Il Primo Album “Diversamente Bello” Della Band Inglese! Jethro Tull – A (La Mode)

jethro tull A la Mode front

Jethro Tull – A: 40th Anniversary Edition – Parlophone/Warner 3CD/3DVD Box Set

Per rispetto verso il lavoro altrui, non amo mai definire “brutto” un disco, a meno che non siamo di fronte a qualcosa di quasi inascoltabile: ancora meno mi piace farlo nel caso dei Jethro Tull, che nel periodo dal 1968 al 1979 seppur con alti a bassi non avevano mai sbagliato un album. Non posso esimermi però di far notare che A, lavoro del gruppo inglese uscito nel 1980, non fosse esattamente un capolavoro, cosa che la critica dell’epoca non mancò di far notare stroncando sia il songwriting ma soprattutto gli arrangiamenti moderni che anticipavano il sound della nuova decade, con un uso massiccio di sintetizzatori. Ma A non doveva essere nemmeno un disco dei Tull, bensì il primo lavoro solista del leader Ian Anderson (il titolo dell’album era preso dalla scritta che compariva sulle scatole dei nastri delle sedute, A come Anderson), che si tramutò nel tredicesimo LP del gruppo su pressioni della Chrysalis, la loro etichetta all’epoca.

jethro tull A la Mode box

I musicisti coinvolti nelle sessions si ritrovarono quindi all’improvviso ad essere i nuovi membri della band, e se per il chitarrista Martin Barre non era una novità, per il bassista ex Fairport Convention Dave Pegg e per il batterista Mark Craney sì (ma mentre Pegg rimarrà con Anderson fino al 1995 dividendosi con i riformati Fairport, Craney si rivelerà una meteora), mentre il tastierista e violinista Eddie Jobson, vero responsabile del sound modernista del disco, venne accreditato solo come ospite esterno. Ora A esce in versione deluxe proseguendo la serie di ristampe a cofanetto dei Tull, nella consueta bella confezione a libro e con ben tre CD ed altrettanti DVD (che però contengono come vedremo a breve le solite ripetizioni), con il titolo “aggiornato” A (La Mode): come sempre la parte sonora è nelle mani di Steven Wilson, che oltre a rimasterizzare il tutto si occupa anche del remix, con il risultato che un po’ di patina di antico è venuta via, anche se non si poteva certo fare il miracolo di trasformare un disco traballante in un lavoro imperdibile; in compenso il box offre la solita generosa dose di bonus tracks, cioè una manciata di outtakes nel primo dischetto ed un concerto completo negli altri due.

L’album originale risentito oggi non è neanche così orrendo (secondo me il fondo i nostri lo toccheranno nel 1984 con Under Wraps): Crossfire ha una melodia tipica di Anderson, con una base strumentale leggermente funky-disco ma non spregevole, l’incalzante Flyingdale Flyer è un pop-rock gradevole ed abbastanza coinvolgente specie nel refrain, Working John, Working Joe, unico singolo estratto (senza alcun successo), è una rock song energica e dal ritmo sostenuto ma con un occhio al sound radiofonico. Un brutto intro di synth cede per fortuna il passo ad un arrangiamento più rock nella non disprezzabile Black Sunday, Protect And Survive non è niente di speciale, mentre la frenetica Batteries Not Included, già non un capolavoro, è rovinata da un florilegio di tastiere elettroniche. Il violino elettrico dona a Uniform un discreto sapore folk-rock, 4.W.D. (Low Ratio) è un midtempo piuttosto nella media e leggermente caotico, ma il folkeggiante strumentale The Pine Marten’s Jig è il pezzo più comparabile al classico suono Tull, e la rock ballad And Futher On, che chiude il disco del 1980, di sicuro non è il miglior brano dei nostri ma almeno non fa danni.

Come bonus sul primo CD abbiamo cinque outtakes inedite: a parte una versione estesa di Crossfire, una alternata di Working John, Working Joe ed il breve frammento di 39 secondi Cheerio, il meglio si ha con Coruisk, evocativa canzone strumentale tra rock e folk che era meglio di molto del materiale finito su A (ci sarebbe anche Slipstream Introduction, un breve brano in stile ambient usato all’epoca per aprire i concerti, ma non è il massimo). Gli altri due CD documentano uno show del gruppo, con la stessa lineup del disco, tenuto il 12 novembre del 1980 alla Sports Arena di Los Angeles: un buon concerto, che presenta ben sette pezzi tratti da A, con gli stessi pregi e difetti anche se on stage la componente rock è decisamente più accentuata grazie al maggior spazio riservato a Barre. Purtroppo però ci sono anche lunghe improvvisazioni strumentali che rompono un po’ il ritmo del concerto, specie i lunghi ed autoindulgenti assoli di tastiera e batteria.

La parte migliore è quindi riservata ai brani dei dischi precedenti ad A, con belle riletture delle allora recenti Songs From The Wood, Hunting Girl e Heavy Horses, un paio di classici minori tratti da War Child (Skating Away On The Thin Ice Of The New Day e Bungle In The Jungle), ed il consueto bis che non fa prigionieri, forse prevedibile ma se uno va ad un concerto dei Tull si incazza se non le suonano: una splendida Aqualung di quasi dieci minuti e la sempre trascinante Locomotive Breath, che neanche il synth riesce a rovinare. I tre DVD contengono le stesse cose dei CD, in vari formati audio compreso “l’indispensabile” (per qualcuno) 5.1 surround, e nella parte video il film Slipstream uscito all’epoca in VHS, uno strano lungometraggio che alterna videoclip, sezioni animate, brani presi da concerti e parti recitate dai membri del gruppo (con Anderson nel doppio ruolo di Aqualung e…Dracula!). L’anno prossimo le ristampe dei Tull si prenderanno una vacanza (ma A sarebbe dovuto uscire nel 2020, poi la pandemia si è messa di mezzo) fino al 2022 quando toccherà al discreto The Broadsword And The Beast, anche se alcune voci parlano per fine 2021 di un “recupero” di Benefit del 1970, l’unico a non aver ancora beneficiato (nonostante il titolo…) dell’edizione “a libro”.

Marco Verdi

Un Ennesimo Ottimo Album Della Band Inglese, Nuovo Ma Vecchio Al Contempo. Fairport Convention – Fame And Glory

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Fairport Convention – Fame And Glory Reissue 2020 – Explore Rights Managent Ltd/Cherry Red

Fame And Glory è una sorta di album matrioska: già pubblicato nel 2008 dalla Matty Grooves, l’etichetta personale dei Fairport Convention, che ha comunque una buon distribuzione (per quanto non capillare), praticamente si trattava già allora di una specie di compilation di brani della band inglese, estrapolati dalle produzioni di Alan Simon, un musicista bretone, molto noto in ambito folk- celtic – prog rock-world-new age, che tra il 1998 e il 2009 (e qui le date non coincidono) ha realizzato una serie di cinque album, tre della serie Excalibur, più Gaia e Anne De Bretagne, che trattano dei miti e delle leggende delle epoche cavalleresche. Ovviamente quindi non stiamo parlando di un vero e proprio album dei Fairport, ma di una sequenza di canzoni estrapolate, da questi dischi; dove peraltro appaiono molti altri musicisti famosi nei generi citati: e alla fine il risultato, ottimo, ha anche una sua logica, tanto che a dodici anni dal CD originale, togliendo (o aggiungendo) un’altra matrioska otteniamo un ulteriore variazione sul tema, con altre tre bonus aggiunte alla versione “originale”.

