Il Meglio…Dopo Il Dirigibile! Robert Plant – Digging Deep: Subterranea

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Robert Plant – Digging Deep: Subterranea – Es Paranza/Warner 2CD

Terza antologia da solista per Robert Plant, dopo l’interessante Sixty Six To Timbuktu del 2003, che presentava un intero CD di rarità, ed il box Nine Lives del 2006 che conteneva tutti i suoi album da Pictures At Eleven a Mighty ReArranger. Digging Deep: Subterranea può essere in un certo senso la colonna sonora della serie di podcast dedicati a Plant andati in onda lo scorso anno col titolo appunto di Digging Deep, ed è un doppio CD molto ben fatto con una selezione effettuata dallo stesso ex cantante dei Led Zeppelin e la presenza di tre notevoli brani inediti. Tra i lead singers delle varie band di hard rock degli anni settanta quasi tutti hanno continuato a proporre lo stesso tipo di musica lontani dal gruppo che li ha lanciati, sia quando hanno fatto i solisti (Ian Gillan, Ozzy Osbourne, Ronnie James Dio), sia quando hanno formato altre band (David Coverdale con gli Whitesnake), ma Plant ha quasi voluto prendere le distanze dagli Zeppelin fin da subito, proponendo per tutti gli anni ottanta un pop-rock un po’ di maniera e con sonorità tipiche dell’epoca, passando poi per l’ottimo Fate Of Nations del 1993 che invece era un bel disco di moderno rock d’autore.

Dopo un lungo silenzio, si è reinventato dal 2002 in avanti come esponente di un roots-rock fuso con folk, blues e musica etnica (elementi già presenti in molti pezzi del Dirigibile), sfornando album eccellenti come il pluripremiato Raising Sand, in duo con Alison Krauss, ed il magnifico Band Of Joy (disco dell’anno 2010 per chi scrive), anche se gli ultimi due lavori Lullaby And…The Ceaseless Roar e Carry Fire, pur non disprezzabili, hanno denotato una certa involuzione compositiva. Digging Deep: Subterranea contiene una selezione eterogenea di brani da tutti gli album solisti di Plant, ma solo da quelli: mancano quindi episodi dal divertente EP degli Honeydrippers, dai due lavori usciti negli anni 90 con Jimmy Page (No Quarter: Unledded e Walking Into Clarksdale) e purtroppo, e questa è una pecca, dal già citato disco con la Krauss. L’ascolto del doppio CD è comunque molto piacevole nonostante qualche calo di tensione soprattutto riscontrabile nei brani degli eighties, ed i tre inediti non sono riempitivi ma canzoni di alto livello.

Dulcis in fundo, nei vari pezzi suonano musicisti dal pedigree indiscutibile come lo stesso Page, Patty Griffin, Buddy Miller, Phil Collins, Cozy Powell e Darrell Scott, il tutto condito naturalmente dalla formidabile voce del nostro. Il primo inedito è Nothing Takes The Place Of You (scritta dal musicista di New Orleans Toussaint McCall ed incisa da Plant per il film del 2013 Winter In The Blood ma non pubblicata), una deliziosa slow ballad in puro stile anni 60, con un organo malandrino dietro alle spalle ed una prestazione vocale superba da parte di Robert; Charlie Patton Highway (Turn It Up – Part 1) è un anticipazione dell’imminente album Band Of Joy 2, un sontuoso boogie-blues cadenzato dal riff insistente che lascia ben presagire per il resto del futuro disco. Chiude il trittico di novità una incantevole versione di Too Much Alike, cover di un vecchio rockabilly di Charlie Feathers proposta in duetto con la Griffin, bellissimo e spensierato omaggio ai bei tempi che furono. I brani degli anni ottanta, tra sonorità un po’ finte ed uso insistito del synth, sono quelli che abbassano leggermente il giudizio generale (White, Clean & Neat è davvero brutta), ma ci sono anche momenti degni di nota come la rockeggiante Hurting Kind, il più grande successo di Plant come singolo, le suggestive ballate Ship Of Fools e Like I’ve Never Been Gone e l’elegante e raffinato blue-eyed soul Big Log.

Il riuscito Fate Of Nations è rappresentato da ben cinque canzoni, tra le quali lo splendido folk-rock 29 Palms, tra le migliori canzoni post-seventies del nostro, la fluida ed ariosa I Believe, dedicata al figlioletto Karac tragicamente scomparso nel 1977 a soli sei anni d’età, la zeppeliniana Memory Song ed il blues acustico da brividi Great Spirit, con Rainer Ptacek alla chitarra. Infine ecco il nuovo millennio, con la coinvolgente Rainbow, sorta di “rockabilly etnico”, il sanguigno rock-blues Shine It All Around, la fulgida ballata tra rock e folk Darkness, Darkness e la potente Takamba. Senza dimenticare alcune splendide cover incluse in origine su Band Of Joy, come il traditional blues Satan, Your Kingdom Must Come Down, la magnifica rilettura di Angel Dance dei Los Lobos e la squisita ripresa, tra country e moderno doo-wop, di Falling In Love Again dei Kelly Brothers. Se amate i Led Zeppelin ma non conoscete troppo il Robert Plant solista (ma anche se possedete tutto, visto che i tre inediti valgono l’acquisto), Digging Deep: Subterranea è sicuramente l’antologia che fa per voi.

Marco Verdi

Una Grande Serata Di Vero Country In Quel Di Austin! Outlaw: Celebrating The Music Of Waylon Jennings

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Outlaw: Celebrating The Music Of Waylon Jennings – Legacy/Sony CD/DVD

Splendido tributo alla musica di Waylon Jennings, uno dei più importanti musicisti country di tutti i tempi, vera leggenda in Texas, ed esponente di punta insieme a Willie Nelson del cosiddetto movimento “Outlaw Country”, che negli anni settanta si contrapponeva al country più commerciale che veniva prodotto a Nashville. Il concerto si è tenuto quasi due anni fa, il 6 Luglio del 2015, al Moody Theatre di Austin, ed è stata una grande serata, nella quale si sono dati appuntamento una lunga serie di amici e discepoli di Waylon (più i secondi dei primi, purtroppo molti sono da tempo in cielo a far compagnia a Jennings) per suonare alcuni tra i brani più noti del grande texano, la cui influenza si è fatta sentire di più dopo la scomparsa (avvenuta nel 2002 in seguito a complicazioni dovute ad una grave forma di diabete, ma conseguenza di una vita nella quale il nostro non si era fatto mancare niente) che nel periodo di attività, complice una discografia non sempre all’altezza, specie negli anni ottanta. Ora la Legacy pubblica finalmente il resoconto di quella serata, in versione CD con DVD allegato, in modo da far godere anche noi delle performances dedicate a Waylon, un concerto nel quale gli invitati hanno dato veramente il meglio di loro stessi, sia i fuoriclasse (e ce n’erano parecchi), sia quelli che a prima vista poco c’entravano con il barbuto countryman texano; in tutti i brani, poi, troviamo la solita house band da sogno che non manca mai in queste occasioni: Don Was al basso, produzione e direzione musicale (ed ultimamente il riccioluto Don non se ne perde uno di questi tributi), Buddy Miller e Patrick Buchanan alle chitarre, Matt Rollings alle tastiere, l’ottimo Robby Turner alla steel guitar, Mickey Raphael all’armonica (da sempre nella band di Willie Nelson), ben due batteristi (Raymond Weber e Richie Albright) e tre coristi.

