La “Diversamente Giovane” Cowgirl Conferma Il Suo Gran Momento Di Forma! Tanya Tucker – Live From The Troubadour

tanya tucker live from the troubadour

Tanya Tucker – Live From The Troubadour – Fantasy/Concord/Universal CD

Tanya Tucker è da tempo un’istituzione della country music americana: texana, ha esordito giovanissima, una vera enfant prodige, all’età di 13 anni con la sua prima hit Delta Dawn (ancora oggi la sua signature song), continuando ad incidere con successo per tutta la decade. Negli anni ottanta ha sofferto di una grave crisi personale che l’ha allontanata temporaneamente dalla musica, ma in pochi anni si è rimessa in carreggiata ed è riuscita a riabbracciare la popolarità dal 1986 e per tutti i novanta, anche se non più ai livelli iniziali. Nel nuovo millennio ha pubblicato poca roba, solo un album di inediti nel 2002 (Tanya) ed uno di standards nel 2009 (My Turn): l’anno scorso però è tornata tra noi in gran forma con l’ottimo While I’m Livin’, un disco di canzoni nuove di zecca prodotto (ed in gran parte scritto) da Brandi Carlile, album che ha riportato in auge il nome della Tucker risultando il suo lavoro più venduto degli ultimi 25 anni.

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Per battere il ferro finché è caldo Tanya ha da poco pubblicato il terzo album dal vivo della sua carriera: Live At Troubadour, registrato il 16 ottobre del 2019 nella famosa location di West Hollywood, è un disco riuscito e gradevolissimo, spesso anche trascinante, che dimostra che While I’m Livin’ non era un fuoco di paglia. La Tucker ha ancora una gran voce, e qui si fa accompagnare da una band solida, dal suono energico e potente, un sound senza troppi fronzoli perfetto per le ballate classiche della bionda cantante; il gruppo vede Andy Gibson e Brian Seligman alle chitarre, Jefferson Jarvis alle tastiere, il bravissimo Jake Clayton a violino e steel, Dino Villanueva al basso e Mike Malinin alla batteria, con in più la partecipazione speciale di Shooter Jennings al pianoforte in High Ridin’ Heroes. Il concerto inizia subito con cinque classici di Tanya (di cui ben quattro sono stati singoli andati al numero uno), a partire da Would You Lay With Me (In A Field Of Stone), splendida country ballad dalla melodia deliziosa e toccante, per proseguire con la squisita Jamestown Ferry, honky-tonk d’altri tempi immediato ed orecchiabile, e con il puro country della cadenzata What’s Your Mama’s Name, Child, ballata di stampo western che ci fa capire come mai in passato la Tucker fosse stata accostata al movimento Outlaw.

tanya tucker promo

La pimpante e grintosa Blood Red And Goin’ Down (ottimo lavoro di steel) https://www.youtube.com/watch?v=rN-YzyOJUDQ  e la coinvolgente Strong Enough To Bend, bella country song dal motivo diretto, precedono un interessante medley che fonde I’m On Fire di Bruce Springsteen, molto aderente all’originale, ed una vibrante ripresa dell’evergreen di Johnny Cash Ring Of Fire https://www.youtube.com/watch?v=vuWsYPC5cHA . Seguono ben sei pezzi da While I’m Livin’, che confermano l’ottima fattura dell’album dell’anno scorso dal momento che i vari brani non sfigurano neanche a cospetto dei classici di prima, canzoni come la splendida Mustang Ridge, western song contraddistinta da una linea melodica praticamente perfetta, la sontuosa ballata The Wheels Of Laredo (che chiudeva anche il bellissimo esordio delle Highwomen), il sanguigno honky-tonk I Don’t Owe You Anything, l’emozionante High Ridin’ Heroes, altro slow questa volta dal chiaro sapore texano https://www.youtube.com/watch?v=9I9irKVFy1M , l’elettrica e rockeggiante Hard Luck, trascinante, fino alla struggente e pianistica Bring My Flowers Now, tra le più belle ed intense del CD. Triplo tuffo nel passato per il finale, con Tanya che intona con sicurezza una dopo l’altra l’irresistibile Texas (When I Die), puro country-rock outlaw style, il quasi rock’n’roll di It’s A Little Too Late e naturalmente la classica Delta Dawn, introdotta dalla prima strofa di Amazing Grace e con un arrangiamento di matrice gospel https://www.youtube.com/watch?v=ziXOm63dsAI . Tanya Tucker è in un ottimo momento di forma, e Live From The Troubadour lo conferma pienamente.

Marco Verdi

*NDB Oggi c’è un problema tecnico del Blog con l’inserimento dei video, quindi in alternativa trovate delle foto e i video sono linkati all’interno della recensione.

Passeggiando Sulle Strade Polverose Del West. The White Buffalo – On The Widow’s Walk

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The White Buffalo – On The Widow’s Walk – Snakefarm/Universal Record – CD – LP 29-05Download 17-04

Bisogna riconoscerlo, questo ragazzone non sbaglia un colpo. Stiamo parlando di Jake Smith a.k.a. The White Buffalo, che con Matt Lynott alla batteria, e Christopher Hoffee alle chitarre e basso, danno vita e voce alla formazione dei Jelly Crew. Storia singolare e direi anche fortunata, quella di questo musicista californiano che, pur essendo in circolazione da circa una ventina d’anni, deve la visibilità e un relativo successo dalla ribalta offerta (come già detto in altre occasioni) dalla serie televisiva Sons Of Anarchy e dalla relativa colonna sonora, che ha permesso al buon Jake Smith di allargare di molto il bacino del suo pubblico e di suonare davanti a platee sempre più ampie e sparse nel mondo, anche nel nostro paese (era pure in programma un concerto all’Alcatraz di Milano, rinviato per il Covid).

A partire dall’EP Prepare For Black & Blue (10) e Once Upon A Time In The West (12), il percorso è proseguito regolarmente con Shadows, Greys & Evil Ways (13), Love & The Death Of Damnation (15), e a distanza di tre anni dall’ultimo lavoro Darkest Darks, Lightest Lights (17) https://discoclub.myblog.it/2017/10/23/ancora-sulle-strade-della-california-white-buffalo-darkest-darks-lightest-lights/ , continuano il loro progetto artistico con questo settimo lavoro On The Widow’s Walk, composto da undici brani per una quarantina di minuti di sano “folk-rock” all’americana, con la produzione affidata all’amico e collega Shooter Jennings che suona anche pianoforte e tastiere, con la particolarità che il tutto è stato registrato in presa diretta nell’arco di una sola settimana.

On The Widow’s Walk (come alcuni lavori precedenti) è una sorta di “concept-album” che si apre con la geniale e bella Problem Solution, che parte in modo energico con la voce calda e baritonale di Jake, per poi cambiare ritmo con l’ingresso del pianoforte di Jennings e diventare più pacata, mentre la seguente The Drifter è costruita sugli stilemi della classica ballatona “country”, per poi cambiare di nuovo ritmo con la batteria cadenzata di No History, un brano che ricorda il miglior Steve Earle, e passare ad una canzone da cantautore classico come Sycamore, con un “sound” lento e ricco di “pathos”.

Si riparte con il folk crepuscolare di Come On Shorty (chissà perche la mente corre al Cat Stevens prima della conversione islamica ?), per poi dimostrare che sotto la barba e un “corpaccione” c’è un cuore tenero, nella ballata più bella del disco, una delicata e malinconica Cursive, costruita intorno al piano del produttore e la voce incredibile di Smith. Come da prassi subito dopo si passa alle accelerazioni rock (alla Counting Crows) di Faster Than Fire, mentre la “title track” Widow’s Walk è un perfetto pezzo radiofonico da sentire e risentire sulle strade assolate californiane.

La successiva River Of Love And Loss è una canzone scarna e inquietante, con la voce profonda di Jake che segue le note di una chitarra e in sottofondo il lamento di un violino, un insieme che trasmette un senso di dolore, seguita da una meravigliosa e cinematografica The Rapture, dai ritmi “dark” e oscuri con un crescendo di “ululati” da parte del buon Smith, e andare infine a chiudere con un’altra tenera ballata I Dont’t Know A Thing About Love, guidata dal pianoforte, archi e violino, il modo migliore per chiudere un lavoro splendido, dove si può trovare folk, blues, country, rock stradaiolo, suoni vari e tanto altro ancora. Mi viene colpevolmente il dubbio che i White Buffalo (un moniker perfetto), senza il colpo di “fortuna” citato all’inizio avrebbero continuato il loro percorso da “country hobosper percorrere in lungo e in largo gli States come una band tra tante (quindi un tipico caso di “sliding doors”), invece di diventare un gruppo essenziale, soprattutto nella persona del loro leader, un autore e narratore di spessore, un gigante dall’animo sensibile, che narra storie di vita vissuta, di perdenti, dell’America ben raccontata da Jack Kerouac (delinquenti, ubriaconi, reduci di guerra) senza mai perdere un briciolo di dignità.

On The Widow’s Walk è merito dell’accoppiata perfetta White Buffalo e Shooter Jennings (il “compagno di merende” ideale anche per i prossimi lavori), con l’apporto dei Jelly Crew, un lavoro dove domina la voce di Jake Smith un incrocio tra Eddie Vedder e Johnny Cash (baritonale intensa e calda), insomma il disco giusto per scappare dal periodo che stiamo vivendo.Imperdibile per tutti i “Bikers”, per le atmosfere alla Easy Rider, ma anche per gli amanti della musica “Americana”. *NDT Dopo alcuni rinvii, finalmente il disco esce in formato fisico venerdì 29 Maggio, prima era disponibile solo per il download.

