Proseguono Le Buone Tradizioni Di Famiglia! The Allman Betts Band – Bless Your Heart

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The Allman Betts Band – Bless Your Heart – BMG CD

Uno dei migliori album di debutto del 2019 era stato indubbiamente Down To The River della Allman Betts Band https://discoclub.myblog.it/2019/07/16/questi-cognomi-mi-dicono-qualcosa-the-allman-betts-band-down-to-the-river/ , gruppo di southern rock diretto discendente fin dal nome della mitica Allman Brothers Band, e formato da Devon Allman (figlio di Gregg) e Duane Betts (rampollo di Dickey Betts), nonché con la presenza di Berry Duane Oakley che è a sua volta figlio dello sfortunato bassista degli Allman Berry Oakley e che non ha mai conosciuto il padre, morto nel famoso incidente motociclistico quando il piccolo Berry Jr. era ancora nel grembo materno. A poco più di un anno di distanza la ABB pubblica il suo secondo lavoro intitolandolo Bless Your Heart, e proseguendo il suo cammino volto a tenere alto il vessillo del gruppo dei loro padri e del southern rock in generale.

Se Down To The River colpiva per il suono potente e per la bellezza delle canzoni, questo nuovo lavoro è ancora meglio: intanto ha una durata “importante” tipica dei classici album di questo genere (71 minuti), ma quello che più importa è che vede i nostri in ottima forma sia come compositori che come musicisti, con un suono forte, vigoroso e decisamente sanguigno, sempre più rivolto verso il rock ed un po’ meno verso il blues, con le voci e le chitarre dei due leader in grande evidenza ben coadiuvate dalla spettacolare slide di Johnny Stachela (uno dei protagonisti del sound del gruppo), e completate dal basso di Oakley, dalla doppia batteria di R. Scott Bryan e John Lum e dalle tastiere di John Ginty, anch’egli molto bravo. Prodotto ancora da Matt Ross-Spang, Bless Your Heart fa dunque compiere un altro passo avanti alla ABB, dando l’impressione a chi ascolta di trovarsi di fronte al lavoro di una band ancora più coesa ed affiatata: a conferma di questo, l’album è stato inciso in presa diretta e sovraincidendo solo qualche parte vocale, per di più in un luogo magico come i Muscle Shoals Sound Studios.

L’iniziale Pale Horse Rider è una suggestiva rock ballad che parte con una melodia evocativa per sola voce e chitarra (canta Devon, che nel corso del CD si alterna con Duane alle lead vocals), ma poi entra la band in maniera decisamente potente, forse anche troppo: la canzone è comunque più che buona ed i due leader fanno cantare le chitarre che è un piacere, con la sezione ritmica che pompa di brutto. Anche Carolina Song ha un intro bello tosto, ma l’uso dell’organo e la slide le danno un sapore maggiormente sudista, così come la melodia corale che è più figlia dei Lynyrd Skynyrd che della ABB “originale”. Ancora slide in evidenza doppiata dal sax di Art Edmaiston nella ritmata e sanguigna King Crawler, dal train sonoro irresistibile, puro rock’n’roll del sud che fa muovere piedi, testa e quant’altro; Ashes Of My Lovers è il brano che non ti aspetti, un’evocativa western song cinematografica alla Ennio Morricone, con un cammeo vocale della brava Shannon McNally che le dona quel quid in più: notevole. Ed eccoci al centerpiece del disco: Savannah’s Dream è un favoloso strumentale di ben dodici minuti in cui le soliste di Devon e Duane si sfidano a duello con assoli anche di Stachela alla slide e Ginty al piano, il tutto in un tripudio di suoni caldi e creativi tra rock, jazz, blues e psichedelia: il brano più simile in assoluto agli “altri” Allman.