Il DVD rispetto al CD contiene due brani in più (curiosamente entrambi con protagonista Sturgill Simpson, che quindi nella parte audio non compare – NDM: la presente recensione è fatta sul CD, sorry Sturgill…) più varie interviste agli ospiti che parlano chiaramente di Waylon; da segnalare purtroppo l’assenza di Billy Joe Shaver, che si può spiegare forse solo con il suo precario stato di salute, anche se è una mancanza che pesa non poco. La serata inizia alla grande con una delle performances migliori, grazie all’ottimo Chris Stapleton che propone una versione mossa e tonica, decisamente rock’n’roll, di Ain’t Living Long Like This, il brano di Rodney Crowell che Waylon fece suo nell’ormai lontano 1979, un avvio potente e trascinante, con ottimi interventi di piano e steel; il figlio di Waylon, Shooter Jennings, non si fa contaminare da sonorità strane come spesso fa ultimamente nei suoi dischi, anzi riesce anche a toccare le corde giuste con Whistlers And Jugglers, uno slow classico e con la giusta dose di pathos (splendido Rollings al piano, e strepitoso il finale chitarristico, molto southern), mentre la riunione di famiglia continua con la moglie di Waylon, e madre di Shooter, Jessi Colter, che emoziona con la sua Mona (se siete veneti non fraintendete quest’ultima frase per favore), solo voce e piano ma tanto feeling.

Sale sul palco la prima leggenda vivente della serata: Bobby Bare è un contemporaneo di Waylon, ed uno dei grandi del country, e la sua Only Daddy That’ll Walk The Line è piena di ritmo e grinta nonostante l’età avanzata del nostro; la voce limpida di Lee Ann Womack affronta molto bene la melodica Ride Me Down Easy (proprio di Shaver) e, in duetto con Buddy Miller, la cristallina Yours Love, ed anche il bravissimo Jamey Johnson strappa applausi a scena aperta con Freedom To Stay, country ballad classica cantata con il cuore in mano. La brava Kacey Musgraves sembra ferma agli anni sessanta, sia come stile che come look, e con The Wurlitzer Prize mantiene entrambi i piedi ben saldi in quel periodo, mentre Robert Earl Keen è uno dei migliori texani della generazione successiva a quella di Waylon, ma questa sera la sua rilettura di Are You Sure Hank Done It This Way ha qualcosa che non va, troppo elettrica e rock, quasi monolitica, molto meglio l’arrangiamento originale; Kris Kristofferson non ha certo bisogno di presentazioni, è uno dei grandissimi e non solo della musica country, uno che potrebbe cantare qualsiasi cosa: stasera sceglie I Do Believe, uno slow dall’accompagnamento leggero e con al centro la voce vissuta di Kris che, inutile dirlo, la fa diventare quasi una sua canzone. Strepitoso Ryan Bingham con Rainy Day Woman, in un arrangiamento grintoso e rock ma rispettoso della struttura country dell’originale, un brano che la voce ruvida di Ryan affronta senza problemi (e la steel di Turner è monumentale); sale sul palco Alison Krauss per due pezzi, la dolcissima Dreaming My Dreams With You (splendida la voce della bionda cantante e violinista) e, con Jamey Johnson, una mossa, ritmata e coinvolgente I Ain’t The One, dal deciso sapore sudista.

Toby Keith ed Eric Church non sono certo tra i miei countrymen preferiti, ma stasera non deludono, anzi convincono con due riletture serie e sentite di Honky Tonk Heroes e Lonesome, On’ry And Mean rispettivamente. E’ la volta del grande Willie Nelson, che sale sul palco e non scenderà più fino alla fine: Willie non è più quello di qualche anno fa, canta a fatica, in alcuni momenti sembra perfino a corto di fiato, ma ovviamente non poteva mancare, e comunque sopperisce con la sua presenza magnetica ed il suo immenso carisma (e poi chitarristicamente è ancora un portento); inizia da solo con la nota ‘Til I Gain Control Again, ancora di Crowell, e, in duetto rispettivamente con Keith e Stapleton, le mitiche Mammas Don’t Let Your Babies Grow Up To Be Cowboys e My Heroes Have Always Been Cowboys, entrambe splendide, tra gli highlights dello show. Finale da urlo con la meravigliosa Highwayman, con Willie e Kris che fanno loro stessi, Shooter al posto del padre e Johnson in luogo di Johnny Cash, e poi tutti sul palco per la celebrazione finale con Luckenback, Texas, una delle canzoni-manifesto di Waylon. Un ottimo tributo: era ora che a tredici anni dalla sua scomparsa qualcuno si decidesse ad omaggiare Waylon Jennings in maniera adeguata.

Marco Verdi

Un’Altra Grande Serata Per Una Grande Cantante! VV.AA. – The Life And Songs Of Emmylou Harris

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 VV.AA. – The Life And Songs Of Emmylou Harris – Rounder CD – CD/DVD

Se Loretta Lynn è giustamente considerata la regina del country classico (ed il fatto che sia ancora tra noi ed attiva è una piacevolissima combinazione), è altrettanto vero che Emmylou Harris può aspirare allo stesso titolo per quanto riguarda il country contemporaneo. Nel corso di una carriera ormai più che quarantennale, la cantante dai capelli d’argento (adesso, una volta erano nerissimi) non ha mai sbagliato un solo disco, sostenuta sempre da una voce formidabile, una classe immensa, un gusto raro per la scelta delle canzoni da interpretare (solo ultimamente si è messa a scrivere di suo pugno con una certa continuità) e dei musicisti e produttori con i quali lavorare. Con l’età ha poi ampliato lo spettro interpretativo, e, più o meno a partire dal magnifico Wrecking Ball (1995), è diventata una musicista a 360 gradi, non necessariamente solo country, anche se il country è comunque sempre la base di partenza. Era dunque d’uopo omaggiare la Harris in maniera consona, e questo The Life And Songs Of Emmylou Harris è la testimonianza di una splendida serata a lei dedicata, un concerto ricco di ospiti tenutosi il 10 Gennaio del 2015, più o meno a quarant’anni dal suo esordio su major Pieces Of The Sky, evento tenuto alla Dar Constitution Hall di Washington.

