Joe Bonamassa – L’Erede Di Eric Clapton O “Solo” Un Grande Chitarrista? Parte I

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Gli Esordi 1991-1996

Quando nel 1991 il nostro amico, alla ricerca di un contratto, viene “gentilmente” rifiutato da varie etichette discografiche, ha solo 15 anni, ma una forte passione per la musica, allora decide di provare con un gruppo e astutamente chiama con lui alcuni “figli di”: c’è Waylon Krieger, il cui babbo Robby militava nei Doors, Berry Oakley Jr. negli Allman Brothers, alla batteria Erin Davis, il figlio di Miles, l’unico senza pedigree personale è “Smokin’ Joe” Bonamassa (giuro!), figlio di Len, che non era famoso, ma aveva un negozio di chitarre, e quindi il destino di Joseph Leonard era già segnato.

joe-bonamassa-age-16-jams-with-robben-fordNato a New Hatford, un sobborgo di Utica, nello stato di New York, nel 1977, Joe fin dalla più tenera età era stato cresciuto a pane e musica, il padre gli faceva sentire i dischi di Eric Clapton e Jeff Beck, che qualche influenza devono pur averla lasciata, come trainer alla chitarra a 11 anni gli fu affiancato Danny Gatton, a 12 apriva per i concerti di B.B. King, quindi stesso palco ma non insieme presumo, ma non c’ero.

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Nel 1994 i Bloodline pubblicano il primo omonimo album per la Emi/Capitol ***, me lo sono andato a (ri)sentire per scrivere questo articolo e devo ammettere che non era poi un brutto disco, Berry Oakley, che aveva sostituito il primo cantante, oltre a suonare il basso, aveva una bella voce e Joe, con l’aiuto di Krieger junior, alla chitarra già si sapeva fare, andatevi a sentire (se trovate il CD nell’usato) il rimarchevole lavoro al wah-wah in Dixie Peach, o il lavoro delle due soliste all’unisono nello strumentale sudista The Storm, alla produzione doveva esserci Phil Ramone, poi fu chiamato Joe Hardy (Tommy Keene, Georgia Satellites, Green On Red), loro amavano il blues(rock) ma l’etichetta gli chiedeva hard rock, comunque il lungo lentone Since You’re Gone ha qualche elemento alla Lynyrd Skynyrd, che li usarono come band di supporto nel 1995 https://www.youtube.com/watch?v=TuW_6YApSGg .

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La Carriera Solista, Prima Parte 2000-2009

Nel 2000 la Okeh, una succursale della Epic/Columbia gli propone un contratto, grazie alla reputazione che si era fatto nell’ambiente, e lo stesso anno arriva il primo album

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A New Day Yesterday – 2000 Okeh/Epic ***1/2

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A New Day Now 20th Anniversary – 2020 JR Adventures/Mascot Provogue ***1/2

Mettiamo insieme le due edizioni del primo disco di Joe Bonamassa, che secondo me più o meno si equivalgono come valore: quella del 2000, registrata ai Pyramid Recording Studios di New York, si avvale della produzione di Tom Dowd, uno dei grandissimi che ha “creato” alcuni dei più bei dischi della storia del rock, tra i quali parecchi proprio di Eric Clapton, del quale Bonamassa per molti è una sorta di erede (se mai si vorrà ritirare, per ora Slowhand annuncia ma poi per fortuna ci ripensa): anche se per altri, pochi ma tignosi, Joe è solo un “casinaro”, benché il sottoscritto appartiene assolutamente, come la maggioranza degli ascoltatori del buon rock, del blues e di tutti i generi che suona il nostro amico, ai suoi estimatori. Chiarito questo concetto continuiamo, anzi iniziamo ad esaminare la sua copiosa discografia. Tornando a A New Day Yesterday, tra i fattori negativi c’è la presenza di una band che lo accompagna non proprio di prima fascia, onesti musicisti, ma Creamo Liss al basso e Tony Cintron alla batteria, per quanto bravi, alzi la mano chi a parte questo disco li hai mai sentiti nominare (Cintron, ho controllato, suona comunque in parecchi dischi di fusion e jazz); tra i lati positivi la presenza come ospiti di Rick Derringer a chitarra e voce in Nuthin’ I Wouldn’t Do (For a Woman Like You), un ottimo brano di Al Kooper, in If Heartaches Were Nickels uno splendida canzone di Warren Haynes, ci sono Gregg Allman a voce e organo e Leslie West alla seconda chitarra  https://www.youtube.com/watch?v=yRem6f0bmIE (che misteriosamente scompaiono nella versione del ventennale di A New Day Now), in un brano, ma è marginale, c’è anche il babbo di Joe, Len alla chitarra.

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Tra i plus della versione 2020 c’è l’ottimo lavoro di masterizzazione e mixaggio di Kevin Shirley che ha attualizzato il sound (per quanto la versione di Dowd suonava ottimamente) e inserito le nuove parti vocali di Bonamassa che le ha volute reinciderle con la sua voce attuale, più matura, calda e sicura, rispetto al giovane Joe del 2000, non disprezzabile comunque già all’epoca. Tra le bonus della nuova edizione ci sono tre brani del 1997, scritti con Steven Van Zandt e prodotti dallo stesso, francamente non memorabili, tra cui una irriconoscibile I Want You di Dylan, veramente bruttarella. Molto bello in entrambe le versioni il trittico di canzoni iniziali, Cradle Rock di Rory Gallagher https://www.youtube.com/watch?v=hVyhZ6rEbkI , Walk In My Shadow dei Free e A New Day Yesterday dei Jethro Tull https://www.youtube.com/watch?v=h1TAQa-IP8I , oltre alla cover conclusiva di Don’t Burn Down That Bridge di Albert King, che indicano che la stoffa del fuoriclasse è già presente.

Nel 2001 nel corso del tour americano di 60 date viene registrato il suo primo album dal vivo

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A New Day Yesterday Live – 2002 Premier Artists ***1/2 nel 2004 anche DVD con tre tracce aggiunte. La formazione che accompagna Bonamassa è il classico power trio, con Eric Czar al basso e Kenny Kramme alla batteria. La data è il dicembre 2001 a Fort Wayne, Indiana: il repertorio verte soprattutto su materiale tratto dal disco di studio, prima di Cradle Rock c’è una breve jam dove Joe va di slide, mentre la band sembra rocciosa anziché no, come testimoniano versione gagliarde dei pezzi di Gallagher, Free, un medley strumentale strepitoso di Steppin’ Out, lato Clapton e Rice Pudding di Jeff Beck https://www.youtube.com/watch?v=KntOQU-Sqkg , mentre c’è una lunga I Know Where I Belong, uno dei brani migliori scritti da Bonamassa per il disco di studio, anche A New Day Yesterday dei Jethro Tull è preceduta da un lungo assolo del nostro al wah-wah, a dimostrazione che il musicista newyorchese era già un axeman fantastico e dal vivo un grande perfomer, come confermano potenti versioni di Walk In My Shadow https://www.youtube.com/watch?v=dv6vmWF8ZRE  e dell’intenso slow blues If Heartaches Were Nickels. Negli extra del DVD, che sarebbe il formato da avere, ci sono una improvvisazione per chitarra che precede Are You Experienced di Jimi Hendrix e Had To Cry Today dei Blind Faith di Clapton, che poi darà il titolo al 4° album di studio del 2004  https://www.youtube.com/watch?v=xjQvapPsfa8. Già allora Bonamassa comincia a sviluppare la sua bulimia discografica, con almeno un disco di studio all’anno, oltre a Live a go-go e progetti collaterali con altre band nel futuro.

Visto che la produzione è immane (circa una cinquantina di dischi e DVD in venti anni) per evitare di trasformare l’articolo in un romanzo cercherò di concentrare i contenuti, ma dubito di farcela. Sempre nel 2002 esce

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So It’s Like That – 2002 Medalist **1/2 prodotto da Cliff Magness, noto per il suo lavoro con Avril Lavigne (?!?): un disco di transizione, dove Bonamassa scrive tutti i brani insieme ad altri, il lavoro della chitarra è spesso fantastico come nella iniziale My Mistake, ma molte delle canzoni virano verso un hard rock di maniera, per quanto Czar e Kramme siano una buona sezione ritmica, Joe all’epoca non era ancora un grande autore, e non si vive di soli assoli, per quanto nello shuffle blues della title track e nella lunga e tirata Mountain Time ci dia dentro alla grande. Ma già l’anno dopo realizza un disco quasi completamente dedicato alle 12 battute, sin dal titolo, uno dei suoi migliori in assoluto

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Blues DeLuxe – 2003 Medalist Records **** Anche ottimo il produttore Bob Held, pure lui con un passato “metallurgico” qui però dimenticato, il repertorio è impeccabile, Jon Paris di winteriana memoria viene aggiunto all’armonica e Benny Harrison all’organo: You Upset Me di B.B,.King, con un approccio non dissimile da quello di Gary Moore, il boogie Burning Hell di John Lee Hooker dove sembra di ascoltare gli ZZ Top, i Canned Heat o Johnny Winter https://www.youtube.com/watch?v=zDoJPKR7Xz4 , una formidabile versione appunto del super lento Blues DeLuxe di Jeff Beck, con un assolo soffertissimo https://www.youtube.com/watch?v=7hQPDQidI2c , e ancora la funky Man Of Many Words di Buddy Guy, l’acustica Woke Up Dreamng scritta dallo stesso Joe, che firma anche l’ottima blues ballad I Don’t Live Anywhere, degna dei Bluesbreakers di Mayall, prima di andare di bottleneck in una fremente Wild About You Baby di Elmore James, e lavorare di fino in Long Distance Blues di T-Bone Walker, prima di scatenare la potenza della band in Pack It Up di Freddie King e nello strumentale Left Overs di Albert Collins, e il rigore blues di Walking Blues di Robert Johnson. Insomma Bonamassa mette a frutto gli anni di ascolto sui dischi del babbo, mentre l’anno dopo esce il primo disco per la Provogue con il ritorno al rock-blues, ma variegato e raffinato di

