degli Allman viene riletto con la solita dose di feeling e creatività, mantenendo le tipiche atmosfere calde tra rock e jazz ed i cambi di tempo che l’hanno resa famosa. E poi Betts suona davvero in maniera celestiale, sentire per credere (ed al giubilo generale partecipano anche Workman con il suo organo e Toler che non vuole essere da meno del suo datore di lavoro). Dickey è ancora in tiro e lo dimostra con una devastante Good Time Feelin’, sette minuti irresistibili tra rock, boogie e blues, ritmo saltellante e solita chitarra spaziale, mentre i quattro minuti scarsi del bluesaccio elettrico Dealin’ With The Devil servono da apripista per un altro highlight, e cioè una splendida rilettura di Jessica, tredici minuti vibranti di grandissima musica, con il ben noto riff melodico che si apre verso una lunga serie di improvvisazioni di livello inarrivabile per chiunque, in cui anche il piano elettrico e la seconda chitarra di Toler dicono la loro.

Ma se pensate che il concerto sia giunto all’apice, beccatevi una monumentale High Falls (sempre ABB, era sul sottovalutato Win, Lose Or Draw) della durata di mezz’ora: non ho parole per descrivere cosa succede sul palco, una incredibile jam in cui c’è spazio anche per assoli di basso e batteria, veramente da urlo; lo show finisce con una fluida versione della splendida Ramblin’ Man, puro country-rock, uno dei brani di punta di quel grande disco degli Allman che era Brothers And Sisters. Come bonus, e che bonus, abbiamo 17 minuti di musica libera, creativa e coinvolgente al massimo intitolata If I Miss This Train/Rockpalast Jam, in cui Betts funge da ospite speciale nientemeno che per gli Spirit, ed il solo pensare a Dickey e Randy California sullo stesso palco vi può solo far immaginare cosa i due riescano a fare, un fiume in piena tra rock, blues ed un tocco di psichedelia, un’aggiunta graditissima che forse da sola vale l’acquisto del box. E veniamo alla serata del 2008, altre dieci canzoni in cui un Dickey Betts notevolmente più esperto guida una band giovane ma con la bava alla bocca, a partire dal figlio Duane Betts, ottimo alla seconda chitarra, Frankie Lombardi e James Vanardo alla batteria, Andy Aledort alla terza chitarra, Pedro Arevalo al basso e Michael Kach all’organo.

Qui ci sono solo tre pezzi del Betts solista: la vibrante e bluesata Nothing You Can Do, la distesa Get Away, una delle rare slow ballads del nostro, anche se il suono è sempre molto potente, e la solare e corale Having A Good Time, decisamente gradevole e con qualche punto in comune con lo stile dei Grateful Dead. Il resto è repertorio degli Allman, con tre ripetizioni rispetto al concerto del 1978, e cioè una Elizabeth Reed che di minuti ne dura quasi venti (inutile dire che c’è da godere come armadilli), mentre sia Jessica che Ramblin’ Man, posta anche qui in chiusura, durano più o meno come trent’anni prima. Gli altri quattro pezzi sono una sempre solidissima Statesboro Blues, che apre il concerto nello stesso modo del mitico Live At Fillmore East, la stupenda Blue Sky, ovvero la quintessenza del Betts autore e musicista, con assoli di una liquidità impressionante, una tonante One Way Out da spellarsi le mani (qui attribuita per errore a Dickey stesso, mentre come saprete è del repertorio di Sonny Boy Williamson) e la meno famosa No One To Run With (era su Where It All Begins, l’ultimo album di studio della ABB con Betts al suo interno), una buona canzone anche se non mi sarebbe dispiaciuto ascoltare la splendida Seven Turns, una delle mie preferite in assoluto. Grandissimo doppio concerto quindi, direi imperdibile: sia che decidiate di ascoltarlo o di vederlo, il godimento è garantito.

Marco Verdi

Ci Mancava: (Anche) Dal Vivo E’ Sempre Formidabile! Richard Thompson Band – Live At Rockpalast

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Richard Thompson Band – Live At Rockpalast – WDR/MIG 3CD/2DVD

Come probabilmente saprete Rockpalast è il nome di una famosa trasmissione televisiva tedesca, che iniziò a programmare negli anni settanta e continua ancora oggi, occupandosi di mandare in onda i concerti di alcuni tra i migliori musicisti mondiali: negli anni sono stati pubblicati diversi CD e DVD tratti da quelle serate, tra cui ricordo Ian Hunter, Lee Clayton, Willy DeVille, i Rockpile, Paul Butterfield, John Cipollina, Joe Jackson, George Thorogood e moltissimi altri. Oggi questa benemerita serie decide di omaggiare uno dei più grandi di tutti, cioè Richard Thompson, e lo fa in maniera sontuosa, con una sorta di mini-box contenente ben tre CD e due DVD, controbilanciando in un colpo solo i tre recenti album acustici del musicista britannico. Le serate interessate da questo cofanetto sono quelle di un concerto completo tenutosi nel Dicembre del 1983 alla Markthalle di Amburgo (che occupa i primi due CD ed il primo DVD) ed una parte dello show del Gennaio 1984 al Midem di Cannes (quindi eccezionalmente fuori dai confini teutonici). La tournée in questione è quella a supporto di Hand Of Kindness, secondo album solista di Richard dopo Henry The Human Fly (in mezzo c’erano stati i sei lavori con la moglie Linda) ed uno dei suoi più riusciti in assoluto, anche se stiamo parlando di un artista che non ha mai sbagliato un disco in vita sua. Per questo tour Richard aveva in un certo senso riformato i Fairport Convention di Full House, tranne Dave Swarbrick (giova infatti ricordare che lo storico gruppo folk-rock inglese in quel periodo non era in attività, ma avrebbe ricominciato solo due anni dopo): infatti troviamo assieme a Thompson Simon Nicol, che suona una stranissima chitarra a forma di scatola di Cornflakes, Dave Pegg al basso e Dave Mattacks alla batteria, anche se poi di canzoni dei Fairport non ne verrà suonata nemmeno una.