Anche la ruspante Airboats & Cocaine è molto bella, rock song trascinante con le chitarre in gran spolvero (ma qui il vero protagonista è Stachela); la robusta Southern Rain ha un motivo orecchiabile, una struttura soul-rock di tutto rispetto ed una ritmica insinuante, mentre Rivers Run è un country-rock terso e limpido, una signora canzone che Betts ha scritto sullo stile di certe cose di papà Dickey come Blue Sky o Seven Turns. Ottima anche Magnolia Road (il disco cresce man mano che prosegue), una vigorosa ma fruibile canzone di puro southern, splendida nei suoi interplay tra chitarre, slide e pianoforte e con in più un refrain di quelli vincenti. Should We Ever Part è forse già sentita per quanto riguarda lo script ma è suonata anche questa in modo spettacolare, e precede gli otto minuti della ballatona The Doctor’ Daughter (sottotitolo: Ambarabacicicocò…no scherzo), che stranamente ha qualcosa dei Pink Floyd classici dei seventies, oltre ad un bellissimo assolo acustico finale di Duane. Il CD si chiude con la scintillante Much Obliged, altro country-rock cadenzato ed accattivante, e con la pianistica Congratulations, rock ballad ricca di umori soul, che chiude benissimo un album da consigliare a chiunque ami il southern rock di qualità, e che conferma che la Allman Betts Band ha tutto il diritto di ereditare l’acronimo dal leggendario gruppo dei genitori. E, come prossima mossa, non mi dispiacerebbe un bel disco dal vivo.

Marco Verdi

Dickey Betts: L’Altro Grande Chitarrista Degli Allman Brothers, Parte II

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Seconda parte.

Per il successivo disco di studio dovremo aspettare dieci anni, quando uscirà

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Dickey Betts Band – Pattern Disruptive – Epic 1988 ***

Curiosamente anche in questo album ci sono due futuri componenti della allora imminente nuova edizione degli Allman, quella 1989-1990, ovvero Warren Haynes alla seconda solista e Johnny Neel alle tastiere, con Butch Trucks e Matt Abts alla batteria. Formazione della Madonna, le canzoni un po’ meno, anche se le prime quattro portano la firma Betts/Haynes/Neel, che in tutto firma come co-autore ben 8 dei 10 brani: però a livello strumentale il suono è solidissimo anche se un po’ pompato e commerciale a tratti (Heartbreak Line è quasi AOR rock), ma sentite come suonano nell’iniziale Rock Bottom, in Time To Roll e in Blues Ain’t Nothin.

Bello pure il tributo strumentale al vecchio amico in Duane’s Tune, ma forse complessivamente ci si poteva aspettare di più, anche se probabilmente anni di eccessi con droghe e alcol fanno sentire il proprio effetto, e mentre Gregg Allman provvederà a disintossicarsi, all’inizio degli anni ’00 gli altri della band lo metteranno (non tanto) gentilmente alla porta. A questo punto il nostro amico rimette subito in azione il suo altro gruppo, con nuovi elementi e fa uscire

dickey betts band let's get together

Dickey Betts Band – Let’s Get Together – 2001 Free Falls Entertainment – ***1/2

La band è composta da  Mark Greenberg e Frank Lombardi alle batterie, Kris Jensen, sax e flauto, Dave Stoltz al basso, Mark May alla seconda chitarra, e Matt Zeiner alle tastiere, più qualche ospite, e all’interno del libretto c’è una foto di gruppo con mogli e figli che vorrebbe ricordare gli anni felici della “comune” Allman Brothers. Il disco è piuttosto buono nell’insieme: Rave On è un grintoso blues shuffle strumentale dove l’uso di sax e fiati aggiunge profondità e l’interscambio tra un ispirato Betts, che come chitarrista non si discute certo, e May, entrambi impegnati a scambiarsi fendenti alle rispettive Les Paul, è eccellente, sembrano quasi gli Allman.