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Dave Pegg, basso e Gerry Conway (meno un brano dove c’è Dave Mattacks), batteria, Simon Nicol e Chris Leslie, chitarre acustiche ed elettriche, mandolino, bouzouki, e violino, equamente divisi tra i due, che si spartiscono anche le parti vocali, con Ric Sanders al violino, sono il nucleo della band in quella decade. Castle Rock è lo strumentale che apre idealmente questa lunga suite, una vibrante giga elettrica guidala dal violino e dalla solista pimpante di Chris Leslie, mentre un lirico Martin Lancelot Barre, all’epoca ancora nei Jethro Tull, è il chitarrista ospite in Pilgrims, dal secondo Excalibur, composto quasi interamente, come tutti i brani di questa saga, da Simon https://www.youtube.com/watch?v=PLViztoculY ; Celtic Dream, estratta dal terzo capitolo dal vivo, vede la presenza di ben due flautisti, lo stesso Simon e Brian Finnegan, per un’altra extravaganza folk strumentale, con interessanti intrecci tra i vari musicisti presenti, che potrebbero ricordare parecchio la musica di Alan Stivell https://www.youtube.com/watch?v=m5FxT0N7CF4 . The Geste Of Gauvain, cantata da Simon Nicol e con la presenza anche di una orchestra, viene sempre dal primo Excalibur https://www.youtube.com/watch?v=urlCo6jGOH8 , mentre Morgane, ancora dal live, vede la presenza di Dan Ar Braz alla chitarra e Jacqui McShee alla voce, in una epica ballata, dove si gusta anche la presenza del violinista jazz Didier Lockwood, che duetta con l’altro violino di Sanders https://www.youtube.com/watch?v=Lq1clF_lESk .

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Doppio flauto di nuovo per la breve Dragon Breath, dove partecipa anche il sassofonista dei Supertramp John Helliwell, pure al clarinetto, ottima anche la sognante Lugh, nella quale rimane Helliwell, e arriva John Wetton dei King Crimson, con Barre che esplode un assolo dei suoi nel finale, e di nuovo dal live la lunga Behind The Darkness, con testo di Simon e musica di Leslie e Sanders, che guidano le danze, nel vero senso della parola, molto bello anche questo brano https://www.youtube.com/watch?v=DH4v4vShfkA . La Guerre Folle, viene dalla rock opera Anne De Bretagne, uno strumentale con il franco-irlandese Pat O’May alla chitarra, Fame And Glory dal vivo è cantata da Nicol https://www.youtube.com/watch?v=ltAXFQHLlgs , mentre la bellissima Sacrifice con Andreas Vollenweider all’arpa, Jacqui McShee alla voce e Martin Barre alla chitarra è un altro gioiellino https://www.youtube.com/watch?v=k4A1AeScUrs . Danza Del Crepusculo (ma imparare l’italiano no!?) è un breve pezzo per violino solo di Sanders da Gaia, la deliziosa Marie La Cordeliere, cantata dal coautore James Woods, viene sempre da Anne De Bretagne, come pure la successiva Duchess Anne, altro brillante folk-rock in tipico stile FC, e a chiudere l’album originale l’epilogo della rock opera, The Soldier, cantata da Chris Leslie, che si accompagna con il solo bouzouki.

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Sarebbe già tutto molto bello (e vivamente consigliato nel caso non lo abbiate), ma ci sono anche tre bonus: una ulteriore giga rock strumentale come Beltaine, una diversa versione di Fame And Glory, registrata in studio, e Goodbye My Friends un’altra canzone inedita https://www.youtube.com/watch?v=KXWE-JdK-SU , sempre nel tipico stile dei Fairport Convention.

Bruno Conti

Richard & Linda Thompson – La Coppia Regina Del Folk-Rock Britannico: Box Hard Luck Stories Parte II

richard & linda thompson hard luck stories front

Seconda Parte.

Chapter 4. Pour Down Like Silver.

Richard e Linda Thompson ormai sempre più presi dalla loro conversione religiosa, tanto da apparire abbigliati in copertina con copricapi che rendono evidente questa svolta di vita, i due però incontrano anche delle difficoltà a continuare a fare musica: il Mullah di Richard vorrebbe imporgli di non fare più musica, o comunque di abbandonare la chitarra elettrica, ma dall’altro lato Richard non vorrebbe impedire a Linda di cantare “hai una voce bellissima e devi continuare a cantare” e quindi nell’estate del 1975 entrano nei soliti studi di Londra, di nuovo con John Wood, per registrare il nuovo album, che era l’ultimo per rispettare il contratto con la Island.

Nel frattempo Sheikh Abdul Q’adir li esorta a fare musica fintanto che si tratti di un omaggio a Dio, e un ispirato Richard scrive alcune delle sue più belle canzoni di sempre (a fianco di decine di altre) tra le quali Dimming of the Day, Beat the Retreat e Night Comes In, parlano tutte del tema della divinità e Thompson le riveste di alcune musiche superbe. E non è che le altre scherzino: Streets Of Paradise cantata con forza da Richard con i ricami vocali della moglie, gli arabeschi della fisa di Kirkpatrick e un robusto groove della ritmica affidata ai vecchi amici Dave Pegg e Dave Mattacks, è un piccolo gioiello, come pure la sublime For Shame Of Doing Wrong, cantata in modo divino da Linda, in una delle sue migliori interpretazioni di sempre, di nuovo a rivaleggiare con quelle di Sandy Denny.

Notevole anche The Poor Boy Is Taken Away, altra ballata stupenda (ho quasi esaurito gli aggettivi) cantata con voce cristallina da Linda, ma sono le tre canzoni citate i punti salienti dell’album: Night Comes In nei suoi oltre otto minuti sfiora quasi la perfezione con Richard che ci regala un grande interpretazione vocale e una parte strumentale finale di grande fascino, Beat The Retreat con una dolente interpretazione di Richard è un altro brano indimenticabile e la conclusiva Dimming Of The Day per molti è forse la più bella canzone mai scritta da Thompson, cantata in modo eccezionale da Linda, mentre Richard si riserva una coda strumentale, Dargai dove rilascia tutto il suo virtuosismo alla chitarra acustica.

Nelle sei bonus tracks ci sono le inedite Wanted Men, un bel pezzo rock cantato da Richard, l’altrettanto bella Last Chance cantata da Linda, un intimo demo di Dimming The Day e tre brani dal vivo da un concerto all’Oxford Polytechnic del 27 novembre del 1975, la breve ma intricata Things You Gave Me, la scatenata It’ll Be Me di Jack Clement a tempo di rock’n’roll con assolo fumante del nostro che poi ci regala una colossale versione di oltre 13 minuti di Calvary Cross: questi brani non sono inediti, erano giù usciti in In Concert, November 1975, pubblicato dalla Island in CD nel 2007, tuttora in produzione, ma questo non inficia il giudizio su questa versione di Pour Down Like Silver, altro capolavoro.

Chapter 5. The Madness Of Love Live 1975 & 1977. Questo è l’altro CD completamente inedito, tutto dal vivo, con materiale tratto da due soli concerti: il primo riguarda il set acustico del concerto del 25 aprile 1975 alla Queen Elizabeth Hall, per promuovere l’album dell’epoca Hokey Pokey, sei brani in tutto, con Richard alla chitarra acustica e i due che si dividono la parti vocali, si apre con lo strumentale Dargai, poi in sequenza una intensa Never Again, cantata da Linda, una rara cover della splendida Dark End Of The Street, sempre Linda ma alcune parti cantate all’unisono, Beat The Retreat è affidata a Richard, come pure The Sun Never Shines On The Poor, poi un’altra sorpresa, la divertente If I Were a Woman And You Were A Man.

Il secondo concerto arriva da un broadcast per Capital Radio e venne registrato il 1° maggio del 1977 al Theatre Royal di Londra e segue una lunga pausa del duo, con Linda che nel frattempo aveva avuto il secondo figlio Teddy nel 1976 (il primo con Richard), e giravano con uno “strano” gruppo definito Muslim Band e che fu abbastanza denigrato dalla stampa per il loro Islamic-Folk-Jazz: la formazione prevedeva Abdul Latif Whiteman alle tastiere, Haj Amin Evans al basso Abdul-Jabar (non quello dei Lakers) Pickstock alle percussioni e Preston Hayman alla batteria.