Tino Montanari

 

Un Disco Di Una Bellezza Rara! Brandi Carlile – By The Way, I Forgive You

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Brandi Carlile – By The Way, I Forgive You – Elektra/Warner CD

Recensione tardiva di un disco uscito lo scorso mese di Febbraio (il classico caso di: lo fai tu – lo faccio io – non lo fa nessuno), ma talmente bello da meritarsi l’inclusione nella mia Top Ten di fine 2018. Brandi Carlile da quando ha iniziato a pubblicare dischi nel 2005 non ha mai sbagliato un appuntamento, ma fino ad oggi non aveva mai pareggiato la bellezza del suo secondo lavoro, The Story (2007), un album eccellente che contava su una serie di canzoni bellissime, a partire dalla magnifica title track, uno dei brani migliori in assoluto del nuovo millennio a mio parere. Give Up The Ghost (2009) era ottimo, ma non al livello di The Story, ed i seguenti Bear Creek (2012) e The Firewatcher’s Daughter (2015), pur validi, erano un gradino sotto (mentre l’unico disco dal vivo di Brandi, Live At Benaroya Hall With The Seattle Symphony, pur avendo ottenuto critiche contrastanti a me era piaciuto tantissimo). Lo scorso anno la songwriter originaria di Ravensdale (un sobborgo di Seattle) ci aveva regalato lo splendido Cover Stories, una sorta di auto-tributo per il decennale di The Story, in cui le canzoni del suo secondo album venivano rivisitate da una serie di artisti famosi, il tutto a scopo benefico. Quella esperienza deve aver fatto bene a Brandi, in quanto il suo nuovo album, By The Way, I Forgive You, è un disco davvero splendido, con dieci canzoni una più bella dell’altra, un lavoro ispiratissimo che personalmente colloco sullo stesso piano di The Story. L’album, che vede la nostra affrontare i brani con il consueto approccio folk-rock, vede alla produzione una “strana coppia” formata dall’onnipresente Dave Cobb e da Shooter Jennings, e proprio il suono è uno dei punti di forza del CD.

Infatti alcuni brani si differenziano dal classico stile di Cobb, fatto di suoni scarni e dosati al millimetro, quasi per sottrazione, in quanto ci troviamo spesso immersi in sonorità decisamente più ariose, anzi direi quasi grandiose, ma senza essere affatto ridondanti: un termine di paragone potrebbe essere il suono dei Fleet Foxes, folk elettrificato e potente dal forte sapore emozionale. E Brandi, forse spronata da questo tipo di sonorità, tira fuori alcune tra le sue performance vocali migliori di sempre, con un’estensione da paura; tra i musicisti, oltre ai due produttori (Cobb alla chitarra e Jennings curiosamente al piano ed organo, evidentemente deve aver imparato qualcosa anche da mamma Jessi Colter), troviamo i soliti collaboratori sia della Carlile (i gemelli Phil e Tim Hanseroth, co-autori anche di tutte le canzoni) che di Dave (il batterista Chris Powell), mentre ai cori partecipano Anderson East in un brano e le Secret Sisters in un altro, e due pezzi hanno un arrangiamento orchestrale ad opera del grande Paul Buckmaster (noto per le sue collaborazioni, tra gli altri, con Elton John, del quale Brandi è una nota fan), qui alla sua ultima collaborazione essendo scomparso nel Novembre del 2017. Il disco (a proposito, il bel ritratto di Brandi in copertina è stato eseguito da Scott Avett, proprio il leader degli Avett Brothers) inizia alla grande con Every Time I Hear That Song, una splendida ballata di ampio respiro, dall’incedere maestoso ed una melodia da pelle d’oca, con un arrangiamento semi-acustico e corale di sicuro impatto (il testo tra l’altro contiene la frase che intitola l’album).

The Joke è il primo singolo, ed è una scelta per nulla commerciale: si tratta infatti di un’intensa ballata pianistica, cantata dalla Carlile in maniera straordinaria, con un toccante motivo di pura bellezza, impreziosita da una leggera orchestrazione e da un crescendo strumentale emozionante. Hold On Your Hand è una folk song che inizia in modo quasi frenetico, con Brandi solo voce e chitarra, poi nel refrain entrano gli altri strumenti ed i cori, e ci ritroviamo di nuovo in mezzo a sonorità grandiose, atipiche per Brandi (e qui vedo parecchie somiglianze con i già citati Fleet Foxes), ma il ritornello è di quelli che colpiscono da subito, grazie anche al contributo essenziale dato da un coro di sette elementi (tra cui Brandi stessa, i due Hanseroth ed Anderson East). The Mother è dedicata dalla Carlile alla figlia Evangeline, avuta tramite inseminazione artificiale dalla sua compagna, e vede una strumentazione più raccolta, un folk cantautorale puro e cristallino, tutto giocato sulla voce, un accompagnamento molto classico ed un motivo anche stavolta splendido; la lenta Whatever You Do è dominata dalla voce e dalla chitarra di Brandi, poi a poco a poco entra il piano (Shooter si rivela un ottimo pianista), altre due chitarre e la sezione ritmica, ma il tutto assolutamente in punta di piedi, ed anche gli archi di Buckmaster accarezzano la canzone con estrema finezza.

Fulron County Jane Doe è più diretta e solare, ha perfino un feeling country (un genere poco esplorato da Brandi negli anni), e degli accordi di chitarra elettrica che curiosamente rimandano alla mitica For What It’s Worth dei Buffalo Springfield: la Carlile canta al solito in maniera impeccabile ed il brano risulta tra i più godibili. Sugartooth è l’ennesima fulgida ballata di un disco quasi perfetto, un lento dall’approccio rock, con uno scintillante arrangiamento basato su piano e chitarre ed il consueto refrain dal pathos incredibile; stupenda anche Most Of All, un altro pezzo dalla struttura folk e con una linea melodica fantastica, il tutto eseguito con un’intensità da brividi: anche questa la metto tra le mie preferite. Il CD, una vera meraviglia, si chiude con la spedita Harder To Forgive, altro pezzo folkeggiante, cantato alla grande ed arrangiato ancora in maniera corale ed ariosa (ancora similitudini con lo stile del gruppo di Robin Pecknold), e con Party Of One, un finale pianistico ed intenso, che ha dei punti di contatto con le ballate analoghe di Neil Young.

A quasi un anno di distanza dalla sua uscita By The Way, I Forgive You rimane un disco splendido, e fa parte di quei lavori che continuano a crescere ascolto dopo ascolto.

Marco Verdi

pegi young

P.S: a proposito di voci femminili (e di Neil Young), vorrei ricordare brevemente Pegi Young, scomparsa il primo Gennaio all’età di 66 anni dopo una battaglia di un anno contro il cancro. Nata Margaret Morton, la figura di Pegi è sempre stata legata a doppio filo a quella del grande musicista canadese, al quale è stata sposata per quasi quaranta anni prima che il Bisonte prendesse la classica sbandata della terza età per l’attrice Daryl Hannah.

Dal punto di vista musicale Pegi, che è stata in diverse occasioni in tour con il marito come corista, non ci lascia certo delle pietre miliari, ma una serie di onesti lavori di soft rock californiano https://discoclub.myblog.it/2014/12/08/laltra-meta-della-famiglia-o-piu-pegi-young-the-survivors-lonely-crowded-room/ : l’ultimo, il discreto Raw, è del 2017. Nel 1986 Pegi è stata anche la fondatrice con il famoso consorte della Bridge School, un istituto per la cura dei bambini con gravi tare fisiche e mentali (la coppia ha avuto due figli, entrambi con seri problemi: Ben è affetto da paralisi cerebrale, Amber da epilessia) https://discoclub.myblog.it/2011/10/04/25-anni-di-buone-azioni-e-di-belle-canzoni-the-bridge-school/ .

Vorrei ricordare Pegi con la bellissima Unknown Legend del marito Neil, brano che apriva l’album Harvest Moon nel 1993 e che era a lei ispirato: infatti quando i due si conobbero nel lontano 1974 lei lavorava come cameriera in un diner vicino al ranch di Young.

Country(Rock) Di Classe E Sostanza In Una Delle “Mecche” Del Genere. Shooter Jennings – Live At Billy Bob’s Texas

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Shooter Jennings-  Live At Billy Bob’s Texas – Smith Music Group CD O DVD

Waylon Albright Jennings detto “Shooter”, a voler essere sinceri fino in fondo, non è bravo come il babbo, l’unico vero e unico Waylon, e probabilmente neppure come la mamma Jessi Colter, ma i geni di famiglia non possono avere fallito completamente, come dimostrano parecchi dei suoi album precedenti. Però da alcuni anni sembra aver perso un po’ la bussola: prima la collaborazione quasi “metal” con Stephen King in Heirophant, poi l’incrocio francamente imbarazzante di country ed elettronica, Countach (for Giorgio) dedicato a Moroder, inframezzato dal discreto EP Don’t Wait Up (For George), di quello “giusto”, Jones, non facevano sperare per il meglio ed erano pallidi ricordi dell’ottimo uno-due del 2013 The Other Life e The Other Live http://discoclub.myblog.it/2013/03/15/finalmente-degno-di-tanto-padre-shooter-jennings/ . Ovviamente il nostro amico è libero di avere i propri gusti e se a Shooter piace indulgere anche nei suoi piaceri dedicati agli ascolti giovanili, noi siamo altrettanto liberi di non acquistarli, basta saperlo. Nel frattempo Jennings almeno dal vivo continua però a fare ottime cose, come dimostra questo concerto, di cui tra un attimo, e anche la sua presenza in vari Live, tributi e dischi di colleghi (per esempio è già annunciato che il nuovo disco di Brandi Carlile, By The Way I Forgive You https://www.youtube.com/watch?v=2adTSxUqnc4 , in uscita a febbraio 2018, sarà prodotto da lui e Dave Cobb, bella accoppiata https://www.youtube.com/watch?v=z865nKpgH0Q ).