La title-track con Donna Bonelli alle armonie vocali è uno spiritato errebì con il riff “ispirato” dal vecchio brano di Wilbert Harrison, rimanda al suono dei migliori ABB, twin guitars a go-go e anche l’impiego di un inconsueto wah-wah aiutano; Immortal  e il lento Call Me Anytime, entrambe cantate con voce vissuta da Zeiner hanno chiari retrogusti soul. Ma i due pezzi forti del CD sono le lunghe, oltre i dieci minuti, One Stop Be-Bop, dove Il nostro rivisita con classe e grande perizia strumentale tutto lo scibile musicale, dal jazz in tutte le forme, be-bop, swing e fusion, al southern rock,  con un corposo aiuto dal sax di Jensen e dalla seconda chitarra di May, e anche i 12 minuti di Dona Maria riservano qualche sorpresa, con uno stile latin rock molto santaneggiante, suonato con grande souplesse e tecnica sopraffina.

Niente male anche la ballatona country-southern Tombstone Eyes, a dimostrazione che questi brani non li sapeva scrivere solo Gregg, e Betts la canta pure con grande enfasi e trasporto. Un bel disco che viene seguito l’anno successivo dal ritorno dei Great Southern con quello che è, e temo rimarrà, l’ultimo strano album di studio del musicista della Florida.

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Dickey Betts & Great Southern – The Collectors #1 –  2002 Self Released  ***1/2

In effetti si  tratta di uno “strano” disco registrato con lo stesso personale di Let’s Get Together, principalmente materiale elettroacustico, proveniente dalle stesse sessioni, qualche jam, qualche versione alternativa, molto materiale strumentale, tanto che poi è uscito in Inghilterra in un doppio CD della Evangeline del 2009, ora Retroworld, in un twofer appunto con Let’s Get Together. Dickey Betts suona la chitarra acustica in tutti i brani: tra cui una piacevole ed inconsueta Beyond The Pale che è un brano di raffinato folk celtico, una brillante versione western swing di Georgia On A Fast Train di Billy Joe Shaver, la parte 2 di One Step Bebop, sempre in modalità tra jazz e old time swing, un raro omaggio a Bob Dylan, con una bella versione di I Shall Be Released.

Non manca il blues del Delta con una sentita versione di Steady Rollin’ Man, solo voce, chitarra acustica e armonica, una lunghissima, oltre 14 minuti, e splendida versione del blues lento Change My Way Of Living, che in origine era uscita su Where It All Begins degli Allman Brothers, come pure Seven Turns, la title track del disco del disco del 1990 e un altro strumentale western swing come The Preacher. Forse inconsueto ma è un dischetto che vale la pena di cercare.

Questo è tutto per i suoi album di studio, ora una piccola

Selezione di Album Live, ufficiali, Instant, radiofonici, eccetera.

Senza voler essere esaustivi, perché a livello dischi dal vivo Betts è stato molto prolifico vediamo di segnalarne alcuni tra i più interessanti, anche in base alla attuale reperibilità. E dal vivo il nostro amico, nonostante i suoi  annosi problemi vari di dipendenza, e la comunque cospicua produzione con la ABB, sapeva sempre come dispensare emozioni a piene mani. Citando a caso tra i migliori il box da 2 DVD/3 CD Live At The Rockpalast 1978 & 2008 ***1/2, con i concerti dei Great Southern, con tutti i classici come In Memory Of Elizabeth Reed, Jessica, High Falls (30 minuti), Ramblin’ Man, Statesboro Blues, One Way Out e anche una lunga jam di 17 minuti con gli Spirit  in If I Miss This Train/Rockpalast Jam, tratta dal concerto della band di Randy California.

Sempre dal vivo in Germania Live From The Metropolis, Germany 2006***1/2, ancora con i Great Southern dove milita anche il figlio Duane Betts alla seconda solista e Andy Aledort addirittura alla terza chitarra, formula adottata negli ultimi anni. Tra i “radiofonici” ottimo il Live At The Coffee Pot 1983 ***1/2, iscito sia in doppio CD che in DVD ed attribuito ad una sorta di supergruppo con Dickey Betts, Jimmy Hall dei Wet Willie, Chuck Leavell e Butch Trucks (BHLT), che vista la presenza di Hall come cantante, a tratti vira anche verso soul e R&B.