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Had To Cry Today – 2004 Mascot Provogue ***1/2 Bob Held è di nuovo il produttore, i musicisti (che ho rivalutato, ascoltando i dischi, dopo anni che non li sentivo) sono gli stessi del precedente CD: un misto di cover e brani originali di Bonamassa, che migliora come autore, con delle punte di eccellenza in Never Make Your Move To Soon dal repertorio di B.B. King, bonamassizzata (se si può dire) per l’occasione, una vorticosa Travelin’ South di Albert Collins a tutta slide, l’intenso lento Reconsider Baby di Lowell Fulson, fatto anche da Clapton e Gregg Allman, molto buona anche l’elettrocustica Around The Bend, dai retrogusti country, firmata dal nostro amico, che poi rende omaggio prima a Danny Gatton nella twangy Revenge Of The 10 Gallon Hat, alla faccia di chi dice che non abbia una grande tecnica, e anche all’amato Eric nella cover di Had To Cry Today, il bellissimo pezzo di Steve Winwood per i Blind Faith , dove gli assoli di Bonamassa rivaleggiano con quelli di Manolenta https://www.youtube.com/watch?v=XPYpPwGm5GY , eccellente anche lo strumentale acustico Faux Martini con influenze flamenco. A questo punto il nostro rovina un po’ la media delle uscite perché nel 2005 non esce nulla, ma l’anno dopo ecco arrivare

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You And Me – 2006 Mascot Provogue – ***1/2 il primo album con il produttore Kevin Shirley, che d’ora in avanti sarà alla guida di tutti i suoi dischi. Solita formula, rock con venature blues o viceversa, ma nuova band, Carmine Rojas al basso, che rimarrà con Joe fino a metà della successiva decade, Jason Bonham alla batteria, solo in questo album (ma poi presenza costante nei Black Country Communion), forse scelto anche perché nel disco c’è una cover di Tea For One dei Led Zeppelin, dove per la prima volta Shirley inizia ad usare gli archi in un disco di Bonamassa, che rilascia un assolo da sballo, grande versione comunque https://www.youtube.com/watch?v=mkpIsv7XHLE , cantata splendidamente da Doug Henthorn, che poi apparirà spesso come vocalist aggiunto negli anni a venire, Rick Melick è alle tastiere. Molto buone anche l’iniziale High Water Everywhere una cover di Charley Patton, molto rock 70’s, Bridge To Better Days tra Free, Bad Company e Foghat con Pat Thrall alla seconda chitarra, Asking Around For You una blues ballad con archi, So Many Roads di Otis Rush, ma la faceva anche Peter Green con John Mayall e Gary Moore. E che dire di una inconsueta e swingata I Don’t Believe di Bobby Bland, o del tradizionale con slide acustica Tamp Em Up Solid che faceva pure Ry Cooder, alla faccia di nuovo di chi dice che Bonamassa non sia eclettico e capace di suonare tutti gli stili, come dimostrano l’epica Django o il blues puro di Your Funeral My Trial di Sonny Boy Williamson tramutato in un rock violento, con il giovanissimovirtuoso dell’armonica L.D. Miller, all’epoca 12 anni, non si sa poi che fine abbia fatto, ma forse non era disponibile John Popper. L’anno successivo in estate esce il settimo album di studio

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Sloe Gin – 2007 Mascot Provogue ***1/2 il primo disco ad entrare nelle classifiche americane, ben al 184° posto, per quanto in alcuni paesi europei la fama di Bonamassa cominci a diffondersi. Quasi in equilibrio brani originali e cover, 6 a 5, e un altro nuovo ingresso nella formazione con l’arrivo di Anton Fig alla batteria, da allora sempre presente sullo sgabello in tutti gli album, una garanzia con la sua classe mista a forza esplosiva, a seconda di quello che serve. Ball Peen Hammer, un intenso brano in bilico tra acustico ed elettrico di Chris Whitley apre l’album, con il solito uso degli archi di Shirley, a seguire One Of These Days uno dei classici rock-blues originali dei Ten Years After, con Joe alla slide  , Seagull, una morbida ballata dei Bad Company di Paul Rodgers, Sloe Gin è una robusta cover orchestrale di un pezzo di Tim Curry, il vecchio protagonista del Rocky Horror Picture Show, non manca il blues-rock di Another Kind Of Love, un brano non molto conosciuto di John Mayall, Bonamassa poi si confronta con il blues lento e tirato di Black Night, un brano di Charles Brown e a sorpresa con una intricata cover di Jelly Roll, un pezzo acustico di John Martyn, e infine uno strumentale orientaleggiante come India. Un altro bel disco, che viene bissato sul finire dell’anno dal secondo album live

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Shepherds Bush Empire – 2007 Mascot Provogue **** Solo 5 brani, ma non è un mini CD, spiccano i 15 minuti clamorosi di Just Got Paid, il famoso pezzo degli ZZ Top, da sempre uno dei cavalli di battaglia dei suoi show, quando usa la famosa Gibson a freccia e parte per la stratosfera del rock, in un medley che include anche una fantastica Dazed And Confused dei Led Zeppelin, eccellenti anche le cover di Walk In My Shadow e Blues DeLuxe https://www.youtube.com/watch?v=x-EhuaZN-XE . Dal vivo non delude mai, tanto che a breve distanza esce un altro CD dal vivo, il doppio

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Live From Nowhere In Particular – 2008 Mascot Provogue ***1/2 registrato durante il tour di Sloe Gin, dal quale vengono estratti cinque brani, ma anche gli altri dischi sono ben rappresentati: ottime Bridge To Better Days, So Many Roads, il medley esotico di India/Mountain Time e quello di Just Got Paid questa volta accoppiata con Django, l’intermezzo acustico con If Heartaches Were Nickels e Woke Up Dreaming, oltre alla conclusiva A New Day Yesterday con lunga citazione finale di Starship Troopers degli Yes https://www.youtube.com/watch?v=ptMM2DKDH5Y . L’anno successivo esce

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The Ballad Of Joe Henry – 2009 Mascot Provogue ****, uno dei suoi migliori dischi di studio, che ottiene un buon successo di vendite in giro per il mondo, soprattutto in Inghilterra e Olanda dove entra nella Top 30. La title track adattata da un brano di Mississippi John Hurt, vive su un equilibrio sonoro tra sfuriate zeppeliniane e inserti orchestrali ricercati, Stop è una bella ballata della cantante pop britannica Sam Brown, Last Call è un furioso rock-blues scritto dallo stesso Joe, che ben si adatta all’uso della doppia batteria (Bogie Bowles) e della chitarra ritmica di Blondie Chaplin. Nell’album per la prima volta a tratti cominciano ad apparire i fiati e lo spettro musicale si allarga, come nella cover di Jockey Full Of Bourbon di Tom Waits, o in quella di Funkier Than A Mosquito’s Tweeter, un brano scoppiettante con uso di fiati di Ike And Tina Turner https://www.youtube.com/watch?v=cqV9XkgIsZM , oppure nel duro swamp-rock di As The Crow Flies di Tony Joe White https://www.youtube.com/watch?v=tZvHPaIoR4Y . Sulla scia del successo Bonamassa arriva anche a registrare un doppio CD e DVD dal vivo

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Live from the Royal Albert Hall2009 2CD/2DVD **** il quarto della decade e uno dei migliori in assoluto della sua carriera, grazie alla location fantastica, al repertorio, alla presenza di un paio di ospiti, uno in particolare, di cui tra un attimo. Magari non ve ne frega niente, ma in quel periodo ho assistito anch’io ad un suo concerto a Milano e sono rimasto molto soddisfatto di quanto visto e sentito. Ormai la doppia batteria è un fatto acquisito, come la presenza dei fiati: vi consiglierei la versione in DVD, perché la parte visiva, specie per uno show alla RAH ha una sua importanza. Quasi due ore e mezza di spettacolo, 19 brani dove esplora tutto il proprio repertorio, con un suono “maestoso”: Django e The Ballad Of Joe Henry illustrano il suo lato più progressive e 70’s rock, So It’s Like That quello blues, con l’intermezzo rock citazionista di Last Kiss, poi c’è la lunga sequenza sulle 12 battute, So Many Roads, Stop!, prima di chiamare sul palco il suo idolo e mentore Eric “Slowhand” Clapton per un duetto/duello nella splendida Further On Up The Road, presenza che realizza un sogno, con i fiati che punteggiano il suono spesso durante il concerto https://www.youtube.com/watch?v=iz41Ea4Kfvk . Intermezzo acustico con la lunga Woke Up Dreaming e la scandita High Water Everywhere con doppia batteria. Di nuovo rock con Sloe Gin e Lonesome Road Blues, poi nella seconda parte di nuovo blues, prima con Paul Jones che sale sul palco con la sua armonica per Your Funeral My Trial, seguita da una strepitosa Blues DeLuxe fiatistica dove Bonamassa distilla il meglio dalla sua chitarra. E gran finale con il trittico finale, Just Got Paid degli ZZ Top con la sua Flying V, brano ricco di citazioni degli Zeppelin https://www.youtube.com/watch?v=0ThfM81Y0ng , la sontuosa e suggestiva Mountain Time https://www.youtube.com/watch?v=xiMqvPYPvQ0  e la deliziosa blues ballad Asking Around For You che conclude un concerto strepitoso.

Fine della prima parte.

Bruno Conti

Due Splendidi Tributi Ad Altrettante Icone Del Country. Prima Parte: Merle Haggard Sing Me Back Home

sing me back home the music of merle haggard

VV.AA. – Sing Me Back Home: The Music Of Merle Haggard – Blackbird 2CD – 2CD/DVD

La Blackbird Records, erichetta responsabile in passato di bellissimi album tributo registrati dal vivo (dedicati a Jerry Garcia, Kris Kristofferson, Mavis Staples, Gregg Allman, Waylon Jennings, Charlie Daniels, Dr. John, Emmylou Harris, Levon Helm e John Lennon), ha deciso quest’anno di regalarci ben due operazioni analoghe, dedicate e altrettante autentiche leggende della country music: Merle Haggard e Willie Nelson. Oggi mi occupo del primo dei due omaggi Sing Me Back Home: The Music Of Merle Haggard, un concerto registrato alla Bridgestone Arena di Nashville (e pubblicato sia in doppio CD che con DVD allegato) in una data che non poteva che essere il 6 aprile, che è il giorno sia di nascita che di morte del countryman californiano: per l’esattezza siamo nel 2017, un anno dopo la scomparsa di Merle e giorno del suo ottantesimo compleanno. La house band è un mix tra gli Strangers, gruppo che era solito accompagnare Merle dal vivo, e musicisti come Don Was, Sam Bush ed il figlio del festeggiato, Ben Haggard, e durante lo show vediamo scorrere una serie impressionante di grandi nomi e possiamo ascoltare diverse performance d’eccezione.