Cinque brani in tutto che dimostrano che repertorio e band non erano poi così male, anzi, anche io non le avevo mai sentite, forse su un bootleg e concordo con l’estensore delle note: The Madness Of Love rimasta inedita (a parte una versione di Graham Parker in un tributo a Thompson), come in parte le altre eseguite nella serata e previste per un album mai completato, non sono mai piaciute a Richard, comunque il pubblico presente apprezza, il nostro amico è in ottima forma vocale, doppiato dalla voce di Linda e la chitarra viaggia che è un piacere, ben sostenuta dalla band, a seguire una lunga versione, oltre 12 minuti, di The Night Comes In, con il liquido piano elettrico di Whiteman a seguire le acrobatiche divagazioni della solista, mentre Linda al solito canta in modo stupendo, ottima anche la corale a due voci A Bird In Gods Garden con un testo adattato da un poema di Rumi, un autore islamico, verrà incisa in seguito con French, Frith & Kaiser, e l’accompagnamento funky-jazz-rock nella lunga coda jam strumentale è eccellente.

Molto bella anche The King Of Love, sempre cantata all’unisono e con lavoro della chitarra di Thompson all’altezza della sua fama, chiude Layla, che non è quella di Clapton, ma il soggetto è sempre la stessa principessa persiana, con la band che imbastisce un classico groove “thompsoniano” (si può dire?), per permettere a Richard, che la canta con Linda, di indulgere di nuovo nelle sue superbe improvvisazioni all’elettrica, poi uscirà proprio su First Light. Una ottima scoperta!

Chapter 6: First Light. Dopo due anni passati nella comune Sufi a Norfolk, la coppia decide di tornare a Londra, e con sorpresa Richard scopre che Linda non aveva “abbandonato” il loro appartamento di Hampstead dove la coppia torna a vivere, e poco alla volta riprende a frequentare i vecchi amici, Joe Boyd in testa, che prima convince Thompson a suonare nel CD di esordio di Julie Covington, reduce dal successo travolgente del musical di Andrew Lloyd Webber Evita, dove rivestiva la parte principale, poi alcune collaborazioni con il giro Albion Band e altre cose, ma purtroppo di questo non c’è traccia, neppure nelle bonus, forse il prossimo cofanetto. Comunque assestata la situazione bisogna andare alla ricerca di un nuovo contratto discografico, che visti i “successi” a livello commerciale dei precedenti non si rivela una cosa facile, comunque alla fine si fa avanti la Chrysalis ed iniziano i preparativi per il nuovo album: ad accompagnare la coppia sarà un terzetto di formidabili musicisti americani, Andy Newmark alla batteria, Willie Weeks al basso e Neil Larsen alle tastiere, che nelle parole di Joe Boyd erano rimasti impressionati dalla abilità del nostro ed avevano espresso il desiderio di suonare con lui.

Nell’album suonano anche i vecchi amici John Kirkpatrick e Dave Mattacks, oltre ad una pletora di voci di supporto: dieci canzoni sono pronte alla bisogna, otto nuove e due traditional arrangiati da Thompson. Il disco, pur non ai livelli dei precedenti, si lascia ascoltare comunque con piacere, specie in questa nuova edizione rimasterizzata per la prima volta appositamente per l’edizione in box e ci sono pure 6 demo acustici inediti, solo voce e chitarra, tre, anzi quattro, cantati da Linda (inclusa la title track che è l’unica già pubblicata in precedenza) e due da Richard. Per il resto, nel disco originale, che anche il sottoscritto riascolta per la prima volta da almeno una quindicina di anni, ci sono brani di buona struttura, come l’iniziale avvolgente Restless Highway, il suono è sì più vicino al mainstream, anche se la produzione di John Wood, sempre a fianco di Richard, questa volta agli Olympic Studios, cerca di contenere certe concessioni ad un sound più americano, come nella ballata mistica quasi celtic soul Sweet Surrender, cantata da Linda, in altre canzoni, come nella sciapa Don’t Let A Thief Steal Into Your Heart si vira verso un funkettino leggero che neppure la chitarra del nostro riesce a redimere più di tanto, e anche l’arrangiamento con gli archi non giova.

Il traditional strumentale The Choice Wife è decisamente meglio grazie al virtuosismo di Richard, brano che poi converge nella intensa Died For Love, cantata questa volta splendidamente da Linda, con un coro di vari ospiti (Maddy Prior, Trevor Lucas, Iain Matthews, Jiulie Covington tra i tanti) che gli conferiscono un fervore tra gospel e folk, grazie anche all’accordion di Kirkpatrick e al whistle di Dolores Keane, già allora nei De Dannan. Anche la fascinosa Strange Affair, firmata con Martin Simpson e June Tabor, mantiene questa aura folk che rimanda ai dischi solisti di Sandy Denny che Linda ricorda sempre moltissimo. Layla, che nella versione già ascoltata dal vivo o in quella acustica, aveva un suo perché, qui, cantata da Richard, ha un suono rock abbastanza dozzinale, meglio Pavanne, un’altra potenziale bella interpretazione di Linda, che, credo per la prima volta, la firma insieme a Richard, però in parte manca del fuoco di altre canzoni simili, forse troppo turgida per quanto non mi dispiaccia.

House Of Cards utilizza il mega coro usato in precedenza, ma di nuovo l’arrangiamento con gli archi è troppo carico e sommerge la melodia della canzone, e anche la la title track, cantata ancora da Linda, viene sommersa a tratti da questi arrangiamenti fuori posto e troppo pomposi, insomma luci e ombre in questo album, che neppure il successivo Sunnyvista riesce del tutto a dissipare.

Chapter 7. Sunnyvista Neppure il Dottor Richard e l’infermiera Linda ritratti in copertina, forse pressati dalla casa discografica che richiede un album di successo a livello commerciale, riescono a cavare il classico coniglio dal cilindro, e nonostante il ritorno di vecchi amici inglesi come Timi Donald e Dave Mattacks alla batteria e Dave Pegg e Pat Donaldson al basso (all’epoca anche fidanzato con Kate McGarrigle, che appare con la sorella Anna nel disco, e segna l’inizio di una lunga amicizia con i Thompsons), oltre a tastieristi assortiti come Pete Wingfield e John “Rabbit” Bundrick, l’album ha un suono a tratti troppo “contemporaneo” e rock, tra l’altro messo ancora in maggior evidenza dal nuovo mastering impiegato nel box, per cui si sente splendidamente, ma le canzoni rimangono influenzate dall’atteggiamento, come ha detto il nostro amico a posteriori rispetto ai suoi dischi di fine anni ‘70, “ troppo flaccido ed indifferente”, forse fin troppo auto flagellatore, ma si capisce il senso di quanto detto.

Alcune canzoni mi piacciono parecchio, come You’re Going To Need Somebody, con l’interplay tra Thompson e la fisa di Kirkpatrick, e le armonie di Linda più le sorelle McGarrigle che sostengono Richard alle prese con un assolo dei suoi, oppure il country-rock di Lonely Hearts, con un suono che ricorda quello della sua amica Linda Ronstadt, e anche la splendida ballata Traces Of My Love, cantata con impeto e passione da Linda, aiutata dalle armonie celestiali della McGarrigles. Per non dire di Sisters altra sontuosa interpretazione degna delle migliori di Linda, con Richard superbo alla chitarra, e le McGarrigles solenni di cui sentiamo sempre più la mancanza; però ci sono anche canzoni funky come Justice In the Streets, con il ritornello che fa Allah, Allah, va bene che non avevano gradito del tutto ma…

Neppure l’iniziale Civilization brilla per inventiva, tipico Richard, ma eseguito male, Borrowed Times è pericolosamente vicino all’AOR, Saturday Rolling Around, una via di mezzo tra country, cajun e una giga, con Kirkpatrick in evidenza alla fisa e Richard alla chitarra è peraltro piacevolissima, accoppiata replicata nella title-track, tra tango e musica mitteleuropea alla Brecht, stile melò molto apprezzato da Linda a e anche il classic rock di Why Do You Turn Your Back? nell’insieme non dispiace. Insomma, visto a posteriori l’album non mi sembra poi così brutto.

