Più Di Dieci Anni Per Completarlo, Ma E’ Venuto Veramente Bene. Rev. Greg Spradlin & The Band Of Imperials – Hi-Watter

rev. greg spradlin and the band of imperials - hi-watter

Rev. Greg Spradlin & The Band Of Imperials – Hi-Watter – Out Of The Past Music

Jim Dickinson, grande amico e mentore di Greg Spradlin, muore nell’agosto del 2009: a questo punto il nostro amico decide che forse è arrivato il momento di completare quell’album che era in fase di registrazione da un po’ di tempo. Ma essendo un tipico rappresentante del Sud degli States (viene da Little Rock, Arkansas, dove è stato registrato parte dell’album, il resto sulle colline di Silverlake, nei pressi di LA, anche se non manca un certo spirito Swamp), più di tanto non può accelerare le procedure, anche per una lunga serie di contrattempi, anche importanti, comunque canzone dopo canzone, e in un arco di tempo di nove anni, il lavoro procede, il Reverendo aveva coinvolto altri amici per registrare l’album: un altro bravo chitarrista, che come Spradlin sappia suonare anche il basso, e all’occorrenza la batteria, un certo David Hidalgo che suona nei Los Lobos potrebbe andare bene, ma un batterista comunque ci vuole, che ne dite di Pete Thomas degli Imposters di Elvis Costello, al basso Davey Farragher (con una r però), che suona anche lui con Costello, ma in passato con Hiatt e e di recente con Richard Thompson, se non può venire facciamo noi, per le tastiere Rudy Copeland, uno che ha suonato con Solomon Burke e Johnny Guitar Watson, scomparso nel 2018 e sostituito da Charlie Gillingham dei Counting Crows, anche lui alle tastiere.

A questo punto, per produrre l’album con Greg, pure lui dall’Arkansas, arriva Jason Weinheimer, che è anche un chitarrista e ha fatto dei dischi con Steve Howell https://discoclub.myblog.it/2020/09/21/tra-jazz-e-blues-acustico-un-trio-molto-raffinato-steve-howell-dan-sumner-jason-weinheimer-long-ago/ , e per mixare l’album, visto che nel frattempo, dopo una lunga gestazione, lo abbiamo finito, Tchad Blake, che ha già lavorato con Hidalgo. L’album, oltre ad essere finito, è venuto anche bene, esce per una piccola etichetta, dal nome propedeutico,Out Of The Past Music, quindi non sarà facile da trovare, ma questa miscela di soul classico, gagliardo rock, blues e musica della Louisiana funziona alla grande, e Hi-Watter è un disco che vale la pena di ascoltare. Scusate se forse vi ho tediato con la lista dei nomi, ma secondo me nella musica contano, eccome se contano: vediamo dunque le canzoni.

Gospel Of The Saint è una piccola meraviglia tra gospel e soul, con un call and respone tra due voci, quella di Greg e Rudy, in modalità Billy Preston, che evoca anche il sound degli Staple Singers, una chitarra pungente, l’organo scivolante di Copeland e il ritmo ondeggiante della ritmica che trasuda serenità e gioia, Hell Or Hi-Watter è uno dei pezzi più tirati e robusti, con chitarre acidissime e organo che ci danno dentro di brutto, mentre Stainless Steel è una soul ballad maestosa, quelle che solo nel deep South sanno fare (per la verità anche la Band sapeva come maneggiare questo materiale), la fisarmonica aggiunge quel tocco di fascino in più interagendo con organo e chitarra ispiratissimi, Jessica Lee, Holly Bradley e Ashley Courtney (non so dirvi quale delle tre o forse tutte) aggiungono un sapido tocco vocale femminile.

