Taj Mahal – Un “Monumento” Della Musica Nera. Parte II

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Seconda Parte.

Volendo, e potendo, a fatica e cercando con pazienza, si dovrebbe trovare ancora in giro il box The Complete Columbia Albums Collection – 16 CD – **** uscito nel 2013, raccoglie l’opera omnia del primo periodo, con in più due CD extra, The Hidden Treasures Of Taj Mahal, in studio e un formidabile Live At the Royal Albert Hall April 18 1970, ancora con Jesse Ed Davis alla chitarra, che quasi da soli varrebbero il prezzo, se già non ci fosse tutto il ben di Dio degli album ufficiali, cercatelo, ne vale la pena, in rete si trova ancora abbastanza facilmente, e anche il doppio si trova separatamente se avete già tutti gli altri CD.

1977-1997 Gli Anni Del Vorrei Fare Di Tutto, Ma Non Sempre Tutto Funziona.

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Anzi direi che non si salva molto di questo periodo, vediamo cosa.

Brothers_Soundtrack

Dei tre album usciti su Warner tra il 1977 e il 1978 nessuno è particolarmente memorabile, forse il migliore è la colonna sonora di Brothers ***. Più interessante, ma introvabile Live & Direct *** registrato e pubblicato nel 1979. Per il resto negli anni ‘80 ci sono svariati dischi di canzoni per bambini e Taj – Gramavision uscito nel 1987, bella la copertina di Robert Mapplethorpe, ma per il resto è notte fonda.

Dancing_the_Blues

Like Never Before – 1991 Private *** è meglio, segnali di vita, ma se consideriamo che la migliore canzone è una ripresa di Take A Giant Step non ci siamo ancora. Buono anche Dancing The Blues – 1993 Private *** se non altro perché nel disco appaiono Bob Glaub, Richie Hayward, Etta James, Bill Payne, Ian MacLagan, e ci sono belle versioni di That’s How Strong My Love Is, Mocking Bird, Sitting On Top Of The World, I’m Ready. Da segnalare Mumtaz Mahal – 1995 Water Lily Acustics *** il disco con i due musicisti indiani N. Ravirikan e V.M. Bhatt, collaboratori anche di Ry Cooder.

Phantom_Blues

E pure Phantom Blues – 1996 Rca Victor *** non è niente male, anche qui c’è una serie di ospiti impressionante: Bonnie Raitt, Eric Clapton, Mike Campbell, David Hidalgo, Jon Cleary, tanto per citarne solo alcuni, produce John Porter, che suona anche la chitarra e notevole anche An Evening Of Acoustic Music – 1994 Ruf Records ***1/2 registrato in Germania nel 1994, che dimostra che le sue qualità di performer sono intatte.

Señor_Blues

Il migliore di questo periodo è peraltro Senor Blues – 1997 **** che lo riporta ai fasti del passato, tanto che vince il premio come miglior disco di Blues Contemporaneo alla 40a edizione dei Grammy (una rarità, visto a chi li danno ai giorni nostri!). Niente ospiti ma una dream band con Tony Braunagel alla batteria, Jonny Lee Schell alla chitarra, Jon Cleary e Mick Weaver alle tastiere e i Texacali Horns come sezione fiati: ottima anche la scelta dei brani, tra cover e materiale scritto per l’occasione, tra cui Queen Bee dello stesso Taj e 21st Century Gypsy Singing Lover Man scritta con Jon Cleary, e tra le riprese Mr. Pitiful dell’amato Otis Redding, Think dei 5 Royales, Senor Blues di Horace Silver.

Mind Your Own Business di Hank Williams, complessivamente è di nuovo un piacere riascoltarlo tornato in grande spolvero, anche al dobro e all’armonica, per non dire della voce, più vissuta, ma sempre potente ed espressiva, sentire il brano di Otis, che grinta ragazzi!

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1998-2020

Hanapepe_Dream

Purtroppo è in parte un fuoco di paglia. Anche se i dischi di musica Hawaiiana, quelli con la Hula Blues Band sono affascinanti, Sacred Island – 1998 Private ***1/2 e Hanapepe Dream – 2003 Tone-Cool ***1/2 con una versione splendida di All Along The Watchtower. Per il sottoscritto eccellente anche il disco dal vivo Shoutin’ In Key – 2000 Private Music ***1/2, registrato nel 1998 con la Phantom Blues Band, in pratica la formazione del disco del 1997, con Danny Freeman aggiunto alla chitarra., ci sono ottime versioni di Honky Tonk, EZ Rider, Stranger In My Own Hometown di Percy Mayfield, Leaving Trunk, Corrina.

Tra il 2003 e il 2006, alla rinfusa, escono varie antologie tra le quali, nel 2003, quella della serie Martin Scorsese Presents The Blues***1/2, nel 2005 un altro disco dal vivo con la Phantom Blues Band In St. Lucia ***1/2, pubblicato anche in DVD, e nel 2004 un Taj Mahal Trio Live Catch ***1/2.

Maestro_Taj_Mahal_Album

Poi finalmente, per festeggiare 40 anni di carriera discografica, esce un disco nuovo di studio Maestro – 2008 Heads Up International**** altro disco di notevole caratura, con una quantità iperbolica di ospiti: i Los Lobos presenti in Never Let You Go e Tv Mama, Jack Johnson che duetta con TM in Further On Down The Road, Ben Harper in Dust Me Down, Angelique Kidjo in Zanzibar, Ziggy Marley in Black Man, Brown Man. In più c’è la presenza della Phantom Blues Band come gruppo di accompagnamento, Toumani Diabaté con il quale nel 1999 aveva realizzato un disco Kulanjan, che forse non abbiamo ricordato, e anche la figlia Deva Mahal, che era apparsa nei dischi di canzoni per bambini: ci sono anche Leo Nocentelli, Ivan Neville, Henry Butler, una corposa sezione fiati e il disco ha un suono splendido.

Nel 2009 partecipa come ospite attivo, in ben 9 brani, al disco American Horizon dei Los Cenzontles ***1/2. Poi Taj rallenta decisamente l’attività nella decade successiva: ma occorre citare almeno il delizioso album natalizio Talkin’ Christmas With The Blind Boys Of Alabama – 2014 Sony Masterworks ***1/2 dove le armonizzazioni si sprecano, un altro CD dal vivo, questa volta doppio, con la Hula Blues Band Live From Kauai – 2015 ***1/2 e diversi dischetti di materiale Live registrati nel 1966, 1974 e1978, sotto forma di broadcast radiofonici.

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Infine decide di unire le forza con Keb’ Mo’ per regalarci lo splendido TajMo – 2017 Concord **** che l’anno successivo vince nuovamente il Grammy per Best Contemporary Blues Album: tra le canzoni una inconsueta cover di Squeeze Box degli Who, Waiting On the World To Change di John Mayer e l’immancabile Diving Duck Blues di Sleepy John Estes, mentre tra gli ospiti ricordiamo Billy Branch all’armonica e Lizz Wright alla voce. Per la verità l’ultima apparizione è stata come ospite nell’ottimo disco della BB King Blues Band – The Soul Of The King – 2019 Ruf Records ***1/2 recensito dal sottoscritto su queste pagine.