Come saprete lo scorso anno Betts ha avuto seri problemi di salute, prima un leggero ictus, poi un incidente domestico per una caduta che gli ha provocato la frattura del cranio, da cui pare si sia ripreso, ma che ne hanno notevolmente limitato la capacità di essere autosufficiente e non si sa se sarà ancora in grado di suonare dal vivo, comunque poco prima di questi grossi problemi aveva fatto in tempo ad incidere un nuovo disco dal vivo CD + Blu-ray,  Ramblin’ Man: Live At The St. George Theatre ****, molto bello, probabilmente il migliore in assoluto, e di cui leggete in altra parte del Blog https://discoclub.myblog.it/2019/08/18/prima-delle-disavventure-andava-ancora-come-un-treno-the-dickey-betts-band-ramblin-man-live-at-the-st-george-theatre/

Bruno Conti

Prima Delle “Disavventure” Andava Ancora Come Un Treno! The Dickey Betts Band – Ramblin’ Man: Live At The St. George Theatre

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Dickey Betts Band – Ramblin’ Man: Live At The St. George Theatre – BMG CD/BluRay – 2LP

Lo scorso anno Dickey Betts, cioè l’ultimo baluardo di quel gruppo leggendario che è stata la Allman Brothers Band, ha seriamente rischiato di andare a far compagnia a Gregg Allman: prima, in Agosto, un leggero ictus che non gli ha fortunatamente causato grossi problemi, e poco dopo un brutto incidente domestico (pare avvenuto mentre giocava con il suo cane) che gli ha provocato una frattura del cranio con conseguente versamento sanguigno cerebrale. Sottoposto ad un delicato intervento chirurgico, Betts si è ripreso benissimo, ma ha dovuto cancellare le date del tour previste per Novembre e a tutt’oggi non sappiamo se sarà in grado di esibirsi ancora (anche l’età, a Dicembre 2019 saranno 76 anni, non lo aiuta). Per fortuna Dickey aveva fatto in tempo a registrare la serata del 21 Luglio al St. George Theatre di Staten Island a New York, concerto facente parte del suo ultimo tour con la Dickey Betts Band, e così oggi possiamo godere di questa fantastica performance. Ramblin’ Man: Live At The St. George Theatre è quindi il resoconto di quella splendida serata, un CD con accluso BluRay (non c’è la versione in DVD, ma per gli amanti del vinile esiste anche in doppio LP) che ci mostra appunto un Betts in forma ancora smagliante dal punto di vista chitarristico e buona dal lato vocale.

Accompagnato da un gruppo formidabile di sei elementi che vede al suo interno altre due chitarre soliste (in piena tradizione sudista), una del figlio Duane Betts e l’altra di Damon Fowler (musicista che in carriera ha collaborato con gente del calibro di Buddy Guy, i fratelli Johnny ed Edgar Winter, Jeff Beck, Jimmie Vaughan e lo stesso Gregg Allman, oltre ad avere all’attivo una pregevole discografia da solista https://discoclub.myblog.it/2018/11/13/uno-dei-dischi-rock-blues-piu-belli-dellanno-damon-fowler-the-whiskey-bayou-session/ ), la sezione ritmica formata dal bassista Pedro Arevalo e dai due batteristi Frankie Lombardi e Steve Camilleri, per finire con il bravissimo pianista/organista Mike Kach, uno dei protagonisti del suono della band. Un concerto potente, vitale e pulsante, nettamente sbilanciato verso il repertorio della ABB (peccato manchi Seven Turns, una delle mie preferite): se questo sarà il canto del cigno del Dickey Betts performer (che qui sfoggia un’inedita barba bianca) potremo dire che ha deposto le armi in grande stile. Il CD dura 71 minuti e contiene sette canzoni, mentre il BluRay ne dura 94 e presenta tre brani in più, cioè gli unici due pezzi appartenenti al periodo solista di Betts (My Getaway e Nothing You Can Do) e la classica Statesboro Blues che pur essendo di Blind Willie McTell è da sempre legata a doppio filo alla ABB: non avendo avuto ancora modo e tempo di vedere la parte video, la recensione è fatta in base all’ascolto del CD, che comunque basta e avanza (e che avrebbe potuto essere allungato di uno dei tre pezzi in più del BluRay, lo spazio c’era).

