Un Ripasso Della “Seconda Carriera” Della Storica Band Sudista. Lynyrd Skynyrd – Nothing Comes Easy 1991-2012

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Lynyrd Skynyrd – Nothing Comes Easy 1991-2012 – Hear No Evil/Cherry Red 5CD Box Set

I Lynyrd Skynyrd, tra i più leggendari gruppi southern rock ancora in attività, sono discograficamente fermi a Last Of A Dyin’ Breed del 2012 https://discoclub.myblog.it/2012/09/03/e-alla-fine-ne-rimase-uno-lynyrd-skynyrd-last-of-a-dyin-bree/ , anche se fra live e tributi non hanno mai smesso di dare alle stampe materiale a loro nome. In questi giorni il mercato vede l’uscita di ben due progetti riguardanti la band di Jacksonville: il 9 aprile verrà rilasciato in varie configurazioni Live At Knebworth ’76, una mezza fregatura dato che in gran parte era già stato pubblicato anni fa con un altro titolo (ma ve ne parlerà prossimamente ed in maniera più diffusa Bruno), mentre è già disponibile da qualche settimana Nothing Comes Easy 1991-2012, un box quintuplo in formato “clamshell” che si occupa di riepilogare parzialmente la carriera dei nostri a seguito della reunion avvenuta nel 1987, dieci anni dopo il tristemente noto incidente aereo che mise temporaneamente fine alla loro avventura. Il cofanetto ripropone quattro studio album pubblicati nel periodo indicato nel titolo oltre ad un raro EP, scelti peraltro senza un preciso criterio logico: infatti sono presenti i primi due dischi dalla reunion in poi e gli ultimi due, tralasciando quindi il periodo di mezzo formato dall’ottimo unplugged di studio Endangered Species, i discreti Twenty e Edge Of Forever ed il poco riuscito Vicious Cycle.

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Una pubblicazione quindi che interesserà più i neofiti o coloro che possiedono solo i lavori degli anni 70, visto che le strombazzate bonus tracks aggiunte ad ogni dischetto non sono né così rare né tantomeno imprescindibili. In generale il box offre comunque un buon ripasso della discografia recente del gruppo (ed il tutto è stato opportunamente rimasterizzato), con i primi due album ancora legati a doppio filo ai classici rock, blues e boogie tipicamente southern, ed il resto in cui il sound si sposta decisamente su territori hard e AOR. Il primo CD è dedicato a Lynyrd Skynyrd 1991 (indovinate in che anno è uscito), album pubblicato originariamente dalla Atlantic e prodotto dal grande Tom Dowd, con i membri della formazione “classica” Gary Rossington, Ed King, Billy Powell, Leon Wilkeson ed Artimus Pyle (che lascerà la band proprio in quell’anno sostituito da Kurt Custer), raggiunti dai nuovi Johnny Van Zant alla voce e Randall Hall alla chitarra, sostituti rispettivamente del fratello Ronnie Van Zant e di Steve Gaines, scomparsi nel già citato incidente aereo. Il disco è ancora oggi il migliore dal ’91 in poi, e può stare dignitosamente vicino ai lavori pubblicati dai nostri nei seventies, a partire dall’iniziale Smokestack Lightning, un trascinante boogie nel loro tipico stile con tutte le caratteristiche al posto giusto: voce grintosa, chitarre al vento, pianoforte infuocato e backing vocals femminili https://www.youtube.com/watch?v=rfRGWeZtUVk&list=OLAK5uy_m25iVuFxJgmtT0GFLElidVfR9G2Jv6oOk .

lynyrd skynyrd 1991

Gli altri highlights sono le potenti e rockeggianti Keeping The Faith, Southern Women, Good Thing (dalla strepitosa coda strumentale) e End Of The Road, tutte all’insegna del gran ritmo e chitarre goduriose, ben controbilanciate dalla limpida ballata elettroacustica Pure & Simple, il saltellante blues Money Man e Mama (Afraid To Say Goodbye), splendida soulful ballad di sette minuti; ci sono anche due pezzi dal suono un tantino “rotondo” (I’ve Seen Enough e It’s A Killer), ma sono entrambi perdonabili. Come unica e poco interessante bonus track abbiamo la versione “edit” di Keeping The Faith. Prodotto da un altro luminare del southern sound, Berry Beckett, The Last Rebel (1993, secondo CD del cofanetto) è ancora un buon disco anche se leggermente inferiore al suo predecessore, e comincia qua e là a spuntare qualche synth seppur usato con parsimonia. I punti di forza dell’album sono l’epica title track, forse la migliore ballata degli Skynyrd dalla reunion in avanti https://www.youtube.com/watch?v=rfRGWeZtUVk&list=OLAK5uy_m25iVuFxJgmtT0GFLElidVfR9G2Jv6oOk , il trascinante rock’n’roll Best Things In Life, sulla scia di classici come Down South Jukin’ e What’s Your Name, e la scintillante country ballad sudista Can’t Take That Away https://www.youtube.com/watch?v=fYA4XqP2Ih8 .

lynyrd skynyrd the last rebel

Non male neppure il sanguigno boogie con fiati Good Lovin’s Hard To Find, l’energica e possente One Thing, il godibile midtempo elettrico Outta Hell In My Dodge e la conclusiva Born To Run, con formidabile finale strumentale che vede il piano di Powell salire in cattedra. Anche qui con le tracce bonus non è che si siano sprecati, avendo aggiunto solo altre due edit versions (The Last Rebel e Born To Run), ed una bella rilettura acustica della title track che però è la stessa di Endangered Species. E veniamo al terzo dischetto, che ci fa fare un balzo in avanti di ben sedici anni e propone God & Guns: di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, la band ha sofferto altre perdite eccellenti (Powell, che però ha fatto in tempo a completare le sessions dell’album, e Wilkeson, mentre King ha lasciato il gruppo nel 1996 per problemi di salute) e quindi Rossington è rimasto l’unico membro originale, raggiunto però dall’ex Blackfoot Rickey Medlocke, che aveva brevemente fatto parte degli Skynyrd prima del loro esordio nel 1973, mentre gli altri componenti sono onesti mestieranti. Ma soprattutto i nostri hanno indurito all’inverosimile il suono alla stregua di un qualsiasi gruppo hard rock (con puntate verso l’AOR), ed il ricorso ad un produttore esperto in hard & heavy come Bob Marlette è significativo, così come la presenza tra gli ospiti di Rob Zombie https://www.youtube.com/watch?v=Vw_6eUgpo30&list=OLAK5uy_nHKof2QbYo33gN7YQ69kwUCAJK-zaQeM8 .

lynyrd skynyrd god and guns

Suono pesante quindi, come nella potentissima Still Unbroken, con uno di quei riffoni tagliati con l’accetta ed un assolo con steroidi a mille, o la roboante Simple Life, che però ha un ritornello decisamente radio friendly, la solida Little Thing Called You, southern rock per palati forti, l’autocelebrativa e durissima Skynyrd Nation e Comin’ Back For More, con Van Zant che sembra quasi Alice Cooper. Comunque grinta e feeling non mancano, i dischi brutti sono altri, anche se questi Lynyrd Skynyrd sono un’altra band non solo rispetto a quelli degli anni 70 ma anche paragonati ai primi due CD di questo box. Tracce del vecchio smalto ci sono ancora, come nella bella e limpida Southern Ways, che riprende volutamente il mood di Sweet Home Alabama, le ballatone Unwrite That Song, un po’ ruffiana ma dall’indubbio pathos, e That Ain’t My America, anche meglio nonostante il testo infarcito di stucchevole patriottismo, o la splendida Gifted Hands che è di gran lunga il pezzo migliore grazie anche ad un notevole finale chitarristico. Anche qui un misero bonus, Still Unbroken nella solita versione accorciata. Il quarto CD è ancora legato a God & Guns, in quanto si tratta dell’EP di sei pezzi incluso nelle prime copie del disco del 2009 (e qui di bonus tracks neanche l’ombra): tre outtakes di studio, delle quali l’unica degna di nota è il robusto country-blues Hobo Kinda Man, e tre brani dal vivo registrati nel 2007: la non eccelsa Red, White & Blue e le sempre formidabili Call Me The Breeze e Sweet Home Alabama.

lynyrd skynyrd last of a dying breed

Ed eccoci al quinto ed ultimo CD, il già citato Last Of A Dyin’ Breed del 2012, un disco con lo stesso approccio sonoro di God & Guns (e lo stesso produttore), ma nel complesso meno riuscito https://www.youtube.com/watch?v=ekOH20mxjP4&list=OLAK5uy_kPCkCe5wrWR5c1E_tAgDlWMlhDYrmncO4 . Alti e bassi, tra reminiscenze southern del bel tempo che fu e sonorità decisamente più tamarre: qualche buona canzone c’è, come l’iniziale title track, un bel boogie deciso, coinvolgente e tirato che è un piacere, la rock ballad One Day At A Time, dotata di un ritornello sufficientemente epico, la lenta Something To Live For, ballatona di livello più che buono e suonata nel modo giusto, e la fiera e potente Life’s Twisted. Il resto è hard rock di media qualità, con alcuni brani pessimi come Homegrown e Nothing Comes Easy, oltre a Ready To Fly che è uno slow abbastanza insapore. Qui le bonus tracks sono ben sei, vale a dire tutte quelle comprese nelle due edizioni deluxe dell’epoca (quella “normale” e quella esclusiva della rivista Classic Rock): quattro pezzi in studio, dei quali l’unico davvero incisivo è il rock-boogie Do It Up Right, con i suoi rimandi ai seventies, e due dal vivo, la non imperdibile Skynyrd Nation e la travolgente Gimme Three Steps, southern rock’n’roll allo stato puro. In conclusione, un boxettino che forse può valer la pena acquistare se non si conoscono i Lynyrd Skynyrd “post crash”, ma abbastanza inutile se si possiedono già i dischi in questione, anche per la deludente scelta di bonus tracks.