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https://www.youtube.com/watch?v=CtOn5WdwNzk

Il Billy Bob’s Texas, come è noto, è uno dei più grandi locali honky-tonk d’America, anzi il più grande, situato a Forth Worth, ci hanno suonato un po’ tutti, anche artisti non country, ma principalmente si pratica quella branca della musica; Waylon Jennings per esempio ci suonava già negli anni ’70, prima della nascita del figlio, e, di solito, i vari CD e DVD dal vivo registrati laggiù sono sempre stati degli ottimi album. E pure questo non manca il bersaglio: oddio, la giacchetta in copertina con la scritta From Here To Eternity, da uno dei titoli più noti di Moroder, di cui poi nel concerto appaiono tre brani, potrebbe far pensare al peggio, ma in effetti il concerto è ottimo e abbondante. Il tutto è stato registrato a novembre del 2016, Shooter Jennings è accompagnato da una eccellente band dal sound “robusto” e variegato, con Ted Russell Kamp, anche cantautore in proprio, al basso, la brava Aubrey Richmond, dei Calico The Band, al violino e armonie vocali, John Schreffler Jr. alla chitarra, Erik Deustch dei Leftover Salmon al piano e organo, e Jamie Douglass alla batteria: Poi al resto ci pensa Shooter, voce rauca e potente, ma anche suadente all’occorrenza, pure lui a chitarre e piano: nell’iniziale Electric Rodeo il suono è subito poderoso e grintoso, un southern rock dove le chitarre e le tastiere conferiscono una patina molto classic rock anni ’70, con il violino a colorire il sound. Steady At The Wheel, dal primo album Put The O Back In Country, è una giusta  miscela tra l’outlaw country del babbo e un rock sudista molto alla Marshall Tucker o alla Charlie Daniels Band per l’uso del violino, le chitarre ruggiscono, la ritmica picchia, ma le armonie vocali della band sono ottime, senza soluzione di continuità si passa alla dura Don’t Feed The Animals che era su Hierophant, una canzone scritta con Dave Cobb, che dal vivo, per quanto tirata, ha comunque un suo perché

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https://www.youtube.com/watch?v=ASRz22QUwgI

The Real Me da Family Man è una bella ballata elettroacustica di puro honky tonk country di qualità, con il violino e il pianoforte a ricamare, e anche la bellissima e guizzante Outlaw You, da The Other Life, probabilmente dedicata al padre, ha i profumi e le sonorità della migliore outlaw country music con i “grandi” citati nel testo. Anche Wild And Lonesome è una deliziosa country ballad dallo stesso album, e pure la mossa Nashville From Afar, uscita solo come singolo, conferma che la classe c’è. Il trittico dedicato a Giorgio Moroder è meno “letale” che su Countach, l’elettronica viene bandita a favore di un rock cattivo ma ben suonato dall’ottima band, e quindi I’m Left, You’re Right, She’s Gone, Born To Die (notevole questo brano) e Love Kills, che molti ricordano nella versione di Freddie Mercury https://www.youtube.com/watch?v=BXz86_9wKYw , scorrono senza troppe concessioni alla disco-rock dance, a parte il terzo brano; ma è un attimo e poi si ritorna al country classico, con The Door, un vecchio pezzo di Billy Sherrill per George Jones, anche se in questa versione sembra un pezzo dei Curved Air. Living In A Minor Key, solo voce, chitarra acustica e violino è un gioiellino country-folk e anche il valzerone romantico di The Other Life conferma che la classe non manca, come ribadisce la cowboy song Manifesto NO.1, ancora con il violino della Richmond grande protagonista. Il concerto ormai è decollato: notevoli anche le versioni di All Of This Could Have Been Yours, The Gunslinger in splendido crescendo chitarristico, 4th Of July, non quella di Dave Alvin, ma altrettanto bella https://www.youtube.com/watch?v=NIHe7LNVtzY  e per concludere una bellissima Goodtime Charlie, un grande brano di Danny O’Keefe, legato anche alla figura di Waylon Jennings. Veramente un bel concerto.

Bruno Conti

Una Grande Serata Di Vero Country In Quel Di Austin! Outlaw: Celebrating The Music Of Waylon Jennings

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Outlaw: Celebrating The Music Of Waylon Jennings – Legacy/Sony CD/DVD

Splendido tributo alla musica di Waylon Jennings, uno dei più importanti musicisti country di tutti i tempi, vera leggenda in Texas, ed esponente di punta insieme a Willie Nelson del cosiddetto movimento “Outlaw Country”, che negli anni settanta si contrapponeva al country più commerciale che veniva prodotto a Nashville. Il concerto si è tenuto quasi due anni fa, il 6 Luglio del 2015, al Moody Theatre di Austin, ed è stata una grande serata, nella quale si sono dati appuntamento una lunga serie di amici e discepoli di Waylon (più i secondi dei primi, purtroppo molti sono da tempo in cielo a far compagnia a Jennings) per suonare alcuni tra i brani più noti del grande texano, la cui influenza si è fatta sentire di più dopo la scomparsa (avvenuta nel 2002 in seguito a complicazioni dovute ad una grave forma di diabete, ma conseguenza di una vita nella quale il nostro non si era fatto mancare niente) che nel periodo di attività, complice una discografia non sempre all’altezza, specie negli anni ottanta. Ora la Legacy pubblica finalmente il resoconto di quella serata, in versione CD con DVD allegato, in modo da far godere anche noi delle performances dedicate a Waylon, un concerto nel quale gli invitati hanno dato veramente il meglio di loro stessi, sia i fuoriclasse (e ce n’erano parecchi), sia quelli che a prima vista poco c’entravano con il barbuto countryman texano; in tutti i brani, poi, troviamo la solita house band da sogno che non manca mai in queste occasioni: Don Was al basso, produzione e direzione musicale (ed ultimamente il riccioluto Don non se ne perde uno di questi tributi), Buddy Miller e Patrick Buchanan alle chitarre, Matt Rollings alle tastiere, l’ottimo Robby Turner alla steel guitar, Mickey Raphael all’armonica (da sempre nella band di Willie Nelson), ben due batteristi (Raymond Weber e Richie Albright) e tre coristi.

Il DVD rispetto al CD contiene due brani in più (curiosamente entrambi con protagonista Sturgill Simpson, che quindi nella parte audio non compare – NDM: la presente recensione è fatta sul CD, sorry Sturgill…) più varie interviste agli ospiti che parlano chiaramente di Waylon; da segnalare purtroppo l’assenza di Billy Joe Shaver, che si può spiegare forse solo con il suo precario stato di salute, anche se è una mancanza che pesa non poco. La serata inizia alla grande con una delle performances migliori, grazie all’ottimo Chris Stapleton che propone una versione mossa e tonica, decisamente rock’n’roll, di Ain’t Living Long Like This, il brano di Rodney Crowell che Waylon fece suo nell’ormai lontano 1979, un avvio potente e trascinante, con ottimi interventi di piano e steel; il figlio di Waylon, Shooter Jennings, non si fa contaminare da sonorità strane come spesso fa ultimamente nei suoi dischi, anzi riesce anche a toccare le corde giuste con Whistlers And Jugglers, uno slow classico e con la giusta dose di pathos (splendido Rollings al piano, e strepitoso il finale chitarristico, molto southern), mentre la riunione di famiglia continua con la moglie di Waylon, e madre di Shooter, Jessi Colter, che emoziona con la sua Mona (se siete veneti non fraintendete quest’ultima frase per favore), solo voce e piano ma tanto feeling.

Sale sul palco la prima leggenda vivente della serata: Bobby Bare è un contemporaneo di Waylon, ed uno dei grandi del country, e la sua Only Daddy That’ll Walk The Line è piena di ritmo e grinta nonostante l’età avanzata del nostro; la voce limpida di Lee Ann Womack affronta molto bene la melodica Ride Me Down Easy (proprio di Shaver) e, in duetto con Buddy Miller, la cristallina Yours Love, ed anche il bravissimo Jamey Johnson strappa applausi a scena aperta con Freedom To Stay, country ballad classica cantata con il cuore in mano. La brava Kacey Musgraves sembra ferma agli anni sessanta, sia come stile che come look, e con The Wurlitzer Prize mantiene entrambi i piedi ben saldi in quel periodo, mentre Robert Earl Keen è uno dei migliori texani della generazione successiva a quella di Waylon, ma questa sera la sua rilettura di Are You Sure Hank Done It This Way ha qualcosa che non va, troppo elettrica e rock, quasi monolitica, molto meglio l’arrangiamento originale; Kris Kristofferson non ha certo bisogno di presentazioni, è uno dei grandissimi e non solo della musica country, uno che potrebbe cantare qualsiasi cosa: stasera sceglie I Do Believe, uno slow dall’accompagnamento leggero e con al centro la voce vissuta di Kris che, inutile dirlo, la fa diventare quasi una sua canzone. Strepitoso Ryan Bingham con Rainy Day Woman, in un arrangiamento grintoso e rock ma rispettoso della struttura country dell’originale, un brano che la voce ruvida di Ryan affronta senza problemi (e la steel di Turner è monumentale); sale sul palco Alison Krauss per due pezzi, la dolcissima Dreaming My Dreams With You (splendida la voce della bionda cantante e violinista) e, con Jamey Johnson, una mossa, ritmata e coinvolgente I Ain’t The One, dal deciso sapore sudista.