Le sonorità calde di Hot’Lanta riempiono subito l’ambiente, con le sue atmosfere tra rock e jazz ed il tipico timbro pulito e melodico della chitarra del leader ma anche con il notevole organo di Kach: Dickey piazza subito un assolo di quelli che ti stendono, così tanto per cominciare, ben doppiato dal figlio Duane. Blue Sky è sempre stata splendida, una delle più belle canzoni degli Allman, e Betts dimostra di non aver perso il tocco magico, intrattenendo per dieci minuti di grande musica: introduzione inedita con echi quasi dei Grateful Dead, poi al secondo minuto arriva il celebre riff ed il brano prende il volo (nonostante il nostro palesi una voce non più limpida come un tempo), con un’altra eccellente prova di Kach questa volta al piano. E’ poi la volta dell’omaggio al compagno di mille avventure Gregg Allman, con una fluida versione di Midnight Rider affidata alla voce (e chitarra) del figlio di Gregg, Devon Allman (da lì a poco partner di Duane nella Allman Betts Band https://discoclub.myblog.it/2019/07/16/questi-cognomi-mi-dicono-qualcosa-the-allman-betts-band-down-to-the-river/ ), ospite speciale solo in questo pezzo: grande canzone e rilettura solida e perfettamente riuscita.

I seguenti 21 minuti sono occupati da una fulgida resa della formidabile In Memory Of Elizabeth Reed, una delle signature songs di Betts: atmosfera sudista al 100%, sonorità calde e coinvolgenti e solite magistrali prestazioni chitarristiche del trio di axemen, oltre ad un altro grandissimo assolo di piano, qui influenzato dalla musica jazz (e non mancano i momenti in cui anche le batterie ed il basso si esprimono in perfetta solitudine); il momento magico della serata prosegue con una roboante Whipping Post, altri dieci minuti abbondanti di vero southern rock di classe, inimitabile in quanto eseguito da uno degli inventori del genere. Chiusura con una tonica Ramblin’ Man, splendida canzone in puro stile country-rock in cui Dickey cerca di fare del suo meglio dal punto di vista vocale (da quello chitarristico ci riesce ancora senza problemi), e con una strepitosa Jessica, introdotta dal famoso riff e caratterizzata da un muro del suono rock di altissimo livello, in cui ogni strumento fa la sua parte alla grande (ancora con lo spettacolare piano di Kach sugli scudi). Degno finale per una serata da ricordare a lungo, soprattutto nel caso non dovessimo più riuscire a vedere Dickey Betts salire su un palco.

Marco Verdi

Questi Cognomi Mi Dicono Qualcosa! The Allman Betts Band – Down To The River

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The Allman Betts Band – Down To The River – BMG CD