Marco Verdi

George Thorogood: Mr. Bad To The Bone! Parte II

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(MANDATORY CREDIT Ebet Roberts/Getty Images) UNITED STATES - JULY 13: Photo of LIVE AID and Bo DIDDLEY and George THOROGOOD; w/ Bo Diddley at Live Aid (Photo by Ebet Roberts/Redferns)

(MANDATORY CREDIT Ebet Roberts/Getty Images) UNITED STATES – JULY 13: Photo of LIVE AID and Bo DIDDLEY and George THOROGOOD; w/ Bo Diddley at Live Aid (Photo by Ebet Roberts/Redferns)

Seconda Parte.

Gli Anni Della Consacrazione Commerciale E La Conseguente Discesa 1985-1999

Dopo tre anni di concerti infiniti ( ne parliamo a fine articolo) si arriva al nuovo album di studio, nell’anno della partecipazione al Live Aid esce

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Maverick – 1985 Emi America – ***1/2 Dove arriva il nuovo produttore Terry Manning, partito con il soul Stax e poi passato anche per i Led Zeppelin fino ad approdare agli ZZ Top, un’altra band che di boogie e blues se ne intendeva, il suono si fa un più duro e mainstream, ma i nostri ci danno dentro comunque, come dimostra l’uno-due iniziale di Gear Jammer che va di slide, e I Drink Alone, un altro dei grandi cavalli di battaglia di Thorogood, che complessivamente firma ben quattro canzoni https://www.youtube.com/watch?v=4E9ydw_aDMg , notevole anche la famosa Willie And The Hand Jive di Johnny Otis, l’unico singolo che in carriera entrerà nella Top 100, forse perché sembra in tutto e per tutto un brano alla Bo Diddley https://www.youtube.com/watch?v=AuNOkGnEme8 . Insomma la qualità dei dischi comincia a diminuire, benché il tocco country di What A Price di Fats Domino e ldela conclusiva The Ballad Of Maverick e il rockabilly di Dixie Fried di Carl Perkins non sono per niente male, e una minacciosa e sospesa Crawling King Snake di Sor John Lee Hooker, e ben due Chuck Berry il medley Memphis/Little Marie e Go Go Go, dimostrano che il tocco magico non è scomparso. Dopo altri tre anni, e il primo disco ufficiale dal vivo arriva

George Thorogood BornToBeBad

Born To Be Bad – 1988 EMI *** Ancora Terry Manning in cabina di regia, suono sempre troppo secco e anni ‘80, anche se alcuni brani tirano di brutto, come l’iniziale Shake Your Money Maker dell’amato Elmore James dove Thorogood va di bottleneck con libidine  https://www.youtube.com/watch?v=pNKFePZk3rQ , come pure in Highway 49 di Big Joe Williams, rock’n’roll per You Can’t Catch Me e I’m Ready quella di Fats Domino, un po’ di R&B scatenato in Treat Her Right a tutto sax, blues nella “cattiva” e ululante Smokestack Lightning e nel train time di I’m Movin’ On, successo di vendite e fama sempre stabili. Dopo altri tre anni si entra nella nuova decade, con l’arrivo di un nuovo chitarrista Steve Chrismar che appare in

George Thorogood BoogiePeople

Boogie People – 1991 EMI ***1/2, con un suono decisamente più grintoso e sul versante blues-rock e classic rock, come testimonia l’iniziale If You Don’t Start Drinkin’, molto buona Long Distance Lover a tutta slide, il classico boogie Mad Man Blues di John Lee Hooker, come pure la cover acustica di I Can’t Be Satisfied di Muddy Waters, solo voce e chitarra con bottleneck, non un granché la title track, ottima la “lupesca” No Place To Go di Howlin’ Wolf https://www.youtube.com/watch?v=7burMF7K-Lk  , seguita da una gagliarda Six Days On The Road e dalla tirata Born In Chicago, con ottimo lavoro della solista, un tuffo nel country con la piacevole Oklahoma Sweetheart e l’omaggio R&R all’amato Chuck Berry con la riffatissima Hello Little Girl. Quindi un buon disco, che però non ha successo e segnala un declino del successo di Thorogood, che procede anche con il successivo

George Thorogood -Haircut

Haircut – 1993 Capitol *** Un solo pezzo firmato da George, su, indovinato, i canonici dieci: produce ancora Manning, Get A Haircut è un brano divertente ma non essenziale, questa volta ci sono tre canzoni a firma Wiilie Dixon, due per Howlin’ Wolf, tra cui la classica Howlin’ For My Baby, oltre a I’m Ready che ogni tanto Thorogood incide in studio, bene anche Cops And Robbers con il tipico drive sonoro del suo autore Bo Diddley https://www.youtube.com/watch?v=l7QKNP-C-CU , l’immancabile John Lee Hooker di Want Ad Blues e una “strana” Gone Dead Train, un pezzo cantato in origine da Randy Newman nella colonna sonora di Performance, il film con Mick Jagger https://www.youtube.com/watch?v=dSgWQSVGgig . Anche questo disco non rientra nella categoria degli indispensabili. Dopo quattro anni arriva l’ultimo CD per la Capitol, anche questo, per usare un eufemismo, non particolarmente brillante, parliamo di

George Thorogood RockinMyLifeAway

Rockin’ My Life Away – 1997 Capitol **1/2 Prodotto dalla band insieme a Waddy Wachtel(!), variazione sul tema ci sono 12 brani, alcuni anche inconsueti: Trouble Every Day di Frank Zappa, che in questa versione sembra un brano della J.Geils Band, anche vocalmente https://www.youtube.com/watch?v=UT6DRjA8k7s , mentre in Night Rider si va di slide, ma il brano è moscio, anche in The Usual, una bella canzone di John Hiatt il suono non sembra particolarmente brillante, e così via, anche il country Living With the Shades Pulled Down di Merle Haggard non acchiappa più di tanto, si salvano, a fatica, Manhattan Slide di Elmore James, il R&R della title track, e la cadenzata Blues Hangover di Slim Harpo. Non un brutto disco, ma manca la grinte e per un disco di Thorogood è una eresia: per il successivo album, l’ultimo del millennio

George Thorogood Half_a_BoyHalf_a_Man

Half a Boy/Half a Man – 1999 CMC *** torna Terry Manning alla produzione, un po’ meglio, ma niente di che. C’è anche una nuova etichetta del gruppo BMG, ma la collaborazione durerà per un solo album, più un Live: per confondere le idee si prova con 11 canzoni, solo un Chuck Berry e un Fats Domino, poi brani abbastanza oscuri di Keith Sykes B.I.G.T.I.M.E., la title track di Nick Lowe, un pezzo poco noto di Solomon Burke come Be Bop Grandma https://www.youtube.com/watch?v=gawgzsAqL4I  , ma anche due canzoni firmate da Willie Dixon, una per Little Walter e una per Magic Sam, in quota Blues, e Double Shot, tra R&R e R&B. Dopo una pausa di quattro anni, nuovo secolo, nuova casa discografica, nuovo produttore

george thorogood 2000's

Gli Anni 2000, Con Colpo Di Coda Finale.

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Ride ‘Til I Die – 2003 Eagle Records***1/2 Dietro la consolle c’è Jim Gaines, uno che di solito di blues ne capisce (ma non sempre), però questa volta ci siamo, anche l’arrivo di Jim Suhler, altro chitarrista coi fiocchi, controfiocchi e pappafico, alza il livello, forse non tutte le canzoni sono all’altezza, però: Greedy Man, scritta dal sassofonista jazz Woody Shaw è un ottima partenza, con la slide di George che si confronta con il sax di Hank Carter alla ultima apparizione con i Destroyers https://www.youtube.com/watch?v=y-ZyrDQpAu4 , Sweet Little Lady è un buon pezzo rock dove Thorogood e Suhler che sono anche gli autori se le suonano di gusto, Don’t Let The Bossman Get You Down è un gagliardo blues elettrico di Elvin Bishop del 1991, mentre anche il pezzo di JJ Cale Devil In Disguise subisce il trattamento boogie à la Destroyers, poi ripetuto nella ruvida She’s Gone di Hound Dog Taylor https://www.youtube.com/watch?v=0c7H3mWWwK8 , The Fixer è un robusto rock-blues scritto da Tom Hambridge il batterista/produttore. You Don’t Love Me, You Don’t Care, un brano di Bo Didley, sembra La Grange parte 2, veramente potente, poi si va di R&R con My Way di Eddie Cochran, e niente male anche That’s It I Quit, un tipico pezzo di Nick Lowe, e pure come country ci siamo, I Washed My Hands In Muddy Water, un pezzo che anche Elvis Presley incise in Elvis Country è veramente delizioso https://www.youtube.com/watch?v=QfofoLFQLhU , Move It di Chuck Berry è una garanzia, come pure la title track, un pezzo di John Lee Hooker, in versione acustica ma trascinante. Tre anni dopo arriva

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The Hard Stuff – 2006 Eagle Records ***1/2 Altro buon album, il 13° in studio prodotto nuovamente da Gaines, addirittura ben 15 brani (e nel precedente ce ne erano 13): con il nuovo sassofonista Buddy Leach, che è tuttora con i Destroyers, e una scelta del materiale interessante, grazie anche alla presenza di Rick Steff, alla fisarmonica e piano, e dell’aggiunta di Tom Hambridge, come co-produttore e autore di quattro canzoni, tra cui la esplosiva title-track https://www.youtube.com/watch?v=j1lCNtLQ1mM , la riffatissima I Did’t Know e Any Town U.S.A che sembra un brano del Mellencamp più rock https://www.youtube.com/watch?v=2THiY8mV148 . Ottime Hello Josephine di Fats Domino, che grazie alla fisa sembra, un pezzo cajun https://www.youtube.com/watch?v=3mxdw8j8iOI , Little Rain Falling una bella blues ballad con uso sax, scritta da Jimmy Reed, Dynaflow Blues di Johnny Shines dove George si esibisce alla acustica con bottleneck, una scatenata Rock Party scritta dal musicista contemporaneo texano Holland K. Smith, che sembra un pezzo dei migliori Rockpile o Blasters. Eccellente anche una rispettosa cover di Drifter’s Escape di Bob Dylan, la turbolenta Give Me Back My Wig del vate Hound Tog Taylor, la magnifica Taking Care Of Business, con profumi di Louisiana, grazie al suo autore Rudy Toombs, e un superbo lavoro del nostro alla slide https://www.youtube.com/watch?v=uEi2CN-KbfA , che poi si ripete nella vorticosa Huckle Up Baby di John Lee Hooker. Questo è il Thorogood che ci piace, che poi torna alla Capitol per l’ultimo album pubblicato nella decade