Per una volta tanto abbiamo voluto dedicargli questa retrospettiva mentre questo grande e geniale artista è ancora vivo e vegeto: lunga vita quindi a Taj Mahal che il 17 maggio del 2022 compirà 80 anni, e che sia un auspicio. Stile musicale: file under Grande Musica!

Bruno Conti

Torna Il Rocker Del Mississippi Con Uno Dei Dischi Più Divertenti Dell’Anno. Webb Wilder – Night Without Love

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Webb Wilder – Night Without Love – Landslide CD

L’ultima volta che mi sono occupato di Webb Wilder (che a dirla tutta era anche la prima) è stato quando due anni fa ho recensito il divertentissimo Powerful Stuff, che non era un album nuovo ma una collezione di outtakes registrate tra il 1985 ed il 1993 https://discoclub.myblog.it/2018/06/08/unora-di-divertimento-assicurato-webb-wilder-the-beatnecks-powerful-stuff/ . Oggi però Wilder torna davvero tra noi a cinque anni di distanza dal suo ultimo lavoro (Mississippi Moderne) con questo Night Without Love, che fin dal primo ascolto si afferma come uno dei dischi più godibili ed “entertaining” (termine inglese intraducibile – intrattenevole? – ma che rende benissimo l’idea) del 2020. Se non avete mai sentito nominare Wilder non preoccupatevi, in quanto è uno dei tanti “signor nessuno” del mondo della musica mondiale: esordiente nel 1986 con l’album It Came From Nashville, Webb ha sempre tirato dritto infischiandosene del fatto che i suoi lavori non vendevano una cippa, proponendo la sua miscela spesso irresistibile di rock’n’roll, country, boogie e power pop al fulmicotone, che lo faceva sembrare una via di mezzo tra Commander Cody ed i Blasters.

Night Without Love dovrebbe essere il decimo album di Wilder, e posso affermare senza tema di smentita che è uno dei suoi migliori di sempre, undici canzoni divise tra cover e brani originali che ci fanno ritrovare un rocker che ha sempre fatto musica “just for fun”, riuscendoci peraltro perfettamente. Il disco (la cui copertina è disegnata da James Flournoy Holmes, l’uomo dietro alle copertine di Eat A Peach degli Allman, Fire On The Mountain della Charlie Daniels Band e In The Right Place di Dr. John) vede Webb accompagnato dal suo abituale collaboratore George Bradfute, che suona qualsiasi tipo di strumento oltre a produrre il lavoro, ma anche da Rick Schell alla batteria, Bob Williams alla steel ed il noto chitarrista Richard Bennett in un brano. Trentasette minuti di musica, non un secondo da buttare. Si parte alla grande con Tell Me What’s Wrong, trascinante rock’n’roll dalla ritmica potente cantato dal nostro con una voce alla Johnny Cash, per proseguire sullo stesso livello con la title track (scritta da R.S. Field, produttore dei primi album del nostro), energica ballata sfiorata dal country con un mood anni sessanta e tanta grinta, e con il rockin’ country a tutto ritmo e chitarre Hit The Nail On The Head, vigorosa cover di un pezzo dei quasi dimenticati Amazing Rhythm Aces.

Holdin’ On To Myself, scritta da Chip Taylor, è uno scintillante honky-tonk dominato dalla steel, ma il capolavoro del disco secondo me arriva con il brano seguente: per il sottoscritto Be Still era già nella sua versione originale uno dei migliori brani dei Los Lobos (lo trovate su The Neighborhood, 1990), ma questa rilettura di Webb è strepitosa, in quanto fa ancora di più uscire la splendida melodia non cancellando le radici messicane ma aggiungendo una patina malinconica da vero balladeer. In poche parole, una goduria. A questo punto abbiamo cinque canzoni consecutive scritte da Wilder da solo o in compagnia: la deliziosa e coinvolgente rock song “californiana” Illusion Of You, con uno stile che ricorda parecchio gli Heartbreakers di Tom Petty, la splendida Buried Our Love, country-rock bello come se ne sentono pochi, la squisita Sweetheart Deal, ballata guidata dall’organo con un sapore blue-eyed soul e scritta nientemeno che con Dan Penn, la contagiosa Ache And Flake, tra rock’n’roll e power pop con un refrain vincente, e la fluida folk-rock ballad The Big Deal. Chiusura con una travolgente rilettura del classico jump blues di Tommy Tucker (ma inciso tra gli altri anche da Elvis e Chuck Berry) Hi Heel Sneakers, nobilitata da un farfisa dal suono decisamente vintage ed un approccio che ricorda quello dei già citati Blasters.

Se dovessi fare una scommessa, forse Night Without Love non entrerà nella Top Ten dei migliori album del 2020, ma sono quasi certo che sarà uno dei CD che ascolterò di più.

Marco Verdi

Tra Los Angeles Ed Il Messico Il Natale Arriva Prima! Los Lobos – Llegò Navidad

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Los Lobos – Llegò Navidad – Rhino/Warner CD

Quest’anno nei listini delle uscite discografiche da Ottobre a Dicembre ho constatato un’assenza di dischi a tema natalizio particolarmente interessanti, con l’unica eccezione di Llegò Navidad, prima escursione nella musica stagionale dei losangeleni Los Lobos. Tranne rare eccezioni, gli album di Natale occupano una posizione di secondo piano nelle discografie dei vari artisti, in quanto legati a doppio filo all’atmosfera della festività, ma nel caso dei Lupi di East L.A. (che erano fermi a Gates Of Gold del 2015 https://discoclub.myblog.it/2015/10/20/signori-fanno-disco-brutto-neanche-sbaglio-los-lobos-gates-of-gold/ ) abbiamo tra le mani un lavoro che può essere ascoltato benissimo anche nei mesi estivi. Sì, perché Llegò Navidad è un disco che di natalizio ha solo i testi delle canzoni, dato che il contenuto musicale è un vero tripudio di suoni e colori di matrice latina: infatti i nostri hanno fatto un disco che si avvicina molto a La Pistola Y El Corazon, il famoso album che pubblicarono nel 1988 e che ancora oggi è uno dei più amati dai fans. Dodici brani, di cui solo uno originale ed altri presi dalla tradizione messicana, ma anche diversi pezzi contemporanei con provenienza sudamericana. Un disco latino a tutti gli effetti, non solo messicano come era La Pistola Y El Corazon, e come ulteriore differenza abbiamo la presenza anche di due canzoni in inglese.