Nel mondo della musica internazionale essere figlio d’arte di grandi artisti è un po’ come ricevere il bacio della morte, nonostante ci siano vari casi di ottimi musicisti che però non arriveranno mai ad eguagliare le gesta dei padri (come Jakob Dylan, Rosanne Cash, Hank Williams Jr., A.J. Croce, Norah Jones e Jeff Buckley, quest’ultimo l’unico che forse ce l’avrebbe potuta fare ma non lo sapremo mai). Se poi sei il figlio di Gregg Allman e decidi di formare una band di southern rock dimostri di avere una buona dose di coraggio, se poi quella band la crei in società con il figlio di Dickey Betts il coraggio si trasforma in sfrontatezza, se poi ancora decidi di chiamare il gruppo The Allman Betts Band (cioè con lo stesso acronimo di “quelli là”), allora te la vai a cercare. Eppure questo è proprio il caso di Devon Allman, secondogenito di Gregg e già titolare di diverse esperienze musicali (tra cui Honeytribe, Royal Southern Brotherhood ed apparizioni nelle band di papà, sia Allman Brothers Band che Gregg Allman Band), che ha deciso di formare un nuovo gruppo con Duane Betts, figlio del grande Dickey, e battezzandolo proprio in modo da rendere facile l’associazione con la storica band dei due genitori (i quali a differenza dei figli, negli ultimi anni, cioè dall’ultimo allontanamento di Betts dagli ABB fino alla morte di Gregg avvenuta nel 2017, non si sono più rivolti la parola).

In realtà i due avrebbero potuto anche aggiungere un terzo cognome nel moniker del gruppo, in quanto il bassista è Barry Oakley Jr., che è proprio il figlio del membro originale della prima versione della ABB, scomparso tragicamente un anno dopo il mitico Duane Allman ed in circostanze analoghe. Eppure io ero fiducioso sull’esito di questa nuova collaborazione, dato che in certi casi buon sangue non mente, ma con tutto l’ottimismo possibile non pensavo di trovarmi tra le mani un lavoro come Down To The River, che posso definire senza mezzi termini un grande disco. Il gruppo infatti ha un suono solido e grintoso, ed è formato da gente che dà del tu agli strumenti, oltre a suonare con una dose enorme di feeling: Devon e Duane si alternano sia al canto che alle chitarre ritmiche e soliste, ben coadiuvati da Johnny Stachela, terzo chitarrista che si destreggia anche alla slide (rispettando quindi la tradizione sudista di avere tre potenziali solisti nel gruppo), il già citato Oakley al basso che fornisce un background potente insieme al batterista John Lum ed al percussionista R. Scott Bryan, mentre il piano e l’organo sono suonati dall’ottimo Peter Levin che però è esterno alla band (ma in un brano, Good Ol’ Days, c’è il grande Chuck Leavell).

Prodotto da Matt Ross-Spang, Down To The River è dunque un disco sorprendente per la sua bellezza, anche perché rivela un’indubbia capacità dei due leader di scrivere brani di notevole spessore (sette dei nove pezzi totali sono originali); il suono è tipicamente sudista, ma con un approccio più rock e molto meno blues rispetto al mitico combo dei loro padri: diciamo che il filone è più quello dei Blackberry Smoke e degli Sheepdogs, anche se qui siamo un gradino sopra e comunque in più di un brano si intuisce una tendenza alla jam session che dal vivo porterà i nostri a dilatare parecchie canzoni, che qui hanno tutto sommato una durata abbastanza contenuta (tranne che in un caso). L’inizio è a tutto rock con la coinvolgente All Night, un robusto boogie elettrico molto trascinante, in cui Allman mostra di avere la voce giusta (soul e “negroide” sullo stile di quella di Gregg) e le chitarre dardeggiano che è un piacere, con un assolo centrale decisamente southern. Se la voce di Devon ricorda quella del padre, lo stesso si può dire di quella di Duane rispetto a Dickey (un timbro quindi più “country-rock”), e lo sentiamo subito nella limpida Shinin’, caratterizzata da una ritmica potente ed uno sviluppo fluido, con chitarre ed organo a stendere un tappeto sonoro di tutto rispetto, mentre Betts Jr. intona una melodia diretta e piacevole, mentre Try è un rock’n’roll altamente godibile ed immediato, dalle sonorità ruspanti e le solite ottime chitarre.