George Thorogood TheDirtyDozen

The Dirty Dozen – 2009 Capitol *** Anche se è una mezza fregatura, perché a fianco di sei brani nuovi tutti belli, ci sono sei canzoni tratte dai vecchi dischi della EMI. Il produttore è ancora Jim Gaines: le sei canzoni nuove sono tutte cover, Tail Dragger, Willie Dixon per Howlin’ Wolf, solita formula dei Destroyers, ovvero sano rock-blues tirato https://www.youtube.com/watch?v=beGfipR1mIY , Drop Down Mama è di Sleepy John Estes, un boogie con slide, una sorta di southern rock nordista, vista l’origine del nostro, Run Myself Out Of Townè un pezzo degli Holmes Brothers, un bel roots-rock, Born Lover di Muddy Waters, sempre con bottleneck a manetta, è un boogie rock travolgente, Twenty Dollar Gig tra R&R e R&B, con sax in evidenza e Let Me Pass di Ellas McDaniel completano il CD a tempo di robusto Bo Diddley beat.

george thorogood live in boston 1982 first edition

La nuova decade parte con il botto: intanto nel 2010 viene pubblicato il Live In Boston 1982 ****, dalla Rounder, la vecchia etichetta di George,che è stato diciamo la causa scatenante per questo articolo. All’inizio dell’anno successivo esce un altro eccellente album della discografia del musicista di Wilmington, ovvero l’ottimo

George Thorogood 2120_South_Michigan_Ave.

2120 South Michigan Avenue – 2011 Capitol **** Stiamo parlando dell’indirizzo dei famosi Chess Studios a Chicago, una delle mecche del blues, dove anche i Rolling Stones registrarono negli anni ‘60. Il produttore è di nuovo Tom Hardbridge, e come ospiti appaiono Buddy Guy, in una strepitosa rilettura di Hi-Heel Sneakers, un brano di Tommy Tucker dove i due chitarristi, soprattutto Guy, se le “suonano” di santa ragione https://www.youtube.com/watch?v=rhQtXHN8TvM , e anche Charlie Musselwhite è presente in due brani, prima una vibrante My Babe e poi nella title track, attribuita a Nanker Phelge, che era lo pseudonimo che usavano i Rolling Stones per le composizioni collettive, a piano ed organo per questo strumentale molto sixties anche Kevin McKendree, che insieme a Tommy McDonald e Hambridge, suona in alcuni brani del CD, quando non appaiono i Destroyers https://www.youtube.com/watch?v=SYMQQzIOFyg . Ottimi anche i due brani dell’accoppiata Thorogood/Hambridge, la potentissima Going Back a tutta slide e Willie Dixon’s Gone, altra blues song tosta e poi una sequenza di classici del blues, Seventh Son, Spoonful, Two Trains Running, Mama Talk To Your Daughter, Help Me, Chicago Bound e del rock and roll, Let It Rock e Bo Diddley, tutti eseguiti in modo brillantissimo con Thorogood in grande spolvero https://www.youtube.com/watch?v=u7UlDyUcV4I . Sembrava essere un ritorno di George ai livelli della prima parte di carriera, e invece cala il silenzio. Concerti dal vivo ne escono un paio, uno del 2013 e uno registrato nel 1980, ma per un nuovo album di studio, dobbiamo attendere fino all’uscita dell’unico album solo di George Thorogood

george thorogood party of one

Party Of One – 2017 Rounder/Spinefarm ***1/2 che esce 40 anni dopo il debutto omonimo, un album principalmente acustico, anche se il nostro amico non resiste ed in alcuni brani tira fuori la sua Gibson elettrica: produce di nuovo Jim Gaines ed il disco è proprio bello, anche se il titolo è “rubato” da un disco di Nick Lowe del 1990, I’m A Steady Rollin’ Man di Robert Johnson, apre le procedure, acustica con bottleneck e grande intensità https://www.youtube.com/watch?v=zKhgnxbsGlw , Soft Spot di Gary Nicholson è una via di mezzo tra Cash e il Presley ‘68 in modalità unplugged, Talahassee Women è un pezzo anni ‘30 che assomiglia a certe cose del primo Rory Gallagher, Wang Dang Doodle di Willie Dixon regge anche in versione acustica, come pure una delicata Boogie Chillen di John Lee Hooker. Eccellente anche No Expectations degli Stones, solo voce e acustica con bottleneck https://www.youtube.com/watch?v=qSyh5tC94l8 , Bad News di John D. Loudermilk sembra nuovamente un pezzo del Johnny Cash anni ‘60, mentre Down The Highway era su The Freewheelin’ Dylan, anche questa fatta molto bene, e Got To Move di Elmore James non si può fare senza una elettrica, ma The Sky Is Crying evidentemente sì, sempre in modalità slide. Dal lato tradizionale anche un Brownie McGhee e un Hank Williams, altre due canzoni del vecchio Hook, tra cui una One Bourbon, One Scotch, One Beer, dal vivo in solitaria e a chiudere una Dynaflow Blues dylaniana, alla faccia di chi pensa che i dischi di Thorogood siano tutti uguali  , saltiamo le sette antologie e veniamo ai dischi dal vivo.

george thorogood livegeorge thorogood live let's work together

Il primo, l’omonimo Live – 1986 EMI *** non è però rappresentativo della vera forza dei concerti del nostro, un po’ come era stato per Springsteen con il suo cofanetto ufficiale dal vivo, questa data registrata in Ohio, pur contenendo molti classici non soddisfa a fondo, intendiamoci non parliamo di un brutto album, d’altronde Who Do You Love? https://www.youtube.com/watch?v=mYcob11rKHc , Bottom Of The Sea di Muddy Waters, Night Time, I Drink Alone, One Bourbon, One Scotch, One Beer, Madison Blues, una attesissima Bad To The Bone, The Sky Is Crying e Reelin’ And Rockin’ danno l’idea del suo carisma di performer, e neppure Live: Let’s Work Together – 1995 Capitol *** registrato in due date del 1994 a Saint Louis e Atlanta, pur essendo più che rispettabile, soddisfa del tutto: non ci sono brani in comune con il Live del 1986, il pubblico è comunque entusiasta già da prima che inizi il concerto, il suono è più brillante e presente, ma come detto non convince a fondo, ottime No Particular Place To Go di Chuck Berry e Ride On Josphine con il classico Diddley Beat, il country-boogie di Cocaine Blues, una galoppante I’m Ready, Get A Haircut molto stonesiana  , la pimpante Move It On Over e la dirompente Let’s Work Together, oltre alla conclusiva Johnny B. Goode, presentata come inno nazionale del R&R e che se la batte con la versione di Johnny Winter https://www.youtube.com/watch?v=xZYcBFqaca0 .

george thorogood live in '99george thorogood live 30th anniversay

Anche Live In ‘99 – 1999 CMC *** è un disco dal vivo di discreta qualità (parliamo sempre del prodotto discografico, il perfomer non si discute), con punte di eccellenza nelle “solite” Who Do You Love?, una colossale anche se spezzettata One Bourbon, One Scotch, One Beer, l’uno-due di Get A Haircut/Bad To The Bone e la conclusiva You Talk To Much. Finalmente con Live 30TH Anniversary Tour – 2004 Capitol ***1/2 ci siamo, suono potente e presente, preceduto dal suo solito saluto al pubblico “How Sweet It Is”, vengono presentate, a fianco delle immancabili Who Do You Love, One Bourbon…, The Sky Is Cryng e Bad The Bone, anche I Drink Alone, lo slow blues Don’t Let The Bossman Get You Down, una scatenata Sweet Little Lady https://www.youtube.com/watch?v=cH3Twc55od8  e nella parte finale Greedy Man, The Fixer molto garage, That’s It I Quit e Rockin’ My Life Away.

george thorogood live in boston 1982george thorogood live at montreux 2013

Nella seconda parte della decade escono forse i due Live mgliori in assoluto, insieme alla recente strepitosa ristampa potenziata di Live In Boston 1982 – 2020 2 CD Rounder/Universal **** https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_n-_3nWNtXXXuc083M4gGHqJL1fvbOy13M , ovvero Live At Montreux 2013 – CD DVD e Blu-ray Eagle Records **** con qualità audio/audio superba e qui mi cito: “anche i “malcapitati” (o fortunati) del Festival di Montreux dopo lo “Smoke On The Water” dei tempi che furono vedono di nuovo il fumo alzarsi dai locali del casinò, ma è quello dell’energia che sprigiona da questo uomo, sempre uguale ma sempre diverso nei sentimenti che ti ispira. Sarà solo Rock’n’roll ma minchia (scusate), che grinta, non ha nulla da invidiare a quella delle origini, voce e chitarra sono ancora oggi incredibili, la bandana non manca mai e lui è sempre una forza della natura https://www.youtube.com/watch?v=wZwHXdUVBuQ , il “solito” George Thorogood, grazie di esistere!” I brani sono più o meno quelli abituali, forse troviamo le inconsuete Rock Party e Tail Dragger, ma confermo quanto detto sette anni fa.”