Per l’alternanza di brani lenti ed iniezioni rock I Drew Six è un sano rock and roll, come quelli che babbo Jim Dickinson aveva insegnato ai figli Luther e Cody, e quel po’ po’ di musicisti che suonano nel disco, soprattutto le chitarre, fanno sudare gli strumenti in una veemente scarica di R&R; la successiva Don’t Make Me Wait sarà mica una ballata? Certo che sì, una di quelle che Greg Spradlin ascoltava da ragazzino sui dischi Stax della mamma, ma anche di Sam Cooke e Solomon Burke, vista la frequentazione dell’organista Copeland con il “King of Rock ‘n’ Soul“, con Rudy che restituisce quello che ha imparato, a seguire il riff’n’roll della cadenzata Go Big, sempre con chitarre inc…ose e cattive che essudano suoni senza tempo, ma sempre attuali. What Would I Do indovinate, sarà mica un lento, questa volta si va sul blues, uno slow con chitarra d’ordinanza che ricorda il Clapton più ispirato dei primi anni ‘70, e che assolo ragazzi!

Sweet Baby interrompe l’alternanza, un brano che ci riporta al suono degli Stones “americani”, con il plus di un organo alla Garth Hudson, un’altra perla di canzone che conferma la classe di Greg Spradlin anche come chitarrista, che infine congeda l’ascoltatore con la lunga The Maker, una canzone dedicata all’Onnipotente, un formidabile brano dove David Hidalgo e Spradlin incrociano le loro soliste in un duello senza limiti di squisita fattura, che potrebbe rimandare alle sfide tra Betts e Allman, o anche a quelle dei Los Lobos più ispirati. Che aggiungere di altro, grande disco, veramente una bella sorpresa!

Bruno Conti

L’Altro Elvis: Un Ritorno Alla Forma Migliore Per Mr. McManus. Il Disco Pop Dell’Anno? Elvis Costello & The Imposters – Look Now

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Elvis Costello & The Imposters – Look Now – Concord/Universal CD – Deluxe 2CD

Ho sempre seguito con simpatia ed interesse la carriera di Elvis Costello, uno dei pochi artisti a non soffrire di un calo di ispirazione durante gli anni ottanta, decade problematica per molti grandi musicisti della prima e seconda ora. Anzi, proprio nei “Big Eighties” Elvis (nato Declan Patrick Aloysius McManus) ha prodotto quelli che, insieme agli esordi della seconda metà dei settanta, sono da considerare i suoi album migliori, inclusi quelli che per il sottoscritto sono i suoi due capolavori assoluti: Imperial Bedroom e King Of America. Ma Costello è sempre stato uno che non si è mai adagiato sugli allori, anzi ha sempre fatto quello che ha voluto, anche a discapito delle vendite: infatti, dopo due deliziosi album pop a cavallo tra gli ottanta ed i novanta (Spike e Mighty Like A Rose), ha cominciato ad alternare dischi nel suo tipico stile ad altri più inattesi, e se alcune collaborazioni avevano una loro logica (come quelle con Burt Bacharach ed Allen Toussaint), altre erano decisamente più cerebrali ed ostiche, tipo quella con il Brodsky Quartet per The Juliet Letters o l’album For The Stars con il mezzo soprano svedese Anne Sophie Von Otter, o ancora l’opera classicheggiante Il Sogno (ma anche nel 1981 aveva dimostrato di fare il cavolo che gli pareva con lo splendido Almost Blue, un disco di puro country in un momento in cui il country non interessava a nessuno, e per di più in una nazione, l’Inghilterra, che non aveva mai amato questo genere tipicamente americano).