A completare la lineup, tre elementi determinanti come Pete Zorn e Pete Thomas, entrambi al sassofono, e soprattutto il formidabile fisarmonicista Alan Dunn, che con il suo strumento dona un irresistibile sapore di Louisiana a quasi tutti i pezzi. E poi naturalmente c’è Richard, uno dei migliori songwriters di sempre, ma anche un performer eccezionale, più che valido come cantante e strepitoso come chitarrista, anche se tutto ciò non lo scopriamo certo oggi. Chiaramente (sto parlando del concerto di Amburgo) la parte del leone la fa Hand Of Kindness, con ben sette brani su otto totali: si parte con The Wrong Heartbeat, un pezzo decisamente saltellante e diretto al quale la fisa dona un sapore cajun, seguita dalla quasi bluesata A Poisoned Heart And A Twisted Memory (un blues sui generis, con un songwriting di qualità superiore) e l’irresistibile Tear Stained Letter, dal gran ritmo ed ancora più di un’attinenza con sonorità zydeco (ed anche i sax fanno i numeri), per non parlare della strepitosa performance del nostro alla chitarra, che dà vita ad un finale entusiasmante. Poi abbiamo la bellissima title track, uno degli highlights della serata, cadenzata, coinvolgente e ricca di spunti chitarristici notevoli, la lenta How I Wanted To, una ballata ricca di pathos, la velocissima Two Left Feet, puro cajun al 100%, a cui è difficile resistere, e lo squisito folk elettrificato di Both Ends Burning. E’ molto ben rappresentato anche l’album Shoot Out The Lights (all’epoca ancora recente), l’ultimo ed anche il migliore di quelli incisi con l’ormai ex moglie, un vero capolavoro del rock internazionale e non solo degli anni ottanta: troviamo infatti una title track potente come raramente ho sentito, una Don’t Renege On Our Love solida e chitarristica, la sempre splendida Wall Of Death, una delle più belle del songbook di Richard e qui presente in versione davvero spettacolare, la guizzante Man In Need, favolosa, e la vibrante Back Street Slide.

C’è un’unica concessione di Thompson al suo passato discografico: Night Comes In era uno dei pezzi centrali di Pour Down Like Silver, e qui il nostro ne offre una rilettura straordinaria, fluida ed intensa, di ben undici minuti, con un assolo di chitarra semplicemente inarrivabile. Dulcis in fundo, troviamo ben sette cover: lo strepitoso folk-rock strumentale Amarylus, una vera goduria, il travolgente traditional Alberta con i due sax e la fisa di Dunn (che qui è anche voce solista) grandissimi protagonisti, l’insolita Pennsylvania 6-5000 di Glenn Miller, raffinata e jazzata, un godibilissimo divertissement che Richard dedica a sua madre; il gran finale è strepitoso, con quattro brani a tutto rock’n’roll uno in fila all’altro: il traditional Danny Boy, You Can’t Sit Down (Phil Upchurch, The Dovells) e l’uno-due finale da k.o. con due classici di Jerry Lee Lewis, Great Balls Of Fire e Highschool Hop (più noto come High School Confidential), entrambi suonati ai duecento all’ora. Basterebbe ed avanzerebbe questo concerto, ma è a questo punto molto gradita l’inclusione anche della serata di Cannes che, come ho già accennato è incompleta; c’è anche un cambio nella lineup, con la sezione ritmica di Pegg e Mattacks rimpiazzata da Rory McFarlane al basso e Gerry Conway (anch’egli futuro Fairport) ai tamburi. La scaletta è identica a quella tedesca, anche se si interrompe alla quattordicesima canzone omettendo le ultime sei, e le versioni sono tutte leggermente più brevi di quelle di Amburgo a parte Night Comes In che è più corta di tre minuti abbondanti, ma la qualità della performance è assolutamente analoga (un po’ meno quella della registrazione, specie da Wall Of Death in poi), con una menzione speciale per Tear Stained Letter e Hand Of Kindness che sono forse perfino miglori.

Decisamente un ottimo momento per i fans di Richard Thompson.