george thorogood live at rockpalast

Anche per il successivo Live At Rockpalast – Dortmund 1980 – MIG Made In Germany 2CD+DVD ****, ma pubblicato nel 2017, rispolvero quanto scritto nella recensione originale, faccio una cover di me stesso: “per l’occasione siamo a Dortmund, quindi in “trasferta” rispetto alla più famosa location della Grugahalle di Essen, ma comunque anch’essa teatro di memorabili serate dal vivo, preservate per i posteri dalla emittente radiotelevisiva WDR, nella serie Rockpalast. Per la precisione è il 26 novembre del 1980, il nostro amico aveva appena pubblicato quello che sarebbe stato il suo terzo e ultimo album per la Rounder, More George Thorogood And The Destroyers. La prima cosa che colpisce l’occhio è la scelta del repertorio: su 15 brani (sia nella versione DVD, immagini un po’ buie, ma efficaci, come nel doppio CD https://www.youtube.com/watch?v=1zHsAyyS1_Y ), uno solo porta la firma di Thorogood, il resto è una scorribanda nelle pieghe del miglior blues e R&R d’annata, suonato a velocità supersonica, ma quando e dove serve, capace anche di momenti di finezza e abbandono (non molti, ma ci sono)! Chuck Berry, John Lee Hooker e Elmore James sono i più “saccheggiati”, ma tutto il Gotha della grande musica viene omaggiato.” Quindi da allora ad oggi poco è cambiato, se non la forza e la consistenza del suo repertorio. Dopo la lunga pausa dai concerti a causa del Covid il nostro amico è pronto a ripartire non appena la situazione lo consentirà. Direi che è tutto, leggete con attenzione e poi se volete approfondire, con il classico “celo manca” scegliete con cura.

Bruno Conti

George Thorogood: Mr. Bad To The Bone! Parte I

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Anche se, a quanto dicono alcuni dei suoi detrattori, “…i dischi di George Thorogood sono tutti uguali e non c’è mai un vero assolo di chitarra”, il nostro amico, soprannome Lonesome George, oltre che Mr. Bad To The Bone, in effetti è uno degli axemen più travolgenti in circolazione, con quel suo stile che coniuga blues, rock and roll, boogie e rock classico, ed un altro nickname con il quale viene ricordata la sua tecnica prepotente al bottleneck è “The Satan Of Slide”. La maggior parte delle biografie riportano come luogo di nascita Wilmington, nel Delaware, ma il nostro amico dovrebbe invece essere nato a Baton Rouge, in Louisiana, dalla quale si trasferì con la famiglia per essere cresciuto poi appunto nel Delaware: la certezza è la data di nascita, il 24 febbraio del 1950, quindi pure lui ha tagliato il traguardo dei 70 anni nel 2020. Nell’anno 1970 ci fu l’evento discriminante che trasformò un fervente praticante e appassionato del baseball, nel quale forse vedeva anche una futura carriera, in un bluesman a tutto tondo (benché per alcuni anni, anche se era già quasi una rock star, continuò a livello semi-professionale a frequentare i campi di baseball), grazie alla musica che era la sua altra grande passione, quando assistette a NY ad un concerto di John Hammond Jr, e pure lui, come Jake Joliet Blues a.k.a. John Belushi, ricevette l’illuminazione divina che lo portò su quella strada, dove tuttora si trova, a cinquanta anni di distanza dagli esordi.

george thorogood 2

Esordi con una bella gavetta, anche come roadie di Hound Dog Taylor, che era uno dei suoi eroi, insieme a Chuck Berry, John Lee Hooker, Bo Diddley, Howlin’ Wolf, Muddy Waters, Elmore James, tutta gente della quale nel corso degli anni ha saccheggiato il repertorio (insieme a quello di molti altri, in quanto il repertorio del nostro è composto per la quasi totalità di cover): già intorno al 1973, tra un concerto e l’altro, forma la prima edizione dei Destroyers, agli inizi Delaware Destroyers, con il fedele compagno Jeff Simon, il batterista che ancora oggi divide con lui i palchi (e le sale di registrazione). Comunque con la prima line-up in essere, si spostano in quel di Boston, dove cominciano ad infiammare la scena dei club locali e già nel 1974 registrano un primo demo, che poi verrà pubblicato anni dopo dalla MCA come Better Than The Rest, ma ne parliamo nella disamina della discografia.

Gli Inizi 1974-1980

Nel 1976 arriva al basso Billy Blough, anche lui ancora oggi nella formazione dei Destroyers, che hanno eliminato il Delaware dalla ragione sociale, e messi sotto contratto dalla Rounder entrano in studio per registrare il primo album.

George Thorogood And The Destroyers

George Thorogood and the Destroyers – 1977 Rounder **** con la produzione di Ken Irwin, nei Dimension Sound Studios di Boston: dieci brani, con due soli originali di George, una vera schioppettata di energia, che esce a fine 1977 in piena esplosione punk, tanto che vista la potenza e la ruvidità del suono venne addirittura accostato ai tempi proprio al punk che nasceva in quel periodo, anche se la foto di copertina con Gibson di ordinanza, ed un repertorio che per autocitarmi da una vecchia recensione “è la reincarnazione dello spirito della trinità del rock’n’roll e del blues di Chuck Berry, Bo Diddley e John Lee Hooker che da sempre vivono in lui”: l’apertura è affidata ad un pezzo di un altro Hooker, Earl, You Got To Loes riff insistito e sound che ricorda i primi Stones, che a loro volta prendevano a piene mani da Chuck Berry, ottima Madison Blues un brano di Elmore James, altro mito, dove George va di bottleneck alla grande https://www.youtube.com/watch?v=LIh6I_0bmNw , seguito da una versione travolgente di One Bourbon, One Scotch, One Beer di Mastro “Hook”, con il tipico incalzante stile boogie del grande bluesmen del Mississippi, e l’assolo, al contrario di quanto dicono i suoi detrattori, c’è, mentre Blough pompa alla grande con il basso, per quanto aggiunto in seguito alla registrazione https://www.youtube.com/watch?v=obJpegVB5zk . Kind Hearted Woman di Robert Johnson, con acustica slide in bella mostra, ricorda di nuovo certe sonorità degli Stones tipo Love In Vain, Cant Stop Lovin’ è il secondo brano di Elmore James, anche questo tipico dello stile impetuoso di George, che per certi versi impugnava la chitarra come una clava o, appunto, una mazza da baseball, colpire precisi e con forza.

george thorogood and the delaware destroyers

Non manca ovviamente un brano dell’amato Ellas McDaniel a.k.a Bo Diddley, boogie, riff e ritmo, tre elementi immancabili del nostro, che vengono esplicati in una rutilante Ride On Josephine https://www.youtube.com/watch?v=A_FD3bvjfDs , che poi nelle volute di bottleneck di Homesick Boy, dimostra che volendo, raramente e con parsimonia, era in grado anche di attingere al proprio songbook, comunque sempre stretto parente di quello dei suoi ispiratori, e all’occorrenza anche ricorrere al patrimonio tradizionale della grande canzone popolare, come in John Hardy, un pezzo dai profumi folk solo per chitarra acustica, voce e armonica, prima di tentare anche la strada della ballatona blues in I’ll Change My Style dal repertorio di Jimmy Reed. Ma in chiusura scatena tutta la potenza dei suoi Destroyers nell’autoctona Delaware Slide, un nome, un programma https://www.youtube.com/watch?v=Z30ArnxgD4o . *NDB Nel 2015 il primo album viene ripubblicato come George Thorogood And The Delaware Destroyers ****, come era stato registrato in origine, senza le parti di basso, aggiunte in fase di mixaggio, quasi un disco nuovo. Esattamente un anno dopo, esce

George Thorogood MoveItonOver

Move It On Over – 1978 Rounder ****, degno successore del formidabile esordio, due dischi che per molti sono i migliori della sua carriera. Di nuovo dieci brani, tutte cover, perché evidentemente George era spossato dopo avere composto ben due canzoni per il disco precedente: ma non importa, materiale da cui scegliere ce n’è a iosa, e la band prende d’infilata prima la title track, un pezzo di Hank Williams, che subisce il classico trattamento à la Thorogood, poi una fenomenale Who Do You Love? di Bo Diddley, a tutto riff https://www.youtube.com/watch?v=k6fGcpp3KzE , e ancora una formidabile The Sky Is Crying con il bottleneck che scivola, scivola, scivola…  https://www.youtube.com/watch?v=qGBbsQ6QTsc Cocaine Blues è uno standard della canzone americana, Thorogood goes country, in una canzone che si ricorda soprattutto in diverse versioni di Johnny Cash, alle quali si è sicuramente ispirato il nostro. Chuck Berry mancava ancora all’appello, ma anche senza leggere il nome dell’autore It Wasn’t Me è R&R all’ennesima potenza e George e soci ci danno dentro alla grande e pure That Same Thing di Willie Dixon per Muddy Waters, viene “thorogoodizzata”.

george thorogood 1978

So Much Trouble di Brownie McGhee conferma l’assunto del suo autore, “the blues had a baby and they called it rock and roll”, con la solista che impazza, poi una pausa di riflessione per la splendida I’m Just Your Good Thing di Slim Harpo, sempre con influenze stonesiane. Si torna a rollare e roccare in Baby Please Set A Date di Homesick James, di nuovo con la slide in azione, che poi accelera ulteriormente in New Hawaiian Boogie, il titolo dice tutto, un altro brano d’annata di Elmore James https://www.youtube.com/watch?v=dlZXnG8RgCg . Il disco entra nella Top 40 americana e vende mezzo milione di copie (alla faccia di chi dice che Thorogood è un musicista di culto poco conosciuto al di fuori della cerchia degli appassionati , ma che nella sua carriera ha venduto più di 15 milioni di dischi) e a questo punto sbuca la MCA che pubblica