Un CD, 19 canzoni (qualcunaa in più nel DVD, ma la versione audio è più che sufficiente *NDB Non sono d’accordo, visto che il DVD ha ben otto brani in più, vedi sotto e tutti piuttosto interessanti, tra cui una versione bellissima di Pancho & Lefty, con Steve Earle, Lee Ann Womack e Herb Pedersen) che testimonia uno show decisamente bello ed emozionante, nel quale un parterre di ospiti eccezionale ha omaggiato Emmylou attraverso canzoni sue o comunque da lei cantate nel corso degli anni, con la partecipazione qua e là della stessa Harris (a mio parere forse un tantino troppo centellinata) ed una house band davvero da sogno: Buddy Miller ed Audrey Freed alle chitarre, Don Was (più attivo che mai ultimamente) al basso e direzione musicale, Sam Bush al mandolino e banjo, Sara Watkins al violino e voce, l’ottimo Matt Rollings al pianoforte, Fred Eltringham alla batteria e, dulcis in fundo, il formidabile steel guitarist Greg Leisz, uno dei grandi protagonisti della serata.Il concerto ha inizio con Buddy Miller che interpreta al meglio One Of These Days: voce perfettamente country, bel suono pieno e fluido per una bella canzone che apre la serata nel modo migliore; poi è subito tempo di superclassici con la signature song della Carter Family, Will The Circle Be Unbroken, riletta molto bene da Mavis Staples, voce tonante e grande forza interpretativa, in una versione più blues che gospel. Chris Hillman e Herb Pedersen si cimentano con Wheels (Flying Burrito Brothers), due grandi voci ed una grande canzone, il risultato non può che essere eccellente (anche perché la house band suona da Dio, con una nota di merito per la steel di Leisz).

Orphan Girl è una splendida ballata di Gillian Welch, e vede la brava Holly Williams (nipote di Hank) interpretarla insieme a Chris Coleman con la giusta dose di feeling, mentre Steve Earle rilegge da par suo Sin City, altro grande successo dei Burritos (non dimentichiamo che la figura di Gram Parsons è stata fondamentale per Emmylou ad inizio carriera), puro country e grande suono, con Steve che ritorna allo stile dei suoi esordi. Hickory Wind è forse la più bella canzone che Parsons portò in dote ai Byrds per il capolavoro Sweetheart Of The Rodeo, e vorrei che quella sera non l’avessero affidata a Lucinda Williams, anzi avrei proprio voluto che la bionda cantautrice se ne fosse rimasta a casa sua (*NDB De gustibus), anche se obiettivamente qui fa meno danni del solito; meno male che c’è Rodney Crowell a rimettere le cose a posto, anche se stranamente non sceglie un brano suo ma uno di George Jones, You’re Still On My Mind, ma la classe non è acqua e la canzone, uno scintillante honky-tonk, è tra i più riusciti della serata. Born To Run non è il classico di Springsteen, bensì un brano scritto per Emmylou da Paul Kennerley, e la brava Lee Ann Womack la fa sua con piglio da vera country-rocker, mentre la toccante ballad degli O’Kanes When We’re Gone, Long Gone vede finalmente salire sul palco la festeggiata (insieme a John Starling dei Seldom Scene), e la temperatura sale di conseguenza, e di parecchio. Emmylou rimane e viene raggiunta da Daniel Lanois, che interpreta con lei Blackhawk, una sua composizione tratta da Wrecking Ball (da lui prodotto), un brano intensissimo e con la chiara impronta del musicista canadese (e che voce la Harris, ma questo non lo scopriamo certo oggi).

All The Roadrunning è una splendida canzone dal sapore irlandese scritta da Mark Knoplfler per l’omonimo album in duo che l’ex Dire Straits aveva registrato con Emmylou: Mary Chapin Carpenter e Vince Gill sono bravissimi, ma io avrei preferito nettamente avere i due interpreti originali (e secondo me Knopfler andava assolutamente coinvolto). Il vulcanico Conor Oberst, con le backing vocals di Shawn Colvin e Patty Griffin, propone la bella The Pearl, tratta da Red Dirt Girl, una bella canzone, densa e vibrante, che dimostra che anche la Harris songwriter sa il fatto suo, mentre Martina McBride ci delizia con una fresca rilettura di When I Stop Dreaming dei Louvin Brothers, e la Griffin fa lo stesso con Prayer In Open D, altro pezzo scritto da Emmylou, ripresa in una versione acustica e purissima. Torna Vince Gill per due brani, il classico honky-tonk di Buck Owens Together Again, ancora con un grande Leisz, e, insieme a Sheryl Crow, una trascinante e roccata Two More Bottles Of Wine di Delbert McClinton, davvero splendida. Kris Kristofferson è un’altra leggenda vivente, e come apre bocca fa venire giù il teatro, e poi Loving Her Was Easier è una delle sue ballate più belle; la serata sta per chiudersi, il tempo del pezzo più noto di Crowell, Till I Gain Control Again, interpretato alla grandissima dalla splendida Alison Krauss, in una versione per piano, voce e poco altro, veramente toccante, e per il gran finale con Emmylou Harris e tutti gli ospiti insieme per la più famosa tra le canzoni da lei composte, quella Boulder To Birmingham che da sempre occupa un posto speciale nei suoi concerti.

Una bellissima serata ed un CD imperdibile, anche se personalmente avrei preferito una presenza maggiore da parte della padrona di casa, un po’ come ha fatto Joan Baez nel suo recente concerto per i 75 anni.

Marco Verdi

*NDB

[CD]
1. One Of These Days (Buddy Miller)
2. Will The Circle Be Unbroken (Mavis Staples)
3. Wheels (Chris Hillman & Herb Pedersen)
4. Orphan Girl (Holly Williams & Chris Coleman)
5. Sin City (Steve Earle)
6. Hickory Wind (Lucinda Williams)
7. You’re Still On My Mind (Rodney Crowell)
8. Born To Run (Lee Ann Womack)
9. When We’re Gone, Long Gone (John Starling & Emmylou Harris)
10. Blackhawk (Daniel Lanois & Emmylou Harris)
11. All The Roadrunning (Mary Chapin Carpenter & Vince Gill)
12. The Pearl (Conor Oberst, Shawn Colvin & Patty Griffin)
13. When I Stop Dreaming (Martina McBride)
14. Prayer In Open D (Patty Griffin)
15. Together Again (Vince Gill)
16. Two More Bottles of Wine (Sheryl Crow & Vince Gill)
17. Loving Her Was Easier (Kris Kristofferson)
18. Till I Gain Control Again (Alison Krauss)
19. Boulder To Birmingham (Emmylou Harris)

[DVD/Blu-ray]
1. One Of These Days (Buddy Miller)
2. Will The Circle Be Unbroken (Mavis Staples)
3. The Darkest Hour Is Just Before Dawn (Sara Watkins)
4. Red Dirt Girl (Shawn Colvin)
5. Michelangelo (The Milk Carton Kids)
6. Wheels (Chris Hillman & Herb Pedersen)
7. Orphan Girl (Holly Williams & Chris Coleman)
8. Sin City (Steve Earle)
9. Bluebird Wine (Trampled By Turtles)
10. Hickory Wind (Lucinda Williams)
11. You’re Still On My Mind (Rodney Crowell)
12. Born To Run (Lee Ann Womack)
13. When We’re Gone, Long Gone (John Starling & Emmylou Harris)
14. Blackhawk (Daniel Lanois & Emmylou Harris)
15. Wrecking Ball (Iron & Wine & Daniel Lanois)
16. Leaving Louisiana In The Broad Daylight (Shovels & Rope)
17. All The Roadrunning (Mary Chapin Carpenter & Vince Gill)
18. The Pearl (Conor Oberst, Shawn Colvin & Patty Griffin)
19. When I Stop Dreaming (Martina McBride)
20. Prayer In Open D (Patty Griffin)
21. Pancho And Lefty (Steve Earle, Lee Ann Womack & Herb Pendersen)
22. Together Again (Vince Gill)
23. Two More Bottles of Wine (Sheryl Crow & Vince Gill)
24. Loving Her Was Easier (Kris Kristofferson)
25. Till I Gain Control Again (Alison Krauss)
26. Cash On The Barrelhead (Alison Krauss)
27. Boulder To Birmingham (Emmylou Harris)