I primi anni duemila sono stati per il nostro un po’ altalenanti, in quanto ha alternato lavori ottimi (The Delivery Man, National Ransom), buoni (Secret, Profane & Sugarcane), ad altri incerti (il velleitario North ed il poco ispirato Momofuku), mentre nella decade attuale le cose stavano andando anche peggio, in quanto l’unico lavoro pubblicato da Elvis è stato Wise Up Ghost (2013), un lavoro pasticciato e bruttino in collaborazione con il gruppo hip hop The Roots (*NDB Però negli anni duemila il nostro amico ha realizzato uno show televisivo fantastico come https://discoclub.myblog.it/2010/04/20/elvis-costello-spectacle-season-1-5-dvd-box-set/.) Le mie aspettative per il nuovo CD di Costello, Look Now (dalla copertina orribile), non erano quindi altissime, e la mia sorpresa una volta ultimato l’ascolto è stata doppia, in quanto non solo mi sono trovato davanti ad un disco splendido, ma a mio parere uno tra i suoi più riusciti degli ultimi 25 anni, forse addirittura il suo migliore da Mighty Like A Rose (quindi 1991) in poi. Per l’occasione il nostro ha riformato gli Imposters (Davey Faragher al basso, Pete Thomas alla batteria e Steve Nieve alle tastiere), una sorta di evoluzione degli Attractions e sempre presente nei dischi migliori del nostro nel nuovo millennio, affiancandoli di volta in volta con una sezione di archi o fiati. Ed il risultato è un bellissimo disco di puro pop, proprio nella miglior tradizione dell’occhialuto musicista inglese: Costello per questo disco si è ispirato alle orchestrazioni di Phil Spector, ma lavorando con mano più leggera rispetto al mitico produttore americano, ed arrangiando con estrema finezza le varie canzoni, che anche a livello compositivo sono comparabili a quelle dei suoi album più celebrati.

Brani che si alternano tra pop, blue-eyed soul e rhythm’n’blues, con performance vitali ed energiche ed un suono davvero splendido, basato molto su ogni tipo di strumento a tastiera (pianoforti di vari generi, organo Hammond e Vox Continental, mellotron, celeste), suonati ovviamente per la maggior parte da Nieve ma pure da Costello stesso, che si occupa anche di tutte le parti di chitarra. Per l’occasione Elvis rispolvera anche la collaborazione a livello di scrittura con Burt Bacharach (in tre brani, due dei quali vedono anche il compositore americano intervenire al pianoforte) e ne inaugura una nuova con la grande Carole King, co-autrice di un pezzo (che pare i due abbiano impiegato vent’anni a terminare). L’album inizia benissimo con Under Lime, una deliziosa pop song dal leggero sapore soul, suonata in maniera potente e con reminiscenze anni sessanta: il miglior Costello, vicino ai più riusciti episodi dei suoi album del periodo classico, e brano giustamente scelto come primo singolo. Don’t Look Now è una gradevole e melodiosa slow ballad che è anche la prima di quelle scritte con Bacharach, suono asciutto e diretto, solo Elvis, Burt e gli Impostori; Burnt Sugar Is So Bitter è invece il pezzo composto con la King, uno squisito errebi, ritmato e vibrante, dalla melodia immediata ed un ottimo arrangiamento corale spolverato dai fiati: un altro potenziale singolo. Splendida Stripping Paper, una ballata pop tersa e dalla melodia notevole, che rimanda a certe cose di Imperial Bedroom, e con la chiara influenza dell’amico Paul McCartney; Unwanted Number è ancora pop-errebi di grande spessore, un brano coinvolgente e quasi perfetto nel suo arrangiamento anni settanta, e Nieve bravissimo al piano.

Con tutta la fiducia che potevo dare a Costello, un avvio del genere non me lo aspettavo. Bellissima anche I Let The Sun Go Down, una ballata nuovamente basata sul piano, con una sezione d’archi usata con grande finezza, un motivo toccante ed un corno francese a dare un sapore beatlesiano. La cadenzata Mr. And Mrs. Hush non scende dal treno dell’errebi bianco, e la sicurezza con cui Elvis affronta la materia lo fa sembrare un esperto del genere, Photographs Can Lie è il secondo brano che vede Bacharach nel doppio ruolo di co-autore e pianista, ed il pezzo sembra provenire di botto dalle sessions di Painted From Memory, ma con una freschezza nuova, mentre Dishonor The Stars, che vede solo Costello e gli Imposters, è l’ennesima bella canzone di un album sorprendente, con una strumentazione basata su piano, chitarre acustiche e delicati rintocchi di vibrafono. Suspect My Tears è una ballatona classica, forse l’unica con un’orchestrazione un po’ invadente e che la rende un po’ zuccherosa, ma Why Won’t Heaven Help Me? ha maggior forza e vigore pur restando nello stesso ambito pop-errebi; chiude il CD la tenue e raffinata He’s Given Me Things terzo ed ultimo dei brani scritti con Bacharach.