Marco Verdi

In Attesa Del Tributo Un “Vecchio” Concerto Dal Vivo. Lynyrd Skynyrd – Sweeet Home Alabama – Rockpalast 1996

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Lynyrd Skynyrd – Sweeet Home Alabama – Rockpalast 1996 – Eagle Rock

Come è abbastanza noto, anche se è una pratica da me non condivisa, molti non apprezzano il formato DVD (o Blu-Ray)  per i concerti dal vivo, preferendo il CD o addirittura il vecchio vinile. E’ altrettanto noto che le case discografiche, nella loro immensa bontà, nonché illuminata e disinteressata lungimiranza, sono sempre pronte a farci ricomprare gli stessi dischi più e più volte. Prendiamo il caso di questo Sweet Home Alabama: era già uscito in DVD (e in seguito in Blu-ray) una decina di anni fa, ma mancava la versione in compact, e quindi eccovi serviti, un bel doppio CD, eventualmente disponibile anche nel cosiddetto formato combo 2CD+DVD e pure in doppio vinile, però, perché la perfezione non è di questa terra, privo dei tre brani bonus registrati dalla formazione originale dei Lynyrd Skynyrd alla Hamburg Musikhalle nel 1974, mentre il resto del concerto è registrato alla famosa rocca di Loreley, per la versione estiva del Rockpalast nel 1996. Siamo alla quinta versione della band, nella versione post reunion, quella che affianca a Gary Rossington, l’unico membro originale tuttora vivente, Johnny Van Zant, il fratello di Ronnie e altri due chitarristi storici del southern rock, Rickey Medlocke, leader dei Blackfoot, ma anche batterista in una delle prime incarnazioni della band e Hughie Thomasson, scomparso nel 2007, ex solista degli Outlaws.

La parola “scomparso” ricorre spesso nella storia degli Skynyrd, l’ultimo della lista è Bob Burns, il batterista dell’epoca d’oro, morto in un incidente nell’aprile di quest’anno, ma dei musicisti presenti al concerto del 1996, mancano all’appello anche Billy Powell, il tastierista, deceduto nel 2009 e Leon Wilkeson, il bassista, anche lui “andato” nel 2001; resiste, nel senso che è ancora vivo, Owen Hale, che era il batterista nell’occasione. In effetti questa recensione sta diventando ormai un necrologio e quindi parliamo brevemente del contenuto, anche se il DVD era già stato recensito ai tempi: in teoria il gruppo avrebbe dovuto promuovere quelli che erano gli album pubblicati al tempo, ma per fortuna dei presenti e di noi che ascoltiamo una ventina di anni dopo, scorrono praticamente tutti i classici della band. Si parte con una gagliarda Workin For MCA, seguita da I Ain’t The One, il primo brano del primo album, sempre con le chitarre che ruggiscono come ai vecchi tempi, Down South Jukin’ era su First And Last ma anche nel recente (all’epoca) Endangered Species, eccellente pure Double Trouble, con il piano di Powell che cerca di farsi largo nel muro di chitarre, il boogie di I Know A Little viene da Street Survivors mentre Saturday Night Special si trovava su Nuthin’ Fancy e la meno nota (rispetto alle altre) Swamp Music era su Second Helping.

Ancora da Street Survivors viene pure What’s Your Name, che non dà segni di cedimento, seguita da una poderosa That Smell, mentre Simple Man, una delle loro canzoni più belle, è una delle rare e (apparenti) oasi di tranquillità del concerto e anche Three Steps non scherza come energia, prima di fare spazio a una poderosa (e lunghissima, oltre 12 minuti) Call Me The Breeze, dove il compianto Hughie Thomasson, nel suo assolo, cita Green Grass and High Tides e Ghost Riders In The Sky della sua vecchia band, gli Outlaws. Finisce il primo compact e il secondo ha “solo” cinque brani: però che brani, troviamo due versioni di Sweet Home Alabama e Free Bird (con dedica a Rory Gallagher a tutti i “freebirds”), quelle ottime del 1996, e due, eccellenti del 1974 (incise un filo meno bene, e forse non le migliori della loro carriera, ma sono quisquiglie) con Ronnie Van Zant alla guida della sua creatura, in mezzo c’è, sempre dal concerto del 1974, una poderosa Workin’ For MCA. Tutte canzoni sentite mille volte, però piacciono sempre, se non avete già il DVD, un pensierino a questo ottimo doppio CD lo farei: in definitiva le case discografiche ci fregano sempre!

Come riporto nel titolo del Post, per il 24 luglio è atteso One More For The Fans, un ennesimo tributo ai Lynyrd Skynyrd, previsto nel formato 2 CD, 2 DVD o Blu-ray. Ne parliamo, in breve, nei prossimi giorni, insieme ad altre uscite interessanti del periodo.