La title track è splendida, un gustoso e caldo pezzo tra southern soul ed errebi, superbamente eseguito e con un motivo calibrato alla perfezione, e precede l’highlight del disco, cioè una cover di quasi nove minuti di Autumn Breeze (un brano del soul singer Homer T. Williams), qui rivisitata in una sontuosa chiave rock, una cavalcata elettrica che parte lenta e cresce man mano che prosegue, una canzone-jam che dal vivo farà certamente faville: formidabile la prestazione dei tre axemen del gruppo. Good Ol’ Days è una piacevole rock ballad con leggeri elementi country, l’organo di Leavell che ricama da par suo, un’ottima slide ed una melodia tersa ed ariosa, mentre Melodies And Memories è puro southern rock dal refrain corale vincente ed ancora punteggiata da una slide tagliente. Il CD volge al termine, giusto il tempo per una splendida e toccante versione del classico di Tom Petty Southern Accents, una grande canzone che i nostri non devono far altro che interpretare alla loro maniera (cioè benissimo, con solo voce, piano e slide), e per Long Gone, sei minuti e mezzo di vibrante soul-rock, una ballatona di grande impatto emotivo in cui i due leader si alternano alla voce solista e poi ci deliziano con una coda strumentale strepitosa.

Non era facile ben figurare avendo l’ombra ingombrante di due giganti come Gregg Allman e Dickey Betts alle spalle, ma direi che i due figlioli hanno portato a casa il risultato pieno, e quindi posso affermare senza paura di essere smentito che la ABB è tornata!

Marco Verdi

Un Sentito Omaggio Al Vecchio “Fiddlin’ Man”! VV.AA. – Volunteer Jam XX: A Tribute To Charlie Daniels

volunteer jam xx

VV. AA. – Volunteer Jam XX: A Tribute To Charlie Daniels – Blackbird 2CD

Come probabilmente molti di voi sapranno, la Volunteer Jam è un mega-concerto patrocinato dalla Charlie Daniels Band che dal 1974 si tiene annualmente a Nashville, una sorta di celebrazione della musica del Sud e non solo, che nel tempo ha visto alternarsi sul palco gruppi e solisti del calibro di Allman Brothers Band, Marshall Tucker Band, Stevie Ray Vaughan, Emmylou Harris, Carl Perkins, Don Henley, Nitty Gritty Dirt Band e molti altri, oltre naturalmente ai padroni di casa. Proposta quasi ininterrottamente fino al 1987 (solo il 1976 fu saltato), questa festa si è poi svolta appena tre volte negli anni novanta, per poi riprendere con cadenza annuale solo nel 2014: quest’anno è stato particolarmente importante, prima di tutto perché si trattava del ventesimo anniversario, e poi perché è stato deciso di trasformare la serata in un tributo allo stesso Charlie Daniels ed ai suoi 81 anni (82 quando leggerete queste righe). Volunteer Jam XX è dunque il resoconto di questo show, un doppio CD (non c’è la parte video, almeno per ora) registrato il 7 Marzo di quest’anno alla Bridgestone Arena di Nashville, una bellissima serata in cui una lunga serie di musicisti rock e country hanno pagato il loro tributo al barbuto cantante e violinista, con alle spalle una house band strepitosa: Jamey Johnson, Audley Freed e Tom Bukovac alle chitarre, Don Was al basso, Chuck Leavell alle tastiere, Sam Bush a violino e mandolino e Nir Z (?) alla batteria, oltre alle McCrary Sisters ai cori.