Toby Keith ed Eric Church non sono certo tra i miei countrymen preferiti, ma stasera non deludono, anzi convincono con due riletture serie e sentite di Honky Tonk Heroes e Lonesome, On’ry And Mean rispettivamente. E’ la volta del grande Willie Nelson, che sale sul palco e non scenderà più fino alla fine: Willie non è più quello di qualche anno fa, canta a fatica, in alcuni momenti sembra perfino a corto di fiato, ma ovviamente non poteva mancare, e comunque sopperisce con la sua presenza magnetica ed il suo immenso carisma (e poi chitarristicamente è ancora un portento); inizia da solo con la nota ‘Til I Gain Control Again, ancora di Crowell, e, in duetto rispettivamente con Keith e Stapleton, le mitiche Mammas Don’t Let Your Babies Grow Up To Be Cowboys e My Heroes Have Always Been Cowboys, entrambe splendide, tra gli highlights dello show. Finale da urlo con la meravigliosa Highwayman, con Willie e Kris che fanno loro stessi, Shooter al posto del padre e Johnson in luogo di Johnny Cash, e poi tutti sul palco per la celebrazione finale con Luckenback, Texas, una delle canzoni-manifesto di Waylon. Un ottimo tributo: era ora che a tredici anni dalla sua scomparsa qualcuno si decidesse ad omaggiare Waylon Jennings in maniera adeguata.

Marco Verdi

Anticipazioni Novità, Ristampe E Cofanetti Aprile, Parte III/Supplemento. Shooter Jennings, Explosions In The Sky, Charles Bradley, Trembling Bells, Black Mountain, King Crimson, Ronnie Spector, Bellowhead, Eagles, Sandy Denny

shooter jennings countach

Controllando le uscite del prossimo mese di Aprile mi sono accorto che avevo lasciato fuori dai due post sulle anticipazioni molti titoli interessanti (alcuni anche perché al momento in cui scrivevo non erano ancora confermati e qualcuna delle uscite previste era proprio per il 1° aprile). Partiamo da uno di questi, il nuovo album di Shooter Jennings Countach (For Giorgio), in America già uscito il 26 febbraio e che ora viene pubblicato per il mercato europeo. Ci eravamo lasciati con il figlio di Waylon Jennings (di cui negli scorsi anni ho recensito positivamente anche http://discoclub.myblog.it/2013/03/15/finalmente-degno-di-tanto-padre-shooter-jennings/) con la segnalazione dell’ultimo EP uscito nel 2014 Don’t Wait Up (For George), dedicato al grande cantante country George Jones: in effetti pensavo che questo Countach fosse una sorta di seguito, tra i nomi coinvolti c’erano anche il recentemente scomparso Steve Young e Brandi Carlile, per quanto la presenza di Marilyn Manson non era diciamo sulla mia lunghezza d’onda. Ma poi ho letto bene i titoli dei brani e ho capito che il Giorgio in questione è Moroder: siamo quindi di fronte ad un tributo dedicato al musicista alto-atesino, quanto di più lontano ci può essere dal country e dal southern che sono gli stili abituali di Jennings. Il problema è che ho anche nel frattempo sentito il disco e siamo proprio in ambito disco elettronica anni ’80, sia pure con qualche violino svolazzante qui e là, e, per i miei gusti, il disco è veramente brutto, tra le cose più pacchiane ascoltate ultimamente. Basta dire che i due brani “migliori” sono The Neverending Story, quella con la Carlile e Cat People, con Manson, E ho detto tutto! Peccato, perché nel recente Southern Family la sua Can You Come Over? era una delle cose migliori.

explosions in the sky the wilderness

Sempre nei prossimi giorni è in uscita il nuovo album degli Explosions In The Sky The Wilderness, il settimo album di studio della band texana di psych-post-rock improvvisato e il primo dopo una serie di colonne sonore, quindi il seguito dell’ottimo Take Care, Take Care, Take Care del 2011. Etichetta Temporary Residence, per nove brani di splendida improvvisazione strumentale, come sempre

charles bardley changes

Cambiando completamente genere, esce la prima settimana di aprile il nuovo album di Charles Bradley Changes, etichetta Dubham, e nonostante il titolo non ci sono cambiamenti nello stile di Bradley, “The Screaming Eagle Of Soul” tiene fede al suo soprannome e continua a pubblicare album di ottima musica nera, sulla scia dei suoi idoli James Brown, Wilson Pickett Otis Redding. Questa volta, forse, la canzoni sono leggermente inferiori a quelle dei due dischi precedenti ( No Time For Dreaming http://discoclub.myblog.it/2011/12/31/un-nuovo-vecchio/ e Victim Of Love), ma trattasi sempre e comunque di grande musica soul. La title-track è una cover di una vecchia ballata dei Black Sabbath (!?!? ed è una versione straordinaria, sentire per credere: dedicata alla madre scomparsa.

trembling bells wide majestic aire

Altro cambio di genere ed altra voce splendida. Parlo di Lavinia Blackwall, la cantante dei Trembling Bells, uno dei gruppi più interessanti del “nuovo” folk britannico. Fondata nel 2008 dal batterista Alex Nelson la band scozzese, autrice di cinque album fino ad ora, è una delle formazioni più eclettiche in circolazione attualmente: paragonati a Pentangle, Fairport Convention, Incredible String Band, per la loro fusione di rock, folk, jazz, improvvisazione e rigore, hanno solo il “difetto” di pubblicare i loro CD per una piccola etichetta la Tin Angel (e prima la Honest John), quindi difficili da reperire e abbastanza costosi per noi euro-centrici, Ma vi assicuro vale la pena di approfondire, cosa che mi riprometto di fare, magari parlando anche dell’album del 2015 The Sovereign Self, oltre che di questo nuovo Wide Majestic Aire, che in teoria è un mini-album (però con ben sette brani e una durata oltre i trenta minuti, una canzone in meno dell’album dello scorso anno, che comunque aveva pezzi anche abbastanza lunghi). Per il momento sentite la meravigliosa title-track del nuovo album e godete dello splendido soprano della Blackwall. Siamo ai livelli di Jacqui McShee, Maddy Prior e Sandy Denny (di cui tra un attimo). Ma che voce ha!.

black mountain iv

Ulteriore cambio completo di genere, rispetto ai dischi di cui si è parlato finora, per il nuovo album dei Black Mountain: la band canadese, dopo sei anni di silenzio, in cui i vari componenti del gruppo si erano dedicati ai loro vari gruppi collaterali e alle meritorie attività di aiuto per poveri e bisognosi attraverso svariate associazioni benefiche, torna con IV, il nuovo disco che ci riporta al loro stoner-psychedelic-heavy rock, molto anni ’70 e anche molto godibile, un sound energico e tirato https://www.youtube.com/watch?v=_USHKQ4Ntc8 , ma anche raffinato a tratti ,come dimostra il nuovo CD, pubblicato come al solito dalla JagJaguwar il 1° aprile.

king crimson live in toronto

Per completare le uscite della prima settimana di aprile manca il nuovo, ennesimo, disco dal vivo dei King Crimson. Il doppio, Live In Toronto, a differenza del solito, non comprende materiale d’archivio, ma un concerto abbastanza recente, tenuto il 20 Novembre del 2015 dalla band di Robert Fripp, nell’ultima configurazione, quella con tre batteristi, più Jakko Jakszyk, chitarra e voce, nel ruolo che fu di Adrian Belew, Tony Levin al basso, Mel Collins a flauto e sax. Si tratta di un doppio CD pubblicato dalla DGM/PANEGYRIC, questi i brani:

Disc 1:
1 Threshold Soundscape
2 Larks’ Tongues In Aspic Part I
3 Pictures Of A City
4 VROOOM
5 Radical Action (To Unseat the Hold of Monkey Mind)
6 Meltdown
7 Hell Hounds of Krim
8 The ConstruKction of Light
9 Red
10 Epitaph

Disc 2:
1 Banshee Legs Bell Hassle
2 Easy Money
3 Level Five
4 The Letters
5 Sailor’s Tale
6 Starless
7 The Court of the Crimson King
8 21st Century Schizoid Man 

ronnie spector english heart

Dopo la recente antologia http://discoclub.myblog.it/2015/11/26/darlene-love-ecco-la-piu-famosa-delle-spector-girls-ronnie-spector-the-very-best-of-ronnie-spector/, esce un nuovo album di Ronnie Spector English Heart, data di pubblicazione 8 aprile, etichetta Caroline/Universal. Come lascia intuire il titolo si tratta di brani inglesi che provengono tutti dai primi anni ’60 (ma incisi oggi), il periodo glorioso del successo delle Ronettes con Be My Baby.  Al solito c’è una Deluxe Edition con DVD, in escusiva per Amazon (che però è il  documentario del making of e interviste varie):

[CD]
1. Oh Me Oh My (I’m A Fool For You Baby)
2. Because
3. I’d Much Rather Be With The Girls
4. Don’t Let The Sun Catch You Crying
5. Tired Of Waiting
6. Tell Her No
7. I’ll Follow The Sun
8. You’ve Got Your Troubles
9. Girl Don’t Come
10. Don’t Let Me Be Misunderstood
11. How Can You Mend A Broken Heart

[Amazon Exclusive Bonus DVD]
1. The Making of English Heart with extensive interview, studio and performance footage.