Le bonus tracks prevedono Georgie On A Spree, lato B del singolo Civilization, nuova versione di un brano già apparso su Hokey Pokey, 3 demo di canzoni inedite non utilizzate nell’album, Lucky In Life, la delicata Speechless Child, sul tema dell’autismo e Traces Of My Love, entrambe cantate da Linda, poi ci sono tre canzoni, registrate con Gerry Rafferty nel 1980, che si era offerto di finanziarli e che anticipano il nuovo album, e dovevano anche servire per trovare un nuovo contratto discografico visto che anche la Chrysalis a questo punto li ha scaricati: tre versioni fin troppo lavorate di For Shame Of Doing Wrong, The Wrong Heartbeat e Back Street Slide, tanto che Richard litiga con Rafferty per i suoi metodi di lavoro e torna dopo anni a lavorare con il vecchio amico Joe Boyd, che li mette sotto contratto con la sua Hannibal, e insieme realizzano il canto del cigno della coppia, un capolavoro assoluto, il classico disco da 5 stellette.

Chapter 8. Shoot Out The Lights. Nel 1980, però si profila il “disastro” nella loro vita personale: Linda era incinta e quindi le registrazioni erano state rinviate perché erano insorti dei problemi di respirazione (poi negli anni a seguire peggiorati in una disfonia che le impedirà a lungo di cantare dal vivo), con Joe Boyd che aveva convinto Richard a fare un breve tour acustico negli States, organizzato da Nancy Covey. I due sviluppano una relazione intima con conseguente tradimento, e Linda decide di lasciare il marito: ma ci sono degli impegni da mantenere, il nuovo album da registrare e il successivo tour per promuoverlo. Il tutto verrà fatto, in una situazione ovviamente infernale, con tensione alle stelle, anche per gli altri musicisti. A dispetto di tutto, come ricordato prima, il disco Shoot Out The Lights è veramente stupendo, con una serie di canzoni superbe, realizzate con una band veramente motivata da Boyd, che produce come forse non gli capitava dai tempi dei Fairport Convention. Ed in effetti i musicisti sono quelli: Dave Mattacks batteria, Dave Pegg basso, Simon Nicol chitarra ritmica, più alcuni ospiti come i Watersons e Clive Gregson, oltre ad una piccola sezione fiati.

Il resto lo fanno le canzoni: la galoppante e profetica Don’t Renege On Our Love doveva essere cantata da Linda, che però per i problemi legati alla gravidanza, non riusciva a raggiungere la giusta tonalità, grande assolo di chitarra di Richard che suona anche la fisa in questo brano. Ma in Walking On A Wire Linda regala una delle performance vocali più belle della sua carriera, anche ispirata dal testo che recita nell’incipit “ I hand you my ball and chain/you hand me the same old refrain”, e la melodia si eleva sublime e il lirico assolo di Richard è magnifico. A Man In Need è uno dei suoi tipici brani rock corali, con i controcanti perfetti di Linda e degli ospiti e un altro assolo tagliente e conciso, in Just The Motion Linda convoglia nella sua voce un tale rimpianto che è quasi doloroso ascoltarla, ma non si può non ammirare il risultato finale di questa meravigliosa ballata.

Shoot Out The Lights ricorda i tempi felici a NY nel 1978, quando insieme scoprivano la nascente scena musicale della Grande Mela con Talking Heads e Television, con Byrne e Verlaine entrambi grandi ammiratori di Thompson, che per l’occasione compone una delle sue canzoni più intense e ricche di pathos, con una serie di assoli acidissimi e fenomenali, mentre la scandita Back Street Slide prevede ancora una solida prestazione corale della band e la vocalità all’unisono superba dei due.

Did She Jump or Was She Pushed?, una rara collaborazione tra i due come autori, è un’altra delle canzoni a più alto tasso emozionale, riflessiva ed amarissima, comunque splendida ancora una volta, e la conclusiva Wall Of Death, cantata a due voci, è la summa di quasi dieci di musica e di vita insieme, un commiato triste ma orgoglioso.

Il disco esce a marzo 1982 e poi i due si imbarcano in un tour americano periglioso ma che in alcune serate, in mezzo a mille tensioni, rinverdisce la vecchia magia tra i due, come testimoniamo i brani apparsi nel secondo CD della edizione Deluxe dell’album, pubblicata dalla Rhino nel 2010 e qui non utilizzati, anche se nelle bonus ci sono due brani da quei concerti, una riflessiva e soffusa Pavanne cantata in solitaria da Linda ed una esuberante High School Confidential che illustra l’amore di entrambi per il vecchio R&R, con assoli spaziali di Richard. Le altre bonus sono la B-side Living In Luxury, la reggata ma non disprezzabile The Wrong Heartbeat, sempre dalle sessions per l’album e migliore di quella nelle bonus di Sunnyvista, proveniente dai brani registrati con Gerry Rafferty, di cui ritroviamo altre due canzoni, l’adorabile I’m A Dreamer, un brano di Sandy Denny e un’altra versione rifulgente di Walking On A Wire, registrata prima del “disastro”, serena ed avvolgente.

E qui ci sta, imperdibile.

Bruno Conti

Cinque Arzilli “Vecchietti” Che (Fortunatamente) Non Vogliono Mollare! Fairport Convention – Shuffle And Go

fairport convention shuffle and go

Fairport Convention – Shuffle And Go – Matty Groves CD

*NDM: recensione in anteprima assoluta di un album che uscirà alla fine di Febbraio nel circuito normale, ma già disponibile se lo ordinate direttamente sul sito della band)

Tornano i Fairport Convention a tre anni dall’ottimo 50:50@50, che celebrava appunto il loro mezzo secolo di carriera https://discoclub.myblog.it/2017/01/30/il-mezzo-secolo-di-una-band-leggendaria-fairport-convention-505050/ , e a due dallo splendido live What We Did On Our Saturday https://discoclub.myblog.it/2018/07/15/i-migliori-dischi-dellanno-2-fairport-convention-what-we-did-on-our-saturday/  , con il nuovissimo Shuffle And Go, album di studio numero ventinove e quinto di fila ad uscire nel mese di Gennaio (probabile strategia volta a non venir “risucchiati” nel marasma di pubblicazioni natalizie). Del leggendario gruppo che esordì nel 1967 da anni, come saprete, è rimasto solo Simon Nicol, che fu il responsabile principale della reunion avvenuta nel 1985 dopo la separazione del 1979, insieme all’altro membro di lungo corso Dave Pegg.

simon nicol

L’attuale formazione dei Fairport è anche la più longeva di sempre, con il violinista, mandolinista e cantante Chris Leslie (nel gruppo dal 1996), l’altro fiddler Ric Sanders (dal 1985) e dal batterista ex Jethro Tull e Cat Stevens band Gerry Conway (in sella dal 1998), ed è ormai affiatatissima grazie anche ai lunghi tour intrapresi ogni anno. Dall’inizio della loro “seconda carriera” i nostri hanno pubblicato una lunga serie di dischi estremamente piacevoli e ben fatti, alcuni più riusciti di altri, senza scendere mai sotto il livello di guardia (come fecero invece nei tre album finali degli anni settanta prima dello scioglimento) ma anche senza pubblicare capolavori: d’altronde, pur essendo Leslie un valido songwriter e Nicol un ottimo mestierante, non è esattamente facile sopperire all’assenza di gente del calibro di Richard Thompson, Sandy Denny, Ashley Hutchings e Dave Swarbrick. Shuffle And Go è però un lavoro molto bello, che già dal primo ascolto riesce a piacere ed a coinvolgere in più di un brano, e che mi sento di mettere tra i lavori più riusciti tra quelli pubblicati dal 1985 ad oggi, al pari di Red & Gold, Jewel In The Crown, Who Knows Where The Time Goes?, XXXV, Over The Next Hill ed il già citato 50:50@50. Nei tredici pezzi presenti all’interno del disco troviamo la consueta miscela di folk elettrificato, rock e ballate, ma con una scelta di canzoni di ottima qualità suonate in maniera ispirata e coinvolgente, cosa affatto scontata in un gruppo i cui membri hanno tra i 64 ed i 73 anni d’età.