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La serata si apre proprio con Haggard Jr., che con una bella voce profonda ci regala una languida What Am I Gonna Do (With The Rest Of My Life) https://www.youtube.com/watch?v=xz1__9ITpGA  e, insieme ad Aaron Lewis, Heaven Was A Drink Of Wine; la stagionata Tanya Tucker ha ancora grinta da vendere e lo dimostra con una bella ripresa dell’honky-tonk The Farmer’s Daughter, e ancora più avanti con gli anni sono il mitico Bobby Bare, alle prese con un’ottima I’m A Lonesome Fugitive https://www.youtube.com/watch?v=yJEJQCDZOMU , e Connie Smith, che con voce giovanile propone una limpida rilettura di That’s The Way Love Goes. John Anderson è un grande, e la sua Big City, gustosa e ritmata honky-tonk song, è tra le più riuscite di questa prima parte https://www.youtube.com/watch?v=Vt1P-5tOLXM , mentre Toby Keith un grande non è ma ha quantomeno esperienza e con il repertorio giusto, nella fattispecie il medley Carolyn/Daddy Frank, se la cava bene; Buddy Miller è bravissimo sia come singer/songwriter che come chitarrista, e lo fa vedere con una splendida Don’t Give Up On Me in pura veste country-gospel, il duo Jake Owen/Chris Janson propone la lenta Footlights, discreta, e Lucinda Williams che poteva apparire un po’ fuori contesto fornisce invece una prestazione egregia con una scintillante Going Where The Lonely Go https://www.youtube.com/watch?v=brj50wVvmCc .

Mandatory Credit: Photo by Invision/AP/Shutterstock (9242003x) Bobby Bare performs at the concert "Sing me Back Home: The Music of Merle Haggard" at the Bridgestone Arena, in Nashville, Tenn Sing me Back Home: The Music of Merle Haggard - Show, Nashville, USA - 6 Apr 2017

Mandatory Credit: Photo by Invision/AP/Shutterstock (9242003x)
Bobby Bare performs at the concert “Sing me Back Home: The Music of Merle Haggard” at the Bridgestone Arena, in Nashville, Tenn
Sing me Back Home: The Music of Merle Haggard – Show, Nashville, USA – 6 Apr 2017

Il primo CD si chiude in netto crescendo con l’ottimo Jamey Johnson, grande voce e solida imterpretazione dell’intensa Kern River, gli Alabama che non mi sono mai piaciuti molto ma qui centrano il bersaglio con una toccante Silver Wings acustica e corale, Hank Williams Jr. che affronta I Think I’ll Just Stay Here And Drink come se fosse una sua canzone (quindi roccando in maniera coinvolgente), la meravigliosa Loretta Lynn che va per i 90 ma dà ancora dei punti a tutti con una vispa Today I Started Loving You Again, ed i Lynyrd Skynyrd al completo che non possono che suonare la travolgente Honky Tonk Night Time Man, brano di Haggard che dagli anni 70 eseguono sui palchi di tutto il mondo https://www.youtube.com/watch?v=JIqPW5w54UE .

Mandatory Credit: Photo by Invision/AP/Shutterstock (9242003ad) Rodney Crowell performs at the concert "Sing me Back Home: The Music of Merle Haggard" at the Bridgestone Arena, in Nashville, Tenn Sing me Back Home: The Music of Merle Haggard - Show, Nashville, USA - 6 Apr 2017

Mandatory Credit: Photo by Invision/AP/Shutterstock (9242003ad)
Rodney Crowell performs at the concert “Sing me Back Home: The Music of Merle Haggard” at the Bridgestone Arena, in Nashville, Tenn
Sing me Back Home: The Music of Merle Haggard – Show, Nashville, USA – 6 Apr 2017

(NDM: sulla confezione del doppio CD è indicato anche Rodney Crowell con You Don’t Have Very Far To Go, ma non c’è…. ma è nel DVD) Il secondo dischetto si apre subito alla grande con gli Avett Brothers che rileggono in modo superbo la classica Mama Tried, tra gli highlights della serata https://www.youtube.com/watch?v=uCoPrCoMmis , e prosegue sulla stessa lunghezza d’onda con John Mellencamp ed una fantastica White Line Fever, puro folk-rock elettrificato https://www.youtube.com/watch?v=GUlhKT0KMKY ; Kacey Musgraves si cimenta con grazia ma anche grinta con Rainbow Stew, mentre il povero Ronnie Dunn che già non è un genio vede la sua It’s All In The Movies letteralmente spazzata via da un ciclone chiamato Billy Gibbons, prima nell’insolita veste di honky-tonk man con una tonica The Bottle Let Me Down e poi in coppia con Warren Haynes, un altro carrarmato, in una potente e bluesata Workin’ Man Blues, solo due voci e due chitarre elettriche fino al formidabile finale accelerato e full band https://www.youtube.com/watch?v=ZUqnt_JGNLc .

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Dierks Bentley se la cava abbastanza bene con l’ariosa If We Make It Through December, puro country, e precede le due donzelle Sheryl Crow (Natural High) e Miranda Lambert (Misery And Gin), brave entrambe https://www.youtube.com/watch?v=scy80IjpqII , ed il grandissimo Willie Nelson che duetta con Kenny Chesney nel capolavoro di Townes Van Zandt Pancho And Lefty (che fu un successo negli anni 80 proprio per Willie e Merle): versione davvero commovente https://www.youtube.com/watch?v=Lhs62F6YmkU . Di leggenda in leggenda, ecco Keith Richards che ci delizia con il superclassico Sing Me Back Home nel suo tipico stile sgangherato ma pieno di feeling https://www.youtube.com/watch?v=LwqzhbjrcnA ; “Keef” viene raggiunto ancora da Willie per una tersa Reasons To Quit e poi cede il posto a Toby Keith che al cospetto di Nelson è un nano ma riesce a non sfigurare nell’elettrica e spumeggiante Ramblin’ Fever. Gran finale con tutti sul palco per Okie From Muskogee, inno anti-hippies criticatissimo all’epoca ma canzone strepitosa.

willie nelson keith richards merle haggard

Un tributo splendido quindi, giusto e dovuto omaggio ad una vera leggenda della nostra musica. Una sola domanda però: dove cippalippa era Dwight Yoakam?

Marco Verdi

Un Live Di Importanza Storica Ed Un Altro “Solo” Strepitoso! The Allman Brothers Band – The Final Note/Warner Theatre, Erie, Pa 7-19-05

allman brothers band the final note

The Allman Brothers Band – The Final Note – ABB Recording Company CD

The Allman Brothers Band – Warner Theatre, Erie, PA 7-19-05 – Peach Records 2CD

Il bellissimo cofanetto uscito a inizio anno dal titolo Trouble No More, atto a celebrare la fantastica epopea della Allman Brothers Band, era quasi più un’operazione per neofiti che per fans, dal momento che su 61 pezzi totali gli inediti erano appena sette (*NDB Perà circa 90 minuti di musica) https://discoclub.myblog.it/2020/03/12/il-tipico-cofanetto-da-isola-deserta-the-allman-brothers-band-trouble-no-more/ . La doppia uscita di cui mi accingo a parlare è invece chiaramente indirizzata agli estimatori dello storico gruppo di Macon: trattasi infatti di due album live inediti provenienti dagli archivi della band e realizzati dalle loro etichette personali (la seconda incentrata sul materiale del periodo 2003-2014 gestito dalla Peach Records), due pubblicazioni diverse sia nei contenuti che nella data di registrazione ma decisamente interessanti, seppur per motivi differenti.

Il primo CD, singolo, si intitola The Final Note e, come lascia intuire la copertina che raffigura il grande Duane Allman, appartiene al periodo d’oro del gruppo: si tratta infatti di parte di un concerto (otto canzoni) che i nostri tennero il 17 ottobre del 1971 ad Owing Mills, nel Maryland, uno show a modo suo storico per un triste motivo: si tratta infatti dell’ultimo spettacolo della ABB con Duane nella lineup, dato che dopo soli 12 giorni il chitarrista morirà tragicamente nel famoso incidente motociclistico a soli 24 anni. La storia di come è avvenuta la pubblicazione di questo concerto è piuttosto curiosa, dal momento che per decenni si pensava che non esistesse alcuna testimonianza sonora: tutto nacque grazie all’iniziativa di tale Sam Idas, uno studente che nel 1971 aveva 18 anni e che per arrotondare lavorava part-time in una radio indipendente dell’area di Baltimora. Sam era un fan del gruppo, ed in occasione della serata del 17 ottobre ad Owing Mills era stato incaricato addirittura di intervistare Gregg Allman, il quale si era gentilmente concesso per un breve scambio di battute: siccome l’intervista sarebbe avvenuta dopo il concerto, Idas aveva pensato bene di usare il suo registratore portatile per registrare parte dello show, stando però attento a non occupare tutto lo spazio dato che il nastro durava solo 60 minuti.

Ebbene, quella cassetta è miracolosamente sopravvissuta fino ad oggi, ed i tecnici del suono alle dipendenze della ABB Recording Company sono stati incaricati di ripulire il tutto e rimasterizzarlo al fine di tirare fuori un CD che fosse commerciabile. A questo punto la leggenda deve però far spazio alla cronaca, e devo quindi affermare che, nonostante The Final Note sia indubbiamente un documento eccezionale dal punto di vista storico, la sua resa sonora è ai limiti dell’accettabilità. Infatti, siccome i miracoli non li fa nessuno, il dischetto paga la precarietà della registrazione originale e nonostante l’indiscutibile lavoro certosino che è stato fatto presenta un suono fangoso e poco limpido tipico dei bootleg, e neppure di buona qualità. E’ un peccato, in quanto la performance è tosta e solidissima, con un set tipico dell’epoca e la ABB (al gran completo e con l’aggiunta di Juicy Carter al sax in tre pezzi) che è la solita macchina da guerra. Il CD si apre in maniera potente con Statesboro Blues (con Idas che all’inizio ripete insistentemente “testing, testing”, il nostro “prova, prova”), con il suono che va e viene ed una superba prestazione chitarristica di Duane e Dickey Betts che purtroppo si intuisce soltanto.