Come vedete ci sono pezzi dei Kinks, Beatles, Animals, Yardbirds, Gerry & The Pakemakers e una poco conosciuta I’d Much Rather Be With The Girls, che nell’originale finiva con Boys, ed era degli Stones. Questa volta non ho sentito nulla,per cui non vi so dire.

bellowhead the fareweel tour

Bellowhead, un’altra delle migliori formazioni del folk-rock britannico (undici elementi, anche con fiati) stanno completando il loro tour d’addio, in seguito all’abbandono del leader e cantante Joe Boden, tournée che si completerà a maggio del 2016. Come commiato ci lasciano questo splendido triplo dal vivo Live: The Farewell Tour (2 CD + 1 DVD) che uscirà per la Navigator Records l’8 aprile. Sembrano un incrocio tra i Pogues e i Dexys Midnight Runners https://www.youtube.com/watch?v=In-tsizA2Ls

eagles beacon theatre new york 1974 eagles don kirshner's rock concert eagles live at the summit houston 1976

Nell’ultimo paio di anni c’è stata una crescita esponenziale nella pubblicazione di CD relativi a broadcast radiofonici degli artisti più disparati, spesso più interessanti dei Live ufficiali e molti incisi decisamente bene. Dall’inizio dell’anno, in seguito alla scomparsa di Glenn Frey, ne sono usciti e stanno per uscirne, alcuni dedicati agli Eagles. Dei tre dischetti che vedete effigiati qui sopra i primi due sono relativi allo stesso concerto, tenuto al Beacon Theatre di New York il 14 marzo del 1974 per il tour di On The Border (che sarebbe uscito nei negozi il 22 marzo): formazione originale, con Don Henley, Glenn Frey, Bernie Leadon Randy Meisner, più Don Felder che era appena entrato nel gruppo. Incisione eccellente per entrambe le versioni, forse un filo meglio Don Kirshner’s Rock Concert, ma Beacon Theatre, New York 1974 costa meno, quindi vedete voi.

Escono entrambi l’8 aprile e questa è la lista dei brani:

1. DJ Introduction
2. Peaceful Easy Feeling
3. Already Gone
4. Good Day In Hell
5. Silver Threads & Golden Needles
6. Desperado
7. It Doesn’t Matter Anymore
8. Midnight Flyer
9. Twenty One
10. Ol’ 55
11. Your Bright Baby Blues
12. Looking Into You
13. James Dean
14. Doolin-Dalton / Desperado (Reprise)
15. Take It Easy

Grande concerto, in tutti i sensi. Nei brani 6, 7 e 8 canta Linda Ronstadt, nell’11 e 12 Jackson Browne e nel gran finale di Take It Easy tutti insieme. Ottimo anche il medley Doolin’ Dalton/Desperado quasi 9 minuti.

L’altro live degli Eagles Live At The Summit, Houston 1976, è un doppio, giù uscito da qualche tempo, pure questo inciso molto bene. Il concerto è stato registrato nel novembre del 1976, qualche settimana prima dell’uscita di Hotel California, che apre proprio il concerto: in formazione c’è già Joe Walsh che esegue anche brani dei suoi dischi solisti e della James Gang. Si tratta del concerto completo, a differenza del Eagles Live doppio vinile ufficiale che sarebbe uscito nel 1980 ed era tratto da vari concerti diversi del 1976 e del 1980 e pure non particolarmente lungo come durata. Quindi consigliato anche questo

Come vedete per entrambi, più che di broadcast radiofonici parliamo di eventi televisivi.

sandy denny i've always kept a unicorn

E per finire in bellezza con le uscite di aprile un altro CD di una della mie preferite in assoluto, Sandy Denny, in uscita per la Universal il 22 aprile, un doppio al prezzo di uno, si intitola I’ve Always Kept An Unicorn, come la sua biografia ufficiale pubblicata lo scorso anno (solo in inglese, purtroppo) e tra poco disponibile anche in versione paperback meno costosa. Come dice il sottotitolo The Acoustic Sandy Denny, si tratta di una antologia di materiale raro ed inedito, demo, versioni acustiche, in studio e dal vivo, tratto da tutte le epoche: dagli inizi con gli Strawbs, passando ai Fairport Convention, Fotheringay (a proposito splendido il box dello scorso anno), la carriera solista e le collaborazioni: tra cui i 3 brani inediti in assoluto, tratti dalle sessions per il disco Rock On attribuito a The Bunch, di cui cui vi segnalo un duetto alternativo con Linda Thompson in When Will I Be Loved degli Everly Brothers, già presente nella versione originale.

 In questo caso soldi spesi bene. Ecco il contenuto:

DISC ONE

01: Who Knows Where the Time Goes – Acoustic version – The Strawbs & Sandy Denny

02: You Never Wanted Me (Saga album version) – Sandy Denny
03: Milk and Honey (re-recorded version) – Sandy Denny
04: Autopsy (demo) – Fairport Convention
05: Now And Then (demo) – Fairport Convention
06: She Moves Through the Fair (acoustic master) ) – Fairport Convention
07: Fotheringay (acoustic master) – Fairport Convention
08: The Pond and the Stream (demo) – Fotheringay
09: Winter Winds (demo) – Fotheringay
10: Wild Mountain Thyme (BBC Sounds of the Seventies) – Fotheringay
11: Lowlands of Holland (BBC Folk On One) – Fotheringay
12: Wretched Wilbur (demo) – Sandy Denny
13: The Optimist (demo) – Sandy Denny
14: Late November (BBC One In Ten) – Sandy Denny
15: North Star Grassman and the Ravens (BBC Paris Theatre) – Sandy Denny
16: Next Time Around (BBC Paris Theatre) – Sandy Denny
17. John The Gun (BBC Paris Theatre) – Sandy Denny
18: Love’s Made A Fool Of You ( demo ) – The Bunch Previously Unreleased
19: When Will I Be Loved ( demo ) – The Bunch Previously Unreleased
20: Learning the Game (demo) – The Bunch Previously Unreleased

DISC TWO

01: Quiet Joys of Brotherhood (demo) – Sandy Denny
02: After Halloween ( demo ) – Sandy Denny
03: The Lady (demo # 2) – Sandy Denny
04: Bushes and Briars (live – BBC Bob Harris Show ) – Sandy Denny
05: The Music Weaver (demo) – Sandy Denny
06: No End (demo – piano version) – Sandy Denny
07: Solo (BBC John Peel Session – acoustic version) – Sandy Denny
08: Like and Old Fashioned Waltz (BBC John Peel Session – acoustic version)
09: King and Queen of England (demo) – Sandy Denny
10: Rising For The Moon (demo) – Fairport Convention
11: One More Chance (demo) – Fairport Convention
12: Take away the load (demo) – Fairport Convention
13: What Is True? (demo) – Fairport Convention
14: Blackwaterside ( live on Marc Time ) – Sandy Denny
15: No More Sad Refrains ( live on Marc Time ) – Sandy Denny
16: Full Moon (demo) – Sandy Denny
17: I’m A Dreamer (demo # 2) – Sandy Denny
18: By The Time It Gets Dark (studio demo 1976) – Sandy Denny
19: One Way Donkey Ride (acoustic master 1976) – – Sandy Denny
20: Moments ( acoustic version ) – Sandy Denny

That’s all folks.

Bruno Conti

Non Sempre I “Seguiti” Vengono Bene: In Questo Caso Sì, Benissimoì! Artisti Vari Southern History – Produce Dave Cobb

southern family

Various Artists – Southern Family – Low Country Sound/Elektra

Se ne parlava da diversi mesi, ma in questi giorni è finalmente uscito Southern Family, un concept album partorito dalla fervida immaginazione del produttore Dave Cobb, il nuovo Re Mida dei produttori country (ma non solo) di Nashville, dove opera dal RCA Studio A della città del Tennessee, in cui ha ha stabilito l’epicentro delle sue operazioni musicali. Cobb, per i più distratti quello che ha prodotto Chris Stapleton, Anderson East, Corb Lund, Christian Lopez Band, Whiskey Myers, recentemente i Lake Street Dive, e molti altri, e si prepara a pubblicare, ne cito un paio, i nuovi lavori di Holly Williams e Mary Chapin Carpenter, da diverso tempo aveva in mente una sorta di seguito per un album che era stato la sua stella polare sia in ambito produttivo, come in quello musicale, una specie di ossessione. 

white mansions white mansions + legends of jesse james

 

Parliamo del White Mansions da cui tutto parte, un album concepito nel 1978 da Paul Kennerley, un musicista inglese che aveva deciso di scrivere un disco che era una sorta di racconto epico sugli avvenimenti accaduti tra il 1861 e il 1865, durante la Guerra Civile Americana, quando scrivere di questi avvenimenti in ambito musicale era ancora un fatto raro ed anomalo, soprattutto da parte di un inglese. Ma Kennerley ci era riuscito talmente bene da coinvolgere nel progetto il grande produttore Glyn Johns (a proposito sta per tornare, con il nuovo lavoro di Eric Clapton I Still Do, annunciato per il 20 maggio, si riforma la coppia di Slowhand), che a sua volta aveva chiamato, per interpretare i vari personaggi, Jessi Colter e il marito Waylon Jennings, John Dillon Steve Cash degli Ozark Mountain Daredevils, grandissima band country-rock americana, oltre a musicisti come Eric Clapton, Bernie Leadon, Tim Hinkley, Dave Markee, Henry Spinetti, per un disco che era (ed è, perché si trova ancora) un piccolo gioiello in ambito country-rock. Non contenti Glyn Johns Paul Kennerley avrebbero replicato un paio di anni dopo con The Legend Of Jesse James, altro concept sulla vita del famoso fuorilegge americano, questa volta con l’aiuto di Emmylou Harris (che poi sarebbe stata la moglie di Kennerley dal 1985 al 1993), Johnny Cash, Levon Helm, Rodney Crowell Rosanne Cash, Albert Lee Charlie Daniels, altro cast mica male, per usare un eufemismo. Entrambi gli album si trovano ancora in quel doppio CD che vedete effigiato sopra e che per gli appassionati del genere che ancora non lo hanno è quasi imperdibile.