Dalle Strade Di Nashville Agli Studi Capitol Il Passo E’ Breve! Doug Seegers – Walking On The Edge Of The World

doug seegers walking on the edge

Doug Seegers – Walking On The Edge Of The World – Capitol CD

Quella di Doug Seegers, musicista e countryman di Long Island, NY, è una bella storia. Ha infatti esordito circa due anni fa con l’ottimo Going Down To The River, ad un’età non proprio da esordiente (se mi passate il bisticcio), 62 anni, in quanto nel periodo precedente suonava per le strade di Nashville e conduceva una vita da homeless. La fortuna finalmente bussa alla sua porta, proprio nel 2014, nella persona di Jill Johnson, una country singer svedese molto popolare in patria, che nota Doug restandone impressionata, lo porta in studio con lei ed incide con lui la title track di quello che sarebbe diventato il suo primo disco, un singolo che andò al numero uno in Svezia e contribuì a farlo notare anche a Nashville (la sua storia ha delle similitudini con quella di Ted Hawkins, grande cantante oggi purtroppo scomparso, che fece il busker per gran parte della sua vita). Oggi, dopo un disco in duo con la Johnson, Seegers torna tra noi con il suo secondo lavoro vero e proprio, Walking On The Edge Of The World, che esce addirittura per la mitica Capitol: il disco conferma quanto di buono Doug aveva fatto vedere con il suo debutto, provando che in America ci possono essere talenti nascosti ad ogni angolo, e che molto spesso il successo è una mera questione di fortuna.

Seegers ha una bella voce, scrive ottime canzoni, e possiede un’attitudine da consumato countryman, e questo secondo disco potrebbe addirittura risultare migliore del già brillante esordio: la Capitol gli ha messo a disposizione una eccellente band di sessionmen esperti, tra i quali spiccano il ben noto Al Perkins alla steel, l’ottimo pianista ed organista Phil Madeira e Will Kimbrough alle chitarre ed alla produzione (come già per il disco di due anni orsono), più due o tre ospiti di grande livello (che vedremo a breve) a dare più prestigio ad un lavoro già bello di suo. La title track fa partire il disco nel modo migliore con una gran bella canzone, un country-rock denso ed elettrico, con riff ed assoli quasi da rock band ed un refrain deliziosamente orecchiabile. From Here To The Blues ha un’andatura da country song d’altri tempi, limpida e tersa, con gran spiegamento di steel, violino e pianoforte, e la bella voce di Elizabeth Cook ai controcanti; Zombie è qualcosa di diverso, un gustosissimo shuffle notturno, tra jazz e blues, con i fiati e l’ottimo piano di Madeira a guidare le danze: stimolante ed accattivante. Will You Take The Hand Of Jesus è uno scintillante bluegrass, dal gran ritmo ed assoli a raffica, come nella tradizione della vera mountain music: Doug fa bene tutto ciò che fa, ed in più ha anche una bella penna, peccato solo che sia stato scoperto così tardi.

She’s My Baby è una ballatona raffinata ma eccessivamente edulcorata (gli archi li avrei evitati), preferisco il Seegers dei primi quattro brani, che per fortuna ritroviamo subito con la seguente How Long Must I Roll, un rockin’ country ritmato, coinvolgente e di stampo quasi texano. Before The Crash è introdotta da uno splendido arpeggio elettrico, ed anche il resto è super, una rock song a tutto tondo e dal sapore classico, chitarristica e vibrante, con un organo da southern band ed una melodia diretta ed affascinante: uno dei pezzi più belli del CD, se non il più bello. Give It Away è ancora uno slow, ma con risultati migliori di prima, sarà per il motivo toccante, il sapore nostalgico o l’arrangiamento più leggero, mentre Far Side Banks Of  Jordan (un classico country, scritto da Terry Smith ed incisao anche da Johnny Cash e June Carter) vede il nostro duettare addirittura con Emmylou Harris ed il pezzo, già bello di suo, sale ancora di livello ogni volta che la cantante dai capelli d’argento apre bocca. If I Were You è un altro duetto, stavolta con Buddy Miller (che stranamente non suona anche la chitarra), un honky-tonk che più classico non si può, dal ritmo sostenuto e suonato alla grande, un altro degli highlights del CD; chiudono il lavoro la swingata e bluesata Mr. Weavil, quasi un pezzo da big band (anch’essa tra le più godibili) e la pura Don’t Laugh At Me, eseguita da Doug in perfetta solitudine, voce e chitarra, come usava fare per le strade di Nashville.

Si è fatto conoscere molto tardi Doug Seegers, ma finché pubblicherà dischi come Walking On The Edge Of The World sapremo farcene una ragione, e speriamo non lo mollino di nuovo in mezzo a una strada.

Marco Verdi

Devo Averle Già Sentite Da Qualche Parte Queste Canzoni! Dear Jerry: Celebrating The Music Of Jerry Garcia

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VV.AA. – Dear Jerry: Celebrating The Music Of Jerry Garcia – Rounder 2CD – 2CD/DVD