Ma soprattutto il fatto che Llegò Navidad è un album che si può definire folk-rock, in quanto a fianco a strumenti della tradizione come fisarmonica, guitarron, vihuela e bajo sexto troviamo anche chitarre elettriche, harmonium, organo e batteria: i Lupi sono da sempre nella stessa formazione (David Hidalgo, Louie Perez, Cesar Rosas, Conrad Lozano e Steve Berlin, quest’ultimo, ex Blasters, con loro dalla metà degli anni ottanta), ed in questo album troviamo anche qualche ospite come Jason Lozano (figlio di Conrad) alla batteria, Marco Reyes e Alfredo Ortiz alle percussioni e Josh Baca dei Los Texmaniacs alla fisarmonica. Llegò Navidad è dunque un album che si può ascoltare in tutte le stagioni dell’anno, ed è tra le sorprese più belle di questa parte del 2019, sia per la varietà di stili e suoni (mentre il pur splendido La Pistola Y El Corazon era, come ho già scritto, più monotematico), sia per l’allegria che infonde durante l’ascolto, ma soprattutto per la straordinaria abilità dei nostri nel suonare qualsiasi strumento passi loro davanti. L’avvio è subito notevole con La Rama, un son jarocho (musica originaria della regione di Veracruz, in Messico) suonato in maniera tradizionale al massimo, con il requinto jarocho (una chitarra tipica del luogo di cui sopra) di David a guidare la splendida melodia corale, che trasmette gioia sin dalle prime note, e con Rosas che si prende la scena come voce solista: grande inizio. Reluciente Sol è una salsa resa celebre da El Gran Combo De Puerto Rico, e porta ancora più suoni e colori della precedente, con Perez in una delle sue rare performance alle lead vocals, Berlin al sax mentre Hidalgo suona la “hidalguera”, una chitarra fatta su misura per lui: brano delizioso.

It’s Christmas Time In Texas è uno dei due pezzi in inglese (scritto da Freddy Fender) ed è un tex-mex strepitoso, con la fisa di Baca in primo piano e la sezione ritmica che non perde un colpo: se ci fosse stato anche Ry Cooder era una canzone da cinque stelle. La malinconica Amarga Navidad, un brano di José Alfredo Jimenez, vede Rosas al canto ben supportato dai compagni, che sembrano una congrega di messicani duri e puri; con Arbolito De Navidad ci spostiamo in Colombia, per una fantastica cumbia dal ritmo contagioso, in cui compare la chitarra elettrica di Rosas che doppia in maniera irresistibile la voce di Hidalgo: una meraviglia. Donde Està Santa Claus è una canzone resa popolare nel 1958 dal dodicenne Augie Rios, ed i nostri la arrangiano in puro stile latin-rock, in cui la chitarra elettrica stavolta è di Hidalgo anche se il vero mattatore è Berlin, che suona sax, vibrafono ed un inconfondibile organo Vox Continental, mentre con la title track sembra di andare a Cuba, con il ritmo cadenzato e “caliente” tipico dell’isola castrista, e la melodia fluida e distesa che fa il resto: bello l’intermezzo verso la fine del brano, quando la chitarra elettrica si affianca alla strumentazione tradizionale. Las Mananitas (un pezzo della tradizione messicana che solitamente si canta ai compleanni, ma sempre di “fiesta” si parla) è un godibilissimo lento a tempo di valzer, e quindi si sente anche un po’ di Texas.

La Murga, una salsa resa celebre nel 1971 dal duo Willie Colon & Hector Lavoe, ha un ritmo coinvolgente ed una melodia profondamente tradizionale, ennesimo brano pieno di colore che di natalizio ha poco (ma sentite come suonano i Lupi); è la volta dell’unica canzone nuova, Christmas And You (scritta da Hidalgo e Perez), che è anche la sola a non avere nulla di comparabile al resto del disco, essendo una ballatona romantica tipica in stile anni cinquanta, con strumentazione rock ed un motivo decisamente evocativo. Il CD si chiude con la squisita Regalo De Reyes, un bolero dalla melodia toccante, e con la popolarissima Feliz Navidad, un classico stagionale scritto da José Feliciano, uno dei brani natalizi più famosi che qui assume i toni di un’allegra “cancion mixteca” resa ancora più trascinante dal canto corale.I Los Lobos sono finalmente tornati, ed in grande forma: se prevedete di trascorrere le feste natalizie in qualche località esotica, meglio se centro-sud americana, non dimenticate di mettere la vostra copia di Llegò Navidad in valigia.

Marco Verdi

Peccato Che Non Sia Previsto Il DVD (Per Ora). Joni 75: A Birthday Celebration Joni Mitchell Tribute Concert. Esce l’8 Marzo

Various Artists Joni 75 A Birthday Celebration Joni Mitchell tribute concert

Joni 75: A Birthday Celebration – Joni Mitchell Tribute Concert – Decca/Universal 08-03-2019

Lo scorso novembre, in due serate tenute al Music Center del Dorothy Chandler Pavillion di Los Angeles, si è tenuto questo concerto benefico in tributo a Joni Mitchell, per festeggiare il suo 75° compleanno, che è stato appunto il 7 novembre. Le serate sono state riprese dal regista Martyn Atkins, per un film di due ore che include anche interviste effettuate nel dietro le quinte dell’evento, e il tutto verrà trasmesso al cinema, solo in Canada e Stati Uniti, per un unico giorno, il 7 febbraio, poi andrà in onda sulla PBS, la televisione pubblica americana, ma, almeno per ora, purtroppo, niente DVD.

joni mitchell 75 movie

La lista completa dei brani eseguiti nel concerto, ed i musicisti presenti allo stesso, è la seguente:

 “Joni 75” setlist:

1. Court and Spark – Norah Jones 
2. Coyote – Glen Hansard 
3. For the Roses – Diana Krall
4. Blue – Rufus Wainwright 
5. Cold Blue Steel – Emmylou Harris 
6. The Magdalene Laundries – Emmylou Harris 
7. Help Me – Chaka Khan 
8. Dreamland – Los Lobos with La Marisoul, Cesar Castro, Xochi Flores and Chaka Khan
9. Nothing Can Be Done – Los Lobos with La Marisoul
10. River – James Taylor
11. Both Sides Now – Seal 

[Intermission]

1. Our House – Graham Nash 
2. A Strange Boy – Seal 
3. All I Want – Rufus Wainwright
4. Borderline – Norah Jones
5. Amelia – Diana Krall
6. The Boho Dance – Glen Hansard
7. A Case of You – Kris Kristofferson with Brandi Carlile
8. Down To You – Brandi Carlile
9. Two Grey Rooms – Chaka Khan
10. Woodstock – James Taylor 
11. Big Yellow Taxi – full cast