Il sound non migliora molto strada facendo, ed è un peccato perché la serata è di quelle giuste: diciamo che l’orecchio dopo un po’ si abitua e così possiamo “ascoltare” una diretta e ficcante Trouble No More seguita da due lucide e sanguigne riletture di Don’t Keep Me Wondering e Done Somebody Wrong, in cui si capisce comunque che i nostri erano in forma nonostante la stanchezza di fine tour, con la voce di Gregg che si staglia sopra il sound piuttosto confuso (ma chi conosce bene il gruppo saprà in ogni caso cogliere le sfumature). Dopo una breve One Way Out abbiamo una sempre calda e sinuosa In Memory Of Elizabeth Reed che però è incompleta e si interrompe dopo sei minuti, ma il finale rimette le cose a posto grazie alle formidabili Hot’Lanta e Whipping Post, venti minuti totali che chiudono il CD, se non dal punto di vista del suono almeno da quello della performance, alla grande.

allman brothers band warner theatre erie 7-19-05

Facciamo invece un salto in avanti di 34 anni per parlare di Warner Theatre, Erie, PA 7-19-05, un doppio CD che documenta uno spettacolo che stavolta non ha risvolti tragici, ma che semplicemente, almeno a detta dei fans, è stata una delle migliori esibizioni del nuovo millennio da parte della band al punto da essere stato ribattezzato “the best show you never heard”. Rispetto al concerto di The Final Note troviamo ancora saldamente al loro posto Gregg Allman (ovviamente) ed i batteristi Butch Trucks e Jaimoe, ai quali si è aggiunto dal 1991 il percussionista Marc Quinones, mentre al basso il posto di Berry Oakley (che nel 1972 ha subito lo stesso destino di Duane) è stato preso da Oteil Burbridge ed i due chitarristi sono Derek Trucks e Warren Haynes, il quale si divide con Gregg anche le parti da lead vocalist. Personalmente non ho mai collezionato bootleg o instant live della ABB, ma se i fans dicono che questa è stata una delle migliori serate del periodo non sarò certo io a smentirli: quello che so è che dopo avere ascoltato fino in fondo questo doppio CD sono rimasto letteralmente tramortito sul divano, dato che mi sono trovato di fronte ad un concerto di livello altissimo e di notevole potenza, due ore e mezza di grandissimo rock sudista come solo Gregg e soci sapevano fare, con la sezione ritmica che non ha mai perso un colpo, le due chitarre che si sono rincorse senza stancarsi per tutta la durata dello show ed il suono caldo dell’organo di Allman (ottimo anche al piano) che ha completato il suono insieme al suo vocione, il tutto con una qualità di registrazione stavolta davvero perfetta e professionale.

Un disco che se fosse uscito nel 2005 sarebbe probabilmente stato eletto da molti come live dell’anno. Che non è un concerto “normale” si capisce sin dal fatto che inizi subito con una superlativa Mountain Jam di quasi 22 minuti (divisi in due, 12 prima ed altri 9 e mezzo sette canzoni dopo): partenza quasi attendista, poi il ritmo prende il sopravvento ed i due chitarristi suonano prima all’unisono e poi alternandosi con una serie di assoli strepitosi, un avvio che fa capire immediatamente che tipo di serata sarà. Rispetto allo show di The Final Note ci sono quattro brani in comune (Statesboro Blues, Trouble No More, Don’t Keep Me Womdering e la conclusiva One Way Out), tutte in trascinanti versioni che non fanno certo rimpiangere quelle del ’71, anzi, forse One Way Out è pure meglio. All’epoca i nostri stavano ancora promuovendo il loro ultimo album di studio Hittin’ The Note del 2003, e da quel disco possiamo ascoltare il solido e cadenzato rock-blues Firing Line e soprattutto l’ottima High Cost Of Low Living, una calda e fluida ballata di nove minuti degna dei loro momenti migliori. Tra gli altri classici abbiamo una straordinaria rilettura di 12 minuti dell’evergreen di Sonny Boy Williamson Good Morning Little Schoolgirl, con Warren e Derek letteralmente trasfigurati e la band che li segue come un treno lanciato, la grintosa e raramente suonata Leave My Blues At Home (con in mezzo un lungo assolo di batteria, forse troppo lungo – 16 minuti – intitolato Jabuma, dalle iniziali dei nomi dei tre percussionisti Jaimoe, Butch e Marc), e tre pezzi da novanta, tre ballate fantastiche come Melissa, Dreams e Jessica (unica concessione ai brani scritti da Betts, tra l’altro in una versione semplicemente fenomenale di un quarto d’ora abbondante, tra le più belle mai sentite), che rappresentano la quintessenza del suono Allman.

Una particolarità dei concerti della ABB negli anni duemila era infine l’introduzione in scaletta di cover diciamo “mainstream”, ovvero non strettamente legate alle influenze blues di Gregg e compagni: in questo doppio possiamo ascoltare, suonate alla loro maniera (quindi alla grande) tre capolavori come The Night They Drove Old Dixie Down di The Band, Into The Mystic di Van Morrison ed una stupenda e decisamente soulful Don’t Think Twice It’s All Right di Bob Dylan, affidata alla voce (e chitarra) dell’ospite d’onore Susan Tedeschi, all’epoca già sposata con Derek Trucks. Una doppia uscita da non ignorare quindi: diciamo che se non siete fans accaniti della Allman Brothers Band potete anche bypassare The Final Note a causa del suono un po’ deficitario, ma con Warner Theatre, Erie, 7-19-05 c’è da godere come ricci.

Marco Verdi

Una Edizione Riveduta E Corretta Del Suo Primo Album! Joe Bonamassa – A New Day Now 20th Anniversary Edition

joe bonamassa a new day now

Joe Bonamassa – A New Day Now 20th Anniversary Edition – JR Adventures/Mascot Provogue

Nuovo ma vecchio, o se preferite vecchio ma nuovo: di solito invertendo i fattori il risultato non cambia, in questo caso non saprei. Come è noto Joe Bonamassa appartiene alla categoria “una ne pensa e cento ne fa”. In questi mesi di pandemia se ne è stato stranamente tranquillo nel suo quartier generale di Nerdville e da lì ha imperversato con video, interviste a colleghi e altri modi per passare il tempo; ovviamente non è stato con le mani in mano, ha pubblicato il primo album della sua band collaterale Sleep Eazys, lo strumentale Easy To Buy https://discoclub.myblog.it/2020/04/20/e-sempre-il-buon-vecchio-joe-bonamassa-ma-diverso-e-in-incognito-sleep-eazys-easy-to-buy-hard-to-sell/ , e ha prodotto l’eccellente album collettivo di Dion Blues With Friends https://discoclub.myblog.it/2020/06/17/un-altro-giovanotto-pubblica-uno-dei-suoi-migliori-album-di-sempre-dion-blues-with-friends/ . Già che c’era ha iniziato anche a registrare agli Abbey Road Studios Royal Tea il suo nuovo album di studio, che dovrebbe essere pronto, uscita il 23 ottobre, sto già preprando la recensione; ma nel 2020 ricorre anche il 20° Anniversario dalla pubblicazione dei suo primo album solista A New Day Yesterday, quello che ha trasformato un giovane e promettente chitarrista che divideva il palco con B.B. King a 12 anni, e nel 1994 a 17 anni pubblicava il suo primo non memorabile disco con i Bloodline, nella “Next Big Thing” della chitarra, tanto che a produrre quel disco venne chiamato Tom Dowd (Cream, Eric Clapton, Derek & The Dominos, Allman Brothers, Aretha Franklin possono bastare?).

Il risultato non fu per nulla disprezzabile, anzi, ma oggi Bonamassa, nel suo continuo desiderio di migliorarsi, ha deciso di riprendere in mano quei nastri, affidarli al suo attuale produttore Kevin Shirley e come dice il lancio del nuovo CD, presentare un prodotto “ri-cantato, rimixato, rimasterizzato e con l’aggiunta di tre bonus”. A voler essere pignoli, il disco uscito in origine per la Okeh Records nel 2000, era già stato “ri-pubblicato” nel 2005 e nel 2010, ma questa volta, come appena accennato, Bonamassa ha voluto rifare ex novo tutte le parti vocali, con la sua maturata voce di 43enne cantante di grande esperienza: ovviamente il “bravo recensore”, come direbbe Frassica, cioè il sottoscritto, si è andato a risentire anche il disco vecchio, e devo dire che in effetti Joe già allora non cantava poi così male, il suono del disco curato da un maestro come Dowd era brillante, e il repertorio, con 6 cover e 6 brani originali era ben bilanciato, quindi a voi l’ardua sentenza se ricomprarvelo. Il disco, se già non lo avete, comunque merita, nella nuova versione ancora di più: oltre alla sezione ritmica dell’epoca Creamo Liss al basso e Tony Cintron alla batteria, prevedeva anche la partecipazione di alcuni ospiti di pregio.

Il trittico iniziale di cover, Cradle Rock di Rory Gallagher, a tutto riff e con un assatanato Joe alla slide, Walk In My Shadow dei Free e A New Day Yesterday dei Jethro Tull, è veramente strepitoso, e la voce di oggi di Bonamassa gli rende ulteriore giustizia, quindi forse, a voler ben guardare non è una operazione del tutto peregrina; si diceva degli ospiti, Rick Derringer, seconda voce e chitarra aggiunta in una versione potente di Nuthin’ I Wouldn’t Do (For a Woman Like You) di Al Kooper, che ricorda moltissimo il sound dei Johnny Winter And dei quali Derringer era elemento decisivo, con sventagliate di chitarra wah-wah a piè sospinto. Come ha detto lo stesso Joe in una recente conversazione sul suo sito con Walter Trout, riferendosi alle critiche di alcuni loro detrattori puristi, “Too Many Notes Played Way Too Loud”, se lo sono pure stampati sul retro di una t-shirt e via senza problemi, sentire una vigorosa Colour And Shape e non godere come ricci è un vero delitto.