George Thorogood BetterThantheRest

Better Than The Rest – 1979/1974 MCA *** Diciamo un episodio minore, registrato nel 1974 quando GT era un illustre sconosciuto: le solite dieci canzoni, ma per complessivi 27 minuti, il suono è molto più ruspante, comunque abbastanza già ben definito: In The Night Time un pezzo garage sbucato da Nuggets, e anche I’m Ready un R&R frenetico, Howlin’ For My Darlin’ non può competere con l’originale di Howlin’ Wolf, fin troppo sguaiata e poco rifinita, You’re Gonna Miss Me non è quella dei 13th Floor Elevators ma un blues acustico di Memphis Slim, solo slide e voce, mentre Worried About My Baby è un’altra canzone di Howlin’ Wolf che riceve il trattamento Garage/R&R grintoso ma embrionale, con Huckle Up Baby di John Lee Hooker, qui in veste acustica, con un eccellente lavoro di Thorogood alla chitarra. Nel corso del 1980 Thorogood registra, e pubblica a fine anno, quello che sarà il suo ultimo album per la Rounder

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More George Thorogood And The Destroyers – 1980 Rounder ***1/2 Ancora un ottimo album, con le classiche e canoniche dieci canzoni, nove cover ed una firmata dallo stesso George come Jorge Thoroscum, per non “farsi riconoscere”! Il disco nella versione in CD è uscito anche come I’m Wanted, ma sempre quello è: il menu è il solito, ma c’è una novità, l’ingresso di Hank Carter al sax, che poi rimarrà fino al 2003, nello stile di Thorogood, come per esempio nella iniziale I’m Wanted di Willie Dixon, sempre in veste rock and roll, con assolo di sax aggiunto, le note vengono allungate per creare quell’effetto che poi permetterà al nostro una sorta di rito, ovvero quello di “battezzare” i fans nelle prime file ai suoi concerti, pratica alla quale ho partecipato anch’io, quando l’anno successivo George è venuto in Italia per il suo primo concerto nel Belpaese https://www.youtube.com/watch?v=UpewYYtheB8 .

george thorogood i'm wanted

Tornando al disco Kids From Philly è uno strumentale frenetico, chi ha misurato dice 180 bpm, ma è comunque un bel sentire https://www.youtube.com/watch?v=Jwk0-oZH070 , One Way Ticket è il classico blues alla e di John Lee Hooker, declamato da Thorogood, Bottom To The Sea è un Muddy Waters d’annata, che evidenzia similitudini con un altro che praticava un blues ruspante sull’altro lato dell’oceano Rory Gallagher, anche la voce è tipicamente roca e vissuta, come chitarrista l’irlandese era decisamente superiore ma George si difende con onore. Night Time è proprio quella degli Strangeloves, un pezzo tra psych e garage, che diventa più R&R nelle mani di George, con il sax entrano anche elementi R&B nel sound dei Destroyers, vedi Tip On In di Slim Harpo, mentre Goodbye Baby è il classico lento in modalità slide di Elmore James, e una turbolenta House Of Blue Lights è puro Rock’n’Roll all’ennesima potenza https://www.youtube.com/watch?v=UenvtCLHIbQ , con Just Can’t Make It che rende omaggio al maestro Hound Dog Taylor e la vertiginosa Restless a Carl Perkins.

Gli Anni Della Consacrazione 1981-1999

george-thorogood-50-50-tour

Con questo disco finisce il trittico per la Rounder, forse i suoi dischi migliori ancora oggi, nel 1981 Thorogood realizza il 50/50 Tour dei record, ovvero 50 concerti in 50 giorni nei 50 Stati americani e in un giorno tenne pure due concerti nella stessa giornata. Lo stesso anno fece anche da supporto agli Stones nella loro tournée, e vennero anche in Europa, puntata a Milano compresa, come ricordato, tra l’altro il 13 aprile, due giorni dopo la storica data di Springsteen all’HallenStadion di Zurigo, all’Odissea 2001, locale basso e stretto, dove dopo il rito della “benedizione” ricordo che già in pochi minuti eravamo tutti schiacciati contro la parete opposta al palco, per essere lontani da una onda sonora micidiale con rischio tinnito, e comunque due giorni di fischi alle orecchie. Però gran concerto. Nel 1982 firma per la EMI, quindi una major, ed esce il “mitico”

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Bad To The Bone – 1982 Emi America Music ***1/2-**** La differenza nel giudizio verte sul fatto che riusciate a trovare o meno la versione Deluxe uscita nel 2007, con sette bonus tracks re-incise quell’anno, ma va bene anche quella normale. Il repertorio si fa più vario, George scrive “ben tre brani”, tra i quali la leggendaria title track, che nel corso degli anni è diventata la sua signature song, ma sin da allora è diventata una canzone di culto, senza vendite clamorose (come l’album, che arrivò comunque al 43°posto delle classifiche USA, con la rispettabile cifra di mezzo milione di copie vendute), ma prima, grazie al divertente video su MTV, dove giocava a biliardo con il suo idolo Bo Diddley, che però in Europa non è disponibile su YoTube, quindi https://www.youtube.com/watch?v=8KciRaANKmo. poi con l’utilizzo nella colonne sonore di Christine e Terminator 2, e nel corso degli anni in decine di altri film e spot pubblicitari, si è trasformata in un tormentone. Alla riuscita del disco contribuì sicuramente anche la presenza del “sesto” Rolling Stone, ovvero Ian Stewart, al pianoforte in tutto l’album: il repertorio è consistente, dall’iniziale Back To Wentzille, sempre firmata da Thorogood, con sax, pianino e chitarra scatenati, Blue Highway scritta da Nick Gravenites per Brewer & Shirley illustra il lato cantautorale del nostro amico.

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Nobody But You un pezzo soul tipo Shout degli Isley Brothers, diventa una volata R&R a rotta di collo, mentre It’s A Sin di Jimmy Reed è una ballata blues, seguita dal super classico di John Lee Hooker New Boogie Chillum, dove George insegna il boogie ai suoi seguaci https://www.youtube.com/watch?v=uVHJNdzZIhA , di Bad To The Bone abbiamo detto, Miss Luann il terzo originale di Thorogood, pesca dal R&B anni ‘50, As The Years Go Passing By è uno dei grandi blues lenti delle 12 battute, e dimostra che il musicista del Delaware sa essere anche raffinato con assolo d’ordinanza, ma quando può scatenare tutta la potenza dei suoi Destroyers in una devastante No Particular Place To Go di Chuck Berry non ce n’è per nessuno, sentire anche Stewart please https://www.youtube.com/watch?v=hFyCxJuhEB0 , in chiusura una fantastica e trascinante ripresa di Wanted Man di Bob Dylan https://www.youtube.com/watch?v=4tbSbzCwrvU , per un album che rivaleggia con i suoi migliori, anche grazie alle riprese di alcuni brani nelle bonus tracks.

Fine della prima parte, segue.

Bruno Conti

Non So Se Sia Davvero Il Boss Del Blues, Ma Con Le Dita Ci Sa Fare Parecchio! Kenny “Blues Boss” Wayne – Go, Just Do It!

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Kenny “Blues Boss” Wayne – Go, Just Do It! – Stony Plain CD

Se non siete appassionati di blues difficilmente avrete sentito parlare di Kenny “Blues Boss” Wayne (nato Kenneth Wayne Spruell), probabilemente perché il musicista in questione ha speso gran parte dei suoi 75 anni a fare il sideman per conto terzi, suonando il pianoforte per artisti di varia estrazione (tra cui Delaney & Bonnie, Billy Preston e, in anni più recenti, Duke Robillard). Wayne è un pianista sopraffino, le cui influenze vanno da Fats Domino (la sua ispirazione principale) a Ray Charles, Otis Spann, Pinetop Perkins e Professor Longhair e la sua musica presenta elementi di vario genere, dal blues allo swing, dal rock’n’roll al boogie passando per il funky di New Orleans ed il rhythm’n’blues https://discoclub.myblog.it/2011/07/15/bello-e-divertente-kenny-blues-boss-wayne-an-old-rock-on-a-r/ . Originario dallo stato di Washington, Wayne ha vissuto tutta la sua carriera di sideman tra California e Louisiana, ma negli anni ottanta è emigrato in Canada, nazione che lo ha musicalmente adottato consentandogli di esordire finalmente come solista a metà anni novanta. Da allora Kenny ha pubblicato una dozzina di album in cui ha proposto la sua stimolante miscela di boogie, blues, rock’n’roll e quant’altro, e con il nuovo Go, Just Do It! (quinto consecutivo ad uscire per la storica etichetta indipendente canadese Stony Plain) si accoda brillantemente alla serie, intrattenendoci per cinquanta minuti con la sua tecnica pianistica mirabile ed una buona abilità come performer a 360 gradi, rivelando anche discrete doti nel songwriting dato che su tredici brani totali ben dieci portano la sua firma.