Bruno Conti

Uno Stevie Ray Vaughan D’Annata! Live At The Spectrum, Philadelphia 23rd May 1988

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Stevie Ray Vaughan – Spectrum, Philadelphia 23rd May 1988 Echoes

Nel 1988 Stevie Ray Vaughan, inconscio di tutto ciò, si avvicinava a grandi passi agli ultimi anni della sua breve vita (sarebbe scomparso, all’età di 35 anni, nel tragico incidente di elicottero del 27 agosto 1990 a East Troy, nel Wisconsin), ma nello stesso tempo, per la prima volta da lunga pezza, era libero dai fantasmi della tossicodipendenza, o almeno così si diceva e si legge nelle sue biografie. Però chi vi scrive si ricorda di essere stato presente ad una delle due date milanesi che SRV tenne al Palatrussardi di Milano nel luglio di quell’anno, ed in particolare, il 7, la serata in cui si esibì insieme a Pogues e Los Lobos. Ora, forse, la memoria mi inganna, sono passati 27 anni, ma non mi pare di ricordare un concerto memorabile, al di là della solita acustica orrida del palazzetto milanese, quella che doveva essere una serata eccezionale per la presenza contemporanea di tre grandi formazioni, alla fine non fu tale. O così ricordo io: Shane MacGowan era l’ombra di sé stesso e anche il musicista texano non fece un set fantastico (altri ricordano diversamente), forse penalizzati dall’acustica pessima e per il tempo ridotto, Los Lobos esclusi, nessuno mi parve all’altezza della propria fama.

Il buon Stevie, dopo la partenza fulminante con Texas Flood, e prima ancora con la esibizione al Festival di Montreux del 1982, dove venne peraltro contestato da alcuni dementi fondamentalisti del jazz festivaliero (ma il filmato in rete e il doppio CD con le due esibizioni dell’82 e dell’85, raccontano una storia diversa) e testimoniano di un musicista in forma strepitosa, poi replicata nel Rockpalast alla rocca di Lorelei dell’agosto del 1984, in una epoca in cui internet era ancora solo un’idea, l’esibizione venne mandata in Eurovisione, anche in Italia su Rai Tre, e permise a chi era rimasto folgorato dal suo primo album, da poco replicato con l’eccellente Couldn’t Stand The Weather, di godere la presenza scenica e sonora di questo “Zorro” della chitarra, un musicista fantastico che convogliava nella sua persona lo spirito di Jimi Hendrix, e di molti altri “eroi” della chitarra, bianchi e neri, che lo avevano preceduto. Non c’è né il tempo né lo spazio in questa breve recensione per ricordarlo, ma probabilmente Stevie Ray Vaughan è stato l’ultimo vero grande chitarrista della storia del rock, scomparso troppo presto, mentre avrebbe potuto dare ancora molto al mondo della musica. Comunque nel 1988, anno in cui viene registrato, e poi trasmesso nell’etere questo concerto radiofonico di Filadelfia, il nostro amico si sta preparando a registrare quello che sarà il suo ultimo album di studio, In Step, probabilmente il migliore della discografia insieme al primo, e regala ai fans accorsi allo Spectrum il 23 maggio del 1988, uno show nettamente superiore a quelli utilizzati per il doppio Live ufficiale Live Alive di due anni prima. La qualità del suono di questo CD è ottima, cruda ma bel delineata, così come il repertorio scelto per l’occasione: Vaughan, accompagnato dai fidi Double Trouble in versione quartetto, con Reese Wynans, Tommy Shannon e Chris Layton, sciorina, con nonchalance e classe immensa, undici brani di notevole spessore, che se non costituiscono un concerto completo, per le restrizioni di tempo applicate al broadcast radiofonico, cionondimeno rimangono un documento notevole del suo enorme talento di chitarrista.

Si parte con un medley di Dust My Blues che si riversa nell’inconfondibile riff di Love Struck Baby, per una versione fantastica, con Shannon che pompa sul basso come ne andasse della sua vita e Wynans e Layton travolgenti ai rispettivi strumenti, mentre Stevie strapazza la sua vecchia Fender e ne estrae citazioni di Johnny Be Goode e altre mirabilie del R&R e del blues. Look At Little Sister, il classico di Hank Ballard da Soul To Soul, è puro Rock’n’blues texano e anche You’ll Be Mine, dallo stesso album, è carica di una energia strabordante, poi veicolata nell’uno-due micidiale dell’accoppiata Mary Had A Little Lamb, dal repertorio di Buddy Guy e Texas Flood, entrambe in versioni dove le mani di SRV sembrano volare sul manico della sua chitarra; Superstition non raggiunge forse i vertici di quelle di Stevie Wonder e Jeff Beck, ma è sempre un bel sentire. Willie The Wimp è una rara esibizione dell’altrettanto raro singolo, scritto dall’amico di Austin Bill Carter, un rock verace e grintoso nella migliore tradizione texana, seguito da una vorticosa Cold Shot, con la sua ciondolante andatura, e poi dall’hendrixiana Couldn’t Stand The Weather, con i classici stop and go, e da una versione lunghissima, oltre i 9 minuti, di Life Without You, uno slow blues atmosferico e scintillante che anticipa la svolta dell’imminente In Step ed è seguita da una sontuosa Voodoo Chile (Slight Return) di mastro Jimi, solo Hendrix la faceva meglio. Grande concerto comunque, sarà anche un ex bootleg, ma che ci frega!