Tornando ai giorni nostri Dave Cobb non immaginava certo che il suo progetto di dare un seguito a queste due saghe avrebbe trovato delle etichette interessate, ma tramite la propria Low Country Sound e con la distribuzione del colosso Elektra/Warner Southern Family è diventato una realtà. In questo caso Cobb ha chiesto ai vari musicisti e cantanti coinvolti di fornire una serie di canzoni che raccontavano storie ambientate nelle loro famiglie del Sud ( vicende di padri, madri, figli, fratelli, sorelle, nonni), anche slegate fra loro ma il con trait d’union di essere brani che raccontavano vicende che avevano avuto una certa importanza nelle vita degli artisti coinvolti. Che sono in gran parte, passati, presenti e futuri clienti di Cobb, ma anche musicisti con i quali avrebbe voluto lavorare. Suonato veramente bene dal giro di musicisti che gravitano abitualmente intorno a Dave (che suona nel disco basso, chitarre, acustiche ed elettriche, nonché percussioni) l’album mi sembra veramente riuscito, dodici brani anche diversi da loro, a seconda delle personalità di chi è stato coinvolto, come sonorità, ma con una qualità medio-alta nell’insieme https://www.youtube.com/watch?v=LjT5EKskTYY .

E vediamo chi c’è: si parte subito benissimo con John Paul White, l’ex Civil Wars (dopo la divisione dalla socia Joy Williams, il cui album dello scorso anno, Venus, a chi scrive era parso piuttosto bruttino), reduce dalle recenti produzioni con Dylan LeBlanc, Lindi Ortega Donnie Fritts, pare particolarmente ispirato, anche come cantante ed autore, nell’iniziale Simple Song, un brano sotto forma di ballata avvolgente, che unisce la passione di White per country-folk e melodie beatlesiane, in un brano dolcissimo e suadente, caratterizzato anche da un delicato lavoro orchestrale. Ancora più bella è la successiva  God Is A Working Man, canzone scritta dal sempre più bravo Jason Isbell e che qualcuno ha proposto di segnalare ai candidati presidenziali americani come brano per la loro campagna elettorale, con un “lavoratore” così che vota per te si presume sia difficile perdere. Tra florilegi di chitarre acustiche, violini (della consorte Amanda Shires), chitarre elettriche, slide e pedal steel come piovesse, il suono è un perfetto country, di quello che dalla parte giusta di Nashville si riesca ancora a creare con grande naturalezza https://www.youtube.com/watch?v=pxPqiHCY21w . Dave Cobb tiene famiglia, ha anche un bravissimo cugino canterino, nella persona di Brent Cobb, che ci regala una deliziosa Down Home, punteggiata da chitarre grintose e bluesy, pianini insinuanti, seconde voci femminili intriganti ed una bella melodia che in una canzone non guasta mai, e allora se il risultato è questo una “raccomandazione” di famiglia ci sta anche.

Molto bella anche Sweet By And By, il primo brano cantato da una voce femminile, una Miranda Lambert formato Pistol Annies, ispirata dal gran contorno strumentale fornito dalla band di musicisti di Cobb, la bella biondona ci regala una delle sue performance vocali più convincenti di sempre, di nuovo con steel guitars, tastiere e una sezione ritmica pimpante sugli scudi, questo è grande country-rock. Come pure quello regalato da una versione fantastica di You Are My Sunshine, un super classico della canzone americana, qui ripreso dalla coppia Morgane Chris Stapleton, con la prima, che in questo brano è la voce solista, mentre il marito si “limita” ad accompagnare: voce country-gospel della signora Stapleton, una struttura blues e le chitarre che ruggiscono come si deve e a ripetizione, grande tensione sonora e sicuramente uno degli highlights del disco. Ma anche Zac Brown torna ai livelli che gli competono con una Grandma’s Garden, ballata mid-tempo country-folk sopraffina, tra James Taylor ed il miglior country-rock della Nitty Gritty o di Loggins & Messina, ma pure delle più belle canzoni di una certa Zac Brown Band https://www.youtube.com/watch?v=q-QytmOpTZw . E non ci si ferma di sicuro quando entra in scena il vocione di Jamey Johnson alle prese con una Mama’s Table che rievoca le cose migliori di Johnny Cash, Waylon Jennings e degli Outlaws tutti, bellissima pure questa https://www.youtube.com/watch?v=LwuPPHdFWok .

E che dire di Learning di Anderson East? Mamma mia, che bella! Il ventottenne di Athens, Alabama, con, come avrebbe detto Paolo Ruffini a Sofia Loren, quella gran topa della nuova compagna Miranda Lambert come ispirazione e il babbo come “insegnante”, che gli faceva sentire quella soul music che con il trascorrere del tempo è diventata sempre meno country e più country got soul, disco dopo disco, e ancora got soul, e got soul, proseguire ad libitum. Tra fiati, chitarre e organetti impazziti questa è vera “southern music”. E parlando di famiglie io sono convinto che la più brava della famiglia Wiiliams, dopo il capostipite Hank, sia la “nipotina” Holly, che ancora una volta ce lo dimostra con una deliziosa Settle Down che ha il piglio sbarazzino della Janis Joplin country di Pearl, un breve gioiellino https://www.youtube.com/watch?v=vH9ieUuAxkM . Un’altra che canta benissimo, anche se in pochi la conoscono, è la bravissima Brandy Clark, qui alle prese con una emozionante I Cried, dove tra falsetti spericolati, la cantante ci dà una sorta di variante femminile alle splendide storie malinconiche e strappalacrime in cui era maestro Roy Orbison, una vera meraviglia sonora. Credo che il nonno da lassù possa essere veramente contento di questo tributo postumo da parte di sua nipote https://www.youtube.com/watch?v=olu343r5rwI . Anche Shooter Jennings con Can You Come Over si dimostra in gran forma, un brano degno di tanto babbo, tra country, echi dylaniani, derive rock & soul alla Delaney & Bonnie, altra canzone che sembra esplodere dalle casse dei nostri impianti con una grinta ed una freschezza invidiabili https://www.youtube.com/watch?v=U9atbs9-SxQ . E a conclusione del tutto, quello che dovrebbe essere il fratello meno bravo, Rich Robinson, ci regala un’altra piccola perla di musica sudista con The Way Home, la voce forse non sarà al livello di quella di Chris, ma con l’aiuto di un coro gospel, una chitarra elettrica, e qualche battito di mani ci dimostra come fare buona musica.

E in questo Southern Family ce n’è veramente tanta.

Bruno Conti

Novità Di Agosto, Parte I. Blues Pills, Angus And Julia Stone, Billy Joe Shaver, Shooter Jennings, PussNBoots, Super Black Blues, Ben Miller Band

super black blues

Come promesso, prima parte delle uscita discografiche più interessanti del mese di agosto (e anche qualcosa uscito alla fine di luglio): il resto o lo avete letto a parte, o lo leggerete nei prossimi giorni, sempre ad insindacabile giudizio del Blogger e dei suoi adepti. Partiamo con un disco pubblicato dalla Ace il 29 luglio, si chiama Super Black Blues ed è una sorta di jam session sulla falsariga del leggendario Blues Jam At Chess dei Fleetwood Mac https://www.youtube.com/watch?v=lVV1lSA6IoQ . Immesso sul mercato in origine dalla Bluestime, una etichetta fondata da Bob Thiele della Flying Dutchman, a fine anni ’60, per sfruttare il successo che stava avendo il revival del Blues sui due lati dell’oceano, pubblicò in tutto una decina di titoli, di cui questo è il primo della serie: anche gli altri dischi dovrebbero venire ristampati dalla Ace. Si tratta in effetti proprio di una jam sessions, quattro brani in tutto, Paris Blues (13:59) https://www.youtube.com/watch?v=J1GGyHpheF8 , Here I Am Broken Hearted (3:46), Jot’s Blues (8:14) https://www.youtube.com/watch?v=O8FaIf2aI3w e Blues Jam (10.57) https://www.youtube.com/watch?v=5DCaxJpgMKY : i protagonisti sono T-Bone Walker, Otis Spann e Big Joe Turneraccompagnati da alcuni ottimi musicisti come George “Harmonica” Smith, Paul Humphrey, Ernie Watts, Arthur Wright e Ron Brown. Ovviamente non un capolavoro, ma un disco molto piacevole, una sorpresa per gli appassionati di Blues: T-Bone Walker scrive tre dei brani, lasciando spazio alla voce di Spann nella jam conclusiva, interagendo con Big Joe Turner nel lungo brano di apertura, e di nuovo Spann, questa volta con il suo piano in Jot’s Blues. Classico blues elettrico ad alta intensità con i tre grandi che lasciano spazio anche all’armonica di George Smith e al sax di Ernie Watts.

blues pills

Sempre parlando di blues, ma molto elettrico, spesso intriso di hard rock e psichedelia acida, ma riportata con vigore ai giorni nostri, sono molti interessanti anche questi Blues Pills, un giovane quartetto dalle più disparate provenienze: una sezione ritimica con due musicisti americani, Cory Berry e Zach Anderson, un chitarrista francese, Dorrian Sorriaux, che al momento dell’uscita del primo EP in vinile a fine 2011, inizio 2012, aveva circa 17 anni, quindi adesso ne avrà venti al massimo, e soprattutto la cantante, Elin Larsson, svedese, la vera stella della band, una sorta di ulteriore Janis Joplin reincarnata https://www.youtube.com/watch?v=KMYDYYQmqgA (avete presente Lynn Carey, quella dei Mama Lion? O per restare in tempi più moderni, gli Alabama Shakes o Sister Sparrow & The Dirty Birds, senza dimenticare la prima Beth Hart o Dana Fuchs, tutte cantanti “possedute” dallo spirito di Janis). Qui il rock è decisamente più marcato https://www.youtube.com/watch?v=I9y9fCZGHk4 , anche se non mancano agganci ai Big Brother, ai Cream, persino ai Fleetwood Mac di Peter Green (il secondo brano Ain’t No Change avrebbe potuto essere su Then Play On) https://www.youtube.com/watch?v=m2mNQQ5jrXE .