Da dopo la morte di Jerry Garcia avvenuta nel 1995, il mercato è stato letteralmente invaso di prodotti che avevano in qualche modo a che fare con i Grateful Dead, ma nessun periodo è minimamente comparabile all’ultimo anno. Da Ottobre 2015 sono infatti usciti, nell’ordine: il megabox di 80 CD 30 Trips Around The Sun (e la sua versione ridotta in quattro CD), i vari formati dei concerti di addio Fare Thee Well, il sontuoso tributo quintuplo Day Of The Dead curato dai National, il triplo della Rhino Red Rocks 1978 (ed il superbox con tutti i concerti del periodo), due volumi ravvicinatissimi della serie Garcia Live ed il nuovo album solista di Bob Weir, Blue Mountain http://discoclub.myblog.it/2016/10/07/finalmente-arrivato-anche-il-momento-che-disco-bob-weir-blue-mountain/ . E non ho citato i nuovi episodi dei Dave’s Picks. Ma i nostri, che la paura di inflazionare il mercato direi che non l’hanno mai avuta, si saranno detti: “Ci siamo dimenticati un bel concerto tributo!”. Detto fatto, ecco qui questo doppio CD (esiste anche con DVD allegato) intitolato Dear Jerry, che documenta l’esito di una serata organizzata da Bob Weir il 14 Maggio dello scorso anno (al Merriweather Post Pavilion di Columbia, Maryland), durante la quale i quattro Dead superstiti (oltre a Weir, Phil Lesh, Bill Kreutzmann e Mickey Hart) si sono alternati sul palco con una bella serie di ospiti. Come però suggerisce il titolo, non è un tributo ai Dead, ma in particolare alle canzoni di Garcia, incluse alcune da lui incise come solista e qualche cover di brani che Jerry usava suonare dal vivo nelle varie configurazioni della Jerry Garcia Band (che è sorprendentemente assente, dato che ancora esiste e si esibisce come JGB, avrebbe potuto partecipare suonando per esempio un brano di Bob Dylan, autore più volte ripreso da Jerry e dai Dead). Certo, un altro lavoro dove si prendono in esame canzoni che nell’ultimo anno sono state strasentite potrebbe far alzare più di un sopracciglio, ma sarebbe un errore ignorarlo, in quanto siamo di fronte ad una performance splendida, con una serie di gruppi e solisti in grande forma, una house band stellare (che comprende gente del calibro di Don Was, che è anche direttore musicale e produttore, Sam Bush, Matt Rollings, Buddy Miller, Audley Freed, ex chitarrista dei Black Crowes, e le McCrary Sisters ai cori), una resa sonora strepitosa e, ma era scontato, una serie di grandi canzoni.  In poche parole, uno dei migliori prodotti Dead-related usciti nell’ultimo periodo, superiore per esempio, e di gran lunga, ai concerti di addio Fare Thee Well, sia come suono che come qualità della performance.

Che non si scherza lo fa subito capire Phil Lesh, che si esibisce con la sua nuova band, i Communion nel medley The Wheel/Uncle John’s Band, suono Dead al 100%, piano liquidissimo (Marco Benevento) e subito due grandi canzoni (anzi, la seconda è forse la mia preferita in assoluto del Morto Riconoscente), per quasi 17 minuti di musica sublime: tra le qualità di Lesh non c’è mai stata la voce, ma questa sera Phil canta stranamente bene, anche se è aiutato, e molto, dalle voci di sostegno del resto del gruppo. Allen Toussaint, qui in una delle sue ultime apparizioni, ci propone l’errebi di sua composizione Get Out Of My Life Woman, un pezzo che Jerry amava molto, con un bel botta e risposta vocale tra Allen e le sorelle McCrary: anche Toussaint non era mai stato un grande vocalist, ma quando appoggiava le dita sulla tastiera riusciva a zittire tutti. David Grisman è un vecchio compagno di viaggio di Jerry, ha inciso con lui diversi bellissimi dischi acustici (oltre a militarci insieme nel supergruppo Old And In The Way), e nell’occasione ci delizia con una splendida versione del traditional Shady Grove, tra folk, bluegrass ed old time music, con ottimi interventi di fisarmonica e violino, altri quattro minuti e mezzo di puro godimento A prima vista Peter Frampton in una serata come questa potrebbe starci come i cavoli a merenda, ma il nostro, alle prese con il classico di Junior Walker (I’m A) Roadrunner, se la cava alla grande: la voce e la chitarra ci sono, e la versione, decisamente potente e roccata, è godibilissima. Buddy Miller non lo scopriamo certo oggi e, alle prese con Deal, una grande canzone, fa faville, dandoci una delle prestazioni più convincenti della serata (bellissimo l’assolo di slide, ma pure Rollings fa i numeri al piano); Jorma Kaukonen va a nozze con brani come Sugaree, e nel concerto ci dà pure un saggio della sua classe con la chitarra, mentre il bravissimo Jimmy Cliff, e ve lo dice uno che non ama il reggae, ci diverte con la sua The Harder They Come insieme a Kreutzmann e Hart, un brano tra i più suonati dalla JGB e, raggiunto anche da Weir, bissa con una discreta Fire On The Mountain. Il primo CD si chiude con il nuovo gruppo di Kreutzmann, Billy And The Kids, che rileggono lo splendido medley che apriva Blues For Allah (Help On The Way/Slipknot!/Franklin’s Tower) in maniera rigorosa, ma con un’energia straordinaria e poi, con i Disco Biscuits, un altro medley stellare con Scarlet Begonias/I Know You Rider, davvero da applausi e con un formidabile assolo chitarristico di Tom Hamilton.

Il secondo dischetto inizia con la rock ballad Loser proposta dai Moe, molto bravi e rispettosi al limite del didascalico, ma il brano è talmente bello che ne esce benissimo ugualmente; eccellenti gli Oar con St. Stephen, alla quale tolgono gli elementi psichedelici e la trasformano in una pura e sontuosa rock song, potente e grintosa; i Los Lobos avevano già suonato Bertha sul tributo Deadicated del 1991 e, insieme a Weir, la replicano in maniera mirabile, grande canzone e grandissima band, mentre i Trampled By Turtles si esibiscono nell’abituale veste acustica con una fulgida Brown-Eyed Women, tra le mie preferite in assoluto dei Dead.

Shakedown Street non mi è mai piaciuta molto, e gli Yonder Mountain String Band, pur mettendocela tutta in una versione stripped-down, non riescono a farmi cambiare idea. Ma subito dopo torna Bob Weir che, in compagnia della bella Grace Potter, rilegge in maniera vibrante Friend Of The Devil, ottima versione, toccante a dir poco, pianistica e molto soulful. Eric Church a mio parere è un sopravvalutato, ma la sua Tennessee Jed, tra country, rock e southern, è ben fatta, anche se meglio, molto meglio fanno i Widespread Panic con una Morning Dew davvero intensa e fluida, impreziosita da un assolo di chitarra incredibile da parte di Jimmy Herring. Gran finale con tre dei quattro Dead (manca Lesh), per una stupenda e corale Touch Of Grey, perfetta in questa posizione visto il testo ottimistico, e tutti insieme per una commovente Ripple, splendida sotto ogni punto di vista, il modo migliore per chiudere una serata da ricordare.

In un anno in cui non sono certo mancati i dischi dal vivo di grande valore, questo Dear Jerry è sicuramente uno dei più belli.