dave pegg

Nicol e Leslie si dividono equamente le parti cantate, cinque canzoni a testa, ma mentre Simon si rivolge a songwriters esterni Chris affronta esclusivamente materiale scritto da sé stesso, a partire dall’iniziale Don’t Reveal My Name, una folk ballad moderna ma con radici nel passato, un background elettrico ed una melodia evocativa ed intrigante, addirittura con elementi blues al suo interno. Gli altri brani che vedono protagonista il lungocrinito Chris sono la bellissima Good Time For A Fiddle And Bow/The Christmas Eve Reel, una folk song immediata ed orecchiabile nella miglior tradizione dei nostri con i due violini di Leslie e Sanders a dominare la scena, la trascinante title track, tra folk, rock’n’roll ed un pizzico di cajun, la mossa e diretta The Year Of Fifty-Nine, ancora con un motivo di prima qualità (e Chris ha davvero una bella voce), e la malinconica Moondust And Solitude, che racconta la leggendaria missione Apollo 11 dal punto di vista di Michael Collins, ovvero l’unico dei tre dell’equipaggio a non aver camminato sul suolo lunare. Dal canto suo, Nicol esordisce con Cider Rain, limpido folk-rock elettroacustico di James Wood con bellissimi intrecci tra chitarre, mandolino ed arpa celtica, a cui fanno seguito due brani scritti da Rob Beattie, la squisita ballata A Thousand Bars, dal motivo toccante e con un refrain corale splendido (e sempre con il violino di Sanders ben dentro alla canzone) e la delicata ed intensa Moses Waits, altro slow particolarmente adatto alla voce profonda del nostro, che termina con un accenno di musica africana.

chris leslie

Simon si congeda con The Byfield Steeplechase, gioioso folk-rock dal sapore decisamente tradizionale (ma scritto dall’amico PJ Wright), e con una breve ma scintillante ripresa di Jolly Springtime di James Taylor (tratta dall’ultimo album di studio del cantautore di Boston, Before This World), in cui Nicol divide le lead vocals con Leslie e Pegg. Proprio Dave è il protagonista in prima persona, voce compresa, di Linseed Memories, un orecchiabile e delizioso pezzo (ancora scritto da Wood) di stampo hawaiano in cui tutti i membri del gruppo tranne Conway suonano l’ukulele. Dulcis in fundo, non c’è disco dei Fairport che non abbia all’interno dei brani strumentali, e qui ne troviamo due, entrambi scritti da Sanders: la ritmata e travolgente Steampunkery, una giga più rock che folk che fa muovere testa e piedino (con ottime prestazioni di Ric e Chris rispettivamente al violino e mandolino) e la languida e nostalgica Precious Time. E’ sempre bello iniziare l’anno con un disco nuovo dei Fairport Convention, e Shuffle And Go si può tranquillamente mettere tra i loro lavori più riusciti almeno per quanto riguarda gli ultimi 35 anni.

Marco Verdi

*NDB Essendo molto in anticipo sull’uscita ufficiale dell’album non ci sono ancora filmati musicali in rete, per cui vi dovete accontentare di alcune foto dei componenti della band prese dal loro sito. Eventualmente se e quando verranno caricati dei filmati integrerò questo Post. Quindi per ora fidatevi di quanto scritto, è tutto vero.

I Migliori Dischi Dal Vivo Dell’Anno 2. Fairport Convention – What We Did On Our Saturday

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Fairport Convention – What We Did On Our Saturday – 2 CD Matty Groves

In questi ultimi anni c’è tutto un florilegio di anniversari, perché molte band, importanti e meno, nate nei “mitici anni ‘60”, come li chiamerebbe gianniminà, stanno comunque arrivando a questo notevole traguardo. Nel caso particolare dei Fairport Convention, in effetti i festeggiamenti, con relativi eventi e ristampe varie, sono peraltro in corso da qualche tempo: cofanetti celebrativi https://discoclub.myblog.it/2017/08/06/supplemento-della-domenica-ma-quanto-sono-grandi-i-loro-archivi-fairport-convention-come-all-ye-the-first-ten-years/ , ma anche nuovi album, come ad esempio il buon 50:50@50, registrato dall’ultima formazione della band in attività https://discoclub.myblog.it/2017/01/30/il-mezzo-secolo-di-una-band-leggendaria-fairport-convention-505050/ . Formazione che tutti gli anni si ritrova a Cropredy per i loro leggendari fine settimana in cui viene rinverdita l’eredità di una delle più grandi band del cosiddetto folk-rock britannico. In ogni edizione di Cropredy gli ospiti importanti si sono sempre sprecati (quest’anno, se vi capita di essere da quelle parti, ci sarà Brian Wilson), ma lo scorso anno, come si diceva, si festeggiava il cinquantenario della fondazione, anche se le date sono spesso degli optionals, visto che il primo omonimo disco, registrato nel novembre del  1967, sarebbe uscito solo a giugno del 1968: però, per questa ricorrenza speciale, si è ritrovata sul palco la prima leggendaria formazione, quelli ancora vivi ovviamente, Iain Matthews, Ashley Hutchings, Simon Nicol, Judy Dyble, Richard Thompson e Dave Mattacks, che sostituiva lo scomparso Martin Lamble. E vi assicuro che è veramente un bel sentire.

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La band suona in modo splendido, Iain Matthews, di recente all’opera con i riformati Matthews Southern Comfort https://discoclub.myblog.it/2018/04/04/erano-la-seconda-band-ora-riformata-di-iain-matthews-dopo-i-fairport-convention-sempre-ottima-musica-matthews-southern-comfort-like-a-radio/ , canta in modo splendido tre delle canzoni più belle di quel seminale album, tre cover di cantanti americani, che furono tra le prime influenze dei FC, Time Will Show The Wiser di Emitt Rhodes è bellissima, con la band in forma strepitosa, il suono è fresco e pimpante, come se non fossero trascorsi 50 anni da allora https://www.youtube.com/watch?v=EnbKzGZblrA , e Richard Thompson è in modalità deluxe (come sempre) con la sua chitarra magica a ricamare assoli incredibili sugli intrecci vocali inconfondibili della band. Reno Nevada, se possibile, è ancora più rilucente, il brano di Richard Farina riceve il classico trattamento folk-rock della band, con Thompson sempre più impegnato nei suoi florilegi chitarristici di una classe cristallina, con un assolo di una complessità superlativa https://www.youtube.com/watch?v=tk-ZvEocQ2k , e anche la versione di Suzanne di Leonard Cohen non è da meno, la melodia del canadese viene arricchita dalla interpretazione vocale maiuscola di Matthews, ben sostenuto dall’apporto vocale di Chris While, che aggiunge ulteriore fascino a questa rilettura meravigliosa del classico di Cohen, con la ciliegina del lavoro di fino di Thompson alla solista, da brividi https://www.youtube.com/watch?v=eoCV-XUBC_o .