L’unica cosa che non capisco è perché non sia stato pubblicato il concerto intero, che ci stava comodamente su due CD, ma “solo” 22 canzoni, lasciando fuori performance come quella di Johnson (Long Haired Country Boy) ed ignorando completamente la partecipazione di Alison Krauss. Quello che c’è comunque è più che soddisfacente, anche se non tutte le prestazioni sono allo stesso livello: le canzoni del songbook di Daniels occupano circa l’80% della serata, ma ci sono anche diversi altri brani ormai entrati nella leggenda della musica southern, tra cui più di un omaggio agli Allman. Apertura in perfetto stile southern country con la sanguigna Trudy, ad opera dei Blackberry Smoke, sempre di più una garanzia, seguita dagli Oak Ridge Boys in gran spolvero con una coinvolgente Brand New Star, tra gospel e mountain music, e da Brent Cobb (cugino di Dave) con una liquida Sweet Louisiana, che vede un formidabile Leavell al piano ed il resto del gruppo in tiro, con la slide di Freed a dominare. Sara Evans, gran voce e grinta da vendere, affronta la vibrante Evangeline con ottimo piglio, Justin Moore rifà la robusta southern ballad Simple Man, non male ma ci voleva uno con più personalità, mentre Chris Janson si cimenta con la nota (What This World Needs Is) A Few More Rednecks, e lo fa con un approccio alla Waylon Jennings, puro Outlaw country-rock.

Gli Steep Canyon Rangers sono molto bravi, e la loro Texas è un rockabilly-bluegrass decisamente coinvolgente (e suonato alla grande), ma Eddie Montgomery, metà del duo Montgomery Gentry (Troy Gentry è tragicamente scomparso lo scorso anno in un incidente aereo) è fondamentalmente un mediocre, e la sua My Town pure; per fortuna che arriva Lee Brice il quale, pur non essendo un fenomeno, rilascia una buona versione della famosa The Legend Of Wooley Swamp. Il primo CD si chiude con una sorpresa: Devon Allman e Duane Betts, figli di Gregg e Dickey (ed è un bene che i rapporti tra di loro siano migliori di quanto non fossero quelli tra i genitori) si cimentano con due classici dei rispettivi padri, una fluidissima Blue Sky ed una Midnight Rider emozionante, un doppio omaggio più che riuscito e direi toccante. Il secondo dischetto inizia con i Lynyrd Skynyrd e la loro immortale Sweet Home Alabama, che si prende uno dei maggiori boati da parte del pubblico (splendida versione tra l’altro), dopodiché abbiamo un doppio Travis Tritt con due suoi classici, Modern Day Bonnie And Clyde e It’s A Great Day To Be Alive: Travis è sempre stato uno bravo, ed anche in quella serata non delude, grande voce e grinta da vero southern rocker. Molto bene anche Chris Young con la trascinante Drinkin’ My Baby Goodbye, tra country e rock’n’roll, mentre l’esperto Ricky Scaggs alle prese con We Had It All One Time non brilla particolarmente, anche per un lieve eccesso di zucchero; poi arriva Billy Gibbons e stende tutti con una roboante La Grange, sempre una grande canzone (ed il carisma di Billy non lo scopriamo oggi).

Gli Alabama non mi sono mai piaciuti molto, troppo pop la loro proposta musicale, ma alle prese con il superclassico di Daniels The South’s Gonna Do It Again tirano fuori le unghie e ci regalano una delle prestazioni più convincenti del doppio, tra rock e swing (ed anche la loro Mountain Music non delude, pur restando un gradino sotto). E’ finalmente la volta del festeggiato (e della sua band), che sa ancora tenere il palco con sicurezza, prima con una formidabile Tennessee Fiddlin’ Man e poi con la leggendaria The Devil Went Down To Georgia. Il gran finale è ancora un omaggio agli Allman con One Way Out (un classico sia per Sonny Boy Williamson che per Elmore James, ma anche un evergreen per la band di Macon), lunga e maestosa versione con tutti sul palco in contemporanea, ed un assalto chitarristico da urlo da parte dei vari axemen presenti. Finalmente anche Charlie Daniels ha avuto il suo tributo, e per di più nel suo ambiente naturale: lo stage della Volunteer Jam.

Marco Verdi