Marco Verdi

Recuperi Estivi. Un Gruppetto Di Voci Femminili 3: Se Questo E’ Country, Voglio Solo Dischi Come Questo. Elizabeth Cook – Exodus Of Venus

elizabeth cook exodus of venus

Elizabeth Cook – Exodus Of Venus – Agent Love Records/Thirty Tigers

Ci sono dei dischi che al momento dell’uscita, o anche prima, ascolto e poi metto da parte, ripromettendomi di ritornarci sopra, ma poi tralascio per motivi vari, soprattutto di  tempo (tra Blog e Buscadero mi capita spesso di scrivere più di una recensione al giorno ed i dischi, per parlarne con cognizione, bisogna anche sentirli, e bene) oppure perché me ne dimentico e poi vengono superati da altre uscite. Nella parte centrale dei mesi estivi (ma anche a cavallo della fine dell’anno) faccio una serie di “recuperi”, con relative recensioni di dischi che mi erano parsi meritevoli e avevo magari solo segnalato brevemente nella rubrica delle Anticipazionim oppure avevo saltato brutalmente. In qualche caso mi domando anche come ho fatto ad essere così “pirla” da non averne scritto, perché sono veramente belli, questo Exodus Of Venus di Elizabeth Cook è uno di quei dischi. Come dico nel titolo del Post, se questo è un album di country li voglio tutti così: non è vero, è una iperbole, i dischi country, purché belli, continuano a piacermi, come peraltro quelli di qualsiasi altro genere, ma il disco in questione non lo è, anche se proveniente da una artista da sempre etichettata come country, che pur essendo nata a Wildwood in Florida, ha fatto il suo debutto alla Grand Ole Opry di Nashville nel lontano 2000, anno in cui usciva il suo debutto pubblicato a livello indipendente, The Blue Album, e poi sulla scia di quel disco l’album per la Warner Bros Nashville, Hey Y’All con tutta la solita truppa dei musicisti della Music City, alcuni molto bravi e il marito dell’epoca Tim Carroll, alla chitarra elettrica. Salvo venire mollata dalla major in questione in un battibaleno, come usa in quel mondo perfetto e plastificato.

Però la critica aveva apprezzato i suoi album, i colleghi pure, e nel disco del 2007, Balls, prodotto da Rodney Crowell,  e con una bella cover di Sunday Morning dei Velvet Underground (della serie non solo country, già allora), apparivano Nanci Griffith Bobby Bare Jr, e nel successivo Welder del 2010, prodotto da Don Was, oltre a Crowell di nuovo, c’erano anche Dwight Yoakam Buddy Miller. In seguito le cose hanno iniziato ad andare storte, è morto il padre (e poi anche la madre), ha divorziato dal marito, sono morti altri parenti, qualcuno del suo giro ha avuto problemi di dipendenza, si è incendiata la casa dei suoi genitori: una serie di fatti non ideali per continuare in serenità una carriera che pareva brillante. Eppure in questo periodo, anche senza dischi nuovi, David Letterman, un fan dichiarato, l’ha voluta tre volte nella sua trasmissione, la prima volta con Jason isbell a cantare brani di Townes Van Zandt, la seconda alle prese con un brano di Blind Willie Johnson dal suo Ep Gospel https://www.youtube.com/watch?v=D5NrGOpV5cA e la terza con una cover di Pale Blue Eyes, di nuovo dei VelvetIn mezzo alle sue vicissitudini ha pubblicato nel 2012 un mini album Gospel Plow, ha partecipato al disco dei Great American Taxi, al disco tributo a Jerry Jeff Walker di Todd Snider (che firma con lei uno dei brani del nuovo album), ha cantato con gli Hard Working Americans, con Seasick Steve Carlene Carter, oltre ad apparire nel tributo a Bob Wills con gli Asleep At Wheel e al disco Cayamo Sessions At Sea di Buddy Miller.

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Nel frattempo ha sistemato i suoi affari personali e familiari ed ha iniziato a registrare questo nuovo album, prima autofinanziato, e poi per la stampa e la distribuzione, con l’aiuto delle piattaforme di crowdfunding. Ed il disco che ne è uscito è splendido: con Matt Chamberlain alla batteria, Willie Weeks al basso, Ralph Lofton alle tastiere e soprattutto i due chitarristi, Dexter Green, che è anche il produttore e Jesse Aycock (degli Hard Working Americans) alle prese con lap steel e pedal steel che fa il Greg Leisz della situazione. Tra gli ospiti Kevn Kinney, Buddy Miller alla Mando Guitar e Patty Loveless, alla seconda voce, nel pezzo più country del disco, una Straightjacket Lover che parte lenta e poi diventa immediatamente una sorta di turbinante bluegrass-rock elettrico e vibrante degno delle migliori cose dei Lone Justice. Proprio al sound della prima Maria McKee, o di Lucinda Williams, però con un’altra voce, forse più gentile e impostata, ma pur sempre ricca di grinta, mi viene in mente si rifaccia questo Exodus Of Venus, con brani che hanno titoli come Dyin’ , Slow Pain, Broke Down In London on The M25 Methadone Blues, e influenze varie tra blues, swamp, rock, Americana, ma anche R&B, oullaw country, persino leggera psichedelia e garage, per un album che ha un suono tirato ed elettrico, veramente bello e corposo e una serie di canzoni di grande spessore, decisamente un CD tra i più belli usciti nel 2016 nel genere (se riuscissi a decidere che genere è, quindi diciamo in generale nell’ambito voci femminili)! 

Anche se la Cook è stata inserita in quel ennesimo filone del country e della roots music che è stato definito “Ameripolitan” (siccome non ce n’erano già abbastanza) in questo Exodus Of Venus direi che fa soprattutto rock. Dal primo riff di chitarra di Dexter Green nell’iniziale title-track East Of Venus si capisce dove andremo a parare, un brano bluesy, con tastiere e la lap steel minacciosa di Aycock, ben coadiuvate da quella stellare sezione ritmica, a creare un sound dalle atmosfere swampy, variegate; i testi dei brani, come ricordato poco sopra, sono amari e rancorosi, e anche la musica ha questo substrato sofferente, dove le sferzate elettriche del gruppo sono piccole vendette per Elizabeth; prendiamo la successiva Dyin, con un lavoro chitarristico di nuovo eccellente, e improvvise aperture di organo, mentre la nostra amica vocalmente ricorda quella Maria McKee citata in precedenza, i cui Lone Justice proponevano un country-punk con punte garage-psych qui replicate da una angolatura più meditativa, per restare in tempi più recenti, vicine alle atmosfere di Lucinda Willams. Ancora eccellente il groove rock di Evacuation, con le chitarre di Green e Aycock veramente assatanate nei loro interventi solisti, mentre l’Hammond B3 di Lofton lavora di fino sullo sfondo, e le armonie vocali di Laura Mayo aggiungono ulteriore profondità. Ci sono anche brani più riflessivi come Dharma Gate, ballata sognante e dall’arrangiamento avvolgente https://www.youtube.com/watch?v=5PSnDWMMMAU , o Slow Brain, canzone di impianto quasi psichedelico, graziata anche da un paio di assoli taglienti e cattivi della lap di Aycock e della solista dell’ottimo Green, che firma anche la quasi totalità dei brani con la Cook https://www.youtube.com/watch?v=VmJzfPGdWzI .

Di Straighjacket Love si è detto, il brano che mantiene i legami con il passato country di Elizabeth anche grazie alla chitarra twangy di Green e alla pedal steel di Aycock, mentre Broke Down On The London M25 è di nuovo un bel pezzo rock dal riff aggressivo, con un lavoro eccellente dell’organo e delle chitarre, con Methadone Blues, gemella ideale di una Heroin Addict Sister che appariva su Welder (devono essere le influenze di Lou Reed che emergono), un funky rock con l’eccellente lavoro del Fender Rhodes e dell’organo di Lofton che gli conferiscono sonorità sudiste e swampy, fino all’ingresso delle chitarre sempre protagoniste di interventi notevoli. Cutting Diamonds è il brano scritto con Todd Snider, un altra blues ballad “spaziale” e leggermente psych, degna dei migliori episodi dell’ultima Lucinda Williams (e per la gioia di chi non ne ama la voce, con una cantante dall’impostazione vocale più tradizionale), molto bella la parte centrale strumentale. Orange Blossom Trail, fin dal titolo, è uno dei rari episodi dove lo spirito outlaw country meglio si sposa con le attitudini più rock dell’album, esemplificate dai “soliti” splendidi interventi dei due chitarristi e delle tastiere. Per concludere in gloria il tutto rimane Tabitha Tuder’s Mama, altra bellissima ballata, dove sembra di ascoltare la Emmylou Harris di Wrecking Ball prodotta da Daniel Lanois, fragile e vulnerabile ma dallo spirito indomabile.