Come vedremo, c’è anche qualche episodio sottotono, che resta però in netta minoranza rispetto ai brani in cui il nostro convince: anche la band che lo accompagna è di tutto rispetto, dal bassista Russell Jackson (ex membro del gruppo di B.B. King) al bravo chitarrista giapponese Yuji Ihara al batterista Joey DiMarco, oltre ai fiati suonati da Jerry Cook (sassofono tenore e baritono) e Vince Mai (tromba). Partenza a tutto ritmo con Just Do It!, un brioso funky fiatistico dal tempo cadenzato e Kenny che aggredisce il brano con una buona voce subito raggiunto dalla brava cantante inglese Dawn “Tyler” Watson e con il leader che si destreggia ottimamente al piano elettrico. Di segno diverso You Did A Number On Me, un irresistibile boogie’n’roll con botta e risposta tra Kenny ed un coro femminile, mentre le dita del nostro scorrono sicure sulla tastiera subito doppiate da un assolo di chitarra misurato ma incisivo; il ritmo e l’approccio vivace non calano neanche in Sittin’ In My Rockin’ Chair, una rock song dagli elementi più sudisti che blues ed il solito pianoforte suonato in maniera eccelsa, mentre con You’re In For A Big Surprise, cover di un pezzo di Percy Mayfield, abbiamo uno degli highlights del disco in quanto si tratta di un raffinato slow blues notturno (e indovinate? Pianistico!) in cui la protagonista in duetto con Wayne è la grande voce di Diane Schuur (cantante di rara classe), con la ciliegina di uno splendido assolo di sax. S

orry Ain’t Good Enough vede ancora la Watson duettare con Kenny, ma il brano è un errebi dalle sonorità un po’ troppo soft, più adatte ad una serata in un club alla moda; meglio la fluida ed energica Motor Mouth Woman, un bel blues fiatistico ricco di ritmo e swing. I Don’t Want To Be The President (ancora di Mayfield) è ancora sospesa tra funky ed errebi, ma presenta un intervento del rapper Corey Spruell, figlio di Kenny, che avrei molto volentieri evitato; la ritmata Lost & Found è un po’ meglio ma le manca un po’ di mordente (e c’è un synth di troppo), ma per fortuna arriva la terza cover del disco, una versione viva ed esuberante del classico di J.J. Cale Call Me The Breeze, con un ottimo intervento dell’armonicista Sherman Doucette. Bumpin’ Down The Highway è un eccellente strumentale tra blues, jazz e swing, con i fiati protagonisti e Kenny stranamente defilato, a differenza di That’s The Way She Is, saltellante e vispo brano più boogie che blues, tra i più trascinanti del lavoro e con un ottimo guitar solo del nipponico Ihara; chiusura con il jump blues pianistico T&P Train 400, pieno di vigore e con le dita del nostro che danno del tu alla tastiera, e con la breve ma travolgente Let The Rock Roll, altro strumentale a tutto swing con Kenny che per l’occasione suona un piano da saloon rilasciando uno degli assoli più goduriosi del CD.

Un buon album quindi, non solo blues, che non mancherà di piacere agli amanti del pianoforte: c’è qualche episodio non all’altezza ma, come dicono in America, “when it’s good, it’s really good!”.

Marco Verdi

Torna Il Rocker Del Mississippi Con Uno Dei Dischi Più Divertenti Dell’Anno. Webb Wilder – Night Without Love

webb wilder night without love

Webb Wilder – Night Without Love – Landslide CD

L’ultima volta che mi sono occupato di Webb Wilder (che a dirla tutta era anche la prima) è stato quando due anni fa ho recensito il divertentissimo Powerful Stuff, che non era un album nuovo ma una collezione di outtakes registrate tra il 1985 ed il 1993 https://discoclub.myblog.it/2018/06/08/unora-di-divertimento-assicurato-webb-wilder-the-beatnecks-powerful-stuff/ . Oggi però Wilder torna davvero tra noi a cinque anni di distanza dal suo ultimo lavoro (Mississippi Moderne) con questo Night Without Love, che fin dal primo ascolto si afferma come uno dei dischi più godibili ed “entertaining” (termine inglese intraducibile – intrattenevole? – ma che rende benissimo l’idea) del 2020. Se non avete mai sentito nominare Wilder non preoccupatevi, in quanto è uno dei tanti “signor nessuno” del mondo della musica mondiale: esordiente nel 1986 con l’album It Came From Nashville, Webb ha sempre tirato dritto infischiandosene del fatto che i suoi lavori non vendevano una cippa, proponendo la sua miscela spesso irresistibile di rock’n’roll, country, boogie e power pop al fulmicotone, che lo faceva sembrare una via di mezzo tra Commander Cody ed i Blasters.

Night Without Love dovrebbe essere il decimo album di Wilder, e posso affermare senza tema di smentita che è uno dei suoi migliori di sempre, undici canzoni divise tra cover e brani originali che ci fanno ritrovare un rocker che ha sempre fatto musica “just for fun”, riuscendoci peraltro perfettamente. Il disco (la cui copertina è disegnata da James Flournoy Holmes, l’uomo dietro alle copertine di Eat A Peach degli Allman, Fire On The Mountain della Charlie Daniels Band e In The Right Place di Dr. John) vede Webb accompagnato dal suo abituale collaboratore George Bradfute, che suona qualsiasi tipo di strumento oltre a produrre il lavoro, ma anche da Rick Schell alla batteria, Bob Williams alla steel ed il noto chitarrista Richard Bennett in un brano. Trentasette minuti di musica, non un secondo da buttare. Si parte alla grande con Tell Me What’s Wrong, trascinante rock’n’roll dalla ritmica potente cantato dal nostro con una voce alla Johnny Cash, per proseguire sullo stesso livello con la title track (scritta da R.S. Field, produttore dei primi album del nostro), energica ballata sfiorata dal country con un mood anni sessanta e tanta grinta, e con il rockin’ country a tutto ritmo e chitarre Hit The Nail On The Head, vigorosa cover di un pezzo dei quasi dimenticati Amazing Rhythm Aces.

Holdin’ On To Myself, scritta da Chip Taylor, è uno scintillante honky-tonk dominato dalla steel, ma il capolavoro del disco secondo me arriva con il brano seguente: per il sottoscritto Be Still era già nella sua versione originale uno dei migliori brani dei Los Lobos (lo trovate su The Neighborhood, 1990), ma questa rilettura di Webb è strepitosa, in quanto fa ancora di più uscire la splendida melodia non cancellando le radici messicane ma aggiungendo una patina malinconica da vero balladeer. In poche parole, una goduria. A questo punto abbiamo cinque canzoni consecutive scritte da Wilder da solo o in compagnia: la deliziosa e coinvolgente rock song “californiana” Illusion Of You, con uno stile che ricorda parecchio gli Heartbreakers di Tom Petty, la splendida Buried Our Love, country-rock bello come se ne sentono pochi, la squisita Sweetheart Deal, ballata guidata dall’organo con un sapore blue-eyed soul e scritta nientemeno che con Dan Penn, la contagiosa Ache And Flake, tra rock’n’roll e power pop con un refrain vincente, e la fluida folk-rock ballad The Big Deal. Chiusura con una travolgente rilettura del classico jump blues di Tommy Tucker (ma inciso tra gli altri anche da Elvis e Chuck Berry) Hi Heel Sneakers, nobilitata da un farfisa dal suono decisamente vintage ed un approccio che ricorda quello dei già citati Blasters.

Se dovessi fare una scommessa, forse Night Without Love non entrerà nella Top Ten dei migliori album del 2020, ma sono quasi certo che sarà uno dei CD che ascolterò di più.

Marco Verdi

Di Nuovo Pregevole E Ruvido Electric Blues Made In Italy. T-Roosters – The Sunny Wine Session

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T-Roosters – The Sunny Wine Session – Holdout’n Bad

Torna la band lombarda, puntuale al solito appuntamento biennale con un nuovo disco, e anche il sottoscritto è pronto ancora una volta, come per i due album precedenti https://discoclub.myblog.it/2017/05/08/ancora-eccellente-blues-allitaliana-t-roosters-another-blues-to-shout/ , a parlarvi di questo The Sunny Wine Session, quarto album della loro discografia, che li vede sempre alle prese con il tipico electric blues che li contraddistingue, sporco, polveroso, spesso ipnotico e dall’andamento lento, ma anche screziato di boogie, di swing-blues, shuffle, insomma tutte le forme, classiche e meno, delle 12 battute canoniche. La musica del quartetto non è legata ad una ortodossia assoluta verso le sonorità classiche, facendoli preferire per questo anche a gruppi autoctoni americani, benché la foto interna del CD che li vede mentre mostrano un cartello indicatore per Beale Street, la strada del blues di Memphis, dice più di molti trattati forbiti.

Tornando appunto più prosaici, con citazione “colta” estrapolata dal repertorio di Stanlio e Olio, potrei dire che Paolo Cagnoni, l’autore dei testi dei loro brani, e Tiziano “Rooster” Galli, chitarrista, cantante ed autore delle musiche, sono sempre come “due piselli in un baccello”, coadiuvati dall’ottimo Marcus Tondo alle armoniche, e dalla solida sezione ritmica (si usa dire così), formata da Lillo Rogati al basso e Giancarlo Cova alla batteria. Venendo alle canzoni, tredici in ttuto, direi che non ci sono grandi variazioni rispetto al precedente Another Blues To Shout, dopo gli esperimenti con tromba, piano, organo e contrabbasso, del pur ottimo disco del 2015 Dirty Again: devo dire che li preferisco così, più “nudi e crudi”, come testimoniano i brani di questo nuovo album. L’iniziale In The Cold Darkness, con il suo incedere scandito e misterioso tiene fede al titolo della canzone, con il cantato di Galli quasi minaccioso e  declamatorio, punteggiato dagli sbuffi dell’armonica e poi nel finale da un assolo tirato e cattivo della chitarra solista, con il basso potente di Rogati a dare il groove.

Sam’s Blues, uno dei due brani che nel suffisso del titolo riporta il termine blues, è in effetti un lento, sempre inquietante, con un cantato che a tratti volge al parlato, ma con la chitarra che invece è limpida e raffinata nel proprio lavoro, prima di lasciare spazio a Sometimes My Soul, dove rimandi gospel ci spingono quasi nella paludi della Louisiana, grazie alla presenza dei due ospiti Veronica Sbergia e Max De Bernardi che con la loro vocalità aggiunta caratterizzano questo blues quasi primigenio, con un bel lavoro dell’armonica di Tondo. Surreal Love, sempre con le due di voci di supporto in azione, è più mossa e scattante, con l’armonica sempre protagonista di una sorta di raccordo nel suono e un breve solo di chitarra nella parte centrale; Freedom In The Morning, dall’andamento ondivago e con qualche stop and go nel suo dipanarsi, vive ancora nel dualismo tra la vivace armonica e la “riffata” chitarra di Galli, che nel finale rilascia un altro assolo breve ma ben congegnato, con Sores Amd Dreams che imbastisce un classico slow di impianto classico Chicago blues, mentre la voce che ci parla di piogge nucleari e pericolosi dittatori, è utilizzata quasi in modalità da crooner, con la chitarra che segue sinuosamente il dipanarsi della vicenda per poi lasciarsi andare a un assolo.