Ma purtroppo, come spesso capita per questi eventi, solo 16 delle esibizioni verranno pubblicate nel CD in uscita il prossimo 8 marzo (festa della donna, sarà un caso?). Dai resoconti che ho letto della serata i brani più apprezzati dal pubblico sono stati la versione di Seal di Both Sides Now, la cui presenza, come quella di altri artisti era stata espressamente richiesta dalla stessa Joni, e che ha ricevuto una standing ovation alla fine della canzone, come pure Brandi Carlile (una grandissima fan), che con la sua voce pura e cristallina da contralto è la più vicina come stile alla giovane Mitchell, ha cantato splendidamente Down To You, ed è risultata con Diana Krall, più vicina alla voce matura della Mitchell della seconda fase della carriera (alle prese con due capolavori come Amelia For The Roses), quelle che hanno raccolto i maggiori apprezzamenti dalla critica. Per il resto c’erano anche alcuni amici dell’epoca californiana dei primi anni ’70, nella fattispecie Kris Kristofferson JamesTaylor, che aveva suonato in due pezzi di Blue, non quelli interpretati nella serata, oltre alla vecchia fiamma Graham Nash che è stato l’unico a cantare un pezzo non composto da Joni Mitchell, quella Our House che raccontava la loro breve ma intensa storia d’amore. Nella pattuglia femminile presenti anche Emmylou Harris che ha candidamente confessato che la parte di chitarra di Cold Blue Steel (non presente nel CD) era decisamente superiore alle sue capacità tecniche, troppo complessa, Chaka Khan, che cantava nell’originale di Dreamland, qui eseguita dai Los Lobos, mentre lei ha cantato Help Me e Two Grey Rooms, infine Norah Jones. Quindi complessivamente un ottimo cast, con qualche mancanza significativa.

La house band che accompagnava i musicisti era strepitosa: guidata dal batterista Brian Blade e dal pianista Jon Cowherd, con l’aggiunta di Greg Leisz Marvin Sewell alle chitarre, Ambrose Akinmusire alla tromba, Jeff Haynes  percussioni, Chris Thomas basso, Bob Sheppard sax e fiati vari, e per la seria a volte ritornano, Scarlet Rivera al violino. Ecco la lista dei brani inclusi nel CD.

1. Dreamland – Performed by Los Lobos
2. Help Me – Performed by Chaka Khan
3. Amelia – Performed by Diana Krall
4. All I Want – Performed by Rufus Wainwright
5. Coyote – Performed by Glen Hansard
6. River – Performed by James Taylor
7. Both Sides Now – Performed by Seal
8. Our House – Performed by Graham Nash
9. A Case Of You – Performed by Kris Kristofferson & Brandi Carlile
10. Down to You – Performed by Brandi Carlile
11. Blue – Performed by Rufus Wainwright
12. Court And Spark – Performed by Norah Jones
13. Nothing Can Be Done – Performed by Los Lobos
14. The Magdalene Laundries – Performed by Emmylou Harris
15. Woodstock – Performed by James Taylor
16. Big Yellow Taxi – Performed by La Marisoul, James Taylor, Chaka Khan, and Brandi Carlile

Ne parleremo più diffusamente al momento dell’uscita, per ora prendete nota.

Bruno Conti

La Vera Musica Di Confine! Los Texmaniacs – Cruzando Borders

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Los Texmaniacs – Cruzando Borders – Smithsonian Folkways CD

Sono anni che, a causa delle scomparse di Doug Sahm prima e di Freddy Fender poi, i Texas Tornados, il miglior gruppo tex-mex e conjunto dell’ultimo trentennio, non esistono più come band. Lo scettro non è però rimasto vacante, in quanto i Texmaniacs sono a tutti gli effetti i candidati più autorevoli a prendere il loro posto. Fondati da Max Baca nel 1997, i Texmaniacs hanno tenuto alto in questi vent’anni il vessillo della musica tex-mex, conjunto e nortena, con una serie di album in cui, accanto a pezzi originali, venivano recuperati brani appartenenti alla tradizione messicana e suonati alla maniera “tejana” (Baca è comunque americano, essendo originario del New Mexico). Il riferimento principale è sempre stato il grande Flaco Jimenez, con il quale Baca ha collaborato più volte, andando in tour anche come supporto dei Texas Tornados. Rispetto all’ex gruppo di Flaco, Meyers, Sahm e Fender i Texmaniacs sono meno rock, il loro approccio è più acustico e tradizionale, ma il risultato è comunque altamente godibile e coinvolgente.

Cruzando Borders è il loro nuovo lavoro, ed è un disco importante in quanto Baca e soci (Josh Baca, nipote di Max e splendido fisarmonicista, Lorenzo Martinez, batteria, Noel Hernandez, basso e altri strumenti a corda, mentre Max è un campione del bajo sexto) riprendono alla loro maniera una serie di canzoni tradizionali, dalla love song al brano di protesta, dalle canzoni che parlano di tragedie a quelle più festose: un’operazione non solo musicale, ma anche culturale, anche perché il CD (edito dalla mitica Folkways) presenta un libretto di ben quaranta pagine con il background di tutte le canzoni. E Cruzando Borders è un album che si gusta dalla prima all’ultima canzone, in primis per la bravura di Josh, fisarmonicista formidabile e vero erede di Flaco, al quale però gli altri tre forniscono un contorno più che adeguato. Innanzitutto troviamo due splendide cover, che danno ancora più lustro al disco, come la meravigliosa Deportee (Plane Wreck At Los Gatos) di Woody Guthrie, una delle più belle canzoni americane di tutti i tempi, che i nostri hanno avuto l’idea geniale di affidare alla voce del grande Lyle Lovett: versione da brividi a tempo di valzer, con la fisa a ricamare sullo sfondo e la voce di Lyle perfettamente in parte; la seconda è un altro classico, cioè Across The Borderline (famoso brano scritto da Ry Cooder con John Hiatt e Jim Dickinson), altra grandissima canzone che qui viene rifatta in maniera tenue e toccante.

Il terzo pezzo cantato in inglese è anche l’ultima cover contemporanea, la malinconica e struggente I Am A Mexican, di e con Rick Trevino. Il resto del disco si divide in brani cantati in spagnolo o strumentali, con la strepitosa fisa di Baca Jr. sempre in bella evidenza, canzoni come la trascinante Mexico Americano, pura fiesta, La Pajarera, quasi un valzer lento, o la solare El Bracero Fracasado, nel quale Josh sembra davvero Flaco. Altri highlights (ma sono tutte godibilissime) sono il bellissimo strumentale El Porron, per solo accordion e bajo sexto, lo scintillante valzerone tex-mex En Avion Hasta Acapulco, tra le più dirette, la vivace Soy De San Luis, una polka di presa immediata, La Chicharronera, un altro strumentale che è un pretesto per le evoluzioni di Josh, il coinvolgente corrido Valentin De La Sierra, in cui sembra di sentire i Los Lobos di La Pistola Y El Corazon, per finire con la saltellante Labios De Coral.

Se vi piace il genere, Cruzando Borders non vi deluderà: un disco piacevole, suonato benissimo e che coniuga mirabilmente intrattenimento e cultura.