Nella cover di un brano di Warren Haynes If Heartaches Were Nickels, uno slow blues libidinoso, Bonamassa unisce le forze con Leslie West e Gregg Allman, per sei minuti di pura magia sonora, anche se nella nuova versione sono spariti i contributi vocali degli ospiti ed un paio di minuti del brano, e questo non va bene. L’ultima cover è Burn That Bridge, dal repertorio di Albert King, un altro rock blues tiratissimo con pedale wah-wah inserito a manetta , con il babbo di Bonamassa Len, alla chitarra aggiunta. Gli altri brani originali firmati da Joe, con molti richiami a Clapton e Stevie Ray Vaughan, illustrano il lato più duro e tirato del nostro amico. Diciamo più che buoni ma non eccelsi. Eliminata l’altra bonus, la versione lunga di Miss You, Hate You, presente nella versione “radio”, sono stati aggiunti tre brani con Stevie Van Zandt (Little Steven), uno dei primi a credere nel talento del nostro amico, demos registrati nel 1997 quando Bonamassa non aveva ancora un contratto discografico, Hey Mona, I Want You e Line On Denial sono tre brani di classico rock americano, il secondo, una cover irriconoscobile e durissima di I Want You di Dylan, il terzo con vaghi riff e rimandi zeppeliniani e un sound piuttosto robusto e corposo, ma forse niente per cui strapparsi le vesti. Come avrebbe detto Gene Wilder “Si-può-fare”!

Bruno Conti

Il Tipico Cofanetto Da Isola Deserta! The Allman Brothers Band – Trouble No More

allman brothers trouble no more 50th anniversary collection

The Allman Brothers Band – Trouble No More. 50th Anniversary Collection – Mercury/Universal 5CD – 10LP Box Set

Eccomi finalmente a parlare dell’atteso cofanetto che celebra i 50 anni di carriera della leggendaria Allman Brothers Band, uno dei più grandi gruppi di sempre ed inventore del genere southern rock, una miscela irresistibile di rock, blues, jazz e soul che ha avuto centinaia di seguaci ma nessuno a quel livello (in realtà gli anni sarebbero 51, perché la ABB si è formata nel 1969, o 45 dato che si sono ufficialmente sciolti nel 2014, ma non è il caso di essere troppo pignoli). Gruppo fantastico in ognuna delle sue molte configurazioni, gli ABB oltre ad avere dato origine ad una lunga serie di grandissime canzoni sono stati uno degli acts dal vivo più memorabili (non per niente il loro mitico Live At Fillmore East del 1971 è probabilmente il miglior album live di sempre in assoluto), ma hanno avuto nella loro storia anche diverse tragedie, in particolare la drammatica scomparsa del fenomenale chitarrista e fondatore Duane Allman, uno che avrebbe potuto diventare il più grande axeman di sempre, seguita un anno dopo dall’ugualmente scioccante dipartita del bassista Berry Oakley in circostanze quasi identiche (un incidente di moto a pochi isolati di distanza uno dall’altro).

Non è però il caso che vi racconti qua la storia del gruppo (se siete abituali frequenatatori di questo blog li conoscete alla perfezione), ma voglio parlarvi nel dettaglio di questo splendido cofanetto intitolato Trouble No More, che attraverso cinque CD (o dieci LP, ma il box in vinile ha un costo davvero improponibile) ripercorre il meglio della loro storia dal primo demo inciso in studio fino all’ultima canzone suonata dal vivo, in una confezione elegante con un bellissimo libretto ricco di foto ed un lungo saggio scritto da John P. Lynskey, e con la produzione a cura del noto archivista Bill Levenson, specialista in questo genere di operazioni. Il box è una goduria dall’inizio alla fine, in quanto troviamo al suo interno quasi sette ore di grandissima musica: gli inediti non sono tantissimi, solo sette (ma uno meglio dell’altro), ma non mancano diverse chicche e rarità e poi diciamocelo, non ci sono tanti gruppi al mondo a potersi permettere una collezione di cinque CD a questo livello (ed il box funziona anche se possedete già Dreams, l’altro cofanetto degli Allman uscito nel 1989, un po’ perché là mancava ovviamente tutto il materiale dal 1990 in poi, ed anche perché si prendevano in esame anche cose dei vari gruppi pre-ABB e materiale solista di Gregg Allman e Dickey Betts, mentre Trouble No More si occupa esclusivamente della vita della band “madre”). Ma vediamo nel dettaglio il contenuto dei cinque dischetti.

CD1: The Capricorn Years 1969-1979 Part I. Si inizia subito col primo inedito, che è anche il primo demo in assoluto registrato dal gruppo nell’Aprile del 1969 (strano che non sia stato pubblicato prima), e cioè il brano di Muddy Waters che intitola il box, che non sembra affatto una prova ma vede i nostri già belli in tiro, con Duane e Dickey che si scambiano licks e assoli e la sezione ritmica di Oakley, Jaimoe e Butch Trucks che è già un macigno. Poi abbiamo quattro classici dal primo album omonimo e cinque da Idlewild South (con capolavori come It’s Not My Cross To Bear, Dreams, Whipping Post, Midnight Rider, Revival e Don’t Keep Me Wonderin’) inframezzati da una formidabile I’m Gonna Move To The Outskirts Of Town di nove minuti dal famoso Live At Ludlow Garage. Il CD di chiude con tre brani dal leggendario Fillmore East (Statesboro Blues, Stormy Monday e la magnifica In Memory Of Elizabeth Reed), un lavoro dal quale il box non attinge più di tanto essendo già stato soggetto di un cofanetto sestuplo nel 2014.

CD2: The Capricorn Years 1969-1979 Part II. Unico dischetto senza inediti, ma non per questo privo di interesse : dopo la One Way Out ancora al Fillmore East abbiamo due pezzi tratti dal Live From A&R Studios 1971 (pubblicato nel 2016), una Hot’Lanta di “soli” sei minuti ed un monumentale medley You Don’t Love Me/Soul Serenade che di minuti ne dura quasi venti, uno degli highlights del box pur non essendo inedito. Da Eat A Peach abbiamo tre classici assoluti (Stand Back, Melissa e Blue Sky), per poi approdare ad una rara e bellissima Ain’t Wastin’ Time No More registrata dal vivo nel 1972 al Mar Y Sol Festival a Puerto Rico (tratta dal box Dreams), con Duane che ci aveva già lasciato ma Oakley ancora nel gruppo. I restanti cinque pezzi provengono da Brothers And Sisters, splendido album del 1973 che vedeva Betts ritagliarsi sempre di più il ruolo di co-leader insieme a Gregg, con capolavori come il roccioso rock-blues Southbound, la countreggiante Ramblin’ Man (il loro più grande successo a 45 giri) e la magnifica Jessica, mentre la conclusiva Early Morning Blues, con un grande Chuck Leavell al piano, è una outtake presa dalla deluxe edition di Brothers And Sisters del 2013.

CD3: The Capricorn Years 1969-1979 Part III/The Arista Years 1980-1981. Questo CD copre il periodo meno celebrato del gruppo, ma contiene anche l’inedito più interessante del box, cioè una straordinaria Mountain Jam registata al famoso Watkins Glen Festival del 1973, dodici minuti di goduria assoluta durante i quali i nostri condividono il palco con Jerry Garcia, Bob Weir e Robbie Robertson per una jam stratosferica (la chitarra di Jerry si riconoscerebbe su un milione, anzi in alcuni punti sembra che debba partire da un momento all’altro Sugar Magnolia). Anche Come And Go Blues è presa dal concerto a Watkins Glen, ma è tratta dal live Wipe The Windows, Check The Oil, Dollar Gas; a seguire troviamo tre brani presi da Win, Lose Or Draw, ultimo album dei nostri prima della temporanea separazione ed anche il meno fortunato fino a quel momento, anche se i pezzi qui presenti fanno la loro bella figura (Can’t Lose What You Never Had, ancora di Muddy Waters, la title track e soprattutto il quarto d’ora infuocato di High Falls di Betts). La reunion a cavallo tra i settanta e gli ottanta non fu molto proficua: tre album discreti ma lontani dai fasti di inizio decade (Enlightened Rogues, Reach For The Sky e Brothers Of The Road) in cui si tentava di dare al gruppo un suono più radiofonico, ma tra i brani scelti per questo box alcuni non sono affatto male, come il boogie Crazy Love, il godurioso strumentale Pegasus, la coinvolgente e soulful Hell & High Water e la grintosa Leavin’; chiude una fulgida Just Ain’t Easy dal vivo nel 1979, ancora dal box Dreams.

CD4: The Epic Years 1990-2000. Ecco la “vera” reunion, con Allman, Trucks, Betts e Jaimoe raggiunti da Warren Haynes ed Allen Woody (entrambi futuri Gov’t Mule) alla seconda chitarra e basso e dal tastierista Johnny Neel, per quella che a mio parere è la migliore formazione del gruppo dopo quella “mitica” dei primi anni. Con la guida del loro storico produttore Tom Dowd la nuova ABB pubblica due eccellenti album in meno di un anno, Seven Turns e Shades Of Two Worlds (quest’ultimo senza Neel ma con Marc Quinones alle percussioni), con brani del calibro di Good Clean Fun, trascinante boogie, Seven Turns (grandissima canzone), lo slow blues Gambler’s Roll, la solida End Of The Line e gli undici minuti strepitosi di Nobody Knows: tutti brani scelti per il cofanetto. Dopo una ruspante Low Down Dirty Mean dal vivo al Beacon e tratta dal doppio Play All Night abbiamo una delle chicche del box, ovvero una splendida versione acustica di Come On Into My Kitchen di Robert Johnson, tre chitarre (Gregg, Dickey e Warren) ed il basso di Woody, presa da un raro promo del 1992 diviso a metà con le Indigo Girls. Chiusura con quattro pezzi dall’ottimo Where It All Begins del 1994, tra cui le bellissime Back Where It All Begins e Soulshine (la signature song di Haynes), e con un’inedita I’m Not Crying live nel 1999, scritta e cantata da Jack Pearson che aveva sostituito proprio Haynes due anni prima.