Esiste però una versione deluxe con un CD aggiunto, un EP della durata di un quarto d’ora intitolato Regarde Maintenant e comprendente quattro canzoni: la lenta e toccante Isabelle In Tears, solo Elvis e Nieve, la bizzarra ma gradevole Adieu Paris (L’Envie Des Etoiles), cantata un po’ in francese un po’ in inglese, l’immediata The Final Mrs. Curtain, puro e semplice pop, e l’orchestrale e quasi sinfonica You Shouldn’t Look At Me That Way. Un secondo dischetto discreto, che non aggiunge molto ad un album che andava già benissimo così. Sinceramente non pensavo che Elvis Costello avesse ancora nelle sue corde un disco della portata di questo Look Now: senza dubbio tra le sorprese più piacevoli di questo 2018.

Marco Verdi

Ci Mancava: (Anche) Dal Vivo E’ Sempre Formidabile! Richard Thompson Band – Live At Rockpalast

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Richard Thompson Band – Live At Rockpalast – WDR/MIG 3CD/2DVD

Come probabilmente saprete Rockpalast è il nome di una famosa trasmissione televisiva tedesca, che iniziò a programmare negli anni settanta e continua ancora oggi, occupandosi di mandare in onda i concerti di alcuni tra i migliori musicisti mondiali: negli anni sono stati pubblicati diversi CD e DVD tratti da quelle serate, tra cui ricordo Ian Hunter, Lee Clayton, Willy DeVille, i Rockpile, Paul Butterfield, John Cipollina, Joe Jackson, George Thorogood e moltissimi altri. Oggi questa benemerita serie decide di omaggiare uno dei più grandi di tutti, cioè Richard Thompson, e lo fa in maniera sontuosa, con una sorta di mini-box contenente ben tre CD e due DVD, controbilanciando in un colpo solo i tre recenti album acustici del musicista britannico. Le serate interessate da questo cofanetto sono quelle di un concerto completo tenutosi nel Dicembre del 1983 alla Markthalle di Amburgo (che occupa i primi due CD ed il primo DVD) ed una parte dello show del Gennaio 1984 al Midem di Cannes (quindi eccezionalmente fuori dai confini teutonici). La tournée in questione è quella a supporto di Hand Of Kindness, secondo album solista di Richard dopo Henry The Human Fly (in mezzo c’erano stati i sei lavori con la moglie Linda) ed uno dei suoi più riusciti in assoluto, anche se stiamo parlando di un artista che non ha mai sbagliato un disco in vita sua. Per questo tour Richard aveva in un certo senso riformato i Fairport Convention di Full House, tranne Dave Swarbrick (giova infatti ricordare che lo storico gruppo folk-rock inglese in quel periodo non era in attività, ma avrebbe ricominciato solo due anni dopo): infatti troviamo assieme a Thompson Simon Nicol, che suona una stranissima chitarra a forma di scatola di Cornflakes, Dave Pegg al basso e Dave Mattacks alla batteria, anche se poi di canzoni dei Fairport non ne verrà suonata nemmeno una.