In Only A Holy Night, introdotta da un bottleneck flessuoso, poi si vira di nuovo verso un call and response con la voce della Sbergia  e un groove che, nei continui cambi di tempo,  a tratti ricorda il beat di Bo Diddley; Ice And Dust è forse il brano che più si avvicina a stilemi blues-rock, con un suono più aggressivo e “moderno” che poi nel finale lascia spazio ad un altro bel assolo dell’armonica di Tondo. Shouting Hard è uno shuffle in puro Chicago style, sempre giocato sulle spire della mouth harp e della slide, che poi rimane protagonista anche della successiva Lost In Space, un lento atmosferico e quasi ferino. Night Desert Boogie mi ha ricordato, come in altri del loro repertorio passato, certe affinità con i primi Canned Heat, quelli dove il  compianto Larry Taylor (che ci ha lasciato di recente) pompava di gusto sul suo basso elettrico, prima di lasciare spazio alla chitarra di Vestine o Wilson, qui impersonata da Galli, 3.95Euros Blues è un altro pezzo più elettrico e tagliente, prima del commiato affidato alla lenta e sognante Wedding Ring, il brano più lungo e forse più bello di questo album che conferma la classe e il valore della band milanese, una realtà della scena blues italiana ed internazionale.

Bruno Conti

Un Ottimo Debutto Per Questo “Imponente” Giovanotto. Joshua Ray Walker – Wish You Were Here

joshua ray walker wish you were here

Joshua Ray Walker – Wish You Were Here – State Fair CD

Esordio col botto per questo giovane countryman texano, uno dei migliori album di genere da me ascoltati ultimamente. Ma andiamo con ordine: Joshua Ray Walker, originario di Dallas, dimostra molto meno dei suoi 28 anni, anzi direi che a prima vista sembra un ventenne (con discreti problemi di linea, quelli che si definiscono “personcine”), ma invece è uno che si fa il mazzo da circa quindici anni. Joshua ha infatti iniziato ancora adolescente a suonare, e per anni ha girato in lungo e in largo con una band di quasi coetanei, arrivando a suonare anche 200 date all’anno, fino a quando è stato notato dal conterraneo John Pedigo (che di recente ha prodotto il disco natalizio degli Old 97’s) e portato in studio ad incidere il suo album d’esordio. Ed il lavoro in questione, intitolato Wish You Were Here, è un piccolo grande disco, dieci canzoni originali di puro country, che spaziano dalle ballate ai pezzi più mossi, con influenze non solo texane. La strumentazione è classica, chitarre acustiche ed elettriche, piano e steel in quasi tutti i brani (non sto a citare i musicisti, i nomi non vi direbbero nulla), con un approccio moderno e vigoroso ma anche un gusto non comune per la melodia.

Vero country, come oggi in pochi fanno ancora: Joshua non sembra affatto un esordiente, sa scrivere con il piglio del cantautore esperto e possiede la voce giusta per questo tipo di suono. Forse non lo vedremo mai nelle classiche pose da cowboy (anche perché non vorrei essere al posto del suo cavallo), ma dal punto di vista musicale sa il fatto suo eccome. L’album inizia con una ballata, Canyon, lenta e ricca di pathos, con una melodia di quelle che colpiscono subito: l’arrangiamento è essenziale, voce, chitarra acustica ed una bella steel sullo sfondo. Trouble è un delizioso valzerone texano del tipo più classico, davvero gustoso e punteggiato da uno scintillante pianoforte: sostituite idealmente la voce del nostro con quella di Willie Nelson e non troverete grosse differenze nella struttura musicale, e questa credo non sia una cosa da poco. Molto bella anche Working Girl, tersa e solare country song dal ritmo spedito, un motivo irresistibile ed un mood elettrico che profuma di Bakersfield Sound, mentre Pale Hands è un’intensa ballatona dal passo lento ed alla quale l’organo dona un sapore southern, altro brano dalla scrittura decisamente adulta.

Joshua dimostra di avere talento e numeri, e continua a deliziarci con la tenue e cadenzata Lot Lizard, molto melodica e suonata in maniera raffinata, con rimandi alle ballate californiane degli anni settanta da Jackson Browne in giù; Burn It è invece un trascinante boogie elettrico, diretto e chitarristico, perfetto da ascoltare in un bar di Austin, mentre  Keep è un’altra fulgida country ballad di stampo classico, con un ottimo motivo di fondo e la solita steel a dare un tono malinconico. Strepitosa Love Songs, una canzone in puro stile tex-mex con tanto di fisarmonica e fiati mariachi, un tipo di brano che solo un texano e Tom Russell (e anche i Mavericks) sono in grado di scrivere, splendida e coinvolgente https://www.youtube.com/watch?v=y6me6pkgN64 . Il CD termina con l’ennesimo ottimo pezzo, la fluida Fondly, dall’accompagnamento elettroacustico e banjo in evidenza, e con la saltellante Last Call, puro country nuovamente impreziosito da una melodia di prim’ordine ed un refrain decisamente accattivante.

Gran bel debutto: ora dopo tanta gavetta (e, ne sono certo, tante battutine più o meno cattive a proposito della sua stazza) auguro a Joshua Ray Walker di raccogliere quanto seminato.

Marco Verdi

Un’Altra Produzione Di Tab Benoit, Dell’Onesto E Solido Rock-Blues. Eric McFadden – Pain By Numbers

eric mcfadden pain by numbers

Eric McFadden – Pain By Numbers – Whiskey Bayou Records

Intrigato dal bellissimo album di Damon Fowler, prodotto da Tab Benoit per la propria etichetta Whiskey Bayou Records https://discoclub.myblog.it/2018/11/13/uno-dei-dischi-rock-blues-piu-belli-dellanno-damon-fowler-the-whiskey-bayou-session/ , mi sono andato a vedere il piccolo catalogo della etichetta di New Orleans, e tra i 5 nomi sotto contratto (forse) uno di quelli che mi ha incuriosito più era il nominativo di Eric McFadden, cantante e chitarrista di colore con una cospicua carriera discografica alle spalle ( e anche in ulteriore sviluppo, visto che in questo periodo ha pubblicato per una etichetta francese anche un piacevole e raffinato tributo acustico agli AC/DC https://www.youtube.com/watch?v=VTa0Aq2qrLo ), del quale mi pareva di avere recensito qualcosa in passato per il Buscadero. Lo stile dei dischi precedenti, al di là di qualche disco acustico, di solito è un alternative rock abbastanza tirato con elementi blues e jam, in virtù di sue collaborazioni varie con musicisti del giro Fishbone, Widespread Panic, Mars Volta, Cake, ma anche collaborazioni passate con George Clinton e con Eric Burdon, oltre a diversi tour con Anders Osborne, il musicista svedese che è una delle glorie della attuale New Orleans.

Quindi forse è sembrato quasi inevitabile che McFadden unisse le forze con Tab Benoit, altro cittadino di New Orleans. per registrare un disco rock-blues e a tratti anche roots oriented, benché sempre con venature rock molto energiche, per quanto sempre di buona qualità e perciò con un sound abbastanza differente da quello di Fowler. Ovviamente negli orientamenti sonori di Eric c’è anche una buona dose di funky, una passione per il rock hendrixiano e il blues “sporco”, ma nell’insieme, anche grazie al lavoro di produzione di Benoit, che suona pure l’organo in tutto il disco, il risultato è piacevole: poi il resto lo fa un power trio poderoso, dove il bassista Doug Wimbish, giro Living Colour, ma uno che ha suonato dal rap al funk al metal con chiunque, e il batterista Terence Higgins della Dirty Dozen Brass Band, come pure in azione con Ani DiFranco e Warren Haynes, sono una sezione ritmica versatile in grado di spaziare in generi diversi.  Le canzoni sono firmate tutte dallo stesso McFadden, con qualche aiuto qui e là, e vanno dal rock-blues roccioso e cattivo dell’iniziale While You Was Gone, dal ritmo cadenzato e con le folate della solista ingrifata di Eric, che potrebbero rimandare ad un altro rocker “colored” come Eric Gales, passando per il roots-rock raffinato di Love Come Rescue Me, dove grazie all’organo “scivolato” di Benoit, gli elementi di soul e Americana music sono più evidenti e la chitarra lavora di fino. In The Girl Has Changed il trio torna a picchiare di gusto a tutto riff, dopo l’interlocutoria Long Gone, mentre la lunga Skeleton Key è un altro hard blues massiccio di quelli hendrixiani, con la chitarra in overdrive e interscambi infuocati con il basso di Wimbish.

I Never Listened To Good è un’oasi gentile con l’acustica arpeggiata di McFadden che racconta di rimpianti e lezioni imparate duramente, a tempo di folk-blues; So Hard To Leave è il classico slow torrido che non può mancare in un disco prodotto da Benoit, che con il suo organo sostiene anche le evoluzioni vibranti della solista del nostro amico https://www.youtube.com/watch?v=fymsqwRrOxU . If I Die Today è un boogie-rock sudista spinto a tutta velocità dalle parti di ZZ Top, di Johnny Winter o dei Supersonic Blues Machine di Lance Lopez, altro chitarrista che predilige il blues-rock duro e cattivo, Fool Your Heart è un rock più leggero ed orecchiabile, quasi radiofonico, ma comunque di buona fattura. The Jesus Gonna See You Naked è un altro pezzo rock con qualche elemento gospel,  su una scorza sempre dura benché con qualche apertura più melodica, con la successiva Don’t Wanna Live, una vorticosa cavalcata  che potrebbe ricordare il Ben Harper o l’Anders Osborne più rock, anche dalle parti dei North Mississippi Allstars e con la chitarra in vena di numeri solistici non indifferenti, mentre la ritmica lavora in modo turbolento https://www.youtube.com/watch?v=aSxEbr8zzlM . In chiusura Cactus Juice, un pezzo strumentale in simil flamenco di impronta elettroacustica, che se non c’entra un tubo con tutto il resto conferma le notevoli doti di virtuoso della chitarra di Eric McFadden, in ricordo dei suoi anni passati in Spagna a studiare la materia. Nel complesso comunque un buon album, se amate il genere,

Bruno Conti

Non Posso Che Confermare: Gran Bel Disco! Levi Parham – It’s All Good

levi parham it's all good

*NDB Se vi risulta familiare non vi state sbagliando, ne abbiamo già parlato in anteprima, molto bene, all’incirca un mese fa https://discoclub.myblog.it/2018/06/03/lairone-delloklahoma-ha-spiccato-il-volo-con-un-grande-disco-levi-parham-its-all-good/ , ma visto che mi trovo tra le mani anche una seconda recensione, nel frattempo è uscita anche la versione americana, e il disco merita, ho deciso di pubblicare anche questa. Succede raramente, ma per questa volta facciamo una eccezione.