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Ed è solo l’inizio: cambio di formazione e a fianco di Nicol e Mattacks arrivano Dave Pegg, Chris Leslie, poi al violino anche in molti brani successiv , nel ruolo che fu di Swarbrick, in alternativa a Ric Sanders, prima per una struggente Farewell, Farewell da Liege And Lief, scritta da Thompson, che non appare, anche se nel corso del concerto la sua presenza sarà ancora massiccia, poi Crazy Man Michael, dell’accoppiata Thompson/Swarbrick, con Gerry Conway alla batteria, prosegue in questo segmento acustico del concerto, altro brano magnifico da Liege And Lief (eseguito al completo nel concerto, meno un brano), di cui viene ripresa anche Come All Ye, con Hutchings, autore del brano con Sandy Denny, che ritorna sul palco con Thompson, mentre Chris While la canta meravigliosamente.  E pure The Deserter viene da quell’album seminale, altra versione sfarzosa, come pure quella del medley di The Lark In The Morning, sempre con la While e Thompson superbi, per non dire di una travolgente Tam Lin. Walk Awhile invece era su Full House, ma non è meno bella, il gruppo è in serata di grazia, soprattutto Richard Thompson, che canta Poor Will And The Jolly Hangman magistralmente, prima di dare corpo ad una versione sfavillante di Sloth con duetto violino-chitarra insieme a Chris Leslie https://www.youtube.com/watch?v=JfiFJsjNpIM .

(photo by Matt Condon / @arcane93)

(photo by Matt Condon / @arcane93)

Il secondo CD si apre con Now Be Thankful, ancora  di Thompson, all’epoca uscita come singolo, splendida anziché no pure questa https://www.youtube.com/watch?v=xdCQiGfkHw0 ; Fotheringay di Sandy Denny la canta Simon Nicol https://www.youtube.com/watch?v=C-rhf3P9b8Q , mentre a questo punto del concerto come voce femminile arriva la bravissima Sally Barker che canta Ned Kelly con PJ Wright, Martin Allcock è alla chitarra, e poi Rising For The Moon da sola. Anche Ralph McTell  è della partita con la sua White Dress, mentre Allcock si presenta come musicista di razza in A Surfeit Of Lampreys, una bella giga e The Hiring Fair è una perla nascosta dei Fairport acustici. I due CD, come si sara capitò, non seguono la stessa cronologia del concerto, ma in fondo chi se ne frega, visto che tutto l’insieme è godibilissimo comunque, come confermano la scatenata The Hexhamshire Lass e una emozionante Who Knows Where The Time Goes, ancora in omaggio a Sandy Denny, cantata con grande trasporto da Simon Nicol e Chris While, canzone magnifica anche in veste acustica  . Our Bus Rolls On di Chris Leslie è forse l’unico brano “normale” del concerto, mentre il gran finale con la travolgente Dirry LInen, una intensa Matty Groves https://www.youtube.com/watch?v=TIAXM1WhgNs  e la corale Meet On The Ledge con tutti insieme sul palco, è ancora da brividi e conclude degnamente un concerto che forse, anzi sicuramente, è tra i più belli mai apparsi nella discografia dei Fairport Convention https://www.youtube.com/watch?v=47RrQ9WCTv4 , imperdibile, a questo punto aspettiamo il video, visto che il concerto è stato ripreso magnificante, come potete vedere cliccando in tutti i link che trovate disseminati nel Post. Ovviamente tra i migliori dischi dal vivo del 2018

Bruno Conti

Ci Mancava: (Anche) Dal Vivo E’ Sempre Formidabile! Richard Thompson Band – Live At Rockpalast

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Richard Thompson Band – Live At Rockpalast – WDR/MIG 3CD/2DVD

Come probabilmente saprete Rockpalast è il nome di una famosa trasmissione televisiva tedesca, che iniziò a programmare negli anni settanta e continua ancora oggi, occupandosi di mandare in onda i concerti di alcuni tra i migliori musicisti mondiali: negli anni sono stati pubblicati diversi CD e DVD tratti da quelle serate, tra cui ricordo Ian Hunter, Lee Clayton, Willy DeVille, i Rockpile, Paul Butterfield, John Cipollina, Joe Jackson, George Thorogood e moltissimi altri. Oggi questa benemerita serie decide di omaggiare uno dei più grandi di tutti, cioè Richard Thompson, e lo fa in maniera sontuosa, con una sorta di mini-box contenente ben tre CD e due DVD, controbilanciando in un colpo solo i tre recenti album acustici del musicista britannico. Le serate interessate da questo cofanetto sono quelle di un concerto completo tenutosi nel Dicembre del 1983 alla Markthalle di Amburgo (che occupa i primi due CD ed il primo DVD) ed una parte dello show del Gennaio 1984 al Midem di Cannes (quindi eccezionalmente fuori dai confini teutonici). La tournée in questione è quella a supporto di Hand Of Kindness, secondo album solista di Richard dopo Henry The Human Fly (in mezzo c’erano stati i sei lavori con la moglie Linda) ed uno dei suoi più riusciti in assoluto, anche se stiamo parlando di un artista che non ha mai sbagliato un disco in vita sua. Per questo tour Richard aveva in un certo senso riformato i Fairport Convention di Full House, tranne Dave Swarbrick (giova infatti ricordare che lo storico gruppo folk-rock inglese in quel periodo non era in attività, ma avrebbe ricominciato solo due anni dopo): infatti troviamo assieme a Thompson Simon Nicol, che suona una stranissima chitarra a forma di scatola di Cornflakes, Dave Pegg al basso e Dave Mattacks alla batteria, anche se poi di canzoni dei Fairport non ne verrà suonata nemmeno una.

A completare la lineup, tre elementi determinanti come Pete Zorn e Pete Thomas, entrambi al sassofono, e soprattutto il formidabile fisarmonicista Alan Dunn, che con il suo strumento dona un irresistibile sapore di Louisiana a quasi tutti i pezzi. E poi naturalmente c’è Richard, uno dei migliori songwriters di sempre, ma anche un performer eccezionale, più che valido come cantante e strepitoso come chitarrista, anche se tutto ciò non lo scopriamo certo oggi. Chiaramente (sto parlando del concerto di Amburgo) la parte del leone la fa Hand Of Kindness, con ben sette brani su otto totali: si parte con The Wrong Heartbeat, un pezzo decisamente saltellante e diretto al quale la fisa dona un sapore cajun, seguita dalla quasi bluesata A Poisoned Heart And A Twisted Memory (un blues sui generis, con un songwriting di qualità superiore) e l’irresistibile Tear Stained Letter, dal gran ritmo ed ancora più di un’attinenza con sonorità zydeco (ed anche i sax fanno i numeri), per non parlare della strepitosa performance del nostro alla chitarra, che dà vita ad un finale entusiasmante. Poi abbiamo la bellissima title track, uno degli highlights della serata, cadenzata, coinvolgente e ricca di spunti chitarristici notevoli, la lenta How I Wanted To, una ballata ricca di pathos, la velocissima Two Left Feet, puro cajun al 100%, a cui è difficile resistere, e lo squisito folk elettrificato di Both Ends Burning. E’ molto ben rappresentato anche l’album Shoot Out The Lights (all’epoca ancora recente), l’ultimo ed anche il migliore di quelli incisi con l’ormai ex moglie, un vero capolavoro del rock internazionale e non solo degli anni ottanta: troviamo infatti una title track potente come raramente ho sentito, una Don’t Renege On Our Love solida e chitarristica, la sempre splendida Wall Of Death, una delle più belle del songbook di Richard e qui presente in versione davvero spettacolare, la guizzante Man In Need, favolosa, e la vibrante Back Street Slide.