CD5: The Peach Years 2000-2014. A parte High Cost Of Low Living e Old Before My Time, due tra i brani migliori di Hittin’ The Note del 2003 (ultimo album di studio dei nostri), questo CD è quello con più inediti e rarità. Si inizia con una rilettura strepitosa e mai sentita di Loan Me A Dime (live nel 2000), classico di Boz Scaggs che in realtà è un omaggio a Duane che suonò nella versione originale, con una grandissima prestazione dei due nuovi chitarristi della ABB Derek Trucks e Jimmy Herring. Segue un altro inedito, una favolosa Desdemona sempre dal vivo ma nel 2001, con Haynes che era rientrato definitivamente nel gruppo a fianco di Trucks: 13 minuti sensazionali. Le ultime due “unreleased songs” del box sono altrettante live versions stavolta del 2005, cioè un’insolita Blue Sky con Gregg alla voce solista ed un toccante omaggio a Duane con una breve Little Martha suonata da Derek e Warren con le chitarre acustiche. Gran finale con tre brani che non sono considerati inediti in quanto erano usciti come instant live, ma sono abbastanza rari: sto parlando dei tre pezzi conclusivi dell’ultimo concerto dei nostri nell’ottobre del 2014 al Beacon Theatre, cioè due magistrali Black Hearted Woman e The Sky Is Crying (classico di Elmore James) e, dopo i commossi discorsi d’addio, una tonica Trouble No More che chiude in un sol colpo carriera del gruppo e cofanetto così come si erano aperti.

Un box che, più di altre volte, si può riassumere con una sola parola: imperdibile.

Marco Verdi

Il Miglior Lavoro Di Sempre Del Nostro Amico Ormai Mezzo Italiano! Jono Manson – Silver Moon

jono manson silver moon

Jono Manson – Silver Moon – Appaloosa/Ird CD

Jono Manson ha da anni un rapporto speciale con la nostra penisola, avendo collaborato più volte con alcuni dei migliori musicisti nostrani come i Mandolin’ Brothers (è anche il produttore del loro ultimo 6), i Gang (Jono era dietro la consolle sia per Sangue E Cenere che per il bellissimo Calibro 77, e pare che concederà il tris anche per il prossimo lavoro dei fratelli Severini), Andrea Parodi e Paolo Bonfanti, oltre ad aver fatto parte del supergruppo Barnetti Bros. Band con Parodi, Massimiliano Larocca e Massimo Bubola e non mancare quasi mai nelle kermesse annuali del Buscadero Day. Ma Jono non vive in Italia, abita da anni a Santa Fe (New Mexico), e si ritrova a dover mandare avanti anche la sua carriera di musicista in proprio, ormai ferma al 2016 con l’ottimo The Slight Variations https://discoclub.myblog.it/2017/02/09/variazioni-lievi-ma-significative-sempre-ottima-musica-jono-manson-the-slight-variations/ : Manson si è preso del tempo, ha scelto le canzoni che reputava migliori ed è riuscito a fare ciò che si era prefissato, cioè il capolavoro di una vita. Sì, perché Silver Moon (questo il titolo del suo nuovo album, sempre distribuito dalla Appaloosa, altro punto di contatto con l’Italia) è un grande disco, il più bello, il più convinto di sempre per quanto riguarda il songwriter newyorkese, un lavoro dal respiro internazionale in cui la sua consueta miscela di ballate e brani rock in puro stile Americana toccano il vertice artistico massimo.

Jono questo lo sapeva, se lo sentiva, ed è per questo che per arricchire ancora di più il piatto ha chiamato attorno a lui una serie di ospiti da far tremare i polsi: non ci sono superstar (non aspettatevi Clapton o Knopfler), ma comunque non è da tutti avere contemporaneamente in un proprio album Warren Haynes, Terry Allen, James Maddock, Eliza Gilkyson, Joan Osborne, Eric “Roscoe” Ambel, oltre al nostro Bonfanti, al chitarrista degli Spin Doctors Eric Schenkman, all’altro axeman Eric McFadden fino al bravissimo tastierista Jason Crosby ed agli abituali collaboratori di Manson (Ronnie Johnson al basso, Paul Pearcy alla batteria e Jon Graboff alle chitarre e steel). Ma gli ospiti danno solo quel qualcosa in più, servirebbero a poco se non ci fossero le canzoni, ed in Silver Moon ne troviamo di bellissime, a partire da Home Again To You, scintillante pezzo che porta alla mente il primo Steve Earle, quello a metà tra country e rock: ritmo spedito, melodia accattivante e squisito accompagnamento chitarristico jingle-jangle. Only A Dream è cantata a due voci con Maddock, ed è una sontuosa rock ballad elettrica di stampo classico con il passo di quelle dei grandi della nostra musica, davvero bella, mentre la title track è una luccicante ballatona sudista, calda nei suoni ed impreziosita dagli splendidi organo e piano elettrico di Crosby e soprattutto dall’inconfondibile slide di Haynes: altra grande canzone.

Si rimane al sud con la goduriosa Loved Me Into Loving Again, saltellante e gustoso errebi con la voce di Manson doppiata dalla Osborne e l’aggiunta di una sezione fiati di quattro elementi; I Have A Heart è tosta ed elettrica, puro rock’n’roll di quelli che trascinano fin dalle prime note, con Springsteen come ispirazione principale, a differenza di I Believe che è un’intensa slow ballad dalle leggere reminiscenze dylaniane (ma vedo anche Butch Hancock) e con un motivo toccante e bellissimo. Con la cadenzata I’m A Pig siamo in territori rock-blues per un brano decisamente grintoso dominato dal piano di Crosby e dalla chitarra di Schenkman (e con un refrain corale vincente), Shooter è ancora più rock, una ballata elettrica e chitarristica di notevole impatto con Bonfanti che fa il bello e il cattivo tempo, mentre The Christian Thing è un lento strepitoso che sa un po’ di Messico ed un po’ di southern country, reso ancora più bello dalle voci di Terry Allen e della Gilkyson. Face The Music è ancora puro rock’n’roll ed è una delle più immediate ed irresistibili, Everything That’s Old (Again Is New) introduce un’atmosfera pop ed una slide degna di George Harrison, e porta alle due canzoni conclusive: la country ballad Every Once In A While, tersa e limpida, ed il blues elettrico e “texano” The Wrong Angel, di nuovo con Bonfanti alla solista. Jono Manson con questo Silver Moon è dunque riuscito perfettamente nel suo intento di regalarci il suo disco più bello di sempre (non disdegnando “a little help from his friends”), un lavoro che conferma la sua bravura nella scrittura, la sua competenza ed il suo amore per la vera musica.

Marco Verdi

Novità Prossime Venture 2020 2. The Allman Brothers Band Trouble No More 50th Anniversary Collection 5CD box Set: Esce Il 28 Febbraio, Il Solito Anniversario, “Tardivo” Ma Gradito.

allman brothers trouble no more 50th anniversary collection

The Allman Brothers Band – Trouble No More: 50th Anniversary Collection – 5CD box set – Mercury/Universal – 28-02-2020

Il tardivo nel titolo del Post si riferisce al fatto che il 50° Anniversario sarebbe dovuto coincidere con l’effettiva nascita degli Allman Brothers, quindi con una jam session avvenuta nel marzo del 1969 a Jacksonville, Florida, senza Gregg Allman, ma con la presenza di Reese Wynans (futuro Double Trouble) alle tastiere, che però lascia subito il gruppo. Poco più di un mese dopo, il 1° di maggio, si trasferiscono, dopo il rientro in Florida avvenuto nel frattempo di Gregg, la band si trasferisce a Macon, Georgia, dove vengono messi sotto contratto per la nascente Capricorn Records di Phil Walden, e a novembre viene pubblicato il loro primo omonimo album. Ma questa è una storia raccontata mille volte. Era solo per ricordare che ancora una volta la data di uscita di questo cofanetto viene scelta in modo arbitrario, ma come abbiamo detto è ormai solo un optional per le case discografiche.

Quello che interessa è il fatto che per la prima volta questa è una antologia multilabel, ovvero raccoglie materiale di tutte le etichette per cui hanno inciso gli Allman Brothers nella loro storia: Capricorn, Arista, Epic e Peach Records. C’è da dire che gli inediti di questo cofanetto non sono molti, 7 in totale su 61 brani, anche perché, a partire da Dreams, il primo box uscito nel 1989 e passando per tutte le varie ristampe potenziate dei dischi uscite negli anni successivi, di materiale inedito e raro ne è uscito veramente tantissimo, comunque qualche chicca c’è anche questa volta, benché per impossessarsene bisognerà scucire indicativamente una cifra superiore ai 60 euro: in ogni caso come si vede dall’immagine ad inizio Post, molto bella la confezione, con libretto di 88 pagine che attraverso un saggio di John Lynskey e diverse foto inedite e memorabilia, traccia la storia del gruppo.

Ecco brevemente gli “inediti”: il primo demo di Trouble No More registrato nel 1969 e stranamente mai pubblicato prima, poi c’è una rara e lunghissima (23 minuti) Mountain Jam tratta dal concerto tenuto a Watkins Glen nel 1973, e cioé quella eseguita insieme ai Grateful Dead e a membri della Band. Dovrebbe essere questa.

E ancora I’m Not Crying (Live at the Beacon Theatre), dai tanti concerti tenuti nel famoso Teatro di New York negli anni ’90. Dalla stessa location sono tratti anche 4 tracce presenti nell’ultimo CD, quello dei Peach Years 2000-2014, tra i quali la rarissima Loan Me A Dime (penso nella versione che vedete sotto in due parti) il brano di Boz Scaggs dal suo album omonimo del 1969 (a proposito di anniversari mancati) in cui era presente Duane Allman alla chitarra, per un assolo leggendario; Desdemona, Blue Sky Little Marta completano i brani dal vivo inediti. Comunque, come al solito, ecco la lista completa dei contenuti del cofanetto.