Marco Verdi

Una Delle Migliori Annate Per Il Capitano Jerry! Jerry Garcia Band – Garcia Live Volume 10

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Jerry Garcia Band – Garcia Live Vol. 10: Hilo Civic Auditorium, Hilo, HI May 20th 1990 – ATO 2CD

Gli anni a cavallo fra gli ottanta e i novanta sono stati tra i migliori per Jerry Garcia a livello di performer: in quel periodo infatti il nostro ha pubblicato uno dei più riusciti album dal vivo con i Grateful Dead, senza contare ovviamente quelli postumi (Without A Net, 1990) ed il suo più bel live in assoluto come solista (Jerry Garcia Band, 1991). Questo decimo volume della serie Garcia Live si rivolge proprio a quel periodo ed è, manco a dirlo, tra gli episodi migliori. Registrato il venti Maggio del 1990 nell’insolita location di Hilo, nelle Hawaii, questo doppio CD vede Jerry in forma davvero strepitosa, sia dal punto di vista strumentale (ma questa non è una novità, dato che stiamo parlando di uno dei più grandi chitarristi del secolo scorso) sia da quello vocale (e questo non era scontato, dato che il canto è spesso stato il suo tallone d’Achille). La band che lo accompagna, poi, è formidabile, una delle migliori incarnazioni della JGB: guidata dal bravissimo organista Melvin Seals, vero co-leader del gruppo, vede il fido John Kahn al basso, David Kemper (in futuro nella road band di Bob Dylan) alla batteria, e le ottime Gloria Jones e Jacklyn LaBranch ai cori.

Il doppio CD, registrato tra l’altro in modo perfetto, è anche più godibile di altri in quanto Jerry ed i suoi eseguono molte più canzoni del solito (ben 18), lasciando un po’ meno spazio alle jam chilometriche, e favorendo quindi maggiormente il piacere dell’ascolto (infatti i brani più lunghi non superano i dieci minuti, che per Garcia sono pochissimi). Come d’abitudine Jerry preferisce lasciare in secondo piano il suo repertorio solista, ignorare completamente quello dei Dead, e concentrarsi principalmente sui pezzi altrui; quella sera è Dylan a farla da padrone come autore, con ben cinque canzoni: la poco nota Tough Mama, che Jerry fa sua con un paio di assoli formidabili, una straordinaria Knockin’ On Heaven’s Door, tra le più belle mai proposte dal nostro, profonda ed emozionante (nonostante un fastidioso assolo di tastiera elettronica nella parte centrale), una lunga e distesa Forever Young, in cui Jerry canta benissimo, l’intensissima Tears Of Rage ed una scoppiettante Tangled Up In Blue, posta a chiusura del concerto. Il Garcia autore è rappresentato solo in tre occasioni: They Love Each Other, una liquida ballata che negli anni è diventata un classico anche per i Dead, la solare e godibile Run For The Roses e la pimpante Deal, tra i suoi brani più diretti di sempre, con la solita inimitabile prestazione chitarristica.

Il piatto forte sono comunque le cover di vario genere, con un predominio per il soul/errebi, con la splendida How Sweet It Is di Marvin Gaye, che apre la serata e con Garcia e Seals che si fronteggiano alla pari, una fluida Like A Road Leaving Home di Don Nix e Dan Penn, dal caldo suono sudista e con una parte strumentale eccezionale, una delle più riuscite dello show, e le classiche The Way You Do The Things You Do dei Temptations, con un insolito arrangiamento reggae, e My Sisters And Brothers, un successo per i Sensational Nightingales, decisamente coinvolgente. Poi c’è un po’ di reggae (The Harder They Come di Jimmy Cliff, sontuosa, e Stop That Train di Peter Tosh), un irresistibile rock’n’roll (Tore Up Over You di Hank Ballard, inferiore però alla versione di studio in cui Jerry era affiancato dal grande Nicky Hopkins, che giganteggiava al pianoforte), e chicche come una frizzante rivisitazione della strepitosa Evangeline dei Los Lobos, dal sapore rock-gospel, e due solide riletture della bella Waiting For A Miracle (Bruce Cockburn) e del classico evergreen That Lucky Old SunJerry Garcia era uno che raramente dal vivo tradiva, e se anche in questa serie Garcia Live c’è stato qualche episodio meno brillante, questo decimo volume lo vede davvero in serata di grazia.

Marco Verdi

Sono Tornati Ai Livelli Di Un Tempo! Mavericks – Brand New Day

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Mavericks – Brand New Day – Mono Mundo/Thirty Tigers CD

I Mavericks si possono tranquillamente definire un gruppo dalle due carriere. Da sempre guidati dal carismatico Raul Malo, grande cantante di origine cubana, hanno conosciuto il loro momento di maggior splendore negli anni novanta, decade nella quale, con cinque album nei quali palesavano una crescita progressiva, erano giustamente considerati una delle band migliori in America, grazie ad un cocktail unico di rock, pop, country, tex-mex e musica latina, unito ad una grande facilità di scrivere brani immediati e ad un gran senso del ritmo. Dischi come Music For All Occasions e Trampoline erano quanto di meglio si poteva ascoltare in quel momento in tema di musica crossover. Poi il gruppo è entrato in modalità stand-by, Malo ha pubblicato nel 2001 un ottimo album da solista (Today) e, all’indomani di quello che è certamente il loro disco più stanco ed involuto (The Mavericks, 2003) i nostri hanno ufficializzato una separazione che era già nell’aria da tempo. Dopo una serie di lavori del solo Malo di qualità altalenante, e nei quali tentava di intraprendere diverse strade non sempre con lo stesso successo (anche quella del crooner nel poco riuscito Afterhours), i nostri hanno saggiamente deciso di riunirsi all’inizio della decade attuale, ricominciando da zero: In Time, 2013, e Mono, 2015, erano due buoni lavori in cui Malo e soci riprendevano in mano il vecchio suono, ma sembravano due lavori professionalmente validi ai quali però mancava la scintilla dei bei tempi.

Ora però i ragazzi hanno dato alle stampe Brand New Day, un disco potente, ispirato, convincente, in una parola splendido, che ci fa ritrovare all’improvviso i Mavericks degli anni novanta: l’album è infatti una miscela di stili che vanno dal country al pop anni sessanta, al sound Messicano fino ai ritmi cubani, dieci brani scintillanti e con un suono davvero spettacolare (merito della produzione, nelle mani dello stesso Malo e di Niko Bolas, il produttore preferito da Neil Young, ma che ha anche collaborato con Warren Zevon e Melissa Etheridge). Oltre a Malo, fanno parte della band il chitarrista Eddie Perez, il batterista Paul Deakin ed il tastierista Jerry Dale McFadden (il loro bassista storico Robert Reynolds è stato allontanato per problemi legati alla droga), mentre nel disco ci sono anche diversi collaboratori, tra cui meritano una segnalazione Ed Friedland, che di fatto ha preso il posto di Reynolds al basso pur non entrando a far parte del gruppo, lo straordinario fisarmonicista Michael Guerra, il cui strumento dona un sapore messicano a quasi tutti i pezzi, ed i cori delle famose McCrary Sisters. Ma al centro di tutto ci sono Malo, la sua grande voce, i suoi compagni di viaggio e la loro voglia di tornare ad essere quelli di un tempo: Brand New Day è dunque un grande disco, la cui unica cosa davvero brutta è forse la copertina. Si inizia subito a godere con Rolling Along, un brano mosso che profuma di Messico, con al centro la fisa e le trombe mariachi e la grande voce di Malo che si staglia potente, una melodia sixties ed un banjo a dare un sapore country: gran ritmo e suono splendido (una costante di tutto il disco).