A completare la lineup, tre elementi determinanti come Pete Zorn e Pete Thomas, entrambi al sassofono, e soprattutto il formidabile fisarmonicista Alan Dunn, che con il suo strumento dona un irresistibile sapore di Louisiana a quasi tutti i pezzi. E poi naturalmente c’è Richard, uno dei migliori songwriters di sempre, ma anche un performer eccezionale, più che valido come cantante e strepitoso come chitarrista, anche se tutto ciò non lo scopriamo certo oggi. Chiaramente (sto parlando del concerto di Amburgo) la parte del leone la fa Hand Of Kindness, con ben sette brani su otto totali: si parte con The Wrong Heartbeat, un pezzo decisamente saltellante e diretto al quale la fisa dona un sapore cajun, seguita dalla quasi bluesata A Poisoned Heart And A Twisted Memory (un blues sui generis, con un songwriting di qualità superiore) e l’irresistibile Tear Stained Letter, dal gran ritmo ed ancora più di un’attinenza con sonorità zydeco (ed anche i sax fanno i numeri), per non parlare della strepitosa performance del nostro alla chitarra, che dà vita ad un finale entusiasmante. Poi abbiamo la bellissima title track, uno degli highlights della serata, cadenzata, coinvolgente e ricca di spunti chitarristici notevoli, la lenta How I Wanted To, una ballata ricca di pathos, la velocissima Two Left Feet, puro cajun al 100%, a cui è difficile resistere, e lo squisito folk elettrificato di Both Ends Burning. E’ molto ben rappresentato anche l’album Shoot Out The Lights (all’epoca ancora recente), l’ultimo ed anche il migliore di quelli incisi con l’ormai ex moglie, un vero capolavoro del rock internazionale e non solo degli anni ottanta: troviamo infatti una title track potente come raramente ho sentito, una Don’t Renege On Our Love solida e chitarristica, la sempre splendida Wall Of Death, una delle più belle del songbook di Richard e qui presente in versione davvero spettacolare, la guizzante Man In Need, favolosa, e la vibrante Back Street Slide.

C’è un’unica concessione di Thompson al suo passato discografico: Night Comes In era uno dei pezzi centrali di Pour Down Like Silver, e qui il nostro ne offre una rilettura straordinaria, fluida ed intensa, di ben undici minuti, con un assolo di chitarra semplicemente inarrivabile. Dulcis in fundo, troviamo ben sette cover: lo strepitoso folk-rock strumentale Amarylus, una vera goduria, il travolgente traditional Alberta con i due sax e la fisa di Dunn (che qui è anche voce solista) grandissimi protagonisti, l’insolita Pennsylvania 6-5000 di Glenn Miller, raffinata e jazzata, un godibilissimo divertissement che Richard dedica a sua madre; il gran finale è strepitoso, con quattro brani a tutto rock’n’roll uno in fila all’altro: il traditional Danny Boy, You Can’t Sit Down (Phil Upchurch, The Dovells) e l’uno-due finale da k.o. con due classici di Jerry Lee Lewis, Great Balls Of Fire e Highschool Hop (più noto come High School Confidential), entrambi suonati ai duecento all’ora. Basterebbe ed avanzerebbe questo concerto, ma è a questo punto molto gradita l’inclusione anche della serata di Cannes che, come ho già accennato è incompleta; c’è anche un cambio nella lineup, con la sezione ritmica di Pegg e Mattacks rimpiazzata da Rory McFarlane al basso e Gerry Conway (anch’egli futuro Fairport) ai tamburi. La scaletta è identica a quella tedesca, anche se si interrompe alla quattordicesima canzone omettendo le ultime sei, e le versioni sono tutte leggermente più brevi di quelle di Amburgo a parte Night Comes In che è più corta di tre minuti abbondanti, ma la qualità della performance è assolutamente analoga (un po’ meno quella della registrazione, specie da Wall Of Death in poi), con una menzione speciale per Tear Stained Letter e Hand Of Kindness che sono forse perfino miglori.

Decisamente un ottimo momento per i fans di Richard Thompson.

Marco Verdi