Bruno Conti

Gli Stones Americani Degli Anni ’70! J.Geils Band – House Party Live In Germany

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 J.Geils Band – House Party Live In Germany – Eagle Vision CD+DVD o DVD

Classica band americana, originaria dell’area del Massachusetts, nata sul finire degli anni ‘60 come trio acustico intorno alla chitarra di John Geils e all’armonica di Richard Salwitz (il futuro Magic Dick), il gruppo assume la sua forma definitiva quando entrano in formazione il cantante Peter Wolf (originario del Bronx) e il batterista Stephen Jo Bladd, facendosi chiamare prima J.Geils Blues Band e poi, eliminando il Blues dal nome, ma non dalla loro musica, J.Geils Band. Con l’arrivo di Seth Justman alle tastiere diventano una vera forza della natura e dalla zona intorno a Boston, dove erano gli eroi locali, firmando un contratto con la Atlantic, partono alla conquista degli Stati Uniti, con la loro esplosiva miscela di rock, blues e R&B, soprattutto grazie ad un formidabile show dal vivo (ma anche in studio erano fantastici), tanto da essere definiti, come e più dei “Glimmer Twins” Aerosmith, una sorta di controparte americana dei Rolling Stones ed il gruppo preferito dell’Allman Brothers Band, insieme ai quali parteciparono al famoso ultimo concerto del Fillmore East nel giugno 1971.

j.geils band full house

Proprio sui Live la JGB ha costruito la sua reputazione, pubblicandone due, Live Full House (quello con la copertina con le carte da gioco) https://www.youtube.com/watch?v=vvm1_WrF3ns  e il doppio Blow Your Face Out https://www.youtube.com/watch?v=3bDlvQD3S3k , registrati a Detroit,  una sorta di seconda casa per il sestetto, insieme a Boston, da cui proveniva la prima parte del disco del vivo del 1976. Entrambi gli album vendettero intorno al mezzo milione di copie e con Bloodshot, addirittura entrato nei Top 10 delle classifiche USA, cementarono la popolarità della band, che nel momento in cui arriva in Europa per partecipare al Rockpalast di cui questo House Party è la documentazione, stanno girando l’Europa per promuovere il disco Sanctuary, l’ultimo prima di una svolta verso un suono più vicino ad un rock influenzato dalla New Wave più commerciale che caratterizzerà i successivi Love Stinks e soprattutto Freeze Frame, con il singolo Centerfold, ai primi posti in tutto il mondo, ma che segnerà la dipartita di un disilluso Peter Wolf, dopo l’ennesimo buon live Showtime, in disaccordo con lo stile più leggerino e danzereccio assunto dalla band, salvo poi caderci anche lui con i primi album da solista, prima della rinascita artistica nei Noughties.

Ma in questa serata siamo, di poco, ancora nei mitici Seventies, è il 21 Aprile del 1979 https://www.youtube.com/watch?v=g4GD0Zy5MT4 , e sul palco della mitica Grugahalle di Essen la J.Geils Band si esibisce in un eccellente concerto che sarà trasmesso dalla televisione tedesca in Eurovisione, perché, ebbene sì, c’è anche la parte video, in questa doppia confezione pubblicata dalla Eagle Vision, con il titolo Houseparty, e lo spettacolo che offriva il gruppo direi che esige la presenza del DVD . Per la serie una buona promozione è l’anima del commercio, il gruppo esegue, nella prima parte dello show, ben sei brani tratti da Sanctuary , ma con la furia e la potenza dei tempi migliori di questa band, che aveva ben tre frecce al proprio arco, la chitarra a forma di freccia di John Geils (scusate il bisticcio), l’armonica molto elettrificata di Magic Wolf, uno dei migliori virtuosi bianchi all-time dello strumento e grande storico del Blues e, soprattutto, la voce poderosa ed espressiva di Peter Wolf, tra i più grandi cantanti del rock americano dell’epoca, senza dimenticare le tastiere di Justman e l’inarrestabile sezione ritmica.

 

Ecco così scorrere magmatico il R&R della band in Jus’ Can’t Stop Me (ed è difficile fermarli, fin dall’inizio), I Could Hurt You, Sanctuary, One Last Kiss, Teresa e Wild Man, inframmezzati da Nightmares, la title-track del sesto album, una girandola di rock, blues, soul, una vera enciclopedia di party music, che poi decolla nella stratosfera nella seconda parte del concerto, quando appaiono i cavalli di battaglia del loro repertorio. Looking For A Love, il primo successo dei Valentinos di Bobby Womack, è trasformato in un R&R sfrenato degno di Little Richard o degli Stones più arrapati, e anche Give It To Me, R&B, rock e qualche giro reggae e funky, miscelati ad arte, non scherza un cazzo (scusate per lo scherza), Whammer Jammer, dal secondo album, è lo showcase strumentale per tutti i fantastici solisti della band. Ain’t Nothing But A House Party, alza ulteriormente l’asticella del divertimento, Where Did Our Love Go è proprio quella della Supremes, una delle glorie della Detroit musicale,  Pack Fair And Square la facevano anche i Nine Below Zero, ma la versione da ritiro della patente per eccesso di velocità della JGB è formidabile, per concludere il tutto con un altro tributo alla Motown, una First Look At The Purse da sballo, presente fin dal primo spettacolo e dal primo disco, eccezionale. Se ci fosse stata anche la loro versione fenomenale di Serves You Right To Suffer di John Lee Hooker, sarebbe stato un live da 4 stellette, ma anche così, difficile farne a meno.