La title track è caratterizzata da un possente wall of sound di spectoriana memoria ed il solito feeling anni sessanta (altro filo conduttore di quasi tutte le canzoni), un pezzo maestoso e davvero magnifico; la vivace Easy As It Seems mescola alla grande rock, ritmi cubani ed atmosfere retro, ricordando non poco i Los Lobos di Kiko (quindi i migliori), altro pezzo irresistibile, mentre I Think Of You, dominata come al solito dalla vocalità potente di Raul, è un raffinato pezzo dal mood leggermente jazzato e con la solita melodia romanticona, suonato in punta di dita ma con la solita grande classe. Goodnight Waltz è una ninna nanna tra Messico e jazz, con la fisa da una parte ed il sax dall’altra che si contendono la scena, e Malo che intona un motivo da ballo della mattonella, Damned (If You Do) è il brano più rock finora, anche se i contatti col Messico non mancano, il solito cocktail irresistibile e pieno di ritmo e forza in cui i nostri sono maestri, I Will Be Yours è uno scintillante slow alla Roy Orbison (e pure con la voce ci siamo), con in più il solito Mexican touch garantito dalla splendida fisa di Guerra, per un altro risultato da applausi. La spedita Ride With Me è uno stimolante mix tra rock’n’roll e big band music, con un tocco di blues, I Wish You Well ci riporta dalle parti di Orbison, un lento delizioso con la consueta gran voce di Malo a nobilitare il tutto, mentre For The Ages, che chiude il CD, è una roboante country song dal solito suono ricco e potente, un gustoso rimando al suono degli esordi, quando i nostri erano considerati principalmente una country band.

Non solo Brand New Day è il miglior disco dei Mavericks dalla loro reunion (e si mette sullo stesso piano dei loro lavori più riusciti), ma è anche uno dei più belli di questi primi quattro mesi del 2017: da non perdere.

Marco Verdi

Devo Averle Già Sentite Da Qualche Parte Queste Canzoni! Dear Jerry: Celebrating The Music Of Jerry Garcia

dear jerry celebrating the music of jerry garcia 2 cd

VV.AA. – Dear Jerry: Celebrating The Music Of Jerry Garcia – Rounder 2CD – 2CD/DVD

Da dopo la morte di Jerry Garcia avvenuta nel 1995, il mercato è stato letteralmente invaso di prodotti che avevano in qualche modo a che fare con i Grateful Dead, ma nessun periodo è minimamente comparabile all’ultimo anno. Da Ottobre 2015 sono infatti usciti, nell’ordine: il megabox di 80 CD 30 Trips Around The Sun (e la sua versione ridotta in quattro CD), i vari formati dei concerti di addio Fare Thee Well, il sontuoso tributo quintuplo Day Of The Dead curato dai National, il triplo della Rhino Red Rocks 1978 (ed il superbox con tutti i concerti del periodo), due volumi ravvicinatissimi della serie Garcia Live ed il nuovo album solista di Bob Weir, Blue Mountain http://discoclub.myblog.it/2016/10/07/finalmente-arrivato-anche-il-momento-che-disco-bob-weir-blue-mountain/ . E non ho citato i nuovi episodi dei Dave’s Picks. Ma i nostri, che la paura di inflazionare il mercato direi che non l’hanno mai avuta, si saranno detti: “Ci siamo dimenticati un bel concerto tributo!”. Detto fatto, ecco qui questo doppio CD (esiste anche con DVD allegato) intitolato Dear Jerry, che documenta l’esito di una serata organizzata da Bob Weir il 14 Maggio dello scorso anno (al Merriweather Post Pavilion di Columbia, Maryland), durante la quale i quattro Dead superstiti (oltre a Weir, Phil Lesh, Bill Kreutzmann e Mickey Hart) si sono alternati sul palco con una bella serie di ospiti. Come però suggerisce il titolo, non è un tributo ai Dead, ma in particolare alle canzoni di Garcia, incluse alcune da lui incise come solista e qualche cover di brani che Jerry usava suonare dal vivo nelle varie configurazioni della Jerry Garcia Band (che è sorprendentemente assente, dato che ancora esiste e si esibisce come JGB, avrebbe potuto partecipare suonando per esempio un brano di Bob Dylan, autore più volte ripreso da Jerry e dai Dead). Certo, un altro lavoro dove si prendono in esame canzoni che nell’ultimo anno sono state strasentite potrebbe far alzare più di un sopracciglio, ma sarebbe un errore ignorarlo, in quanto siamo di fronte ad una performance splendida, con una serie di gruppi e solisti in grande forma, una house band stellare (che comprende gente del calibro di Don Was, che è anche direttore musicale e produttore, Sam Bush, Matt Rollings, Buddy Miller, Audley Freed, ex chitarrista dei Black Crowes, e le McCrary Sisters ai cori), una resa sonora strepitosa e, ma era scontato, una serie di grandi canzoni.  In poche parole, uno dei migliori prodotti Dead-related usciti nell’ultimo periodo, superiore per esempio, e di gran lunga, ai concerti di addio Fare Thee Well, sia come suono che come qualità della performance.