Bruno Conti

Un Buon “Debutto” Per Un Nuovo Duo! Shawn Colvin & Steve Earle – Colvin & Earle

shawn colvin & steve earle deluxe

Shawn Colvin & Steve Earle – Colvin & Earle – Fantasy/Universal CD

Nella sua ormai trentennale carriera Steve Earle ha sempre fatto quello che voleva senza perdere mai il bandolo, dal country-rock degli esordi, poi solo rock, reinventandosi folksinger dopo la parentesi in galera (lo splendido Train A-Comin’), cantante di protesta (The Revolution Starts Now), incidendo anche un disco di puro bluegrass (The Mountain, con la Del McCoury Band), un album tributo alla sua massima fonte d’ispirazione (Townes, dedicato a Van Zandt) ed anche blues (Terraplane), ma un CD di duetti non lo aveva mai fatto, neppure nel periodo in cui era sposato con la brava Allison Moorer. C’è voluta Shawn Colvin, cantautrice ed interprete raffinatissima, una che nella sua carriera ha sempre centellinato le uscite discografiche (solo nove album in 27 anni, con l’unico grande successo di A Few Small Repairs del 1996, che conteneva l’hit single Sunny Came Home, ed ancora “fresca di stampa” del bellissimo Uncovered dello scorso anno) per convincere Steve a riempire una delle poche caselle vuote del suo percorso di musicista: non so come sia nata questa collaborazione, ed ignoro se ci sia o meno del tenero tra i due (e visti i sette divorzi di Steve consiglierei a Shawn, che pure ha due matrimoni falliti alle spalle, di usare prudenza), ma dopo un attento ascolto devo dire che la strana coppia funziona, e Colvin & Earle è un disco piacevole e ben fatto (e ve lo dice uno che non impazzisce per gli album di duetti), una gradita divagazione alle rispettive carriere, un CD inciso probabilmente just for fun ma concepito in maniera assolutamente professionale. Dieci canzoni, delle quali sei sono originali scritti dai due leader (ma la mano di Steve è quella che si sente di più) e quattro sono cover scelte in maniera piuttosto eterogenea; la produzione è nelle mani di Buddy Miller, una garanzia dunque, il quale dona al disco un suono molto roots, in alcuni momenti quasi country, facendo risaltare il mood rilassato nel quale si sono svolte le sessions: oltre a Earle, Colvin e Miller, che si occupano delle chitarre, mandolini, bouzuki, ecc., abbiamo, sempre alle chitarre, Richard Bennett, già partner di Steve ma anche, fra gli altri, di Mark Knopfler e Neil Diamond, Fred Eltringham (ex Wallflowers) alla batteria e Chris Wood al basso.

Il sound del disco è elettroacustico, ed i brani sono tutti molto diretti e godibili, quasi una parentesi “leggera” nelle carriere dei due artisti, anche se i risultati più che buoni potrebbero far sperare in un seguito: il CD inizia con la gioiosa Come What May, dal ritmo saltellante, scritta a quattro mani ma direi tipicamente earliana, le due voci si trovano alla perfezione ed il brano è davvero gradevole, e ci riporta lo Steve country-rock degli esordi, solo un filo meno elettrico. Tell Moses è una canzone originale ma sembra un vecchio traditional, ed anche l’arrangiamento spoglio e rurale rimanda alle sonorità dei pionieri, se non fosse per la chitarrina di Miller che ogni tanto fa capolino: comunque i due sono sul pezzo, e sembra che non abbiano fatto altro che scrivere e cantare insieme negli anni precedenti. La prima cover del CD è Tobacco Road di John D. Loudermilk, una versione di grande forza ed impeto, con un mood country-blues ed una strumentazione molto asciutta e diretta, con Bennett e Miller che forniscono la parte rock arrotando le chitarre. Sapevo che Earle era un grande fan dei Rolling Stones, ma fra tutte le loro canzoni non avrei pensato un giorno di trovarmi davanti a Ruby Tuesday: Steve e Shawn attaccano subito la notissima melodia accompagnandosi solo con chitarra e contrabbasso, per poi essere raggiunti dal resto della band nel ritornello, una versione quindi molto simile all’originale (solo più roots), anche se si mantiene qualche gradino sotto a Jagger e soci.

The Way That We Do è una tenue e fluida ballata, nella quale i due per la prima volta si alternano alla voce solista invece di cantare all’unisono, uno di quegli slow che Steve infila sempre nei suoi dischi, mentre la breve Happy And Free è un brano countreggiante fresco e spedito, uno dei più immediati del lavoro. You Were On My Mind la conoscono tutti, è una popolarissima canzone scritta da Sylvia Fricker, la metà di Ian Tyson nel duo Ian & Sylvia (particolare curioso, il brano è stato scritto in una camera dell’Hotel Earle di New York, sarà per questo che Steve ha voluto farla?) ed incisa, oltre che dall’autrice col marito, da Barry McGuire, i We Five, Susanna Hoffs e, in Italia, dall’Equipe 84 (Io Ho In Mente Te): la rilettura qui presente è molto più folk-rock delle altre conosciute, anche se la melodia resta intatta ed i due cantano che è una meraviglia, una delle migliori del disco. La cadenzata You’re Right (I’m Wrong), dall’incedere leggermente minaccioso, è un’altra tipica Earle song, ed anche qui l’impasto strumentale elettroacustico è di prima qualità. Emmylou Harris non ha scritto moltissime canzoni nel corso della sua carriera, ma Raise The Dead è una di quelle (ed è pure bella), ed i nostri omaggiano la cantante dai capelli argento con una guizzante versione tutta da godere, con la voce di Steve un po’ nelle retrovie; il CD si chiude con You’re Still Gone, scritta a sei mani dai due con Julie Miller (brava cantautrice e moglie di Buddy), uno slow decisamente intenso e toccante, che dimostra che anche con solo due voci, magari nemmeno perfette, e pochi strumenti si possono regalare emozioni.

Poteva forse mancare la versione deluxe del disco? Assolutamente no, ed ecco quindi tre brani extra che partono con una versione a due voci del classico di Steve Someday (pubblicato anche dalla Colvin in passato su Cover Girl), toccante rilettura di una canzone sempre splendida, con solo la chitarra acustica all’inizio ed il resto del gruppo che entra piano piano; That Don’t Worry Me Now è invece un vecchio pezzo di Shawn, un brano delicato e folkie, puro esempio di songwriting di classe, mentre la parte deluxe è chiusa da una riproposizione di Baby’s In Black dei Beatles (d’altronde abbiamo avuto gli Stones), che ricalca molto l’originale, con Earle che fa Lennon e la Colvin nella parte di McCartney, e la steel a dare un tocco country.