Bruno Conti

Vecchie Glorie 12. Pat Travers – Live At The Bamboo Room

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Pat Travers – Live At the Bamboo Room – CD+DVD Purple Pyramid/Cleopatra

Spesso trovare un incipit per un articolo o una recensione è impresa ardua: ti infili in citazioni colte o ti rifugi in una battuta, magari scontata. Anche per gli artisti, soprattutto nei loro dischi dal vivo, non è un’arte facile da praticare. O hai un MC (Master of Ceremonies) rodato da mille battaglie (BB King, James Brown e i grandi artisti neri in generale) o stai facendo la storia del rock e lo fa per te un Bill Graham o qualcuno di simile nei grandi Festival oppure ancora ci sono quelle introduzioni “classiche”, semplici ma indimenticabili – From Los Angeles California, The Doors! A Man And His Guitar, Jimi Hendrix – e anche quelle selvagge che caricano il pubblico come per l’apertura del formidabile Kick Out The Jams degli MC5.

Nel suo piccolo anche Pat Travers in questo Live At The Bamboo si carica e “aizza” il suo pubblico con un iniziale: “ How you doin’ everybody, my name is Pat Travers, this is my band, we’re gonna kick your ass tonight…one, two, three, four” e parte una sparatissima Life In London, due chitarre, basso, batteria, del rock-blues ad alto potenziale, come se gli anni ’70 non fossero mai passati e gente come Travers continuasse a portare la bandiera di gente come Hendrix, il suo idolo, in primis, ma anche dei vari Ted Nugent, Frank Marino, Robin Trower, più raffinato e bluesy, i Thin Lizzy o Rory Gallagher con una classe superiore, gli hard rockers della seconda e terza generazione che hanno sempre tenuto alta la bandiera del genere, con cadute di gusto e qualità, come lo stesso Travers, ma senza scadere nel metal più bieco, pur senza toccare le vette dei Led Zeppelin, Deep Purple, dei primi Black Sabbath, che so, dei Free o dei Bad Company, i primi Aerosmith e mille altri che non citiamo. Pat Travers arriva sulle scene a metà anni ’70, dal Canada, scoperto da Ronnie Hawkins e portato in Inghilterra dove viene messo sotto contratto dalla Polydor e partecipa al Rockpalast nel 1976

Già dal secondo album, Makin’ Magic del 1977, il batterista della band è Nicko McBrain, che poi troverà fama e fortuna negli Iron Maiden, nel quarto album arriva il secondo chitarrista solista Pat Thrall e nello stesso anno, 1979, esce Live, Go For What You Know, che è  forse il disco da avere della sua discografia, e che contiene una versione gagliarda di Boom Boom Out Goes The Light di John Lee Hooker che rimane tuttora una dei suoi cavalli di battaglia, presente in Bamboo Room. Questo nuovo CD con DVD allegato, o viceversa, di Pat Travers riprende i temi dei suoi album migliori, un misto di brani originali, come alcuni dei suoi più grandi successi, Snortin’ Whiskey, Drinkin’ Cocaine scritta dalla coppia Travers/Thrall, Crash And Burn, Heat In The Street e alcune delle cover più riuscite della sua carriera. I’ve Got News For You dal repertorio di Ray Charles, ma perché ce lo dice lui, dalla violenza che si sprigiona dalle chitarre non si direbbe, Black Betty, scritta da Leadbelly, ma conosciuta da tutti nella versione durissima dei Ram Jam. Riprese di classici del blues come Death Letter di Son House, If I Had Possession Over Judgment Day dal repertorio di Robert Johnson o una sudista Statesboro Blues, scritta da Blind Willie McTell, ma qui nella versione resa celebre dagli Allman Brothers, con le due soliste usate all’unisono, come avviene peraltro spesso nel corso del concerto, l’altro chitarrista Kirk McKim è pure lui un ottimo manico, e ben si amalgama con la solista e la slide di Pat Travers,

Il brano appena citato, insieme a Rock’n’Roll Susie, appare solo nella versione CD del live, mentre la versione eccellente di Travers di Red House di Jimi Hendrix appare solo nel DVD, ma questi sono i misteri imperscrutabili della discografia, visto che comunque i due supporti vengono venduti insieme. Nel finale del concerto appaiono anche alcuni dei vecchi componenti della Pat Travers Band originale e devo dire che complessivamente il concerto è molto meglio di quanto mi aspettavo, non solo vecchie glorie o meglio ci sono, ma “vivi e vegeti” e in grado, soprattutto dal vivo, di fare ancora della buona musica; registrato a dicembre del 2012 in quel di Lake Worth, Florida, del sano hard rockin’ blues di grana grossa, ma ricco anche di finezze e tanta energia, gli appassionati del genere sanno di cosa stiamo parlando ed il disco è assolutamente valido.