Bluespills2014b

Come vedete dalla foto sono effettivamente giovanissimi, ma da quello che si ascolta sul loro esordio come album, l’omonimo Blues Pills, hanno una grinta ed una potenza invidiabili, con echi anche di Aretha Franklin, Led Zeppelin, Hendrix. Oltre a tutto il disco, incredibilmente, è andato ai primi di agosto al numero 4 delle classifiche in Germania. Del CD, pubblicato dalla Nuclear Blast, esiste anche una versione Deluxe, con allegato un DVD con sette brani, tratti penso anche dai vari EP pubblicati in passato https://www.youtube.com/watch?v=KzwCHc3R3Q0 , tra cui un Live At Rockpalast, Crossroads Festival https://www.youtube.com/watch?v=84ExkEconUU .Appena riesco a sentirlo bene ci ritorno con calma, per il momento segnaliamo con piacere.

angus and julia stone

Sempre a proposito di giovani, la coppia di fratelli Angus & Julia Stone (dalla foto ne dimostrano meno, ma hanno passato i trenta entrambi) sono in pista già da quasi una decina di anni. Vengono dall’Australia, dove sono popolarissimi, hanno pubblicato due album come duo, più Live ed EP vari, un album solista lui e due lei. Si pensava che le loro strade non si sarebbero più intrecciate come coppia musicale, ma poi sono stati “scoperti” anche da Rick Rubin, che ha voluto a tutti i costi che i due fratelli si rimettessero insieme per registrare un nuovo album ai suoi Shangri La Studios di Malibu. Cosa che è puntualmente avvenuta e questo omonimo Angus And Julia Stone, uscito il 5 agosto per la American/Republic/Universal, è il risultato di questo incontro: Rubin si è spinto a dire “Non ho mai lavorato con nessuno come loro in passato.”  https://www.youtube.com/watch?v=nV50lmpVk1E

angus julia stone

Aggiungendo che “sono musicisti unici e straordinari” e altro materiale vario per le cartelle stampa dei loro PR. In effetti ho letto critiche molto positive del disco e quindi volevo pubblicare un Post ad hoc, però, ad un primo ascolto, pur piacendomi, non mi ha così entusiasmato, preferivo il suono più folk-rock e sognante, per quanto con venature pop, dei primi dischi https://www.youtube.com/watch?v=nbRFxx1049I , mentre qui chitarre e tastiere si specano https://www.youtube.com/watch?v=IAYNjSf2kgo . Comunque mi riservo di riascoltarlo con attenzione. Non manca l’inevitabile edizione Deluxe che ai 13 brani della edizione standard ne aggiunge ulteriori tre.

billy joe shaver long in the tooth

Dopo un paio di nomi di giovani ed emergenti, un “classico” della musica americana, Billy Joe Shaver, alle prese con un nuovo album di studio a sei anni, anzi sette, di distanza dal precedente, Everybody’s Brother. Secondo il nostro amico, 75 anni il 16 agosto, questo è addirittura il suo migliore album in assoluto, classica outlaw music anche per questo Long In The Tooth, pubblicato dalla Lightning Rod e prodotto da Ray Kennedy e Gary Nicholson https://www.youtube.com/watch?v=I6mVxiywIks , il disco si apre proprio con Hard To Be An Outlaw, un duetto con Willie Nelson https://www.youtube.com/watch?v=HzcaehkPJDo  e contiene altre nove nuove canzoni scritte da Shaver, da solo o in coppia con i due produttori. Notevole anche la lista dei musicisti: da Shawn Camp, Siobhan Kennedy e John Randall, alle armonie vocali, passando per Tony Joe White, voce e chitarra, Joel Guzman, fisarmonica, Stuart Duncan al violino, Dan Dugmore e lo stesso Ray Kennedy alle chitarre, Mickey Raphael all’armonica, Pig Robbins e Leon Russell al piano e molti altri.

shooter jennings don't wait up for george

Figlio di outlaw e countryman a sua volta, a sorpresa Shooter Jennings pubblica un EP, Don’t Wait Up (For George), che raccoglie alcuni brani che erano stati scritti per una ipotetica collaborazione con George Jones, che al di là dei “famosi” ritardi di Jones, da cui il titolo, non si è mai concretizzata per un “ritardo” a cui non è stato possibile mettere riparo, la morte di George, avvenuta lo scorso anno. Dei cinque brani presenti in questo mini, edito dalla Black Country Rock, quattro sono tra le cose più country mai pubblicate da Shooter https://www.youtube.com/watch?v=AIvi6pYvaYU , mentre il quinto, The Door, ha il classico suono rock delle ultime produzioni.

pussnboots no fools, no fun

Questo CD, a dire il vero, sarebbe già uscito dal 15 luglio, ma visto che è interessante e non ne avevo ancora parlato (e poi, in alcuni paesi europei è uscito il 5 agosto), ve lo segnalo. Si tratta dell’esordio discografico delle Puss N Boots https://www.youtube.com/watch?v=i0vwBVdevxc , uno dei tanti progetti collaterali di Norah Jones, oltre al disco con Billie Joe Armstrong e al gruppo dei Little Willies. Il disco si chiama No Fools, No Fun e la vede affiancata da Catherine Popper, bassista e cantante di pregio, con Grace Potter e Ryan Adams soprattutto, recentemente anche con Dawn Landes e Jack White, e Sasha Dobson, la meno nota delle tre, anche se appare in quasi tutti i dischi della Jones  . Diciamo che lo stile è tra il country e l’Americana, quindi siamo dalle parti dei Little Willies, però il progetto è più collaborativo, con delle belle armonizzazioni vocali, in un repertorio che pesca sia dai classici (Tom Paxton, Rodney Crowell, Neil Young https://www.youtube.com/watch?v=7IQ92bWuHso , Wilco) sia dalle composizioni delle tre ragazze. Ci sono anche alcuni brani registrati dal vivo nel 2013 https://www.youtube.com/watch?v=E7i0Sb6Khdc , ma le prime esibizioni live, in quel di New York, risalgono al 2008. Molto piacevole e divertente.

ben miller band any way, shape or formben miller band

Per avere una idea di con che tipi abbiamo a che fare date un’occhiata alla foto qui sopra. Forse sarà anche un fatto estetico il motivo per cui gli ZZ Top li hanno voluti come loro gruppo di spalla, prima nel tour americano e poi in Europa? Una lotta di barbe tra i tre texani e il gruppo adottivo del Missouri? Per il momento la lotta è ancora impari. Scherzi a parte, questi tre signori, Ben Miller, Doug Dicharry e Scott Leeper, sono una delle nuove sensazioni della musica roots americana, un misto di blues, rock, folk, country, Americana e bluegrass (washboard con pedale wah-wah, prego?), un attimo vicini come stile a gente come Old Crow Medicine Show, Last Bison, Avett Brothers con il banjo di Miller in primo piano e gli altri che lo seguono a tremila all’ora, con la slide dell’ospite Chad Graves in bella evidenza https://www.youtube.com/watch?v=is_sY6RX-sM  come in The Outsider, il brano di apertura del loro nuovo album, Any Way, Shape Or Form  quello successivo, magari nella seguente You Dont Know, parte un boogie alla ZZ Top o alla John Lee Hooker, mentre Ghosts è un country-bluegrass alla Trampled By Turtles per tornare al blues con Hurry Up And Wait e poi estrarre dal cilindro una ballata con tanto di pedal steel, suonata sempre da Chad Graves, come I Feel For You che potrebbe ricordare i vecchi Ozark Mountain, il gruppo, non le montagne. Il resto, se vi ha intrigato quello che avete letto, ve lo ascoltate sul CD, pubblicato il 5 agosto dalla New West https://www.youtube.com/watch?v=IoVYJEV_xEE . Il loro secondo, per la discografia ufficiale, Heavy Load, il primo, del 2012: ma ne hanno pubblicati due 1Ton e 2Ton, per la loro etichetta personale, Mudstomp.

Fine della prima parte, segue…

Bruno Conti

Fra Tocchi Di Genio E “Follia” Sonora: Scott H. Biram – Nothin’ But Blood

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Scott H. Biram – Nothin’ But Blood – Bloodshot records/IRD

Ogni volta che mi imbatto, anche per recensire un suo disco, in Scott H. Biram, sono sempre combattuto tra l’ammirazione e la voglia di prenderlo a calci nel culo (si può dire calci?). Il talento nel musicista texano indubbiamente c’è, si è “inventato” questo stile da one man band, o meglio da Dirty Old One Man Band, che però è il classico discendente del cosiddetto “fenomeno da baraccone” delle feste di paese, quelli che girano tuttora per gli Stati Uniti e l’Europa con il loro armamentario (mi ricordo di Otto e Barnelli, lanciati da Arbore, o l’Edoardo Bennato degli inizi, che armato di chitarra, armonica, kazoo e di una grancassa azionata dai piedi, ma non solo, proponevano la loro personale visione del blues).

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Ma c’è tutta una tradizione di musicisti di questo stampo, Biram ha espresso la sua ammirazione per Hasil Hadkins e Bob Logg III, ma come non citare Hammell On Trial e Mojo Nixon & Skid Roper, forse Scott ha aggiunto una componente caciarona, elettrica, che quasi sconfina, di tanto in tanto, nell’hard rock e quasi nel metal, che è quella che gli ha attirato l’attenzione di chi cerca il “diverso” a tutti i costi e che fa girare ogni tanto le balle al sottoscritto. Il nostro amico ha vinto anche parecchi premi ufficiali, che accetta senza problemi, esibendosi tanto al Lincoln Center di New York come al SXSW di Austin, gira l’Europa con regolarità, 16 tour in giro per il continente, ha un buon contratto con la Bloodshot che gli pubblica regolarmente i CD e un discreto riscontro di critica e pubblico.