Un bel dischetto, per certi versi anche sorprendente: la coppia Earle-Colvin funziona, e prossimamente non mi dispiacerebbe vederli alla prova con un album dal vivo.

Marco Verdi

In Crociera Fra Amici! Buddy Miller And Friends – Cayamo Sessions At Sea

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Buddy Miller & Friends – Cayamo Sessions At Sea – New West

La consuetudine della crociera musicale è ben radicata tra i musicisti americani: c’è la Legendary Rhythm & Blues Cruise, quella che va verso i Caraibi e che discograficamente ha prodotto vari frutti, tipo i CD di Tommy Castro, Joe Louis Walker, Elvin Bishop, oltre al recente http://discoclub.myblog.it/2016/01/06/nuovo-musicisti-crociera-mitch-woods-jammin-on-the-high-cs-live/, di cui mi sono occupato a più riprese su queste pagine virtuali, ma abbiamo anche un evento come Keeping The Blues Alive At Sea, con il suo viaggio che va da Miami a Cozumel in Messico, e che nella nuova edizione, prevista tra il 15 e il 19 febbraio p.v., ha un cast da sogno, ho sbirciato, ci saranno Robert Randolph, Blues Traveler, Vintage Trouble, James Hunter Six, SIMO, Shemekia Copeland e moltissimi altri artisti, tra cui Beth Hart e l’headliner Joe Bonamassa, che si esibiranno da soli e in coppia (a proposito,se eravate preoccupati, il nuovo album di Joe, Blues Of Desperation è previsto per il 26 marzo, e poi su questo Blog, ma probabilmente il fatto che la Hart e Bonamassa si esibiscano insieme dovrebbe essere anche il preludio per una nuova collaborazione tra i due che era peraltro già prevista).

Tornando ai musicisti in crociera un’altra delle attrazioni più frequentate è quella delle Cayamo Cruises, che sempre da Miami vanno verso le Antille Olandesi (St. Barts e St. Croix), e che nel corso degli anni ha visto avvicendarsi gente come John Prine, Lyle Lovett, Lucinda Williams, Richard Thompson, quest’anno anche John Hiatt, Steve Earle, Shawn Colvin, Chris Stapleton, Jason Isbell e moltissimi altri, tra cui Jim Lauderdale Buddy Miller, che sono due dei fedelissimi di quest evento che spesso li ha visti nelle vesti di animatori delle jam sessions organizzate come The Buddy & Jim Radio Hour, in qualità di DJ officiali della Radio che trasmette dalla crociera (se volete rifarvi gli occhi e magari prenotare per qualche evento futuro http://www.cayamo.com/).

Alcuni dei nomi citati sopra li ritroviamo in questo CD pubblicato dalla New West in questi giorni (ma se volete approfondire su YouTube ci sono decine di video che trattano delle precedenti edizioni); si chiama Cayamo Sessions At Sea ed è attribuito a Buddy Miller & Friends: il bravissimo cantante e chitarrista è il padrone di casa di questi eventi, con la sua band, che vede, fra gli altri, David Jacques al basso, Marco Giovino alla batteria, Fats Kaplan, che suona tutto il resto che non suona Miller, ossia mandolino, chitarra, fisarmonica, banjo, violino, pedal steel, armonica, voi lo nominate e lui lo suona (benissimo). Il repertorio del CD è incentrato prevalentemente sulle cover, con un paio di eccezioni: si parte con After The Fire Is Gone, il famoso brano di Loretta Lynn Conway Twitty, interpretato con puro spirito country e grande profusione di pedal steel, dall’accoppiata Lee Ann Womack Buddy Miller, poi da lì in avanti Miller è il partner fisso dell’ospite che si alterna di brano i brano. La bravissima emergente Kacey Musgraves è alla prese con il divertente honky tonk di una Love’s Gonna Live Here che viene dal songbook del grande Buck Owens, con tanto di violino guizzante e la twangy guitar di Buddy Miller. Kris Kristofferson, noblesse oblige, interpreta alla grande la sua Sunday Morning Coming Down, bellissima versione (il video sotto è un’altra versione, con Shawn Mullins).

Just Someone I Used To Know, con la giovane e brava newcomer Nikki Lane nella parte che fu di Dolly Parton e Miller nei panni di Porter Wagoner, è un’altra perla di puro country classico. Lucinda Williams per il suo brano ha scelto una delle canzoni più belle di Grams Parsons, Hickory Wind, in una versione rallentata e struggente, tipica del suo fare musica. Anche il grande Richard Thompson è della partita e interpreta da par suo Hank Williams, uno dei padri fondatori della country music, qui rappresentato da Wedding Bells, che benissimo si attaglia allo stile del musicista britannico che ne rilascia una versione stupenda. If Teardrops Were Pennies è un altro brano dell’accoppiata Parton/Wagoner, più mossa e brillante, è interpretato dalla meno nota Elizabeth Cook, che con la sua leggiadra vocina ricorda quella dell’interprete originale e che comunque a 43 anni non si può certo definire una debuttante. A seguire un brano dei “famosi autori country” Jagger-Richards, Wild Horses, in una versione cantata da Shawn Colvin che qualcuno ha definito turgida ma che secondo me, viceversa, è una delle più belle di questa raccolta di esibizioni Live, intensa e cantata come Dio comanda.

Come Early Morning è il titolo di un film non particolarmente noto del 2006, con Ashley Judd, ma è anche il titolo di una canzone di Don Williams, uno degli autori preferiti da Clapton in ambito country, qui cantata da Jill Andrews, di cui confesso ignoravo l’esistenza, ma anche lei non è una novellina assoluta, militava negli Everybodyfields, che invece conoscevo ma non associavo alla Andrews, buona cantante di stampo country-folk. L’altro artista non alle prese con una cover è Doug Seegers, ex cantante di strada in quel di Nashville, ma nativo di New York, che a dispetto dei suoi 60 anni passati è un quasi esordiente, grazie all’ottimo album del 2014 Going Down To The River, che ha raggiunto il 1° posto delle classifiche svedesi, conquistando il disco d’oro, è strano il mondo! Comunque il nostro amico è bravo, un vero cowboy, e la sua Take The Hand Of Jesus uno dei brani più coinvolgenti del disco. Che si conclude con un’altra perla preziosa con l’accoppiata Lone Bellow e Brandi Carlile, per una versione sontuosa del capolavoro di John Prine Angel From Montgomery, veramente stupenda.

Speriamo quindi in altre crociere se producono dischi belli come questo Cayamo Sessions At Sea (guardatevi per esempio questa versione di Calvary Cross, una delle mie canzoni preferite di sempre, con l’accoppiata Richard Thompson/Dawes, nella crociera del 2013 https://www.youtube.com/watch?v=CCnnS4lFOsg). 

Bruno Conti