Bruno Conti     

Il 27 Novembre Avrebbe Compiuto 70 Anni! James Marshall Hendrix – Seattle 27-11-1942 Londra 18-09-1970

Jimi Hendrix avrebbe compiuto 70 anni il prossimo 27 novembre (lo ammetto, sono in leggero anticipo) e mi pare doveroso ricordarlo con quella che secondo me era la sua canzone più bella, la sintesi della sua arte e, parere personale, uno dei cinque brani più belli della storia della musica rock, Little Wing. Forse (anche senza il forse) questa  è la versione più bella di quelle registrate dal vivo e si trovava sul vecchio Hendrix in the West, comunque tratta dal concerto alla Royal Albert Hall di Londra. Il suo epigono e fedele discepolo Stevie Ray Vaughan ne ha registrato delle belle versioni, tipo questa al Rockpalast…

…ma Jimi Hendrix rimane il più grande genio intergalattico della storia della chitarra elettrica e tra i grandissimi della musica rock!

Questo volevo dirvi, alla prossima!

Bruno Conti

“Vecchi” Sudisti. Charlie Daniels Band – Live At Rockpalast

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Charlie Daniels Band – Live At Rockpalast –CD o DVD –MIG Made in Germany

Negli ultimi mesi del 1980 quando si svolgono questi eventi il Southern Rock era un po’ “alla frutta”, la Capricorn era fallita, gli Allman Brothers si erano sciolti, i Lynyrd Skynyrd dopo l’incidente aereo del 1977 non esistevano più, nell’aprile del 1980 la Marshall Tucker Band, peraltro in fase discendente, perdeva Tommy Caldwell. E quasi tutti i gruppi del genere ancora in attività avevano spostato il loro suono verso un AOR molto di maniera e spesso deleterio. Gli unici che resistevano, anzi prosperavano, erano i tipi della Charlie Daniels Band che proprio l’anno precedente con Million Mile Reflections avevano raggiunto le vette delle classifiche Usa, vendendo tre milioni di copie dell’album, e anche il singolo The Devil Went To Georgia era entrato nei Top 5 dei singoli, una rarità per il genere. E tutto questo con uno dei loro album migliori. Anche il 1980 era iniziato sotto i migliori auspici, l’album Full Moon, uscito a Luglio, ha ancora un grosso successo di vendita e il singolo In America manca la Top 10 per un nonnulla.

E proprio il 28 novembre 1980 la Charlie Daniels Band, nella sua migliore formazione, approda alla Westfalenhalle di Dortmund, per il Rockpalast, la più importante trasmissione rock europea. Si presentano nella classifica formazione da rock sudista: due chitarre, Charlie Daniels, anche al violino e Tommy Crain, le tastiere di Joel “Taz” Di Gregorio (scomparso lo scorso anno in un incidente d’auto), due batteristi, Fred Edwards e James Marshall e al basso Charles Hayward. E negli 80 minuti scarsi presentati in questo CD o DVD, sciorinano il meglio di dieci anni di carriera. Ma Charlie Daniels era un veterano della scena musicale; nato nel 1936, già suonava negli anni ’50, nel 1964 scrisse un brano per Elvis e alla fine degli anni ’60 suonava il basso in tre dischi di Dylan e il violino con Leonard Cohen. Produce Elephant Mountain per gli Youngbloods e nel 1971 pubblica il primo omonimo album come solista. L’anno successivo nasce la Charlie Daniels Band e nel frattempo il nostro amico suona il violino in tutti i primi album della Marshall Tucker compresa la porzione live del mitico Where We All Belong. Nel 1975 ha un successo notevole con quello che viene considerato uno degli inni del southern rock, The South’s Gonna Do It Again e dall’anno successivo partono le leggendarie Volunteer Jam che, con qualche pausa, credo continuino fino ai giorni nostri. Non ha mai pubblicato dischi ufficiali dal vivo a nome suo fino agli anni 2000 (compreso un Live In Iraq) ma con tutti gli album delle sue jam ce n’era bisogno?

Evidentemente l’etichetta MIG deve avere pensato di sì ed ecco quindi questo Live At Rockpalast, 15 brani che ripercorrono la carriera della band ad iniziare da Funky Junky che era sul terzo Honey In The Rock e Trudy che era nel primo, omonimo (dove al basso c’era Billy Cox della Band Of Gypsys di Hendrix). Southern rock di grande impatto nella migliore tradizione delle band citate magari con un accento maggiore verso le componenti country anche se la presenza di Taz Di Gregorio alle tastiere può ricordare gli Allman con Chuck Leavell. Comunque è un bel sentire, c’è anche del corposo boogie alla ZZTop come nell’iniziale Funky Junky dove la slide di Daniels e la solista di Crain intrecciano dei duetti degni della migliore Allman Brothers Band. Si prosegue con Jitterbug tratta da Million Mile Reflection e cantata di Di Gregorio, perché non bisogna dimenticare che nella band si alternavano al canto tutti i tre leaders. Quindi dopo la gagliarda Legend Of Wooley Swamp cantata da Charlie con l’aiuto del vocione di Taz per creare un’atmosfera swamp-rock è il turno di Billy Crain che canta la sua Blindman ancora con le twin lead guitars in spolvero.