C’è un’unica concessione di Thompson al suo passato discografico: Night Comes In era uno dei pezzi centrali di Pour Down Like Silver, e qui il nostro ne offre una rilettura straordinaria, fluida ed intensa, di ben undici minuti, con un assolo di chitarra semplicemente inarrivabile. Dulcis in fundo, troviamo ben sette cover: lo strepitoso folk-rock strumentale Amarylus, una vera goduria, il travolgente traditional Alberta con i due sax e la fisa di Dunn (che qui è anche voce solista) grandissimi protagonisti, l’insolita Pennsylvania 6-5000 di Glenn Miller, raffinata e jazzata, un godibilissimo divertissement che Richard dedica a sua madre; il gran finale è strepitoso, con quattro brani a tutto rock’n’roll uno in fila all’altro: il traditional Danny Boy, You Can’t Sit Down (Phil Upchurch, The Dovells) e l’uno-due finale da k.o. con due classici di Jerry Lee Lewis, Great Balls Of Fire e Highschool Hop (più noto come High School Confidential), entrambi suonati ai duecento all’ora. Basterebbe ed avanzerebbe questo concerto, ma è a questo punto molto gradita l’inclusione anche della serata di Cannes che, come ho già accennato è incompleta; c’è anche un cambio nella lineup, con la sezione ritmica di Pegg e Mattacks rimpiazzata da Rory McFarlane al basso e Gerry Conway (anch’egli futuro Fairport) ai tamburi. La scaletta è identica a quella tedesca, anche se si interrompe alla quattordicesima canzone omettendo le ultime sei, e le versioni sono tutte leggermente più brevi di quelle di Amburgo a parte Night Comes In che è più corta di tre minuti abbondanti, ma la qualità della performance è assolutamente analoga (un po’ meno quella della registrazione, specie da Wall Of Death in poi), con una menzione speciale per Tear Stained Letter e Hand Of Kindness che sono forse perfino miglori.

Decisamente un ottimo momento per i fans di Richard Thompson.

Marco Verdi

Il Mezzo Secolo Di Una Band Leggendaria! Fairport Convention – 50:50@50

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Fairport Convention – 50:50@50 – Matty Grooves CD

I Fairport Convention, forse il miglior gruppo folk britannico di tutti i tempi (specie nei primi anni, ed in particolare nel 1969, un vero e proprio “dream team” con all’interno gente del calibro di Richard Thompson, Sandy Denny, Ashley Hutchings e Dave Swarbrick, credo che solo nei Beatles ci fosse più talento tutto insieme) non è mai stato allergico alle auto-celebrazioni, anzi: più o meno dal 25° anno di attività, ogni lustro hanno pubblicato un disco, dal vivo o in studio, che festeggiasse l’evento, e quindi figuriamoci se si lasciavano sfuggire l’occasione delle cinquanta candeline (il loro esordio discografico è del 1968, ma come band esistevano già da un anno, *NDB Così l’anno prossimo possono festeggiare di nuovo). A voler essere pignoli, gli anni sarebbero meno, in quanto i Fairport, a parte le annuali reunion a Cropredy che oggi sono diventate un must, di fatto non sono esistiti come band nel periodo dal 1979 al 1985, anno in cui Simon Nicol, unico tra i membri fondatori, e Dave Pegg, altro capitano di lungo corso (e complessivamente ad oggi il più presente in assoluto nelle tante line-up del gruppo), insieme al nuovo Ric Sanders (in sella ancora oggi), al rientrante Dave Mattacks (in seguito sostituito da Gerry Conway) e, un anno dopo, a Martin Allcock (a cui negli anni novanta subentrò Chris Leslie), decisero di riformare la vecchia sigla per il discreto Gladys’ Leap.

Una critica che viene spesso rivolta all’attuale formazione dei Fairport, la più longeva di sempre, è di essere un gruppo di onesti mestieranti senza alcun fuoriclasse al suo interno, e specie nei primi anni della reunion c’era chi faceva fatica ad accettare che il gruppo fosse guidato da Nicol (che obiettivamente nella golden age, gli anni sessanta, era il componente di minor spessore artistico), ma col tempo la situazione si è normalizzata, anche perché i cinque, pur non sfornando nuovi capolavori all’altezza di Unhalfbricking o Liege & Lief, hanno sempre pubblicato album più che dignitosi, alcune volte ottimi, sicuramente piacevoli, di classico folk-rock nella miglior tradizione britannica, senza mai scendere sotto il livello di guardia (meglio anche, per fare un esempio, dei tre LP usciti prima del loro scioglimento nel 1979, Gottle O’Geer, The Bunny Bunch Of Roses e Tipplers Tales, forse il punto più basso della loro storia). E l’album appena pubblicato per celebrare il mezzo secolo di attività (per ora in vendita solo sul loro sito, dal 10 Marzo sarà disponibile ovunque), 50:50@50, è indubbiamente uno dei più riusciti degli ultimi vent’anni: un disco suonato alla grande ed inciso benissimo, e d’altronde i nostri sono dei musicisti talmente capaci ed esperti che, quando li sostiene anche l’ispirazione, è difficile che sbaglino il colpo.

Il CD, quattordici brani, è diviso esattamente a metà (50:50, e qui si spiega il titolo) tra brani in studio nuovi di zecca e performances dal vivo (registrate in varie locations negli ultimi due anni), dove però si evita di riproporre per l’ennesima volta i classici assodati, rivolgendosi a pagine meno note: come ciliegina, un paio di grandi ospiti che aggiungono ulteriore prestigio al lavoro. Ma direi di analizzare il contenuto, cominciando dai sette brani in studio e passando poi ai live (anche se sul CD la distinzione non è netta, anzi le due diverse situazioni si alternano). Eleanor’s Dream, scritta da Leslie (in questo album il songwriter e cantante di punta, assume quasi la leadership a discapito di Nicol) apre benissimo il disco, una rock ballad elettrica, solo sfiorata dal folk, con un bel refrain ed un arrangiamento vigoroso, un ottimo inizio per un gruppo che dimostra subito di non aver perso lo smalto. Step By Step è una deliziosa ballata dalla melodia tenue e limpida, punteggiata da un delicato arpeggio, mentre Danny Jack’s Reward è il rifacimento di un brano apparso nel 2011 su Festival Bell, uno strumentale scritto da Sanders e qui rafforzato dalla presenza di una vera e propria orchestra folk di otto elementi, che mischia archi e fiati, un pezzo trascinante ed eseguito con classe sopraffina, uno degli highlights del CD. L’acustica e bucolica Devil’s Work è puro folk-rock, un genere che i nostri hanno contribuito ad inventare (magari non in questa formazione, ma lasciamo stare), l’autocelebrativa Our Bus Rolls On è più canonica comunque sempre piacevole, con un motivo da fischiettare al primo ascolto. The Lady Of Carlisle è un delizioso traditional elettroacustico che vede la partecipazione alla voce solista di Jacqui McShee, ex ugola dei Pentangle, creando così un ideale ponte tra i due gruppi più leggendari della scena folk britannica, mentre la breve Summer By The Cherwell, scritta dal collega ed amico PJ Wright, è una cristallina folk ballad, pura e tersa, tra le più immediate del disco.

E veniamo alla parte dal vivo, il cui punto più alto è certamente una versione del noto traditional Jesus On The Mainline (reso immortale negli anni settanta da Ry Cooder), grazie alla presenza alla voce solita nientemeno che di Robert Plant: l’ex cantante dei Led Zeppelin è da sempre un grande ammiratore dei Fairport (basti ricordare il duetto con Sandy Denny in The Battle Of Evermore, dal mitico quarto album del Dirigibile), e questa versione, tra rock, folk e gospel, è semplicemente strepitosa, al punto da lasciarmi la voglia di un intero album dei nostri insieme al lungocrinito vocalist. Gli altri sei brani on stage vengono da diversi periodi del gruppo, e solo due da prima della reunion del 1985: la frizzante Ye Mariners All è uno di questi due (era infatti su Tipplers Tales), un reel cantato, con violino e mandolino grandi protagonisti e ritmo decisamente vivace; splendida The Naked Higwayman, saltellante brano scritto dal folksinger Steve Tilston, un bellissimo folk-rock dal motivo coinvolgente (canta Nicol) ed eseguito in maniera perfetta, un genere nel quale i nostri sono ancora i numeri uno. La lunga e drammatica Mercy Bay è uno dei brani a sfondo storico che ogni tanto scrivono, una canzone abbastanza strutturata e complessa, ma non ostica, anche se pur mantenendo la base folk è indubbiamente moderna; Portmeirion è un malinconico strumentale costruito intorno ad una melodia per violino e mandolino, tra i più noti di quelli usciti dalla seconda fase della carriera del gruppo. Completano il quadro la corale Lord Marlborough, il più antico tra i pezzi dal vivo (apriva Angel Delight, album del 1971) e la struggente John Condon, che ricorda certe ballate folkeggianti di Mark Knopfler, senza la sua chitarra ovviamente.