[CD1: The Capricorn Years 1969 – 1979 Part I]
1. Trouble No More (Demo)*
2. Don’t Want You No More
3. It’s Not My Cross To Bear
4. Dreams
5. Whipping Post
6. I’m Gonna Move To The Outskirts Of Town (Live At Ludlow Garage)
7. Midnight Rider
8. Revival
9. Don’t Keep Me Wonderin’
10. Hoochie Coochie Man
11. Please Call Home
12. Statesboro Blues (Live At Fillmore East)
13. Stormy Monday (Live At Fillmore East)
14. In Memory Of Elizabeth Reed (Live At Fillmore East)

[CD2: The Capricorn Years 1969 – 1979 Part II]
1. One Way Out (Live At Fillmore East)
2. You Don’t Love Me / Soul Serenade (Live At A&R Studios)
3. Hot ‘Lanta (Live At A&R Studios)
4. Stand Back
5. Melissa
6. Blue Sky
7. Ain’t Wastin’ Time No More (Live At Mar Y Sol)
8. Wasted Words
9. Ramblin’ Man
10. Southbound
11. Jessica
12. Early Morning Blues (Outtake)

[CD3: The Capricorn Years 1969 – 1979 Part III / The Arista Years 1980 – 1981]
1. Come And Go Blues (Live At Watkins Glen)
2. Mountain Jam (Live At Watkins Glen)*
3. Can’t Lose What You Never Had
4. Win, Lose Or Draw
5. High Falls
6. Crazy Love
7. Can’t Take It With You
8. Pegasus
9. Just Ain’t Easy (Live At Merriweather Post Pavilion)
10. Hell & High Water
11. Angeline
12. Leavin’
13. Never Knew How Much (I Needed You)

[CD4: The Epic Years 1990 – 2000]
1. Good Clean Fun
2. Seven Turns
3. Gambler’s Roll
4. End Of The Line
5. Nobody Knows
6. Low Down Dirty Mean (Live At The Beacon Theatre)
7. Come On Into My Kitchen (Live At Radio & Records Convention)
8. Sailin’ ‘Cross The Devil’s Sea
9. Back Where It All Begins
10. Soulshine
11. No One To Run With
12. I’m Not Crying (Live At The Beacon Theatre)*

[CD5: The Peach Years 2000 – 2014]
1. Loan Me A Dime (Live At World Music Theatre)*
2. Desdemona (Live At The Beacon Theatre)*
3. High Cost Of Low Living
4. Old Before My Time
5. Blue Sky (Live At The Beacon Theatre)*
6. Little Martha (Live At The Beacon Theatre)*
7. Black Hearted Woman (Live At The Beacon Theatre)
8. The Sky Is Crying (Live At The Beacon Theatre)
9. “Farewell” Speeches (Live At The Beacon Theatre)
10. Trouble No More (Live At The Beacon Theatre)

* Previously Unreleased

Il tutto è prodotto da Bill Levenson, John Lynskey e Kirk West e ne uscirà anche una versione in 10 LP. Per festeggiare l’evento, il 10 marzo si terrà un concerto al Madison Square Garden di New York, dove la band denominata The Brothers eseguirà una scelta di brani del repertorio degli ABB: formazione per l’occasione Jaimoe, Warren Haynes, Derek Trucks, Oteil Burbridge, Marc Quinones, più Reese Wynans Duane Trucks (in rappresentanza del babbo Dickey) e come ospite Chuck Leavell.

Per il momento è tutto, poi al momento dell’uscita ci ritorniamo.

Bruno Conti

Dickey Betts: L’Altro Grande Chitarrista Degli Allman Brothers, Parte II

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Seconda parte.

Per il successivo disco di studio dovremo aspettare dieci anni, quando uscirà

dickey betts band pattern disruptive

Dickey Betts Band – Pattern Disruptive – Epic 1988 ***

Curiosamente anche in questo album ci sono due futuri componenti della allora imminente nuova edizione degli Allman, quella 1989-1990, ovvero Warren Haynes alla seconda solista e Johnny Neel alle tastiere, con Butch Trucks e Matt Abts alla batteria. Formazione della Madonna, le canzoni un po’ meno, anche se le prime quattro portano la firma Betts/Haynes/Neel, che in tutto firma come co-autore ben 8 dei 10 brani: però a livello strumentale il suono è solidissimo anche se un po’ pompato e commerciale a tratti (Heartbreak Line è quasi AOR rock), ma sentite come suonano nell’iniziale Rock Bottom, in Time To Roll e in Blues Ain’t Nothin.

Bello pure il tributo strumentale al vecchio amico in Duane’s Tune, ma forse complessivamente ci si poteva aspettare di più, anche se probabilmente anni di eccessi con droghe e alcol fanno sentire il proprio effetto, e mentre Gregg Allman provvederà a disintossicarsi, all’inizio degli anni ’00 gli altri della band lo metteranno (non tanto) gentilmente alla porta. A questo punto il nostro amico rimette subito in azione il suo altro gruppo, con nuovi elementi e fa uscire

dickey betts band let's get together

Dickey Betts Band – Let’s Get Together – 2001 Free Falls Entertainment – ***1/2

La band è composta da  Mark Greenberg e Frank Lombardi alle batterie, Kris Jensen, sax e flauto, Dave Stoltz al basso, Mark May alla seconda chitarra, e Matt Zeiner alle tastiere, più qualche ospite, e all’interno del libretto c’è una foto di gruppo con mogli e figli che vorrebbe ricordare gli anni felici della “comune” Allman Brothers. Il disco è piuttosto buono nell’insieme: Rave On è un grintoso blues shuffle strumentale dove l’uso di sax e fiati aggiunge profondità e l’interscambio tra un ispirato Betts, che come chitarrista non si discute certo, e May, entrambi impegnati a scambiarsi fendenti alle rispettive Les Paul, è eccellente, sembrano quasi gli Allman.

La title-track con Donna Bonelli alle armonie vocali è uno spiritato errebì con il riff “ispirato” dal vecchio brano di Wilbert Harrison, rimanda al suono dei migliori ABB, twin guitars a go-go e anche l’impiego di un inconsueto wah-wah aiutano; Immortal  e il lento Call Me Anytime, entrambe cantate con voce vissuta da Zeiner hanno chiari retrogusti soul. Ma i due pezzi forti del CD sono le lunghe, oltre i dieci minuti, One Stop Be-Bop, dove Il nostro rivisita con classe e grande perizia strumentale tutto lo scibile musicale, dal jazz in tutte le forme, be-bop, swing e fusion, al southern rock,  con un corposo aiuto dal sax di Jensen e dalla seconda chitarra di May, e anche i 12 minuti di Dona Maria riservano qualche sorpresa, con uno stile latin rock molto santaneggiante, suonato con grande souplesse e tecnica sopraffina.

Niente male anche la ballatona country-southern Tombstone Eyes, a dimostrazione che questi brani non li sapeva scrivere solo Gregg, e Betts la canta pure con grande enfasi e trasporto. Un bel disco che viene seguito l’anno successivo dal ritorno dei Great Southern con quello che è, e temo rimarrà, l’ultimo strano album di studio del musicista della Florida.

dickey betts the collectors # 1

Dickey Betts & Great Southern – The Collectors #1 –  2002 Self Released  ***1/2

In effetti si  tratta di uno “strano” disco registrato con lo stesso personale di Let’s Get Together, principalmente materiale elettroacustico, proveniente dalle stesse sessioni, qualche jam, qualche versione alternativa, molto materiale strumentale, tanto che poi è uscito in Inghilterra in un doppio CD della Evangeline del 2009, ora Retroworld, in un twofer appunto con Let’s Get Together. Dickey Betts suona la chitarra acustica in tutti i brani: tra cui una piacevole ed inconsueta Beyond The Pale che è un brano di raffinato folk celtico, una brillante versione western swing di Georgia On A Fast Train di Billy Joe Shaver, la parte 2 di One Step Bebop, sempre in modalità tra jazz e old time swing, un raro omaggio a Bob Dylan, con una bella versione di I Shall Be Released.

Non manca il blues del Delta con una sentita versione di Steady Rollin’ Man, solo voce, chitarra acustica e armonica, una lunghissima, oltre 14 minuti, e splendida versione del blues lento Change My Way Of Living, che in origine era uscita su Where It All Begins degli Allman Brothers, come pure Seven Turns, la title track del disco del disco del 1990 e un altro strumentale western swing come The Preacher. Forse inconsueto ma è un dischetto che vale la pena di cercare.

Questo è tutto per i suoi album di studio, ora una piccola

Selezione di Album Live, ufficiali, Instant, radiofonici, eccetera.

Senza voler essere esaustivi, perché a livello dischi dal vivo Betts è stato molto prolifico vediamo di segnalarne alcuni tra i più interessanti, anche in base alla attuale reperibilità. E dal vivo il nostro amico, nonostante i suoi  annosi problemi vari di dipendenza, e la comunque cospicua produzione con la ABB, sapeva sempre come dispensare emozioni a piene mani. Citando a caso tra i migliori il box da 2 DVD/3 CD Live At The Rockpalast 1978 & 2008 ***1/2, con i concerti dei Great Southern, con tutti i classici come In Memory Of Elizabeth Reed, Jessica, High Falls (30 minuti), Ramblin’ Man, Statesboro Blues, One Way Out e anche una lunga jam di 17 minuti con gli Spirit  in If I Miss This Train/Rockpalast Jam, tratta dal concerto della band di Randy California.

Sempre dal vivo in Germania Live From The Metropolis, Germany 2006***1/2, ancora con i Great Southern dove milita anche il figlio Duane Betts alla seconda solista e Andy Aledort addirittura alla terza chitarra, formula adottata negli ultimi anni. Tra i “radiofonici” ottimo il Live At The Coffee Pot 1983 ***1/2, iscito sia in doppio CD che in DVD ed attribuito ad una sorta di supergruppo con Dickey Betts, Jimmy Hall dei Wet Willie, Chuck Leavell e Butch Trucks (BHLT), che vista la presenza di Hall come cantante, a tratti vira anche verso soul e R&B.