Che non si scherza lo fa subito capire Phil Lesh, che si esibisce con la sua nuova band, i Communion nel medley The Wheel/Uncle John’s Band, suono Dead al 100%, piano liquidissimo (Marco Benevento) e subito due grandi canzoni (anzi, la seconda è forse la mia preferita in assoluto del Morto Riconoscente), per quasi 17 minuti di musica sublime: tra le qualità di Lesh non c’è mai stata la voce, ma questa sera Phil canta stranamente bene, anche se è aiutato, e molto, dalle voci di sostegno del resto del gruppo. Allen Toussaint, qui in una delle sue ultime apparizioni, ci propone l’errebi di sua composizione Get Out Of My Life Woman, un pezzo che Jerry amava molto, con un bel botta e risposta vocale tra Allen e le sorelle McCrary: anche Toussaint non era mai stato un grande vocalist, ma quando appoggiava le dita sulla tastiera riusciva a zittire tutti. David Grisman è un vecchio compagno di viaggio di Jerry, ha inciso con lui diversi bellissimi dischi acustici (oltre a militarci insieme nel supergruppo Old And In The Way), e nell’occasione ci delizia con una splendida versione del traditional Shady Grove, tra folk, bluegrass ed old time music, con ottimi interventi di fisarmonica e violino, altri quattro minuti e mezzo di puro godimento A prima vista Peter Frampton in una serata come questa potrebbe starci come i cavoli a merenda, ma il nostro, alle prese con il classico di Junior Walker (I’m A) Roadrunner, se la cava alla grande: la voce e la chitarra ci sono, e la versione, decisamente potente e roccata, è godibilissima. Buddy Miller non lo scopriamo certo oggi e, alle prese con Deal, una grande canzone, fa faville, dandoci una delle prestazioni più convincenti della serata (bellissimo l’assolo di slide, ma pure Rollings fa i numeri al piano); Jorma Kaukonen va a nozze con brani come Sugaree, e nel concerto ci dà pure un saggio della sua classe con la chitarra, mentre il bravissimo Jimmy Cliff, e ve lo dice uno che non ama il reggae, ci diverte con la sua The Harder They Come insieme a Kreutzmann e Hart, un brano tra i più suonati dalla JGB e, raggiunto anche da Weir, bissa con una discreta Fire On The Mountain. Il primo CD si chiude con il nuovo gruppo di Kreutzmann, Billy And The Kids, che rileggono lo splendido medley che apriva Blues For Allah (Help On The Way/Slipknot!/Franklin’s Tower) in maniera rigorosa, ma con un’energia straordinaria e poi, con i Disco Biscuits, un altro medley stellare con Scarlet Begonias/I Know You Rider, davvero da applausi e con un formidabile assolo chitarristico di Tom Hamilton.

Il secondo dischetto inizia con la rock ballad Loser proposta dai Moe, molto bravi e rispettosi al limite del didascalico, ma il brano è talmente bello che ne esce benissimo ugualmente; eccellenti gli Oar con St. Stephen, alla quale tolgono gli elementi psichedelici e la trasformano in una pura e sontuosa rock song, potente e grintosa; i Los Lobos avevano già suonato Bertha sul tributo Deadicated del 1991 e, insieme a Weir, la replicano in maniera mirabile, grande canzone e grandissima band, mentre i Trampled By Turtles si esibiscono nell’abituale veste acustica con una fulgida Brown-Eyed Women, tra le mie preferite in assoluto dei Dead.

Shakedown Street non mi è mai piaciuta molto, e gli Yonder Mountain String Band, pur mettendocela tutta in una versione stripped-down, non riescono a farmi cambiare idea. Ma subito dopo torna Bob Weir che, in compagnia della bella Grace Potter, rilegge in maniera vibrante Friend Of The Devil, ottima versione, toccante a dir poco, pianistica e molto soulful. Eric Church a mio parere è un sopravvalutato, ma la sua Tennessee Jed, tra country, rock e southern, è ben fatta, anche se meglio, molto meglio fanno i Widespread Panic con una Morning Dew davvero intensa e fluida, impreziosita da un assolo di chitarra incredibile da parte di Jimmy Herring. Gran finale con tre dei quattro Dead (manca Lesh), per una stupenda e corale Touch Of Grey, perfetta in questa posizione visto il testo ottimistico, e tutti insieme per una commovente Ripple, splendida sotto ogni punto di vista, il modo migliore per chiudere una serata da ricordare.

In un anno in cui non sono certo mancati i dischi dal vivo di grande valore, questo Dear Jerry è sicuramente uno dei più belli.

Marco Verdi

Un Bel Tributo A Jerry Garcia Ci Mancava! Esce il 14 Ottobre – Dear Jerry: Celebrating The Music Of Jerry Garcia

dear jerry celebrating the music of jerry garcia 2 cd

Dear Jerry: Celebrating The Music Of Jerry Garcia 2 CD – 2 CD+DVD – 2 CD+Blu-Ray – DVD – Blu-Ray – Rounder/Universal 14/10/2016

In effetti un bel tributo a Jerry Garcia mancava. Sono usciti nel corso degli anni moltissimi tributi ai Grateful Dead, l’ultimo dei quali lo splendido quintuplo Day Of The Dead, http://discoclub.myblog.it/2016/05/24/le-celebrazioni-poteva-mancare-bel-tributo-ai-grateful-dead-various-artists-day-of-the-dead-giorno-1/, la reunion per il 50° Anniversario con relativo album, senza contare che comunque escono sempre almeno due o tre CD all’anno della serie GarciaLive, ma un tributo vero e proprio al chitarrista e mente del gruppo californiano non mi pare fosse mai uscito. Ora, il 14 ottobre p.v., a colmare la lacuna arriverà questo Dear Jerry, disponibile in vari formati, che riporta la serata tenuta il 14 maggio del 2015 al Merriweather Post Pavilion di Columbia, Maryland, due ore e mezza di musica, con una bella lista di ospiti. Ecco i nomi dei partecipanti e i titoli dei brani, oltre ad una piccola anticipazione.

1. The Wheel / Uncle John’s Band – Phil Lesh & Communion
2. Get Out Of My Life Woman – Allen Toussaint
3. Shady Grove – David Grisman
4. (I’m A) Road Runner – Peter Frampton
5. Deal – Buddy Miller
6. Sugaree – Jorma Kaukonen
7. The Harder They Come – Jimmy Cliff, Mickey Hart, Bill Kreutzmann
8. Fire On The Mountain – Jimmy Cliff, Bob Weir, Mickey Hart, Bill Kreutzmann
9. Help On The Way / Slipknot / Franklin’s Tower – Bill Kreutzmann’s Billy & The Kids
10. Scarlet Begonias / I Know You Rider – The Disco Biscuits, Bill Kreutzmann’s Billy & The Kids
11. Loser – moe.
12. St. Stephen – O.A.R.
13. Bertha – Los Lobos & Bob Weir
14. Brown-Eyed Women – Trampled By Turtles
15. Shakedown Street – Yonder Mountain String Band
16. Friend Of The Devil – Bob Weir & Grace Potter
17. Tennessee Jed – Eric Church
18. Morning Dew – Widespread Panic
19. Touch Of Grey – Bob Weir, Mickey Hart, Bill Kreutzmann
20. Ripple – Full Ensemble

E anche la house band che accompagnava i vari ospiti, per usare un eufemismo, non era male: tra gli altri Buddy Miller, Audley Freed, Sam Bush, Raymond Weber, Matthew Rollings, Russell Pahl, Regina, Freda & Ann McCrary, ovvero le McCrary Sisters. Naturalmente in rete, parlando di Dead e dintorni, c’è anche il concerto completo, 3 ore e 45 minuti in tutto, solo in audio, qualità sonora buona ma non eccelsa, però con molti brani che non sono stati inseriti nella versione ufficiale.