Levi Parham  – It’s All Good – Continental Song City/CRS CD/Horton Records

Levi Parham, musicista originario dell’Oklahoma, è sempre stato molto legato alla sua terra d’origine, fin dal suo esordio, l’autogestito (non di facile reperibilità. ma si trova) An Okie Opera. Il suo secondo lavoro, These American Blues (2016) è stato prodotto dal “late great” Jimmy LaFave, che era sì texano ma aveva vissuto per anni a Stillwater: ora Parham, nel suo nuovo album It’s All Good, ha deciso di giocare ancora più in casa, chiamando a raccolta musicisti solo della zona di Tulsa (ed infatti il CD è intitolato a Levi insieme ai Them Tulsa Boys And Girls), un gruppo di amici e conoscenti tra i quali spicca una nostra vecchia conoscenza, John Fullbright, ma anche altri musicisti titolari di discografie in proprio (Jesse e Dylan Aycock, il chitarrista Paul Benjaman, che è anche il band leader in questo disco). E It’s All Good è un gran bel disco di puro rock sudista, dieci canzoni lucide e coinvolgenti in cui il nostro mischia con grande abilità e feeling rock, blues, boogie ed un pizzico di funky e soul.

L’album è stato inciso a Sheffield, in Alabama, nei Portside Studios che altro non sono che gli ex Muscle Shoals Studios, un ambiente nel quale solo ad entrarci si respira grande musica. E di grande musica in questo CD non ne manca di certo: Parham è un vero uomo del sud, ha il ritmo nel sangue, ed in più è dotato di una voce mica male; le canzoni partono dalla lezione di gruppi storici come Little Feat, Allman Brothers Band, Delaney & Bonnie e Derek & The Dominos, nomi importanti certo, e di sicuro inarrivabili, ma Levi ha l’intelligenza e l’umiltà di andare per la sua strada, e mette a punto un disco di vero rock come si faceva negli anni settanta, con la slide spesso protagonista ma in genere con un suono piuttosto chitarristico, ben bilanciato da validi interventi di piano ed organo. Badass Bob è un brano elettrico e bluesato, dal ritmo strascicato e quasi pigro, con un mood decisamente annerito ed un intermezzo chitarristico notevole. Anche Borderline parte attendista, ma c’è una tensione elettrica che fa presagire un’esplosione imminente, che arriva dopo due minuti sotto forma di aumento di ritmo e ruspanti assoli di chitarra. Puro rock, suonato come Dio comanda. Turn Your Love Around è scura, lenta, quasi paludosa, tra rock e blues del Mississippi, eseguita con una padronanza degna di un veterano, e contrassegnata da acuti lancinanti a base di slide, mentre la vibrante My Finest Hour, dal ritmo spezzettato, è più solare pur mantenendosi saldamente in territori sudisti, con la voce “nera” del nostro che è quasi uno strumento aggiunto.

Boxmeer Blues è un rock’n’roll sanguigno e coinvolgente, che rammenta alcune cose dei Little Feat ma anche dei Subdudes: chitarre che dettano il ritmo ed ottimi interventi di organo e piano elettrico; la fluida Shade Me sembra il risultato del viaggio di un anno nel sud degli States da parte dei Beatles, specialmente Harrison e Lennon, mentre la trascinante Heavyweight è ancora influenzata dall’ex band di Lowell George sia nel suono, un rock-blues con elementi quasi funk, sia nell’uso sbarazzino della slide, ed anche la godibile Kiss Me In The Morning non si discosta molto da queste sonorità: slide sempre in primo piano, ottimo uso del pianoforte ed un motivo fresco e scorrevole, con un assolo di sax come ciliegina. Il CD termina con la title track, un gustosissimo boogie pianistico degno di Professor Longhair, e con la tenue All The Ways I Feel For You, finale stripped-down, voce e chitarra, ma cui non manca di certo l’intensità. Al terzo disco Levi Parham ha centrato il bersaglio: consigliato a chi ama il rock, quello vero, con implicazioni southern.

Marco Verdi

Un “Grosso” Artista In Azione, In Tutti I Sensi! Victor Wainwright & The Train – Victor Wainwright And The Train

Victor Wainwright & The Train

Victor Wainwright & The Train – Victor Wainwright And The Train – Ruf Records

Se vi siete persi i dischi precedenti https://discoclub.myblog.it/2015/09/14/grande-musica-dal-sud-degli-states-victor-wainwright-the-wildroots-boom-town/ , non commettete l’errore ancora una volta: qui parliamo di “grosso” artista al lavoro, perché Victor Wainwright da Savannah, Georgia, residente in quel  di Memphis, è un personaggio che merita di essere conosciuto. Pianista, ma suona anche organo, piano elettrico, Mellotron e lapsteel, cantante in possesso di una voce strepitosa, con echi di Dr.John, Leon Russell, Fats Domino, ma pure di Little Richard, dei quali incorpora anche gli stili musicali. Ad ogni album, o quasi, cambia il nome del gruppo: dopo alcuni dischi con i Wildroots, questa volta si fa accompagnare dai The Train, combo di quattro elementi, compreso il titolare, ma se aggiungiamo ospiti vari, si superano facilmente i dieci elementi https://www.youtube.com/watch?v=ZeTGdk1fVO4 . Wainwright  suona(va) anche in un’altra band, gli eccellenti Southern Hospitality, con Damon Fowler e Jp Soars, ma Victor lo troviamo anche negli album di Nancy Wright, Mitch Woods, con la Backtrack Blues Band, fra i tanti.

Questo nuovo album  è stato registrato proprio nei leggendari Ardent Studios di Memphis, e se nei dischi precedenti Victor si era fatto aiutare da Tab Benoit, questa volta si affida al bravo Dave Gross. Il risultato in questo Victor Wainwright And The Train è un disco dove boogie pianistico, R&R, soul, blues, ballate, tocchi di jazz e New Orleans vengono mirabilmente fusi con il rock e lo stile di gruppi come Mad Dogs & Englishmen, Commander Cody, Little Feat, in un frullato eccitante. Ho esagerato? Forse, ma il disco si ascolta veramente con grande piacere: dodici canzoni, tutte firmate dal titolare, dove gli stili si alternano e si mescolano di continuo in un’oretta abbondante in cui il divertimento è assicurato. Con il leader sono impegnati Billy Dean alla batteria, Terence Grayson al basso e Pat Harrington alla chitarra, oltre ad una piccola sezione fiati, che si ascolta in quasi tutti i brani del CD, alcuni vocalist aggiunti, tre o quattro chitarristi ospiti: si parte subito fortissimo con il boogie woogie, misto R&R, misto soul revue della scoppiettante Healing, dove sembra di ascoltare la band anni ’70 di Elvis mista ai Commander Cody, con il figlio illegittimo di Joe Cocker e Ray Charles (leggi Wainwright stesso) alla voce solista, tra chitarre tiratissime, organo, piano impazzito, fiati ovunque, che macinano ritmo e sudore; Wilshire Grave aggiunge elementi voodoo di New Orleans à la Dr. John, il groove è sempre micidiale, non mancano gospel, soul e jazz, e la musica scivola goduriosa, con chitarra e organo che si fronteggiano con maestria.

Poi Victor ci invita tutti a bordo e parte The Train, una canzone che avrebbe fatto vergognare Little Richard perché faceva canzoni troppo tranquille, qui il pianoforte è devastante, ma anche il resto della band non scherza. Dull Your Shine rallenta per un attimo, una bella mid-tempo ballad raffinata con retrogusti errebì  e spazio per un finissimo assolo di chitarra di Greg Gumpel. Money è uno shuffle blues rivisto con il funky dei Little Feat ed il wah-wah di Gumpel ancora sugli scudi, per non dire, ci mancherebbe, del piano. Il nostro amico scrive anche una bellissima Thank You Liucille, canzone dedicata a B.B. King e alla sua chitarra, brano sullo stile di The Thrill Is Gone, con affetto, rispetto e notevoli risultati, forse il pezzo più bello del disco, Mike Welch ospite alla solista https://www.youtube.com/watch?v=az6mYrtRkG4 .Ma la qualità non scema in una Boogie Depression in cui dimostra che il Pinetop Perkins piano player assegnatogli per due anni di fila, non era stato un caso. E se serve Victor Wainwright scrive, suona e canta anche canzoni d’amore coi fiocchi, come la dolcissima Everything I Need, pura deep soul music. In Righteous si torna a viaggiare sul “treno” infoiato dell’amore , anche grazie alla slide tangenziale di Josh Roberts. I’ll Start Tomorrow è un voluttuoso brano à la Fats Domino, mentre la lunga  Sunshine introduce elementi psichedelici stile Dr. John primi anni ’70, con flauto e la solista scatenata di Harrington a guidare le danze. That’s Love To Me, quasi nove minuti, chiude degnamente il disco con una lunga e magnifica ballata, con un paio di assoli di chitarra da sballo, degna delle migliori di Leon Russell. Bellissimo disco!

Bruno Conti