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Questo Nothin’ But Blood è il sesto album per la Bloodshot e l’undicesimo della sua carriera: non male per uno che nel 2003 era stato praticamente fatto a fettine da uno dei grossi “truck” che girano per le strade degli Stati Uniti e aveva rischiato di morire http://www.youtube.com/watch?v=CAsOX4wSt4U . E l’attacco di questo disco con un brano come Slow And Easy, che fin dal titolo mi aveva fatto pensare che Biram avesse messo la testa a posto e deciso di dedicarsi ad un folk-blues che tiene conto sia degli autori contemporanei texani, quanto di vecchi bluesmen come Mance Lipscomb e Lightnin’ Hopkins http://www.youtube.com/watch?v=VJ6AZzj7JjE , o icone come Leadbelly e Doc Watson: la voce non filtrata, piana e diretta, una chitarra acustica in fingerpicking, una elettrica distorta sullo sfondo, ma sotto controllo, qualche altro strumento a corda sovrainciso ed una atmosfera da “quiete prima della tempesta”. Anche Gotta Get To Heaven mantiene uno spirito minimale, la voce arriva da lontano, distorta ma nei limiti, le chitarre elettriche e qualche percussione aggiungono uno spirito country-blues-gospel al brano, ma siamo sempre in un ambito quasi tradizionale.

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Ma è proprio in Alcohol Blues una cover di Mance Lipscomb che lo spirito da rocker di Scott si manifesta, un riff di chitarra da southern rock della più bell’acqua, un cantato che più che a Townes Van Zandt si rifà a Ronnie Van Zant e un breve assolo di elettrica da vero guitar hero, un uomo solo al comando, però funziona. Never Comin’ Home è un country blues bellissimo, qui vicino allo spirito di gente come Townes, con un testo molto evocativo sulla vita selvaggia e dura del solitario http://www.youtube.com/watch?v=CXkRmEUuPu4 . Ha resistito quattro pezzi ma non è nella sua natura, Only Whiskey sembra un pezzo degli Stooges o degli MC5, senza sezione ritmica, ma con lo spirito punk della chitarra e la voce distorta e incazzosa di Scott Biram http://www.youtube.com/watch?v=HRb2xhcDc2U . Jack Of Diamonds con una slide minacciosa che sembra uscire dalle paludi del Mississippi e dintorni è un altro esempio del buon blues che il texano è in grado di regalare http://www.youtube.com/watch?v=KyK8wWlt4gg . Nam Weed, racconta la sua visione del Vietnam, in un brano che ha l’immediatezza dei migliori Dylan o Prine, perfetto nella sua semplicità.

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Fin qui tutto bene, a parte un paio di inc…ture, ma l’uno-due della cattivissima Back Door Man, Howlin’ Wolf targato Dixon, filtrato attraverso Captain Beefheart, ma profondamente blues, e della riffatissima Church Point Girls, ancora MC5 misti ai primi Canned Heat, però tutto più incasinato, riportano al combat punk e in un attimo siamo di nuovo a I’m Troubled, voce, armonica e acustica che è puro Woody Guthrie o Doc Watson, che l’ha scritta. Ma, senza tregua, arriva il garage punk ai limiti feedback di una violentissima Around The Bend, che richiama addirittura la Summertime Blues dei Blue Cheer, quasi sei minuti cattivissimi che, per chi scrive, appartengono al Biram che vorrei prendere a calci nel culo, meno di altre volte in questo disco. Poi, come se nulla fosse, intona Amazing Grace, solo voce, armonica e gli effetti sonori di un temporale, non è normale uno così, ai limiti del genio, ma al contempo pazzo. Di nuovo country-blues-gospel per una When I Die molto godibile, forse influenzata dalle recenti collaborazioni con Shooter Jennings http://www.youtube.com/watch?v=0Y8s9FwE4ek  e il duetto finale con Jesse Vain per una John The Revelator che vira decisamente verso il blues.                                                                                 

Bruno Conti      

Finalmente Degno Di Tanto Padre! Shooter Jennings – The Other Life

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Shooter Jennings – The Other Life – Black Country Rock/Entertainment One/Blue Rose

Come disse un tempo Jannacci Enzo da Milano, ogni tanto, “l’importante è esagerare”, e in questo caso mi sentirei di dire, finalmente Shooter è degno di tanto padre (e pure la mamma, Jessi Colter, sarà orgogliosa),  anche se, ad essere sinceri, Shooter Jennings di dischi belli ne ha già fatti parecchi, con Black Ribbons aveva messo a dura prova la pazienza dei suoi fans, con un disco che era un incrocio tra i Nine Inch Nails, detto da lui (e fin lì nulla di male) e il country-southern-rock, due mondi che difficilmente coincidono, più che altro collidono. Ma già il precedente Family Man, per dirla con il titolo del suo primo disco, aveva Put The O Back In Country, ed ora questo The Other Life completa l’opera, rivelandosi forse il suo migliore in assoluto. Il nostro amico Shooter, vero nome Waylon Albright Jennings, in onore del babbo, il fisico dell’outlaw ce l’ha, e anche la classe del musicista e la voce non si discutono, probabilmente non sarà mai un n.1 come il padre Waylon, che già alla fine degli anni ’50 era nella band di Buddy Holly e schivò l’incidente aereo del “The Day The Music Died” (dove oltre a Holly persero la vita anche Ritchie “Bamba”Valens e Big Bopper) per un pelo, diventando poi uno fondatori del movimento outlaw che ha rivoluzionato la musica country fino alle sue fondamenta. Il figlio ha il DNA dell’augusto genitore nelle sue cellule e questo nuovo album lo testimonia.

Essendo un figlio degli anni ’70 (1979 per la precisione) e quindi cresciuto negli anni ’90, Jennings jr. è stato influenzato anche da altri tipi di musica e questo ogni tanto traspare nelle sue canzoni, finché si tratta di rock e ancora meglio di southern rock, nulla di male, ma quando si lancia nell’alternative o nel pseudo psichedelico lo si capisce meno. Prendete ad esempio una canzone come l’iniziale Flying Saucer Song,che era uno dei brani che appariva in Pussy Cats (come bonus), il disco di Harry Nilsson prodotto da John Lennon, ma qui, in apertura di CD, sembra una outtake da qualche disco di Mike Oldfield, tastiere ovunque, suonate dallo stesso Shooter e da Erik Deutsche, piano, organo, wurlitzer, synth vari, voci trattate, vuoi vedere che ci è ricascato? Anche se poi un certo fascino si percepisce comunque, molto meglio il rock deciso e chitarristico di A Hard Lesson To Learn dove la pedal steel di Jon Graboff, co-autore del brano, comincia a spargere buona musica nei solchi digitali del disco, le tastiere ci sono, rappresentate da un gagliardo organo Hammond.

Quando però si decide di entrare a piedi uniti nel country di famiglia le cose si fanno serie: il galletto e gli uccellini che ci accolgono all’inizio di The White Trash Song (scritta da Steve Young) fanno da preludio ad un tripudio di pedal steel, violini, piano e alla follia sonora del “fuori di testa” di Austin, Texas, Scott H. Biram, che mette la testa a posto per un travolgente duetto con Jennings che più outlaw non si può. Il duetto con Patty Griffin in Wild and Lonesome è una ballata country di quelle che ormai si ascoltano raramente, del tutto degna delle migliori collaborazioni tra Gram Parsons ed Emmylou dei tempi che furono, ma anche di Waylon & Jessi, una piccola perla. Outlaw You che già dal titolo, e poi nel testo, cita e ricorda personaggi come Johnny Cash e babbo Waylon, si regge su un violino insinuante (suonato nel disco, di volta in volta, da Eleanor Whitmore, Stephanie Coleman e dal veterano Kenny Kosek), sul banjo di Bailey Cook e sulle chitarre del già citato Graboff e dei due chitarristi solisti , Jeff Hill e Steve Elliot, Steve Earle non gli fa un baffo, grande brano! La title-track, The Other Life, è un’altra ballatona di quelle struggenti, sorretta nuovamente da piano, pedal steel e chitarre, presenta i “soliti ingredienti”, ma se sono usati bene la loro porca figura la fanno sempre, soprattutto se chi canta ci mette il giusto impegno.

The Low Road è nuovamente del sano outlaw country-rock, che mescola banjo e steel con il suono rock delle chitarre, l’andamento pigro ma deciso della ritmica e la grinta del cantato, che è lontana anni luce dalla melassa di Nashville. Mama, It’s Just My Medicine è un country & roll di quelli ruspanti, con un assolo di synth che, stranamente, si inserisce perfettamente nel tessuto più moderno del brano, forse destinato alle radio, commerciale, ma averne di brani così sulle onde radio. The Outsider è un altro perfetto esempio di country song pura e dura, con l’aggiunta dell’armonica di Mickey Raphael che potrebbe proporla al suo datore di lavore Willie Nelson. 15 Million Light-Years Away presenta una accoppiata inconsueta, Jim Dandy (il cantante dei Black Oak Arkansas) con il suo vocione inconfondibile si adatta “come un pisello nel suo baccello” al mood della canzone e questo mid-tempo elettrico è un altro highlight del CD, permettendo ai due chitarristi di dare libero sfogo al loro solismo, poi reiterato nella lunga e tiratissima ode di progressive southern rock, The Gunslinger, dove chitarre, tastiere e un sax inconsueto si fanno largo tra i “motherf**ers” che nel testo si sprecano, inizio misurato e crescendo micidiale. Ben fatto, Shooter Jennings!                                        

Bruno Conti