In definitiva, un altro bel disco per un gruppo che, nonostante i cinquant’anni sul groppone, non ha perso la voglia di fare ottima musica. Consigliato.

Marco Verdi

Anche Solo In Quattro Si Davano Da Fare Alla Grande! Fairport Convention – Live In Finland 1971

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Fairport Convention – Live In Finland 1971 – Real Gone Music CD

I Fairport Convention, il gruppo folk-rock inglese per antonomasia (ancora attivo oggi, ed in maniera più che dignitosa), ha una delle discografie più ampie della nostra musica, sia in studio che dal vivo, con non infrequenti ristampe di concerti già editi sotto altri titoli. Però c’è una breve fase della loro carriera che non è molto nota, ed è quasi considerata di transizione: mi riferisco all’anno 1971 allorquando, in seguito all’uscita dalla band da parte di Richard Thompson dopo l’album Full House (uscita che seguì altre due defezioni “pesanti” come quelle di Sandy Denny ed Ashley Hutchings all’indomani del capolavoro Liege And Lief), i nostri rimasero in un’inedita formazione a quattro, composta da Simon Nicol alla chitarra e dulcimer, Dave Swarbrick a violino e viola, Dave Pegg al basso e Dave Mattacks alla batteria. In questa configurazione i Fairport pubblicarono due dischi in un anno (il 1971 appunto), il sottovalutato e poco noto Angel Delight ed il più conosciuto Babbacombe Lee.

Poi anche Nicol lascerà (momentaneamente) il gruppo per raggiungere Hutchings nella Albion Band, e sarà sostituito da Jerry Donahue e Trevor Lucas (entrambi ex Fotheringay) per gli ottimi Rosie e Nine, mossa che preluderà al gran rientro di Sandy Denny (nel frattempo divenuta moglie di Lucas) per Rising For The Moon, operazione che però non darà i frutti sperati e si rivelerà dunque estemporanea, ponendo fine alla seconda fase del gruppo e lasciandolo ad un passo dallo scioglimento.

Ma torniamo ai Fairport in formato quartetto, in quanto esce in questi giorni questo interessante Live In Finland 1971 per la Real Gone (quindi un live ufficiale, non uno dei soliti bootleg travestiti da broadcast radiofonici, anche se la copertina un po’ approssimativa e l’assenza dei classici caratteri con cui è abitualmente scritto il moniker del gruppo lo farebbero pensare), che colma finalmente una lacuna presentandoci la band in uno dei suoi momenti più “oscuri”. Sette canzoni per 35 minuti di musica (da questo punto di vista si poteva forse fare di più), il tour è quello di Angel Delight ed il periodo in cui i nostri transitarono nel paese delle renne è il mese di Agosto: tre brani sono tratti dall’album in questione (un disco da rivalutare a mio parere), mentre uno viene da Full House, uno da Liege And Lief, uno da un lato B di un singolo ed uno è un traditional inedito in studio. Il CD è inciso ottimamente, ed anche il livello della performance è decisamente alto: un concerto molto rock ed elettrico, ma con il violino di Swarbrick grande protagonista e spesso strumento solista (Dave era una delle massime autorità mondiali dello strumento, parlo al passato in quanto come sapete è da pochi giorni passato a miglior vita dopo anni di malattia http://discoclub.myblog.it/2016/06/03/volta-morto-davvero-purtroppo-75-anni-oggi-ci-ha-lasciato-anche-dave-swarbrick/ ), le voci sono in palla (cantano tutti) ed i brani vengono dilatati fino ad assumere talvolta i contorni di una jam session, con i nostri che ci danno dentro come dei matti, come se avessero uno stimolo in più nel non far rimpiangere l’assenza di un gigante come Thompson.

Apre il CD Bridge Over The River Ash, uno strumentale per violino solista, e quindi con Swarb grande protagonista e gli altri tre che sembrano quasi accordare gli strumenti, praticamente una breve introduzione per scaldare il pubblico; con The Journeyman’s Grace si inizia a fare sul serio: il pezzo, unico originale del disco (è scritto da Swarbrick e Thompson) è un perfetto showcase per le evoluzioni di Dave al violino e Simon alla chitarra, i quali, dopo un paio di strofe cantate a due voci, iniziano a darci dentro di brutto, ben seguiti dalla sezione ritmica di Pegg e Mattacks. Già da questo brano si intuisce che la leadership del gruppo, dopo la partenza di Thompson, comincia ad essere saldamente nelle mani di Swarbrick, cosa che sarà poi palese in Rosie. Mason’s Apron non appare su nessun disco dei Fairport, ed è una giga velocissima e trascinante, mi chiedo come facesse Dave a suonare con tale rapidità, è evidente all’ascolto la fatica che fanno gli altri tre a stargli dietro (ma alla fine ce la fanno): il suono è buono, anche se non eccelso, ma si può comunque ritenere più che soddisfacente. A metà canzone, Nicol dà il cambio a Dave concedendogli un po’ di riposo e facendo parlare la sua chitarra, ma poco dopo Swarb riprende in mano il pezzo per il gran finale e stende tutti. Sir Patrick Spens è, insieme a Sloth, Walk Awhile e Dirty Linen (praticamente tutti quindi) uno dei brani di punta di Full House: bella versione corale, con la melodia tipicamente tradizionale che viene fuori alla grande (anche con qualche stonatura qua e là) ed ottimo finale strumentale che vede come protagonista, indovinate…il violino! Matty Groves è un classico nelle esibizioni del gruppo, e viene suonato ancora oggi: con Nicol come voce solista, i quattro ci fanno sentire di che pasta erano fatti quando si trattava di lasciare andare gli strumenti; dopo aver proposto le strofe una dietro l’altra, i nostri si producono in una lunga fantastica jam elettrica durante la quale violino e chitarra letteralmente si urlano dietro, ma anche basso e batteria non perdono un colpo, sono in quattro ma sembrano in dieci.

La poco conosciuta Sir B. McKenzie’s Daughter’s Lament (versione accorciata di uno dei titoli più lunghi della storia, Sir B. McKenzie’s Daughter’s Lament For The 77th Mounted Lancers Retreat From The Straits Of Loch Knombe, In The Year Of Our Lord 1727, On The Occasion Of The Announcement Of Her Marriage To The Laird Of Kinleakie, praticamente un post a parte) è una gradevole giga strumentale, molto più folk oriented delle precedenti, ma con il ritmo sempre altissimo ed una tensione elettrica mai sopita. Il CD si chiude con Sir William Gower, un pezzo chitarristico e decisamente fluido, molto più rock che folk, con un grande Mattacks che picchia sui tamburi con la foga di un John Bonham o Keith Moon e Swarbrick per una volta nelle retrovie. Forse non il migliore live della carriera dei Fairport Convention, ma comunque un documento prezioso che finalmente fa luce su un periodo meno noto del combo britannico, ancor più apprezzato perché ci permette di ascoltare una volta di più quel geniale folletto del violino che era Dave Swarbrick.

Marco Verdi