Reflections è una lunga ballata epica in crescendo, alla pari con le migliori del genere southern, El Toreador tipico brano di frontiera è un altro dei loro cavalli di battaglia. No Potion For The Pain è un bluesone sofferto cantato da Di Gregorio. In America è la prima delle loro molte hit di stampo country, trascinante e in quel momento il loro brano di punta in America, Long Haired Country Boy era su Fire On Mountain forse l’album migliore insieme a Saddle Tramp, di cui non fanno la lunga title-track ed è un peccato. Con Uneasy Rider la festa prosegue, poi Charlie Daniels sfodera il violino per Cumberland Mountain No.9 di Billy Crain e per le leggendarie Devil Went To Georgia (ancora oggi utilizzata per un video game) e The South’s Gonna Do It Again prima di concludere con una micidiale e lunghissima Orange Blossom Special. Ottimo e abbondante!

Bruno Conti

Il Ritorno Della “Personcina”! Lance Lopez – Handmade Music

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Lance Lopez – Handmade Music (Ltd. Edit.) – MIG Made in Germany

Il nostro amico Lance Lopez, di cui mi ero già occupato lo scorso anno in occasione dell’uscita del CD Salvation From Sundown che conteneva anche un bel DVD registrato al Rockpalast lance%20lopez, fa dell’onesto rock-blues, che mischia lo stile del Texas divenuto sua terra di elezione, con il rock “energico” dei grandi chitarristi inglesi ed in particolare della triade Clapton-Beck & Page. Quindi  cosa ottenete se unite il southern rock-blues degli ZZ Top al suono di Stevie Ray Vaughan e Johnny Winter, ci spalmate una abbondantissima dose di Jimi Hendrix (il suo vero idolo assoluto) affidate il tutto alle abili mani di Jim Gaines il suo produttore di fiducia (quello di Santana, Steve Miller Band, Thorogood, il John Lee Hooker di The Healer), poi vi recate a registrare nei leggendari Ardent Studios di Memphis (per Lopez il luogo dove gli ZZ Top hanno registrato Sharp Dressed Man, Thorogood Bad To the Bone e Jimmy Page ha mixato Led Zeppelin III)?

Probabilmente otterrete questo Handmade Music che unisce il boogie fervido del trio texano nell’iniziale Come Back Home cantato con una voce rauca e ruvida che mi ha ricordato, non so perché, forse a causa di una somiglianza non fortuita, il Popa Chubby più ruspante. Sound e assoli di chitarra di gran fattura che ritornano anche nella successiva Hard Time e poi si stemperano in una gustosa hard rock ballad di notevole appeal come Let Go dove chitarre acustiche e organo e la produzione professionale di Gaines allargano lo spettro sonoro del disco. Visto che il trucco ha funzionato una volta viene ripetuto, con successo, anche nella successiva Dream Away, un altro ottimo esempio di lunga ballata in crescendo che proviene dal miglior southern rock d’annata. Ma lo stile preferito è quel rock-blues intriso di boogie con una solida sezione ritmica nelle mani del bassista Chris Gipson e del batterista Jimmy Dereta, di solito lo chiamiamo power trio e non ci si sbaglia mai, non sarà originale, sentito mille volte, ma se ci affidiamo a un buon manico come Lance Lopez e con una produzione professionale nelle mani di Gaines, brani come Get Out and Walk e Your Love hano un perché, specialmente se uno apprezza il genere.

Non sempre tutto funziona, Travelling Riverside Blues sarà pure il famoso brano di Robert Johnson che suonavano anche gli Zeppelin ad inizio carriera, ma in questa versione abbastanza anonima potrebbe essere Crossroads o Walkin’ Blues, il riff più o meno è quello. Letters con il suo organo aggiunto ed una maggiore verve, potrebbe essere un pezzo d’annata della Steve Miller Band o di Clapton, niente di trascendentale fino all’orgia hendrixiana di wah-wah nella parte centrale che ci rende il sorriso. Non male anche l’ottimo strumentale Vaya Con Dios dove si lavora molto di toni e di finezza sulla chitarra con Lopez che mette di nuovo in mostra le sue indubbie qualità tecniche. E che dire della cover di Black Cat Moan il celebre brano di Don Nix che faceva il suo bel figurone nell’album di Beck, Bogert & Appice? Fa la sua “porca figura” anche in questo Handmade Music come un dovuto omaggio al Jeff Beck rocker! Le due tracce bonus alla fine (nella versione limited da 12 pezzi) sono una leggera ma piacevole versione di Can(t) You Feel It? un brano scritto dallo scomparso Dan Hartman ma lo faceva anche, se non ricordo male (ho controllato, c’è), Johnny Winter in Still Alive And Well e proprio in Zona Cesarini un gagliardo slow blues Lowdown Ways che ritorna alle radici della musica di Lance Lopez e chiude in gloria quello che si può definire un buon album, nel suo genere, ovvero file under blues-rock!

Una curiosità finale: chissà se nel tour con Winter sfoggia ancora quel bel completino alla Zorro che aveva nel filmato del Rockpalast?   

Bruno Conti