Lo stesso giorno è prevista anche l’uscita di un tributo simile, questa volta dedicato a Dr.John (con la presenza di Springsteen!), appena ho la lista completa vi aggiorno.

Bruno Conti

Supplemento Della Domenica, Anteprima: A Proposito di Belle Voci, Il Grande Ritorno Della “Rossa”! Bonnie Raitt – Dig In Deep

bonnie raiitt dig in deep

Bonnie Raitt – Dig In Deep – Redwing Records/Warner – 26-02-2016

La rossa cantante e chitarrista californiana è sulla breccia da oltre 45 anni: il suo esordio discografico , l’omonimo Bonnie Raiit, risale al 1971, eppure questo Dig In Deep è solo il suo ventesimo album (17° in studio), a quattro anni di distanza dall’ottimo Slipstream del 2012, che aveva interrotto una lunga pausa nei primi anni 2000, dovuta alla morte, tra il 2004 e il 2009, della madre, del padre, del fratello e di uno dei suoi migliori amici. Bonnie Raitt nella sua carriera ha vinto ben dieci Grammy Awards, è inserita al n° 50 tra le migliori cantanti e al n° 89 tra i migliori chitarristi, nella classifica All time della rivista Rolling Stones, eppure non sembra avere ancora raggiunto “la pace dei sensi” a livello discografico, infatti questo Dig In Deep, nelle recensioni delle varie riviste musicali ha raggiunto una quasi unanimità di consensi, con Record Collector che le ha dato un bel 10, e Mojo, Uncut, Classic Rock, Q e il Telegraph, tra le quattro stellette e gli 8/10, a seconda dei loro criteri di giudizio. Dodici canzoni, con ben 5 firmate dalla stessa Bonnie, cosa che non succedeva da Fundamental del 1998, probabilmente ispirata dai fatti che le sono successi intorno in questi anni. Tutti i brani provengono da sessions recenti, meno uno, registrato nel 2010, nella stessa occasione in cui vennero registrati i 4 brani prodotti da Joe Henry per Slipstream (le buone canzoni non si buttano mai via).

La band che la accompagna è la solita formazione da sogno con la stessa Bonnie Raitt alla slide, il secondo chitarrista George Marinelli, il “nuovo” Mike Finnigan che sostituisce Jon Cleary alle tastiere, spostando l’asse del sound più sull’organo, ma il pianoforte non manca, l’immancabile James “Hutch” Hutchinson al basso, e Ricky Fataar alla batteria, Produce il CD la stessa Raitt, con l’aiuto dell’ingegnere del suono Ryan Freeland e, concordo, siamo davanti ad uno dei migliori album della sua carriera: gli anni di sesso, droga, alcol e R&R di quando era la fidanzata di Lowell George sono sicuramente alle spalle, ma la passione per quel suono alla Little Feat che mescola blues, soul & R&B, funky, laidback rock e una propensione alle ballate, cantate con voce rauca e vissuta, non l’ha ancora abbandonata https://www.youtube.com/watch?v=Dkq3FfN-4m8 . Questa volta è vincente anche la scelta di alcune cover: partiamo proprio, pescando a caso, con Shakin’ Shakin’ Shakes, un brano dei Los Lobos da By The Light The Moon del 1987, in una versione vorticosa, ad alta gradazione rock, con la slide di Bonnie Raitt e la solista di Marinelli a sfidarsi in una serie di assolo che non si sentivano dai tempi dei migliori Little Feat, mentre tutta la band tira alla grande, con una grinta che forse si pensava perduta nei dischi della Raitt e anche la versione di I Need You Tonight degli Inxs, è una scelta inconsueta ma vincente, con il basso funky di “Hutch” e la batteria groovy di Fataar a innestare un drive fantastico, se aggiungiamo la voce rauca ed inconfondibile della nostra amica, l’organo insinuante di Finnigan e le chitarre maliziose dei due solisti, il risultato è irresistibile. Sempre andando random, anche la collaborazione autorale tra Marinelli e Raitt in If You Need Somebody è un ottimo esempio di funky blue eyed soul, con chitarrine choppate, tastiere avvolgenti, belle melodie e l’immancabile slide che è la firma unica di questa grande musicista. O di nuovo il funky-rock featiano dell’iniziale Unintented Consequence Of Love, con piano elettrico e la “solita” slide a guidare le danze, in un brano che è comunque un altro efficace esempio dello stile blues-rock della migliore Raitt.

Non mancano naturalmente le sue ballate classiche, come la malinconica All Alone With Something To Say, scritta da due autori poco conosciuti ma validi di Nashville, come Gordon Kennedy e Steve Dale Jones, un brano che anche Susan Tedeschi (che è forse la sua discepola preferita) sta cercando di perfezionare nella band di famiglia; altrove c’è spazio per il classico blues-rock delle sue stagioni anni ’70 con la Warner (di nuovo distributrice del disco, pubblicato dalla etichetta personale Redwing), una Gypsy In Me che è il primo singolo dell’album e scivola sulle sinuose note della slide pure questa. I Knew, sempre firmata da Bonnie, potrebbe essere un ideale seguito di I Know, che era sul secondo album Give It Up, il groove funky e la chitarra tagliente sono quelli degli anni d’oro, e la voce è sempre magnifica ed evocativa. The Comin’ Round Is Going Through è un bel pezzo rock dal drive quasi stonesiano che conferma la ritrovata passione in questo album per i brani più mossi e tirati, con la band che gira come un perfetto meccanismo, e anche il testo sugli effetti dei grossi giri di denaro sulle nostre vite e sulla correttezza della politica e delle democrazia illustra il lato impegnato che è sempre stato presente nelle sue canzoni.

Mancano ancora la splendida ballata Undone, un must per Bonnie Raitt, scritta dalla texana Bonnie Bishop, che aveva già firmato Not Cause I Wanted per il precedente Slipstream, si tratta di uno dei pezzi più belli in assoluto interpretati dalla rossa californiana nella sua lunga carriera, un brano struggente e malinconico, cantato con una passione assoluta dalla Raitt, che nel finale rilascia anche un lancinante assolo alla slide che rende ancor più memorabile questo brano. What You’re Doin’ To Me è un mezzo shuffle bluesato con uso d’organo e chitarre, grintoso e mosso, come sembra essere la regola in questo Dig In Deep. The Ones We Couldn’t Be è comunque una splendida ballata pianistica che non può mancare nel canone della brava Bonnie (bellissima, la consiglierei a Adele, che già aveva cantato dal repertorio della Raitt I Can’t Make You Love Me nel concerto alla Royal Albert Hall). E sempre parlando di ballate, che come sempre non mancano in un disco della nostra amica, un’altra stupenda è You’ve Changed My Mind, con un assolo di slide nel finale degno del miglior Ry Cooder. Disco bellissimo, potrebbe vincere il suo 11° Grammy, esce il 26 febbraio.

Bruno Conti.