Come saprete lo scorso anno Betts ha avuto seri problemi di salute, prima un leggero ictus, poi un incidente domestico per una caduta che gli ha provocato la frattura del cranio, da cui pare si sia ripreso, ma che ne hanno notevolmente limitato la capacità di essere autosufficiente e non si sa se sarà ancora in grado di suonare dal vivo, comunque poco prima di questi grossi problemi aveva fatto in tempo ad incidere un nuovo disco dal vivo CD + Blu-ray,  Ramblin’ Man: Live At The St. George Theatre ****, molto bello, probabilmente il migliore in assoluto, e di cui leggete in altra parte del Blog https://discoclub.myblog.it/2019/08/18/prima-delle-disavventure-andava-ancora-come-un-treno-the-dickey-betts-band-ramblin-man-live-at-the-st-george-theatre/

Bruno Conti

Un Trio Di Delizie Blues Alligator Per L’Estate 2. Coco Montoya – Coming In Hot

coco montoya coming in hot

Coco Montoya – Coming In Hot – Alligator/Ird 

Squadra vincente non si cambia e Henry “Coco” Montoya si è ben guardato dall’apporre qualche variazione al team che lo aveva accompagnato nel precedente album, sempre per la Alligator, l’ottimo https://discoclub.myblog.it/2017/04/11/la-dura-verita-un-gran-disco-di-blues-elettrico-coco-montoya-hard-truth/ : e quindi stesso produttore Tony Braunagel, che è anche il batterista, Bob Glaub al basso, il bravissimo Mike Finnigan alle tastiere, Johnny Lee Schell alla seconda chitarra. Non c’è Lee Roy Parnell come ospite, ma troviamo in un brano il grande Jon Cleary al piano e Shaun Murphy a duettare con Montoya in un’altra canzone. Il chitarrista californiano anche per questo Coming In Hot ha scelto una serie di canzoni non famosissime ma tutte di eccellente fattura, il resto lo fanno la sua voce e soprattutto la chitarra, pungente e variegata come di consueto, a conferma del fatto che John Mayall ci vide giusto quando lo volle nei riformati Bluesbreakers, nel periodo 1984-1993 (e per cinque anni con lui in formazione c’era anche il bravissimo Walter Trout, un altro dei migliori solisti in ambito blues-rock delle ultime decadi). Il disco ufficialmente è in uscita il 23 agosto, ma nelle nostre lande circola già regolarmente da qualche tempo.

L’apertura è affidata a Good Man Gone, un brano di Tom Hambridge, altro produttore e batterista di grande prestigio, che è anche autore molto prolifico: un classico uptempo di stampo R&B, con l’organo di Finnigan e le voci delle coriste Kudisan Kai Maxan Lewis a punteggiare la voce grintosa e vissuta di Montoya, che poi scatena la potenza della sua chitarra in uno dei suoi tipici assoli pungenti e fiammeggianti. La title track è l’unico brano originale firmato da Coco con Dave Steen, un classico e vigoroso esempio di Chicago blues elettrico, con Cleary al piano (che però non si sente molto), mentre la band nell’insieme tira alla grande con il nostro che continua a lavorare di fino alla solista, energia allo stato puro. Stop Running Away From My Love è uno shuffle elettrico, cadenzato e potente, benché scritto da Jeff Paris, un musicista di stampo metal, sempre con le coriste e Finnigan in bella evidenza, mentre Coco continua a darci dentro con forza anche in questo brano, con un assolo di grande fluidità e tecnica, e Finnigan è impegnato la piano Wurlitzer. Non manca l’omaggio al vecchio maestro Albert Collins (di cui Montoya fu batterista ad inizio carriera negli anni ’70), del quale viene ripreso con grande vigore il notevole blues lento Lights Are On But Nobody’s Home, il tipico slow dell’Iceman con la chitarra del nostro che viaggia spedita e in grande libertà, sostenuta dall’organo insinuante di Finnigan e con una interpretazione vocale di grande intensità, quasi sette minuti di pura magia.

Stone Survivor è una canzone di David Egan, cantautore americano scomparso nel 2016, molto amato dai bluesmen e dai cantanti soul (tra i suoi “clienti” anche Solomon Burke, Irma Thomas, Joe Cocker, Tab Benoit, Marc Broussard, Marcia Ball e moltissimi altri). un tipico brano di caldo blue eyed soul, di nuovo con le due coriste impegnate a sostenere la bella voce di Montoya, con Finnigan che per l’occasione passa al piano. Nel disco precedente c’era un brano di Warren Haynes Before The Bullets Fly, questa volta What Am I? porta la firma di Haynes e Johnny Neel, una canzone che appariva su un disco del 1993 del tastierista e cantante, una deliziosa southern ballad di grande pathos, incorniciata da un lirico assolo di chitarra del mancino californiano. Ain’t A Good Thing è un pezzo scritto da Don Robey (noto ai più anche come Deadric Malone), un errebì solido e movimentato che faceva parte del repertorio di Bobby “Blue” Band, con Shaun Murphy alla seconda voce e che conferma la grande ecletticità sonora di questo album. Forse la sola I Would’n Wanna Be You, una canzone del repertorio di Reba McEntire, non è all’altezza del resto del disco, una traccia leggerina che neppure il lavoro della solista riesce a risollevare. Eccellente invece la cover di Trouble, un pezzo dal repertorio del misconosciuto Frankie Miller, ancora solido blue eyed soul di notevole fattura, con Montoya sempre estremamente motivato sia nella parte vocale che nel lavoro della solista. Witness Protection è una canzone di Allison August, una poco conosciuta ma valida vocalist californiana, pezzo a cui Montoya aveva partecipato come voce duettante nel disco del 2016, e qui riprende in una propria versione, sempre calda e partecipe. A chiudere Water To Wine, un brano che porta la firma Washington e che francamente non ricordo, ma questo non impedisce che sia un ulteriore vibrante shuffle chitarristico di eccellente fattura, a conferma di un album caldamente consigliato agli amanti dei blues elettrico di gran classe.

Aggiornato con video del nuovo album.

Bruno Conti

Un Disco Dal Vivo Veramente “Mitico”, Anzi Due! Gov’t Mule – Bring On The Music – Live At The Capitol Theatre Parte 2

gov't mule bring on the music 2 cd 2 dvd

Gov’t Mule  – Bring On The Music – Live At The Capitol Theatre

2 CD + 2 DVD Deluxe/ Mascot/Provogue – Esce il 19 Luglio

Per chi non si accontenta della versione in 2 CD di cui abbiamo parlato ieri vediamo cosa troviamo in più e di diverso nella versione Deluxe 2 CD + 2 DVD, anzi prima vediamo cosa non c’è delle due serate tenute nello scorso aprile: manca la cover di Effigy dei Creedence, Unring The Bell, Mr. High And Mighty, il bis finale con I’ll Be The One, un brano solista di Haynes, che incorpora la Blue Sky Jam, è questo è un vero peccato, Rocking Horse dalla prima serata e anche una Tributary Jam, a favore di un paio pezzi ripetuti più volte, comunque in diverse versioni, sia nella parte audio che video. Per la serie “purtroppo”, parlo per i portafogli degli acquirenti, bisognerà avere entrambe le edizioni::quella Deluxe, seguendo sempre il formato CD doppio, inizia con Hammer And Nails, la cover del brano degli Staple Singers, che era su Deep End Vol. 2, dal soul dell’originale al blues a tutta slide della loro rilettura, seguita da una granitica e lunghissima Thorazine Shuffle, oltre dodici minuti di super jam per uno dei loro cavalli di battaglia sin dai tempi di Dose, sempre da quel disco anche Larger Than Life, altro pezzo rock di quelli tosti, Forsaken Savior da Shout, contiene una citazione della bellissima Sad And Deep As You di Dave Mason, Broke Down On The Brazos è un altro massiccio pezzo rock costruito su un pantagruelico riff di basso di Carlsson, Endless Parade è una splendida ballata ripresa da High And Mighy, lirica e malinconica, con un altro assolo da manuale di Haynes, Lola Leave Your Light On è un’altra scarica zeppeliniana da Dèjà Voodoo e Blind Man In The Dark è la quintessenza del suono dei Gov’t Mule, potenza devastante, classe, improvvisazione alla ennesima potenza, tra wah-wah impazziti e ritmica in libertà, e sempre da quel periodo arriva anche Raven Black Night, altro limpido e complesso esempio della loro musica, traccia che chiude il primo CD della versione Deluxe quadrupla.

In apertura del secondo CD, TravelingTune, versione alternata, ancora più allmaniana, e una durissima Stone Cold Rage, nuovamente dal disco del 2017, di Whisper In Your Soul su Shout c’era una bella versione cantata con Grace Potter, qui viene forgiata in una strana ed inconsueta versione quasi psych-soul, sorniona e ricercata, mentre molto bella è la blues and soul ballad Little Toy Brain, con Warren sempre splendido alla solista, canzone che placa un attimo gli animi prima del pezzo forte dell’intero concerto, un magnifico e lunghissimo medley di oltre 17 minuti di Trane ed Eternity Breath della Mahavishnu Orchestra, che poi sfocia in una jam costruita intorno a una sontuosa St. Stephen dei Grateful Dead, con tutti e quattro i musicisti in grande spolvero ai rispettivi strumenti, per un quarto d’ora di grandissima musica (come se il resto non bastasse), minchia se suonano, scusate il francesismo (però, delitto di lesa maestà, questo medley non è stato inserito nella parte video del doppio DVD) . Un attimo per riprenderci e arriva un altro brano da Revolutions, una breve ma epica Pressure Under Fire e pure Fool’s Moon da Deep End Vol. 1 non è malaccio, si fa per dire, sempre rock magistrale, che precede l’altra versione di Revolutions Come…Revolutions Go, ancora 10:45 magici tanto per gradire e dallo stesso album anche Bring On The Music che dà il titolo a questo Live, altro brano notevole, dall’inizio in sordina, solo percussioni e chitarre e tastiere accarezzate, fino all’ingresso vigoroso della ritmica e il “consueto” crescendo strumentale, tra pause ed improvvise ripartenze che poi confluiscono nella ripresa di Traveling Tune (Part 2) che concludeva il concerto del 28 aprile e pure questo doppio CD magnifico.

Il doppio DVD splendidamente ripreso con ben nove telecamere dal fotografo e regista Danny Clinch riporta un corposo estratto dai due concerti, pizzicando sia dalla versione standard che da quella deluxe, 23 brani in tutto, sempre non seguendo la sequenza originale, ma con interviste con la band, riprese dietro le quinte, fotografie ed altre chicche,  pur se con la pecca appena citata. Concludendo, in ogni caso, in una parola, “mitico”.

Bruno Conti